IL MONDO DI GIANNI COSETTI

Cuoco di Carnia

divider.gif (415 bytes)

 

CARNIALCHIMIA
Cosetti e la sua Terra Madre

Vecchia e Nuova cucina di Carnia, di Gianni Cosetti, Lithostampa, Udine, 2° ed. 2002 (1° ed. 1995)
Il Mondo di Gianni Cosetti, Cuoco di Carnia,
di Annalisa Bonfiglioli, Grafiche Filacorda, Udine, 2009

Liber novus?
L’identità carnica si è prestata a moltissime letture e interpretazioni. Dai classici lavori di Gortani, passando per gli scritti di Ferigo, fino ad arrivare al popolo duro di Heady: si tratta di un’ampia gamma di contributi in scienze umane e geografiche. A questi possiamo poi aggiungere l’apporto un po’ più atipico di alcuni fotografi (Ulderica Da Pozzo), musicisti (Lino Straulino) e narratori di racconti e leggende (Igino Piutti). Essi vengono a formare un insieme di tasselli utili per ricostruire il puzzle di un’identità comunque complessa, ricca e variegata.
Ma la Carnia non finisce mai di stupire. Esiste difatti un altro tassello che dobbiamo assolutamente aggiungere alla nostra collezione. Trattasi di una ricerca in scienza culinaria che, pur non rispettando i canoni della cucina cosiddetta scientifica contemporanea, oggi tanto decantata, contribuisce indubbiamente a completarne il quadro. Mi riferisco a Vecchia e Nuova Cucina di Carnia di Gianni Cosetti.
Cosetti ha pubblicato qui i risultati della sua ricerca culinaria di una vita e che è stata svolta direttamente nella sua Terra Madre, la Carnia. Gli esiti del suo percorso sono stati raccolti in questo volume che non è rivolto soltanto ad appassionati gourmets e professionisti del settore. Tale lavoro non va inteso solo come un classico ricettario che codifica le visioni culinarie di un grande chef. E’ molto di più. E’ un vero e proprio trattato di “cucina alchemica” che ci permette di compiere un viaggio nello spirito del tempo e nello spirito del profondo del popolo carnico in chiave, intendiamoci, globalizzata o meglio internazionalizzata. E come tale richiede una lettura con lenti particolari. Per accostarsi all’essenza della sua visione dobbiamo pertanto avvalerci delle lenti che ci vengono fornite dal lodevole lavoro di esegesi storica di Annalisa Bonfiglioli intitolato: Il mondo di Gianni Cosetti Cuoco di Carnia. E’ solo incrociando questi due testi che riusciamo a cogliere in tutta la sua originalità e forza dirompente l’approccio del grande maestro. Adottando tale chiave di lettura, il classico di Cosetti diventa così un Liber novus, un libro nuovo, una visione innovativa, che grazie ad un accostamento per certi versi azzardati, ci apre nuovi orizzonti anche sull’essenza dell’identità carnica e sulle nuove mode che oggigiorno spopolano a livello di programmi tipo Masterchef o El Gourmet. Ma vediamo la cosa partitamente, in modo più articolato.


Cosetti l’alchimista
La Bonfiglioli riprende una descrizione di Cosetti stilata da Piero Fortuna che qui cito per intero: “Mi piace immaginarlo (Cosetti) impegnato nel chiuso di un laboratorio da alchimista, trafficare in segreto con i suoi alambicchi e vasi nei quali sobbollono pozioni fumanti, per ricavare dalla natura grezza gusti delicati e sapori primordiali.” (p.203). Gianni Mura poi, nel ricordo riprodotto dalla Bonfiglioli a conclusione del libro, ogni volta che entrava nella cucina di Cosetti, usava dirgli: “Troppa Carnia al fuoco” (p.222).
Insomma Cosetti più volte, oltre a essere definito come un Orso, viene ritratto davanti al suo forno alchemico, l’athanor spolert (se lo è fatto costruire appositamente), ove traffica con mille pozioni, ricerca, sperimenta, distilla erbe ed essenze, innova o inventa piatti e poi mira a presentare ai suoi ospiti del Ristorante Roma la natura vera della sua Carnia, della sua Patria.
E’ un alchimista? No e si. La sua opera si presta difatti a due piani di lettura: il primo ovviamente lo colloca nello spirito del suo tempo e la Bonfiglioli non manca di farlo: qui c’è ben poco di alchemico, di sperimentale, di ricerca allo stato puro. Il Cosetti “Style” viene confrontato con i ricettari e le mode attuali della cucina destrutturata, molecolare, chimica, tecnologica, post- o neo nouvelle cuisine. Pertanto ritroviamo continui richiami in chiave anti nouvelle cuisine, a favore di un approccio più sul modello slowfood con tanto di richiamo al pensiero di Petrini che la Bonfiglioli conosce molto bene.
Su un secondo piano invece appare lo spirito del profondo. Qui appare addirittura Veronelli che lo descrive proprio come un alchimista viandante e sperimentatore alla ricerca della pietra filosofale. La seguente citazione dell’editore della famosa guida ai ristoranti italiani - che lo ammirava - è molto eloquente: “Gianni ha percorso strada via strada, sentiero per sentiero, pietra per pietra alla ricerca e alla raccolta prima…” (Cosetti, op. cit. p. 11). Ma cosa stava cercando Cosetti? Quale Grande Opera voleva compiere? In che modo si configura la sua personale ricerca della Pietra filosofale in Carnia?

Lo spirito del tempo
Lo spirito del tempo si riferisce a quegli elementi simbolici di una coscienza collettiva che definiscono al presente le forze e le visioni dominanti in una cultura di una determinata comunità. Cosetti ha sempre avuto un occhio di attenzione allo spirito del suo tempo. Aveva ben presente i grandi trend internazionali della “Haute” e della “Nouvelle cuisine” (NC): ne aveva bisogno proprio per definire se stesso nei confronti della comunità mondiale degli chefs, soprattutto francesi. Aprì la cucina carnica alla cucina mondiale proprio confrontandosi con loro.
Cosetti ha chiaramente preso posizione nei confronti di alcuni dogmi ufficiali della NC, andando su molti versanti controcorrente. La Bonfiglioli li mette in esergo ripetutamente. Ma ovviamente non su tutti. Anche perché la NC, oltre al decalogo definito da Milau e Gault, finì per incorporare al suo interno varie correnti, varie scuole, varie inclinazioni dei singoli maitres difficilmente accomunabili sotto un unico comune denominatore. Dalla fine degli anni sessanta all’inizio dei novanta, le correnti, le sfumature furono talmente numerose, che risulta oggi difficile considerarla come una filosofia culinaria compatta e unitaria, quanto piuttosto come una generica presa di distanza dalla vecchia “haute cuisine” francese. E basta. La Bonfiglioli calca molto il tasto della differenziazione cosettiana, dell’andare contro, anche se non è sempre così.
Si sa, è più facile definirsi differenziandosi che dando alla propria identità un contenuto unico, univoco, originale sin dall’inizio. Ed è quello che fece anche Cosetti. Cionondimeno non si può negare che lo stesso Cosetti abbia assorbito sin dall’inizio alcuni dei dogmi fondanti della N.C. come la valorizzazione della cucina regionale e l’esaltazione della creatività/fantasia. Senza la rivoluzione della NC non ci sarebbe mai stato il fenomeno Cosetti. Lo spirito del tempo, la sete di innovazione, l’amore per la creatività e la volontà di scoprire i piatti regionali fa parte anche dello spirito del tempo della NC. Uno spirito che già a partire dagli anni '80 cominciava a condannare la NC come troppo tecnologica, troppo fast, troppo dietetica, troppo irrispettosa delle tradizioni locali. Il testo della Bonfiglioli in questo senso è intriso di slowfoodismo, il che, da un lato, può di certo essere utile per definire Cosetti come un precursore di alcuni fenomeni oggi di moda (la filiera corta, le provenienze certificate, il presidio del prodotto autentico, la difesa del prodotto storico), ma, dall’altro, può anche piegare l’interpretazione del fenomeno Cosetti – secondo me - in una direzione non del tutto rispettosa del suo modo di vedere le cose. Ma di ciò si dirà più avanti.
Qui per ora intendo sottolineare che lo stesso Cosetti cavalca l’onda della critica, sia interna che esterna alla NC, che si alza in quegli anni. La sua bravura però, a mio avviso, fu quella di indirizzarsi negli anni della maturità in una ricerca che mirava finalmente a scoprire lo spirito del profondo della sua terra, della sua identità non solo culinaria, ma anche etnica, economica e sociale. Ed è qui che inizia il suo approccio innovativo eminentemente alchemico. Ci si allontana dai canoni della teoria culinaria e della scienza non solo positivista – tanto alla moda oggi con la cucina molecolare - per navigare nella sfera delle nostre conoscenze informali, delle nostre pratiche artigiane, dei nostri traumi personali e familiari, dei nostri esperimenti quotidiani coraggiosi e originali dove la ragione e la scienza non ci sono quasi di nessun aiuto. Entriamo in un’era prescientifica, dove domina il mito, il rituale, il simbolo, la passione che nutriamo per il nostro lavoro, la nostra famiglia, la comunità e la Terra. Ed è qui che l’approccio di Cosetti ha dato il meglio di sé.


Lo spirito del profondo
Lo spirito del profondo, nei termini della psicologia junghiana, si riferisce a quell’insieme di archetipi e forze simboliche che strutturano l’inconscio collettivo di una determinata comunità. Molti di questi elementi entrano a far parte della complessa strutturazione identitaria di un popolo e si sedimentano a fondo nelle coscienze individuali per diventare parte della nostra identità collettiva. Lo studioso che più di tutti si è occupato di questa realtà, rompendo con Freud, fu Carl Gustav Jung. Lo psicologo svizzero si accostò agli alchimisti proprio per impostare il suo metodo clinico-curativo in opposizione all’approccio freudiano. Orbene se guardiamo al mondo di Cosetti con l’occhio degli alchimisti, non possiamo che rimanere sorpresi di molte cose.
Vecchia e Nuova Cucina di Carnia di Cosetti non possiede in apparenza niente dei classici trattati dell’alchimia. Non ci troviamo di fronte a un linguaggio criptico, che mira ad occultare, nascondere, che allude a simbolismo arcaici. Penso, per esempio agli scritti di Flamel, Paracelso e Fulcanelli. Cosetti è molto lineare, razionale nel suo esporre i piatti: ragiona per tipologia di portata, distingue i singoli piatti per vallata di provenienza, indica chiaramente pesi e misure da usare, cronometra con precisioni i tempi di cottura: insomma non ci sono segreti da nascondere. Se si seguono le indicazioni dello chef, non si può sbagliare. Qui viene chiaramente indicato come trasformare i metalli vili (gli ingredienti selezionati) in oro (il piatto servito). Basta seguire la ricetta dettagliata, et voilà, il miracolo è fatto! Sembra ovvio, banale. La Bonfiglioli d’altronde lo ribadisce: “Gianni non ha mai tenuto solo per se i suoi segreti… anzi è andato persino tra i bambini della Scuola Materna … ad insegnare i trucchi" (p.203).
Eppure i misteri ci sono, eccome. In primo luogo l’intero ricettario propone i nomi dei piatti storici, quelli originali riscoperti da Cosetti in lingua carnica, non friulana, né tantomeno italiana. I piatti del Roma invece sono in italiano. Il dialetto in questo caso assume chiaramente un funzione divinatoria, di ritorno alla storia, di valorizzazione del passato, dell’anima e dell’inconscio collettivo. Le maiuscole iniziali dei nomi dei singoli piatti ricordano caratteri gotici. Evocano sacralità, misticismo. Altro accorgimento degno di nota riguarda l’inclusione tra una piatto e l’altro di proverbi, detti, racconti popolari, modi di dire, molti sono in dialetto ed evocano un mondo arcaico, lontano, criptico, a volte di difficile decifrazione.
La Bonfiglioli ci parla di un Cosetti etnografo, che invita i suoi clienti ad andare a visitare il museo delle arti popolari prima di sedersi al suo tavolo di modo da entrare nell’ambience carnica, di coglierne lo spirito, l’immaginario, la storia, la tradizione. La messa in scena cosettiana ricorda molto un viaggio nell’inconscio, un viaggio nel mito, nella storia. Le scenografie del Roma spesso erano scenografie da teatro dove il territorio poteva rappresentare se stesso attraverso simboli e miti. L’elemento visione - al di là del minimalismo quindi della NC – per Cosetti diventa una variabile chiave per avvicinare il commensale al suo piatto. Chi entra al Roma entra in Carnia. Cosetti in qualche modo, per dirla con la Bonfiglioli, si lancia sulle orme del padre : “si schiera nel segno della continuità con l’ambizioso sogno paterno basato sulla promozione dell’antica Carnia “isola” unica, antica e irrepetibile” (p.191). Bellissime, a fine volume, le foto dei vari menù stampati in diverse occasioni da Cosetti: il prodotto locale viene magnificato, entra in scena, coinvolge lo spettatore che si siede al tavolo. La magia verrà servita tra un po’. Preparatevi: Questo è il messaggio lanciato da Cosetti.

Lo spolert alchemico tra Proust e Ratatouille
Ma non facciamoci ingannare dalla messa in scena. L’obiettivo finale di Cosetti, del nostro chef, è quello di farci vivere un’emozione unica. Cosetti è sempre stato alla ricerca di questo, lui vuole emozionare, vuole stupire, vuole parlare alla nostra anima attraverso l’immaginario ma anche attraverso i nostri sensi.
Da qui capiamo meglio perché possiamo considerare Cosetti il vero Alchimista della Carnia: l’Arte alchemica come dimensione dell’immaginario ha offerto molti spunti per una migliore esplorazione della psiche umana. Cosetti quindi come cuoco-alchimista vuol farci fare un viaggio nella nostra anima, nella nostra identità, nel suo mondo fantastico: “il suo lavoro in altre parole può essere letto su più piani: secondo la variante “visione” che fa volare la fantasia; la variante “colore”che stabilisce l’umore; la variante “odore” che prepara le pupille gustative e la variante “sapore” che conferma il tutto in una sapiente fusione.” L’opera alchemica cosettiana, nella sua completezza si articola quindi così: quasi un processo di fusione nucleare, che ricorda la fusione dei metalli e degli alimenti nel forno alchemico. Il mestiere del cuoco quindi si presta a perfezione per la grande opera alchemica. Con un vantaggio in più rispetto a coloro che volevano produrre oro: Cosetti ci ha lasciato le sue ricette e i suoi piatti che possono essere gustati in diversi ristoranti del territorio. Questi piatti li costruisce assieme alle casalinghe delle varie vallate, a coloro che vanno per i monti a raccogliere di funghi, ai coltivatori di mais: Cosetti vive in stretto contatto con la gente e i produttori locali. Cosetti si muove sia livello di ricerca territoriale, che di ricerca spirituale.
Per Jung la grande Opera degli alchimisti, l’obiettivo della loro ricerca andava vista come una ricerca di esperienze psichiche tali da permettere all’operatore di ottenere la scoperta e la conquista della propria identità di essere umano inteso nella sua totalità. Ebbene qui sostengo che Cosetti come cuoco alchimista era alla ricerca archetipica della Grande Madre, al pari di un Proust con la Madeleine o del critico culinario in Ratatouille. Questa Grande Madre, per Cosetti, si chiama Carnia ed è essenzialmente collegabile a un archetipo materno. Niente di nuovo sotto il sole, la Bonfiglioli in qualche modo lo ha ben evidenziato: “Gianni si fa interprete di questo pensiero, ed è proprio in quest’ottica che esalta la frugalità e la sobrietà di quella cucina legata al ricordo, all’infanzia, alla madre" (p.190).
La sua ricerca pertanto vuole innovare nella tradizione, vuole rassicurare, dare senso con la riscoperta di un mondo autentico, vero, quello della sua infanzia in Carnia, accanto a sua madre, ai suoi familiari e ai suoi conterranei. Cosetti mira a ricreare la sua infanzia felice nel suo forno alchemico. Proprio per dimostrare il suo amore, la sua passione per la tradizione, la storia, la madre Terra, le sue origini, la sua Natura contro la scuola di Marchesi che difende a spada tratta i cibi surgelati, il micro-onde, il cuoco tecnologico che tra po’ userà il laser in cucina, decide di commissionare la costruzione di un nuovo spolert. “Fa così costruire un enorme “fornello” di dieci quintali di peso. Due metri e venti centimetri di lunghezza, che diventa l’anima del suo laboratorio artigianale di bontà dove cuoce solo su fuochi alimentati a legna con pentole di rame e ingredienti autoctoni”. Più alchimista di così si muore. Sembra di sentire Bacone nel suo Speculum Alchemiae del 1702 (p.615) quando scrive: “Se volete imitare la natura ci è necessario disporre di un forno fatto a somiglianza dei monti, non per grandezza, ma per la capacità di fornire un calore continuo, in modo che il fuoco collocato in esso, quando si alza, non trovi uscita e il calore riverberi il vaso, ben chiuso, contenente in esso la materia della Pietra”.
La Pietra filosofale di Cosetti si chiama Carnia. I metalli, gli ingredienti che usa per compiere la grande Opera sono tutti stati raccolti lungo un percorso di ricerca individuale. Per capire bene quindi Vecchia e Nuova cucina di Carnia è fondamentale leggersi la prima parte biografica del volume della Bonfiglioli dove possiamo ripercorrere per filo e per segno la vita e la carriera in famiglia del grande maestro. I due libri non possono essere divisi, visto che illustrano in modo complementare un unico percorso individuale originale.
Questa ricerca interiore, che configura una ricerca storica e personale dal sapore vagamente gnostico, è fondamentale proprio per cogliere il valore didattico ed educativo della testimonianza cosettiana, che con semplicità e sobrietà ha dato e sta dando ancora tantissimo al nostro territorio. Il libro della Bonfiglioli - che di formazione è storica - ci ha offerto pertanto la possibilità di compiere un viaggio inaspettato nel tempo sul pianeta di un grande maestro dell’Arte culinaria.

Daniel Spizzo

(gennaio 2014)

 

 

home.gif (2935 bytes)


Cjargne Online
1999-2005© - Associazione culturale Ciberterra - Responsabile Giorgio Plazzotta
I contenuti presenti in questo sito sono di proprietą degli autori - Tutti i diritti riservati - All rights reserved
Disclaimer