DIARIO
di Giacomo Bellina

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Più che di un Diario (come ha voluto intitolare l'autore stesso il suo lungo scritto redatto su un quaderno) si tratta di una ricostruzione storica (probabilmente attraverso precedenti personali appunti e altre successive letture) effettuata da Giacomo Bellina a partire dal 1965, a distanza dunque di oltre 23 anni dai fatti narrati e personalmente vissuti.
Si tratta di un lasso di tempo abbastanza lungo per poter affermare che la memoria di allora integrata da successivi riscontri possa avere poi realizzato una narrazione non sempre aderente alla storicità dei fatti, sia per le discordanze di data riscontrate sia per la sovrabbondante ricchezza di particolari (specie nei dialoghi) che paiono proprio frutto di successiva personale elaborazione.
La stessa curatrice (Danielle Maion) avverte di avere trascritto il testo nel 2019 "cercando di conservare lo stile ed il pensiero più autentico dell'autore". Occorre aggiungere invero che una prima lettura e trascrizione di questo "Diario" fu eseguita da Nazario Screm nel 2012 a beneficio della sola famiglia di Giacomo Bellina, ma non fu pubblicata.

Come si può facilmente prospettare dunque, si tratta di un lungo racconto autobiografico che si svolge sul filo della memoria e che narra la personale vicenda di un alpino di Paularo (di professione pittore-decoratore, sposato, con una figlia piccola) che viene improvvisamente inghiottito dalle fauci della guerra che lo sbatte dapprima sul fronte Greco-Albanese e successivamente, dopo una breve convalescenza in Italia, lo spedisce sul fronte Russo.
Due guerre vissute dal di dentro come protagonista, due guerre perse, due periodi che hanno segnato in profondità e per sempre l'esistenza di Giacomo Bellina che tornerà in Italia non solo menomato fisicamente (a causa del congelamento di un piede) ma soprattutto provato mentalmente e moralmente, dovendo ancora sopportare l'occupazione cosacco-caucasica prima della fine della guerra.
Molti sono i fatti grandi e i piccoli episodi raccontati, spesso venati da profonda amarezza e sdegno; descrizioni di crudo verismo si alternano a considerazioni umane di inattesa profondità; non vi è alcun tratto retorico nè di elucubrazione filosofica.
I civili russi (donne bambini e vecchi) che incontrano nelle isbe si dimostrano sempre buoni e accoglienti con gli italiani in ritirata... i tedeschi sono sempre gli stessi... gli ufficiali si interessano della truppa... la campagna di Grecia-Albania appare qui ugualmente tragica di quella russa, e per certi aspetti anche di più...
Si può ben dire che queste pagine dense e incalzanti, che non ti danno tregua, aiutano a capire meglio ancora il sacrilegio di una guerra, di tutte le guerre, laide apportatrici solo di lutti, distruzioni e morte.

L'autore adopera un genere letterario quasi da cronaca giornalistica con frasi corte e nervose, con precisi riferimenti ai tantissimi altri protagonisti, che in queste pagine pare evocare con insistente forza quasi a volerli fare ri-compartecipare a questa incredibile narrazione che racconta una saga tragica e forse oggi già quasi dimenticata. Li rivuole tutti in queste pagine, li enumera uno per uno, li richiama in vita e dà loro uno stigma di imperitura memoria, tanto lunga almeno quanto dureranno le pagine di questo libro.

Molto interessante la iconografia in b/n che presenta i volti di moltissimi protagonisti qui citati.

Vi sono altri lavori di questo genere letterario anche in questa biblioteca di Carnia:

E partiremo ancor... Nos patriæ...Dalla Carnia al fronte russo... Il fronte russo... Gavette e ricordi... Dalla Carnia al Don e altri ancora...



 


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