|
LA SOCIETA' ELETTRICA
|
|
Questo è il terzo libro che la SECAB, in occasione del Centenario, ha dato alle stampe a favore dei propri soci, dopo ALTA VALLE DEL BUT e FIAT LUX.
Questo pregevole volumetto, edito dalla universitaria FORUM di Udine e curato da Andrea Caffarelli, esperto conoscitore dell’archivio SECAB e autore peraltro di precedenti attinenti pubblicazioni, propone la cronistoria del breve e immediato periodo precedente la costituzione formale e legale della SECAB.
Questo periodo va dal 13 giugno 1903 (quando il consiglio comunale di Paluzza dà avvio ad uno studio di fattibilità per lo sfruttamento idraulico del Fontanone) al 25 giugno 1911 (data di fondazione ufficiale della SECAB).
E’ proprio questo lasso temporale che viene indagato dall’autore, sia attraverso il riscontro della precisa documentazione archivistica esistente sia (in mancanza di questa) attraverso deduzioni e impressioni personali.
Il racconto inizia citando i due storici più antichi della Carnia: Fabio Quintiliano Ermacora (che scrisse la sua “De antiquitatibus Carneae” in latino) e Niccolò Grassi (che nel ‘700, rifacendosi ampiamente a F.Q. Ermacora, scrisse in italiano le “Notizie storiche della provincia della Carnia”).
La storia della nascita della SECAB, descritta in questo lavoro, appare fin da subito complessa e irta di ostacoli e difficoltà:
- mentre nell’Alto But si tenta di dare corpo a questa “luminosa” idea, vivacemente propugnata da siôr Toni (Antonio Barbacetto di Rivo), si fa avanti l’ing. Osvaldo Mazzolini, già titolare di una centrale idroelettrica privata ad Arta, il quale chiede al comune di Paluzza l’autorizzazione ad attraversarne il territorio con le proprie linee elettriche.
- sentita la nuova, si crea ansia e agitazione tra i fautori della costituenda società elettrica per cui si accelerano i tempi della discussione per giungere allo scopo…
- una volta sistemata la “faccenda Mazzolini”, occorre però stabilire quale forma legale dare alla società elettrica: anonima o cooperativa? Ciascuna infatti ha degli aspetti positivi e negativi in sé…
- Toni Barbaceit si muove e smuove un comitato incerto e diviso, “volendo impedire che risorse locali vengano sfruttate con finalità speculative da soggetti esterni”…
La storia si fa intricata e vivace, con prese di posizione e colpi di scena, situazioni paradossali, ripicche e “vendette”, e merita assolutamente che sia il lettore a gustarla pagina per pagina, perché davvero non solo induce alla riflessione su varie importanti questioni ancora oggi attualissime ma consente di individuare delle personalità di assoluta rilevanza sociale che già allora coltivavano progetti ambiziosi e lungimiranti…
Il racconto della parte più propriamente tecnica si svolge poi nei seguenti tre capitoli:
“L’impianto stabile” (problematiche nuove circa la scelta dell’impianto; ricerca affannosa dei tecnici idonei; contatti con la AEG tedesca; lo “strano e imbarazzante” incontro con Mazzolini presso l’ing. Cudugnello; l’acquisto di dinamo e turbina; le estenuanti procedure burocratiche; l’altalenante comportamento del Cudugnello; i ritardi nella consegna dei lavori; i presunti difetti di fabbricazione della turbina e finalmente il tanto agognato avvio…);
“La rete distributiva” (la ricerca dei clienti; la strenua lotta con la concorrenza; l’illuminazone pubblica; le spinose questioni con i proprietari dei fondi attraversati dalle linee elettriche; le varipinte lettere di protesta; il prezzario diversificato; la competizione con Mazzolini sui prezzi; gli allacciamenti; i sorprendenti orari di erogazione della corrente elettrica…);
“Il difficile avvio” (il difficilissmo reperimento dei capitali; la diffusa sfiducia della gente nella società; la difficoltà ad ottenere prestiti bancari o comunali; rischi incertezze e tensioni di ogni genere; il reinvestimento degli utili; la sottoscrizione di nuove quote; i significativi prestiti di 5 privati; la determinante crescita del numero delle utenze; l’aspra diatriba tra i due borghi di Cercivento; la formazione tecnica degli operai e la loro qualificazione; le diverse aree funzionali della società; il segretario, il macchinista e i guardafili…).
Il libro si conclude presentando un’appendice documentaria dove sono riprodotti i testi dei principali documenti storici e dei regolamenti custoditi in archivio.
Il libro è altresì corredato da un DVD nel quale è riprodotta la breve ma intensa pièce teatrale (andata in scena al cinema-teatro Daniel di Paluzza nel pomeriggio del 25.6.11) che racconta per immagini vive e realistiche proprio la storia contenuta in questo volume. Si tratta di una gustosa sceneggiatura (di A. Mistichelli e F. Cioli) vivacizzata e intepretata dagli abilissimi e convincenti attori dell’Accademia Sperimentale dello Spettacolo della Carnia, con musiche di E. Martin e M. Bianchi. Uno spettacolo che ha riscosso appalusi sinceri e convinti non solo per la bravura degli interpreti ma anche per la originale sceneggiatura, la suadente e flautata voce cantante, la singolare aderenza dei testi alla documentazione storica.
Considerazioni a margine
- L’anticlericalismo di Antonio Barbacetto. E’ stato sottolineato verbalmente nella prolusione celebrativa dal presidente Cortolezzis (25.6.11), così come anche traspare dal testo di questo volume. E’ utile ricordare però che la singolare personalità del Barbacetto, laico e socialista, può essere compiutamente compresa solo aggiungendo circostanze e fatti tratti dal proprio vissuto privato. In questa direzione possono risultare utili alcune informazioni sconosciute alla maggior parte dei lettori, come il suo acconsentire il battesimo, nel 1928, dei figli Gustavo e Lea, e nel 1929 del terzo figlio Fabio; e infine, nel 1931, l’avere accettato che anche il suo matrimonio fosse "sanato" dall'Ordinario diocesano. Tutti elementi questi che palesano una certa qual apprezzabile "evoluzione religiosa" nel Barbacetto che non può trasparire da una, seppure attenta e puntigliosa, lettura in chiave socio-economica del personaggio. Per quanto riguarda l’aspetto più propriamente politico, mi impegno, da dilettante qual sono, fin da oggi (24.7.2011) a compiere delle ricerche in tal senso, per dare una completa fisionomia a questo singolare personaggio del primo Novecento carnico, perché sono profondamente convinto della ragionevolezza del detto aristotelico "amicus Plato, sed magis amica Veritas: Platone mi è amico, ma più amica mi è la verità" (*addendum)
- Le altre cooperative in Paluzza. E’ interessante anche ricordare che la realtà cooperativistica di Paluzza ai tempi della narrazione (primi Novecento) non fu di sola matrice laico-socialista, quasi che questo peculiare aspetto socio-economico fosse stato allora esclusiva prerogativa della sola sinistra ed in particolare dei socialisti. Vale la pena di sottolineare che il quadro cooperativistico della Paluzza del tempo comprendeva, oltre alla SECAB, non solo il panificio cooperativo Alto But, sorto nel 1907 - anch’esso di derivazione socialista (pag. 13) e di cui Barbacetto fu pirotecnico patrocinatore e presidente - ma anche altre realtà, questa volta di derivazione cattolica (e alle quali nella pièce teatrale viene dato un ruolo quasi macchiettistico), tutte sorte nel medesimo periodo: la Cassa Rurale del Carmine (1906) e la Cooperativa di San Giuseppe (1909), e aventi uno scopo solidaristico verso i più bisognosi (Giancarlo Martina in "Pan e gaban" ed. CjargneCulture, 1996). Una realtà dunque da non disattendere in una ricostruzione storica del cooperativismo locale.
- La classe popolare. A pag. 35 del volume si legge: “…Vi aderiscono persone di ogni ceto e qualifica professionale, rispecchiando da subito il carattere interclassista della SECAB e l’apertura, senza preclusioni, a tutte le forze sociali, secondo un atteggiamento tipico del socialismo cooperativo carnico, che si contraddistingue per un riformismo alieno dai massimalismi ideologici, orientato a farsi portatore dei complessivi interessi delle classi popolari”. Ora volendo scorrere, sempre a pag. 35, l’elenco dei 31 soci sottoscrittori dell’atto costitutivo, emerge quanto segue: possidenti (7), agenti privati (5), commercianti (3), maestri elementari (2), muratori (3), capi-muratore (4), meccanici (1), falegnami (2), macellai (1), geometri (1), fornai (2), boscaioli (1). Volendo ora considerare appartenenti alla “classe popolare” i boscaioli, i fornai e i muratori, si evince che costoro sono rappresentati solo da 6 persone: il 20% (se si aggiungono i capi muratori, si arriva a 10). Tutti gli altri appartengono al capitalismo (12) ed alla piccola borghesia locale (10). Non a caso i consiglieri della società venivano spregiativamente chiamati “i signori della luce” da coloro, i meno abbienti, che si ritenevano danneggiati per qualsiasi motivo dalla nascente SECAB (pag. 52). Questo dunque è il quadro reale della situazione del socialismo carnico di 100 anni fa.
- Don Giacomo Cappellari. La figura di questo sacerdote (totalmente assente nel vivace ed applaudito spettacolo teatrale) nella presente pubblicazione compare inizialmente in qualità di comprimario. Si apprende infatti che questo prete fa parte del primo comitato del 2 aprile 1911 risultando terzo eletto per consensi (pag. 17), assume un ruolo importante nell’espletamento, assieme al Barbacetto, delle pratiche per la formale costituzione della società (pag. 18). Il 7 giugno 1911 don Cappellari presiede addirittura il comitato esecutivo che discute le dimissioni di Barbacetto (pag. 27). Nella assemblea dell’ 11 giugno 1911, in cui si deve decidere la forma della società elettrica (anonima o cooperativa), si nota l’assenza di don Capellari (pag. 29). Nella lettera di memoria fatta verbalizzare da Nascimbeni nel medesimo giorno, si viene all’improvviso a sapere che don Cappellari è stato “estromesso” (pag. 33). Nonostante ciò, nell’ultima riunione del Comitato del 22 giugno, si apprende che don Cappellari, pur non facendo dunque egli più parte del comitato stesso, figura ancora erroneamente (?!) nell’elenco dei componenti (pag. 33), mentre nell’avviso di convocazione della prima assemblea generale della SECAB, appare sempre ed ancora il suo nome tra quelli del Comitato (pag. 79). Nella stessa prima assemblea del 25 giugno 1911, che vede nascere formalmente la SECAB, sono assenti inspiegabilmente (?!) sia don Giacomo Capellari che addirittura Pietro Del Bon, sindaco di Paluzza (pag.35), anche se successivamente aderiranno entrambi alla SECAB come soci ordinari. Don Giacomo Cappellari non è un prete qualsiasi ma una forte personalità dal poliedrico ingegno scientifico: ha profonde nozioni di ingegneria civile e di architettura, conosce perfettamente il disegno tecnico e i calcoli, sa abilmente destreggiarsi tra progetti e schizzi: eseguirà addirittura il progetto neo-gotico (tuttora conservato presso l’archivio parrocchiale) per l’ erigendo nuovo duomo di S. Maria di Paluzza (che poi verrà bocciato dalla Soprintendenza di Venezia esclusivamente per motivi estetico-architettonici; per questo motivo don Giacomo, amareggiato, abbandonerà poi Paluzza nel 1914, solo 5 anni dopo il suo arrivo). Ora se ad un certo punto viene inspiegabilmente “estromesso” dal Comitato SECAB un personaggio di questo calibro, che inizialmente collabora attivamente con il Barbacetto e figura tra le personalità paluzzane di spicco (a pagina 26 addirittura si afferma testualmente come l’azione dell’anticlericale Barbacetto “parrebbe ispirata al pensiero sociale cattolico di Giuseppe Toniolo…” lasciando quasi intendere che dietro a siôr Toni si muovesse con impalpabile efficacia il brillante ingegno di don Giacomo Cappellari), occorre capirne le cause, ricercarne i nascosti motivi, scandagliare altri archivi alla ricerca di palusibili ipotesi. Ci si augura che, in futuro, anche la figura di questo grande sacerdote e il suo ruolo nelle vicende della Paluzza dei primi Novecento possano diventare materia di indagine storica ricevendo la giusta considerazione.
Come ultima notazione personale, espressa da un socio SECAB, mi piace pensare alla “mia” società come formata da una platea amplissima di persone, appartenenti ai più disparati ceti sociali, a tutti i livelli culturali e a tutte le opzioni (e fazioni) politiche. Così come lo sono e lo sono stati, nel corso di questi lunghi 100 anni, i numerosi presidenti e direttori che, con fatica e meritato successo, si sono succeduti alla sua spesso complessa e travagliata guida.
(*) addendum - Settembre 2011
Riguardo alla figura di Antonio Barbacetto, in queste ultimi tempi ho potuto verificare quanto segue:
NOTE BIOGRAFICHE
Antonio Barbacetto fu Osvaldo che, con un certo vezzo si firmava "di Prun", apparteneva ad una facoltosa famiglia di Rivo di Paluzza, originaria di Zovello di Ravascletto dove era proprietaria di diverse malghe; da lì si trasferì a Rivo nel 1700. In questa frazione i Barbacetto costruirono la loro signorile dimora. Esiste anche la spiegazione del titolo nobiliare: il 4 novembre 1633 l'imperatore Ferdinando II fregiò di tale titolo don Nicolò de Barbazeto e suo fratello Pietro che si erano recati nell'Arciducato d'Austria per combattere con le parole e con i fatti l'eresia protestante. Nel 1808 risulta essere Cancelliere del Magazzino presso la Dogana di Trieste un certo Johann Barbazeto von Brunn. Il vocabolo "von" ha un'accezione nobiliare in tedesco. Brunn era la trascrizione della città boema di Brno che oggi in tedesco si scrive Brünn.
Antonio Barbacetto era amico di Vittorio Cella, primo direttore e attivo propulsore della Cooperativa Carnica (di ispirazione socialista) ed in stretti rapporti con l'avv. Riccardo Spinotti, direttore della Cooperativa Carnica di Credito di Tolmezzo (pure di ispirazione socialista) di cui il Barbacetto nel 1906 fu eletto sindaco supplente; presso questa banca il neo costituito Panificio Cooperativo Alto But (fondato praticamente dallo stesso Barbacetto) aprì un c/c nel 1908. Antonio Barbacetto "era nei pieni poteri della ditta F.lli Brunetti" che operava nei trasporti, nel commercio all'ingrosso di vino ed era proprietaria di una segheria a vapore e di un caseificio...
(notizie desunte da "Il pancooperativo dell'Alto But" di Giancarlo Martina in "Pan e gaban", Coordinamento Circoli Culturali Carnia, 1996: pag. 121 e segg.)
VERSANTE RELIGIOSO
Un significativo fatto viene riportato nel Registro dei Morti della Parrocchia di Paluzza, dove si legge: "Heu tempora mala! Die 9 decembris 1909, primo casu in coemeterio de Rivo in campis, Antonius Barbacetto propriis manibus terrae tradidit corpusculum proprii naturalis filii 2 annor. cui nomen Ferrer, non baptismate regenerati: Fides et gratia Christi misereatur nostri et loquatur bona vitae eternae". Era infatti successo che nel 1909 ad Antonio Barbacetto era morto il figlioletto Ferrer nato nel 1907 e che, non battezzato, era stato sepolto dal Barbacetto stesso con le sue proprie mani nel cimitero di Rivo il 9 dello stesso mese, il che aveva suscitato un discreto scandalo nella piccola comunità (Heu mala tempora). Si può solo immaginare il grandissimo dolore e lo strazio di questo padre e la sua ragionevole umanissima e forse violenta reazione nei confronti di un Dio che permettava una simile tragedia e nei confronti della religione che, ai suoi occhi, ne impersonava la onnipotente sacralità!
Proprio quello che, 40 anni prima, provò Giosuè Carducci (autore tra l'altro dell'"Inno a Satana"), in occasione della repentina scomparsa del figlioletto Dante (morto a soli 3 anni, il 9 novembre 1870), per il quale il padre-poeta scrisse poi due intensissime e amare poesie: "Pianto antico" e "Funere mersit acerbo (atra dies)".
Antonio Barbacetto nobile di Prun, morì poi di paralisi cerebrale e in stato di coma all'ospedale di Tolmezzo il 30 gennaio 1950, dopo aver ricevuto l'estrema unzione, seppur "sotto condizione". "Repentino morbo correptus Tulmetii, sensibus destitutus; in Tulmetii nosocomio S. Olei unctione roboratus est sub conditione" e poi fu sepolto con funerale religioso il 1° febbraio a Rivo "eiusque corpus die prima Februarii sepultum est in Coemeterio Rivi" il tutto scrupolosamente annotato dal sacerdote "Vitus Aloysius Licari, Capp. Curatus" come si legge ancora nel Registro dei Morti.
VERSANTE POLITICO
Quando sulla scena politica italiana, subito dopo la devastante I^ guerra mondiale, si affacciò il fascismo con tutto il suo corredo di suggestionante retorica nazionalista e di consistenti elementi di socialismo (il socialista Mussolini fu anche direttore dell'"Avanti"), la stragrande maggioranza della borghesia italiana vi aderì convintamente e amplissimi strati del mondo della cultura vi trovarono naturale sbocco per le proprie aspirazioni o ambizioni letterarie o accademiche.
Analogamente a quanto succedeva in Italia, anche in Friuli ed in Carnia si realizzava il medesimo percorso politico nelle varie comunità locali, favorito da una singolare temperie ambientale politica e sociale, di cui tuttavia non esiste purtroppo ancora letteratura specifica in loco.
Pochissimi furono quelli che non aderirono al fascismo (ho notizia soltanto del grande geologo friulano Egidio Feruglio che emigrò forzatamente in Argentina); perfino Michele Gortani vi aderì.
La quasi totalità della società aderì dunque naturaliter al fascismo e non si sottrasse a questa regola neppure Paluzza ovviamente, dove le personalità più influenti del paese aderirono al regime in maniera convinta e partecipata, spesso percorrendo anche il cursus honorum fascista locale.
A tal proposito, presso l'Archivio di Stato di Udine (ASU) e presso l'Archivio Storico della Resistenza di Udine (ASR) dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (ANPI), ho potuto riscontrare documentalmente che anche il fondatore della SECAB aderì convintamente al fascismo.
La storia, come indagine razionalmente e sistematicamente condotta su fatti, istituzioni e strutture del passato, non può essere altro che (ri)lettura, (re)interpretazione e quindi revisione continua di giudizi e di interpretazioni precedenti, illuminate dai nuovi documenti e riscontri che emergono continuamente nel corso degli anni.