Dalla Carnia al Don
diario di guerra 1941-43

L'amico Stelio Dorissa ha voluto omaggiare la nostra biblioteca con questo "libretto" di recente ristampa (precedente edizione 1983) distribuito da Morphema di Terni. Si tratta più che altro di un "racconto" di 59 paginette (più 7 di presentazione dei due curatori) che visivamente e fisicamente potrebbe apparire inizialmente una lavoro gracile e di basso peso specifico.
Ma questo giudizio (o meglio pregiudizio) si sgretola ed evapora mano a mano che ci si addentra nel racconto, per i motivi che andrò a elencare:

1. l'autore, Quaglia Savino di Sutrio, lo scrisse a distanza di molti anni dagli avvenimenti vissuti, sulla scorta di appunti e di note redatte però a ridosso dei fatti narrati e a lungo conservate in una scatola fino a che, andato in pensione, non si decise a metterli in pagina, certamente con l'aiuto di persone che curarono la grammatica e la sintassi fino a produrre un lavoro letterariamente moderno ed accettabile, seppure punteggiato da valutazioni personali che all'epoca dei fatti erano certamente improbabili. Quindi abbiamo in mano una narrazione di ottima fattura, anche se a volte il ricordo trascritto in pagina si arricchisce fisiologicamente di particolari amplificati o distorti. Ma questo non mi pare un limite assoluto, semmai una lievissima concessione letteraria...

2. Ciò che si legge in queste linde paginette, sembra inizialmente la solita epopea della ritirata di Russia del 1942-43 su cui fu scritto tantissimo. Ma dopo le prime pagine ci si imbatte in qualcosa (per me) di diverso perchè l'autore, ad esempio, cita i nomi dei compagni morti, li ricorda, li rievoca nella memoria e ci restituisce avvenimenti quasi in presa diretta per cui potremmo azzardare che si abbia tra le mani una cronaca di guerra, redatta da un inviato al fronte e trasmessa in tempo reale.

3. Per la prima volta sono riuscito a comprendere la reale situazione della tragica ritirata: italiani e russi e tedeschi si trovavano spesso "mescolati e interconnessi" nei villaggi, tra le isbe, lungo le piste innevate, per cui tra loro potevano avvenire improvvise lotte corpo a corpo o anche impensabili "cortesie" costituite perlopiù da atti di non belligeranza e di non resistenza da parte dei sovietici quando non addirittura di inattesi lasciapassare per gli italiani...

4. Non avevo mai letto delle centinaia di alpini morti assiderati a seguito di improvvide e esagerate bevute di alcolici ("... in un piccolo kolkos ci sono diverse botti di cognac e tutti all'assalto... due fori il liquido zampilla come una fontana... i più ingordi riempiono gavette e lo bevono come fosse latte... poche centinaia di metri e poi storditi cadono sulla neve... il terreno è purtroppo pieno di corpi inerti... ormai induriti... tutta gente della Julia... sperava nelle forza del liquore bevuto ed è stata invece l'ultima fatale bevuta. pag. 40-41).

5. Le descrizioni spesso hanno un che di crudo verismo che lascia davvero senza fiato e che non tralascia neppure gli aspetti più deteriori di quella catastrofica ritirata (... arti senza tronco, teste senza collo... non si può visitare i caduti, questo è l'ordine. In precedenza vi sono stati dei casi di sciacallaggio... pag 45. ... i feriti non si possono muovere e vengono schiacciati dagli orribili bestioni [carri armati sovietici]... qualcuno invoca aiuto perchè il bestione gli ha maciullato gli arti. Nei pochi minuti che possono vivere ancora, gridano il proprio nome e reparto... pag 51. ... ci accorgiamo che i crauti trovati sono pieni di vermi, ma abbiamo fame...pag. 59. ... qua e la tra le isbe si combatte...sull'albero del cortile penzolano alcuni impiccati dai tedeschi; più in là una casa brucia, è piena di gente che tenta di fuggire dalle finestre. I tedeschi li falciano con i mitra... pag.63);

6. Non mancano inattese sorprese relative ad esempio ai comunisti italiani rifugiatisi precedentemente in URSS (... un soldato russo esce dalla torretta del carro e parla in italiano: Datevi prigionieri - grida- se volete salva la vita!. Deve essere proprio un italiano, lo si riconosce dall'accento settentrionale... pag 51)

Volendo concludere queste brevissime note ad un brevissimo reportage della memoria, mi sentirei di affermare che questo "libretto" rappresenta davvero qualcosa di sorprendente e di inusuale. Un piccolo prezioso gioiello memorialistico di quella dannata avventura che fu la Russia per gli alpini nel 1942-43.

Altri lavori cui il presente libro si riallaccia:
"Dalla Carnia al fronte russo", "Il fronte russo nelle lettere di un alpino"; "Nos patriæ fines..." ; "E partiremo ancor..."

 

Tre limiti:

1. diversi refusi tipografici disturbano il lettore e lasciano trapelare poca cura nel lavoro di digitalizzazione del testo. Anche la data del "diario" appare fuorviante: avrebbe dovuto essere 1942-43 e non, come stampato in copertina, 1941-45.

2. qualche fotografia dell'autore avrebbe certamente ravvivato il lungo racconto e avrebbe restituito a Savino il giusto postumo riconoscimento.

3. la erronea notizia dei due curatori riguardante il caso dei 4 alpini fucilati a Cercivento nella Prima Guerra Mondiale (che proprio non aveva alcuna attinenza col tema di questo libro) pubblicata a pagina 11 dove si scrive che "... otterranno una sorta di risarcimento morale cinquant'anni dopo quando il presidente Oscar Luigi Scalfaro concederà loro la riabilitazione postuma". Cosa assolutamente mai avvenuta e assolutamente non vera!
A tal proposito il nipote Federico Quaglia si è impegnato a rettificare questa notizia mediante un "Errata/Corrige" inserito nelle copie del libro.

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