CRONACHE SULLA CARNIA,
L'ITALIA, IL MONDO
1420-1870

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Con quest’ultimo grande lavoro (ottobre 2012), Bianca Agarinis Magrini ha riesumato, setacciato, mendato e riproposto al grande pubblico la “Storia della Carnia in continuazione a quella di Fabio Quintiliano Ermacora, cittadino di Tolmezzo, cioè dall’anno 1420 sino a' nostri giorni”: così l’aveva infatti intitolata e scritta il medico carnico Gio Batta Lupieri.
Quest'opera merita assolutamente alcune precise considerazioni che si ricollegano a quanto già scritto in occasione dei precedenti suoi numerosi lavori di recupero archivistico.
Innanzitutto vanno evidenziate la pazienza, la curiosità, la costanza, che la curatrice ha posto nella realizzazione di questo ampio lavoro che l’ha impegnata per anni dapprima sul fronte della lettura del testo, poi della trascrizione, infine della ricerca e delle annotazioni.
Un lavoro che avrebbe impaurito chiunque per la mole cartacea da maneggiare, per il tempo richiesto nella analisi delle parole, per la assoluta e totale dedizione e consacrazione (diurna e notturna) a tale impresa, con il benevolo e collaborativo assenso del marito Giulio.
Ora che il lavoro è terminato e l’opera del Lupieri ha visto per la prima volta la luce a 142 anni esatti dal termine della stesura avvenuta nel 1870, non si può che gioire davanti a questo parto difficile e laborioso avvenuto a distanza di quasi un secolo e mezzo dal concepimento: un lasso di tempo non lunghissimo ma importantissimo e decisivo per tutti i mutamenti epocali socio-culturali e politici succedutisi in questi 15 decenni, non solo in Italia ed in Carnia in particolare, ma nel mondo intero.
Tanti pensieri e tante riflessioni perciò si rincorrono dopo aver girato l’ultima pagina di questo ponderoso e non sempre facile libro di pagine 366, che contiene molti pregi ed anche alcuni limiti come è naturale che avvenga per il lavoro storico-cronachistico di un medico che storico non è ma che si è limitato a trascrivere i fatti salienti che accadevano intorno a lui, sempre conditi con le proprie personalissime considerazioni: resta però un documento eccezionale e come tale va interpretato.
Per i primi secoli del suo “racconto” Lupieri utilizza a piene mani il materiale già disponibile presso altri precedenti autori come Fabio Quintiliano Ermacora (“De antiquitatibus Carneae libri quatuor”-1580), Agostino Spinotti (“Gl’antichi e recenti privilegi della Cargna”-1740) e Niccolò Grassi (“Notizie storiche della Carnia”-1782), i quali già avevano abbozzato una loro storia della Carnia, che fu poi la base per altri autori posteriori.
Anche Lupieri dunque si avvale di queste opere precedenti, anzi in occasione delle nozze Marcolini/Micoli-Toscano di Mione (1863), il medico di Luint pubblica la traduzione in italiano proprio dell’opera latina di F.Q. Ermacora, e questa è proprio la versione che oggi possiamo ancora leggere, essendo peraltro quella latina di difficilissima reperibilità.

E’ quindi verosimile che a seguito di questa traduzione (iniziata certamente alcuni anni prima), Lupieri avesse trovato gli stimoli adeguati per completare l’opera di questo autore tolmezzino cinquecentesco (che si era fermato con la sua narrazione al 1420 - caduta del Patriarcato di Aquileja), per portare il “filo del racconto storico” fino al 1870 (Lupieri morirà poi nel 1873).
La prima parte del libro dunque rispecchia e ripropone ampi stralci storici già conosciuti presso altri autori, tuttavia Lupieri non fa a meno di inserire notazioni e riflessioni personali la più interessante delle quali a me è parsa quella relativa al forte senso di autonomia della Carnia che continuamente richiede l’indipendenza dal Friuli (durante il Dominio Veneto) e la cui “metropoli, Udine, è per la Carnia piuttosto tiranna che madre” Altre considerazioni emergono passim ed appaiono sempre improntate a questa tematica, che probabilmente stava molto a cuore a Lupieri.
Traspare sempre una certa esagerata venerazione per il Dominio Veneto della Serenissima, di cui Lupieri esalta continuamente la benevolenza nei confronti della Carnia, ancora beneficiaria degli antichi privilegi patriarchini, ma sottacendo quasi la pesantissima tassazione (4500 ducati annui sui commerci e la fluitazione del legname) e la costante rapina boschiva perpetuata per secoli a favore dell’Arsenale (ben 47 boschi “banditi” cioè sottratti al popolo). Nel racconto di questi secoli la Carnia appare sempre sullo sfondo, quasi marginale, non essendo mai assurta a protagonista della storia, per cui Lupieri si dilunga su fatti ed accadimenti generali che interessano maggiormente Venezia, il Friuli, l’Europa. Tanto è vero che i secoli XV,  XVI, XVII e XVIII occupano poche pagine rispetto al racconto di fine XVIII e di tutto il XIX secolo, quando Lupieri vive in prima persona gli avvenimenti e li annota in tempo reale, come una cronistoria.

Praticamente tutto il secolo XIX viene presentato e descritto anno per anno, con un racconto sempre più analitico e personalizzato, dove traspaiono chiarissimi gli orientamenti politici di Lupieri, i suoi sogni, le sue utopie, nelle varie epoche da lui stesso attraversate...
Tra questi, è rimarchevole segnalare la forte infatuazione per l’imperatore dei francesi, Napoleone Bonaparte, portatore in Italia ed Europa (sulla punta delle baionette) dei lumi della rivoluzione e perciò descritto con altissimi toni agiografici (“novello messia civile… genio immortale…”) che tradiscono la forte esaltazione del momento senza alcuna esitazione circa il reale impatto violento dell’invasione francese sul popolo italiano e carnico in particolare, che in queste pagine purtroppo non si percepisce.
Dopo la delusione napoleonica, gli anni ’40 del XIX secolo vedono Lupieri fortemente attratto e suggestionato dal risorgimento italiano in funzione antiaustrica: appoggia apertis verbis il Piemonte di cui esalta ogni fatto d’arme, ogni mossa politica, ogni legge…
Sull’Austria palesa sempre forte avversione, concedendo ben poco al risaputo efficiente regime austro-ungarico, che viene sempre descritto come barbaro ed oppressore; se ne avvedrà più tardi quando, ormai prossimo alla morte, sarà costretto a comparare la farragionosa e deludentissima burocrazia italiana con quella precedente austriaca, sobria ed efficiente…
Sul papa Pio IX (Mastai-Ferretti) nutre sempre sentimenti avversi a causa del potere temporale della Chiesa, individuato da Lupieri come il maggiore ostacolo all’unità politica dell’Italia; ogni azione del papa viene così fortemente criticata in funzione politica ed anche il Concilio Vaticano I viene interpretato prettamente sotto questa angolazione; il dogma dell’infallibilità pontificia (attribuibile al papa solamente quando parla ex cathedra su argomenti di fede) viene da Lupieri considerato quasi come una bestemmia nè egli si sforza di separare l’azione politica da quella eminentemente religiosa. Un’avversione viscerale quindi contro l’istituzione temporale della Chiesa, anche se nella quotidianità Lupieri frequenta la chiesa ed il genero dr. Antonio Magrini è un cattolico impegnato oltre che un abile musicista d’organo conosciuto nelle chiese di tutta la Carnia.
Su Giuseppe Garibaldi, redivivo Napoleone, Lupieri mostra nuovamente forte esaltazione, ritenendolo condottiero imbattibile e profondamente motivato, in grado di risolvere tutti i problemi; ne segue meticolosamente tutte le vicende, liete e tristi, attraverso la stampa che giunge a Luint...
Vi è infatti da dire che al tempo, non esistendo né radio né televisione, le notizie venivano diffuse e propalate dai viaggiatori (che spesso le distorcevano e non poco) e dai pochi giornali in circolazione (gazzette), avidamente letti e citati da Lupieri nel suo “diario”; ed i giornali, allora come ora, rispecchiavano fedelmente l’indirizzo politico dell’editore, essendo inoltre fortemente sottoposti a censura sia nel regno piemontese sia sotto i Francesi sia nell’impero asburgico. Orbene Lupieri accettava volentieri le notizie e i commenti di queste gazzette, ritenendole sempre degne di fede…

Nella cronaca spicciola di Carnia si rinvengono moltissime ed interessanti notizie perché di ogni anno sono scrupolosamente annotati gli eventi meteorologici (i terremoti, le alluvioni, gli incendi, le siccità…), gli avvenimenti socio-sanitari (pestilenze, moria di animali, malattie contagiose, contrasti alla loro diffusione…); i grandi mutamenti politici (la Guardia nazionale, le infiltrazioni garibaldine in Friuli…).
Mi hanno incuriosito particolarmente alcuni rilievi: la neve rossigna caduta nel marzo 1803 di cui Lupieri propone una spiegazione scientifica; l’assenza di plenilunio nel febbraio 1866, evento mai prima avvenuto (annota Lupieri) e che si ripeterà nuovamente solo tra 2,5 milioni di anni; la triste storia di Caterina, ragazza madre ripudiata dai genitori e dal parroco e morta suicida, sulla quale Lupieri svolge alcune pertinenti osservazioni; la enorme folla radunatasi a Tolmezzo, valutata in 25mila persone, in occasione della visita dell’arcivescovo Trevisanato nel 1857; il costante “spirito di cavillo che avvelena e rovina la Carnia” e fa la fortuna dei numerosi avvocati presenti in loco (ma guarda un po’!); l’incontro storico con Quintino Sella in Udine nel 1866, al quale Lupieri indirizza alcune brevi parole di circostanza, indicandolo quale mediatore con il Re e prossimo salvatore della Carnia; il forte disappunto per la mancata elezione di Luigi Magrini (professore di fisica a Firenze) a primo Deputato italiano nel Collegio di Tolmezzo e Moggio, dove la spuntò un anonimo commerciante udinese; la partecipata trepidazione per l’arresto del parroco di Gorto, don Mariano Lunazzi, la sua carcerazione e infine la sua sospirata liberazione…
Proprio con questo increscioso fatto (22 luglio 1870) termina il racconto di Giobatta Lupieri, ormai stanco e malato, che morirà tre anni più tardi, nel 1873, a 97 anni di età, dopo aver vissuto quasi cento anni, a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, inzialmente come motivato e convinto attore protagonista (nel suo Distretto) della storia locale e successivamente come attento e acuto spettatore e infaticabile narratore di uno dei periodi più tormentati e più affascinanti della storia patria, avendo come punto di osservazione quello tipico del ricco borghese e liberale alpigiano, sedotto prima dai lumi della rivoluzione francese, poi dall’astro napoleonico, infine dal Regno di Sardegna e da Garibaldi ed infine un tantino deluso dal concreto (e non più sognato) Regno d’Italia...

Ottima dunque l’idea di Bianca Agarinis di pubblicare questo importantissimo documento storico che si presta ad una approfondita analisi a beneficio del lettore che avrà la pazienza ed il desiderio di gustare queste dense e vivacissime pagine di 150 anni fa, irrobustite da una essenziale e sobria iconografia a corredo che risulta di ottima scelta e favorisce davvero quella osmosi simbiotica tra parola scritta e immagine stampata, la quale aiuta sempre la lettura di testi non sempre facili, come a tratti può risultare anche questo.
Un libro (costo euro 25) dunque che non può assolutamente mancare nella biblioteca domestica non solo dei carnici ma dei friulani e perfino degli istriani, così come in precedenza avevo già vivamente suggerito per le Memorie
autobiografiche del Lupieri. Indispensabile inoltre nelle biblioteche pubbliche di Carnia e Friuli.

 

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