Abbiamo ritenuto utile
offrire una breve panoramica della STORIA DI CARNIA, tratta dal libro “Paluzza in Carnia” di
Alfio Englaro, pubblicato da “Chei di Somavile”
nel settembre 2002, come II edizione dell’originario opuscolo divulgativo
distribuito dalla Parrocchia di Paluzza nel 1999, in occasione dell’inizio del
III millennio dell’era cristiana. STORIA
DI Come Carso, Kärnten (Carinzia) e Carniola
(Slovenia), il nome CARNIA deriva probabilmente dalla medesima radice Karn- (roccia) della
lingua dei Carno-Celti, il cui vasto territorio era stato denominato dai Romani
KARNORUM REGIO (la regione dei Carni).
GOTES DI CJARGNE - CARNIA CONTEMPORANEA
STORIA DI VENEZIA (NOVITA')
( 450 a.C. ) Verso il X-VII sec. a.C. i paleo-Veneti,
chiamati dai Greci “Oi Enetòi”, di origine illirica,
provenienti dal grande ceppo indoeuropeo,“si stabilirono lungo la parte
superiore del mare Adriatico, cacciando gli Euganei, che abitavano tra il
mare e le Alpi”: così racconta lo storico latino, il patavino Tito Livio (59
a.C.-17 d.C.), nei suoi “Annales ab Urbe condita”. Ateste (Este) é il loro
centro principale. I Paleo-Veneti (e prima di loro forse anche gli Etruschi)
raggiungono e oltrepassano il passo di Monte Croce (Julia Alpes), come
testimoniano alcune iscrizioni rinvenute a Würmlach (Gurina?) in Austria. Una
seconda antica strada raggiunge Gurina attraverso il Passo Pramosio. Successivamente altre popolazioni nomadi provenienti sempre dalla
Mesopotamia continuano a migrare per secoli verso occidente dirigendosi in parte
a sud verso il mare (Grecia e Asia Minore) e in parte a nord, aggirando i
Carpazi e diffondendo nel settentrione di Europa. Questo secondo troncone di
genti caucasiche o indoeuropee, che i Greci chiamano “Oi Keltòi”, si
indica con il nome di Celti. In questo modo i Celti si distendono su un territorio vastissimo
limitato a nord-ovest dall’Oceano Atlantico e a sud dal mare Mediterraneo.
Molti di questi Celti poi allungano e si stanziano nell’odierna Spagna,
assumendo il nome di Celt-Iberi (da
cui Iberia); coloro che si fermano nelle attuali Francia e Germania vengono dai
romani denominati Galli (“…qui ipsorum lingua Celtæ, nostra Galli
appellantur”. Giulio Cesare in “De bello gallico”, 1,1).
Questi Galli, diffusisi su un così ampio territorio, vengono via
via a distinguersi in varie nazionalità: Galli Taurisci che fondano Torino,
Galli Boi che fondano Bologna, Galli Carni che, essendo probabilmente la
retroguardia della invasione celtica, occupano l’attuale Svizzera, la Baviera,
le Alpi orientali fino al Quarnaro. Successivamente, pressati dai Germani a loro volta spinti
dagli Slavi, i Galli debbono ritirarsi in una zona più ristretta, nella Gallia
propriamente detta. Anche le tribù dei Gallo Carni o Carno-Celti verso
il 450 a.C., premuti dunque dai Germani, abbandonano la fertile Baviera e
si ritirano nelle zone alpine più disagiate ma più protette: Canton Grigioni,
Engadina, Tirolo salisburghese, Stiria, Carinzia, Carniola, monti di Veneto e
Trentino. Giungono nell’odierna Carnia molto probabilmente attraverso
l’allora sconosciuto (per i romani) Passo del Monte Croce Carnico (“… per
saltus ignotæ antea viæ transgressi…” T. Livio, Annales 39,45) e poi
scendono fino alla pianura da cui cacciano, oltre il Livenza (“Liquentia
flumen”) gli antichi abitatori, i paleo-Veneti o Venetici. Questi Gallo Carni, o semplicemente Carni, comandati da un
Re e da una casta di sacerdoti chiamati Druidi (da druad, sapiente) dopo essersi
stabilmente stanziati nell’odierna Carnia e nella pedemontana, si danno alla
caccia ed alla pastorizia, spingendo le loro mandrie, nei mesi invernali, fino
alla pianura, che lentamente occupano, come testimonia lo storico Strabone (63
a.C.-20 d.C.), che colloca i Carni (“Oi Kàrnoi”) “sopra e di là
dei Veneti, presso il Golfo Adriatico, a sud delle Alpi Orientali, fino a
Tergeste (oggi Trieste), definita “villaggio carnico” (“…Tergheste komès Karnikès.”
In Geografia VII-5,2).
I Carni sanno lavorare in maniera eccellente il ferro, il
legno, l’oro, l’argento. Hanno una conoscenza singolare dell’astronomia e
osservano un calendario suddiviso in 5 cicli solari, composti da 62 mesi.
Credono in una sopravvivenza dopo la morte e ciò è testimoniato dalle loro
tombe, dotate di suppellettili e di arnesi propri del defunto. Il culto
principale è rivolto a Beleno, il dio solare, fonte della vita, e ad
altre divinità minori. Particolari sono i riti propiziatori che avvengono pochi
giorni dopo il solstizio d’inverno, quando, per incoraggiare il sole a vincere
la gelida stagione, i Carni danzano di notte con le fiaccole attorno alle
capanne e invocano raccolti abbondanti. Coltivano anche l’orzo con cui
fabbricano la birra. La leggenda vuole i Carni alti di statura, con una
muscolatura plastica e scultorea sotto una pelle rossiccia, carnicina, con
capelli e baffi lunghi e biondi, occhi grigio-azzurri. Vestono camicioni a tinte
sgargianti e giubbe di pelli di animale, indossano delle “brache” fin sotto
il ginocchio e calzano tomaie particolari ricoperte di pelli. Quando si
apprestano al combattimento, si coprono il capo con elmi a forma conica ornati
di corna, che li fanno apparire ancora più alti. La necropoli per incinerazione o campo di urne, di Misincinis (da
“missi in cinere”, cremati?) di Paularo, squarcia improvvisamente un velo
sulla nostra preistoria. Sono 173 le tombe recuperate e ben 800 i reperti che le
corredavano, appartenenti a popolazioni autoctone risalenti all’VIII secolo a.
C. Secondo una recente ipotesi, queste tribù autoctone potrebbero corrispondere
proprio ai proto-Carni, mescolatisi solo successivamente con i Celti invasori e
ad essi assimilati e poi con essi confusi. Putroppo questi importantissimi
reperti non sono più in loco ma restano custoditi altrove (?). Un’ascia di bronzo, risalente al X-VII sec. a.C., rinvenuta a
Passo Pramosio, attualmente è custodita al Museo Archeologico di Zuglio. Monete carno-celtiche d’argento sono state rinvenute presso la
chiesa di S. Pietro di Carnia, sul Plan da Vincule, risalenti al III
secolo a.C. Inoltre la ricerca su queste antiche popolazioni dei Carni si
avvale anche dello studio del linguaggio (residui nella lingua carnica
attuale: bâr, broili, grave, troi, cjarogiule, slepe, brût-nuora), dei rituali
di origine celtica (lancio notturno delle “cidulines” infuocate
beneauguranti, riti propiziatori al dio Beleno, falò della “femenate”…) e
della toponomastica (toponimi prediali con un suffisso in –acco come
Avosacco, oppure in –icco, come Bonzicco. I toponimi con finale in -ano come
Rivignano, sono invece di successiva origine romana). Ad esempio: da “trevs”, gruppo di
capanne in una zona cintata, deriva il toponimo di “Trep”; da “gorthu”,
canale o recinto, deriva Gorto.
( 115 a.C. - 476 d.C. ) Tito Livio negli “Annales” (Libro 39: cap. 22, 45, 54, 55;
Libro 40: cap. 34) racconta, seppure con toni agiografici, la conquista romana
della Karnorum Regio. Nel 186 a.C. un forte manipolo di Gallo Carni, composto da
12.000 uomini armati, con donne e
bambini al seguito per un totale di circa 50.000 persone, scende nella pianura,
già utilizzata per i pascoli invernali, e fonda un insediamento fortificato (oppidum),
Akileja, su un colle a 12 miglia dalla laguna, da localizzarsi oggi
verosimilmente presso Medea. Akileja deriva dal carno-celtico “akiljs:
profondo“, come profonde sono le acque del vicino fiume, la Natissa, che
sfocia nel mare e rende fertili quelle terre, seppure in parte ancora occupate
da acquitrini e da fitte boscaglie:
Silva Phætontea, Silva Lupanica e Silva Diomedea. Il Senato romano però, preoccupato di questa infiltrazione a
Nord Est, ordina al pretore delle Gallie Lucio Giulio, di non accettare il fatto
compiuto, ma i Gallo Carni fanno resistenza. I romani allora, guidati dal
console Claudio Marcello, li attaccano e li respingono distruggendo il loro
insediamento fortificato di Akileja. I Gallo Carni allora inviano la loro protesta a Roma la quale,
attraverso Lucio Furio Purpurione, Quinto Minucio e Lucio Manlio Acidino, manda
a dire che essi non dovranno più scendere nella pianura, nonostante questa sia
ancora disabitata (“sine populatione”) e non occupata dai romani. Per rafforzare quest’ordine e dare seguito alla propria
politica espansionistica, i Romani fondano subito dopo, nel 183 a.C., una
colonia proprio “in agrum Gallorum”, non con pieni diritti romani ma solo
con diritti latini; una colonia dunque a difesa del fianco Nord-Est
dell’Impero, nella parte meridionale della Karnorum Regio (Plinio il
Vecchio in “Naturalis Historia” 3,18,126), regione limitata a est dal Timavo,
ad ovest dal Livenza, a nord dalle Alpi e a sud dal mare. Deputati alla fondazione di questa colonia sono i triumviri
Publio Scipione Nasica, Caio Flaminio e Lucio Manlio Acidino. I nuovi coloni, facendo proprio il nome celtico di Akileja, forse a motivo
della forte assonanza con l’aquila romana, chiamano Aquileia la nuova
città. Viene subito effettuata la centuriazione: a ciascuno dei 3000
fanti-coloni latini (giunti con le loro numerose famiglie) vengono assegnati 50
jugeri di terra, 100 jugeri ai centurioni e 140 jugeri ai cavalieri. Lo jugero
è l’unità di misura romana che corrisponde a mq. 2523,3; la superficie cioè
che può essere arata in un giorno da un giogo (jugum) di buoi. Nel 179 a.C. un
manipolo di 3000 Gallo Carni scende nuovamente in pianura e chiede terre per il
pascolo dei propri armenti al Senato romano il quale, per mezzo del console
Quinto Fulvio, rifiuta categoricamente. Nel 171 a.C. il console Caio Cassio Longino devasta i
territori dei Gallo Carni e dei Gepidi penetrando nelle loro montagne e di
questo fatto si rammarica Cincibilo, re dei Galli transalpini, che manda
ambascerie di protesta a Roma. Allora i Gallo Carni cercano alleanze con i Celti Istriani,
coi Gepidi e con i Celti Taurisci, tentando più volte di arginare l’
espansione romana.
Nel 129 a.C. però il console romano Sempronio Tuditano
disperde i Gallo Carni ed i loro alleati, che tuttavia non demordono facilmente,
avendo trovato nella pianura una fertile terra, adattissima alle proprie
necessità. Roma, avvertendo sempre più il pericolo incombente dei Gallo
Carni e volendo accelerare la propria espansione, decide la mossa finale e invia
a Nord Est le legioni del console M. Emilio Scauro, che sconfigge
definitivamente i Carni nella battaglia del 15 novembre 115 a.C., ne
trucida moltissime donne e bambini e ottiene nell’Urbe il trionfo “de
Galleis Karneis” (frammento capitolino dei Fasti Triumphales, scoperto nel
1563 e riportato da Fistulario). In seguito i Carni, sia
per la cruda sconfitta subita sia per la superiore civiltà romana sia forse per
un già presente carattere piuttosto remissivo, si sottomettono a Roma e ne
accettano le imposizioni ed anche le concessioni. Significative a questo
proposito sono le parole di uno dei principali capi Carni, Calgaco, che la
leggenda vuole affermasse:- Sono i romani l’unico tra tutti i popoli a
concupire, con pari brama, la ricchezza dei ricchi e la povertà dei poveri.
Hanno un nemico ricco? Fanno gli avidi. Se è povero, si accontentano della
gloria. Rubare, ammazzare, saccheggiare, lo chiamano falsamente ’governare’;
e laddove essi creano il deserto, lo chiamano ‘pace’-. Aquileia nel contempo, con il continuo afflusso di coloni latini
meridionali del Sannio e della Sabina, cresce d’importanza, diventa Municipium
Romanum nel 90 a.C. in forza della Lex Julia Municipalis ed infine una grande
città, crocevia di commerci e di attività artigianali e navali, oltrechè
munitissimo presidio militare e principale porto nell’Alto Adriatico. Gli influssi carnici, per converso, penetrano anche in città, al
punto che il dio maggiormente venerato in Aquileja e vero nume tutelare, non è
Giove né Mercurio né Minerva, ma Beleno, la divinità carno-celtica, di
cui sono state rinvenute ben 54 dediche ed il cui tempio sorge in una precisa
località, attualmente nota col significativo nome di “Beligna”. Altre
importanti divinità sono rappresentate da Mitra, Iside e Serapide, tutte di
origine orientale. Sotto Augusto, che
suddividerà l’Italia in 11 Regiones, Aquileia diventerà la capitale della X
Regio, la più vasta, denominata “Venetiæ et Histria”. Nei secoli successivi, usi e costumi romani si mescolano
lentamente con usi e costumi carnici, si mescola sangue
romano e carnico e da questo connubio di due civiltà e due popoli prende
lentamente origine una gente nuova, il Popolo Aquileiese o Friulano, che
avrà una sua precisa identità verso il 1000. Anche la lingua del vincitore (il
latino rustico e popolano) si mescola con la lingua del vinto e nasce una nuova
lingua, la aquileiese o friulana, che nei secoli successivi si
arricchirà di numerosissimi vocaboli derivati dalla lingua di altri popoli. Probabilmente solo sparse tribù di Carni restano isolate sui
monti e continuano indisturbate una vita di pastorizia e di caccia. Roma intanto, estendendo continuamente il proprio dominio su
altri popoli, ha necessità di strade e di presidi che le difendano. Una di
questa strade è la Julia Augusta, che partendo da Aquileia, raggiunge
Venzone dove si dirama in due tratte: una verso Santicum (Villacco), l’altra
verso la Valle del Bût. Quest’ultima, denominata via Claudia o
Carnica, sale fino alla Julia Alpes (Monte Croce), per raggiungere il
Noricum (Austria) e la Pannonia (Ungheria). A presidio di questa via, viene
fondato (da Giulio Cesare?) nel 50 a.C. circa, su un preesistente
villaggio carno-celtico, il “vicus” di Julium Carnicum (Zuglio),
che successivamente assumerà sempre maggiore importanza diventando prima
“colonia” e poi, nel 33 a.C., “municipium” con pieni diritti
romani.
La vasta giurisdizione territoriale (“agro”), di Forum
Julium Carnicum sarà limitata a nord dalle Alpi, a est dal fiume
Torre, a sud dalle colline moreniche e a ovest comprenderà anche
il Cadore. Presso Alleghe, a settentrione del monte Civetta, sono state
rinvenute, nel 1938, tre iscrizioni confinarie incise su roccia. La prima fu
scoperta sul versante sud-orientale del monte Codai e la seconda sul versante
settentrionale; recano il seguente testo: FIN(es)/ BEL(lunatorum) JVL(iensium).
La terza iscrizione, su una parete del monte Fernazza, era in due righe ma vi è
rimasta una tenue traccia così ricostruita: FIN(es) (I)V (I.Bellunatorum). La interpretazione di
E. Ghislanzoni è univoca: questi territori facevano parte dell’agro di Forum Julium Carnicum. I cittadini di Forum Julium Carnicum verranno assegnati alla
romana Gens Claudia. Altri importanti “municipia” sono Julia Concordia
Sagittaria (famosa per le sagittæ, frecce) e Forum Julii Transpadanorum
(Cividale), i cui “agri” (territori) confinano a nord con quello montagnoso
ed esteso di Forum Julium Carnicum. Nel frattempo la nuova religione, il Cristianesimo, forse
portata ad Aquileia dall’evangelista
e apostolo Marco,“interpres Petri” (fondatore anche della comunità
cristiana di Alessandria d’Egitto in diretto collegamento commerciale con il
porto di Aquileia) comincia ad espandersi e raggiunge, attraverso le vie
consolari, anche Julium Carnicum, dove
il culto a Beleno è sempre radicato.
Resta tuttora assai controversa l’annosa questione circa
l’evangelizzazione diretta di Aquileja da parte dell’ apostolo Marco,“a Petro
missus”, o di un suo discepolo. Tuttavia forti indizi storici, archeologici,
teologici, geografici e toponomastici farebbero oggi maggiormente propendere
verso una tale suggestiva ipotesi, anche se ancora non possediamo alcun
documento storico relativo ai primi due secoli. Il recente lavoro (1998) dello
scomparso Gilberto Pressacco ripropone la questione sotto una nuova angolatura
finora mai esplorata, quella etno-musicologica, che potrebbe aprire scenari
impensati.
Attorno a Zuglio poi sorgono altri villaggi: Sezza, Fielis,
Formeaso, Cabia, Priola, Nojaris, Rivo, Naunina, Siajo. La via Claudia o Carnica
viene dotata di postazioni di segnalazione e avvistamento, localizzate sui
luoghi particolarmente elevati e strategici, in precedenza utilizzati come castellieri
da altre popolazioni ed oggi conosciuti come: S. Lorenzo sopra il Bût, S.
Floriano di Illegio, S. Pietro di Zuglio, Ognissanti di Sutrio, S. Daniele di
Paluzza. Altri castellieri di minore importanza sono: Cjastelat di fronte a
Siaio, Gjai di fronte a Cercivento, Fratta a Zovello e Durone a Ligosullo, per
segnalazioni tra Val Pontaiba e Val Calda. Questi posti di avvistamento e di segnalazione, vengono poi
fortificati e muniti di presidio militare, soprattutto con l’inizio delle
prime invasioni dei Quadi e Marcomanni (167 d.C.). La “Timavensis
statio”(Timau) diventa strategica. Reperti importanti: Zuglio (Julium Carnicum): Foro romano.
Museo Archeologico. Colle Zuca (Invillino): basilica
paleocristiana. Mosaici. Iscrizioni lapidee lungo l’antica strada romana
Claudia o Carnica presso M. Croce. ( 410 - 567 ) Sotto le prime spallate barbariche e per numerose concause
interne, l’Impero Romano comincia a vacillare. Prima i Visigoti (410) e
successivamente, attraverso la Julia Alpes, gli Unni di Attila (452)
devastano Julium Carnicum, Aquileia e altre città della pianura, assestando
durissimi colpi all’Impero Romano che nel 476 crollerà definitivamente. Le
isole della laguna veneta intanto si vanno popolando di coloro che fuggono dalla
terraferma: sorgono le prime Civitates Venetiarum isolane. Gli Ostrogoti successivamente (489) dominano il Friuli e
la Carnia per 60 anni. Alcuni gotismi sono rimasti nella lingua friulana:
agàgn, bearz, làmi, brèe, sedòn, glòve, grampe, rocje. Durante questi anni, gli Slavi riescono a penetrare dalla
Carantania (Alta Carinzia) nelle Valli del Bût, del Degano e del Fella. La
improvvisa morte del re Teodorico, di cui si ammira ancora il mausoleo a
Ravenna, scatena violente lotte interne al Regno Gotico, delle quali approfitterà
l’imperatore d’Oriente, Giustiniano. Costui, avendo deciso di conquistare
l’Italia dopo aver sconfitto i Vandali inAfrica, invia i suoi generali,
Belisario prima e Narsete poi, i quali pongono fine definitivamante al Regno
Gotico in Italia, dando origine alla dominazione Bizantina. I Bizantini, rafforzano i preesistenti presidi militari
romani, da essi ridenominati “Stratìe”,
specialmente lungo le valli di transito, tra cui la valle del Bût, dotandoli di
un maggior numero di uomini e mezzi; ripristinano le strade principali
(come la via Claudia o Carnica) e ridanno vita ai traffici transalpini. Il poeta
dell’epoca, Venanzio Fortunato, autore forse anche dell’inno “Pange
lingua”, descriverà a tal proposito la via più breve per raggiungere il mare
dalla Gallia, attraverso la Valle della Drava, il passo di M. Croce e la Valle
del Bût. Alcune tribù di Goti rimarranno isolate sui monti e daranno ancora
noia ai Bizantini fino al 563. La Chiesa di Aquileia intanto vive uno scisma
dottrinario-politico (553), detto dei “Tre capitoli”,
originato dall’Imperatore d’Oriente Giustiniano, favorevole al monofisismo
(già condannato dal Concilio di Calcedonia nel 451) che riconosce una sola
natura in Cristo. Giustiniano pretende di imporre al concilio di Costantinopoli
la condanna di tre esponenti della Scuola Antiochena, che invece
difendono la primitiva dottrina della doppia natura in Cristo. Contro tale
pretesa imperiale, il vescovo aquileiese Macedonio, geloso custode della
ortodossia e della fedeltà alla tradizione cristiana, si oppone con energia e
va in contrasto col Papa di Roma, Vigilio, che invece approva, seppure
costretto, questa sorta di cesaro-papismo bizantino. A Vigilio succede Pelagio I
che accetta a sua volta il comportamento dell’Imperatore d’Oriente. Allora
Macedonio e il vescovo di Milano, assieme a tutti i vescovi del Nord, si
sottraggono alla obbedienza di Roma, accusata di essere succube
dell’Imperatore d’Oriente. Su questo scisma dei “Tre Capitoli” poi si
innesteranno elementi estranei (politici e localistici) che ne complicheranno e
ritarderanno infine la soluzione. Julium Carnicum intanto diventa sede vescovile ed
ha come primo vescovo Januario, ricordato fin dal 490. I carnici
hanno quindi come unica guida e
riferimento la nascente Chiesa Cristiana che trova però, nella sua diffusione,
ancora tenaci resistenze negli usi e nelle tradizioni locali carniche (il dio
Beleno, il culto dei morti, i riti propiziatori) maggiormente presenti nei
luoghi più lontani e isolati.
Sorgeranno poco più tardi, nei
centri più popolosi, le prime comunità cristiane rurali, denominate Plebes
(dal latino Plebs: plebe, popolo, da cui poi: Pieve, pievano), che
assumeranno progressiva importanza nei secoli successivi, quando diventeranno
centri propulsori di cultura e di vita cristiana. Sicuramente la prima Pieve di Carnia, ed una delle prime
del Friuli, è quella di S. Pietro di Zuglio, sorta poco dopo la
soppressione della sede episcopale, la cui chiesa cattedrale (= sede della
“cattedra” vescovile) diverrà la sede naturale del Preposito della Pieve.
La sua stessa intitolazione, S. Pietro, costituirà una affermazione di
ortodossia e di romanità in tempi di incombente arianesimo longobardo ed un
sicuro sigillo di antichità all’interno del Patriarcato aquileiese. Successivamente sorgeranno le altre
10 Pievi di Carnia: quella di S. Maria di Gorto, di S. Maria Maddalena di
Invillino, di S. Floriano a Illegio, di S. Stefano di Cesclans, di Socchieve, di
S. Maria oltre Bût a Tolmezzo, di Verzegnis, di Enemonzo, di Ampezzo, di Forni
di Sotto. La Pieve sarà una entità giuridico-religioso-sociale costituita
da un trinomio inscindibile: chiesa, popolo e territorio (Piviere). Vi
saranno momenti storici in cui la Carnia verrà addirittura considerata una
federazione di Pievi (Universitas Carneæ). Alcune sorgeranno sul luogo
di precedenti fortificazioni romane, altre origineranno ex novo in siti
particolari. Le più vaste però resteranno quella di S. Maria di Gorto e quella
di S. Pietro di Zuglio. Quest’ultima sarà matrice di altre Chiese filiali nella
Valle del Bût: Paluzza, Sutrio, Piano, Rivalpo-Valle, Cadunea, Cedarchis,
Fielis. Successivamente nei secoli XIII-XIV, quando le Chiese filiali
diventeranno progressivamente autonome dalla rispettiva Chiesa matrice, nascerà
la Parrocchia che si caratterizzerà per la presenza di: fonte
battesimale, cimitero e curato in loco. Così la Chiesa di S. Daniele di Paluzza ad esempio,
divenuta Plebanale verso il 1300, sarà essa stessa matrice per le Chiese
di: Ligosullo, Treppo, Rivo, Cleulis e Timau che costituiranno così un’ unica
parrocchia fino al 1907. ( 568 - 773 ) Nel 568 i Winnili, detti poi Langobardi (dal germanico
lang-bart, lunga barba) e infine Longobardi,
provenienti dalla Scandinavia e premuti dagli Avari e dai Franchi,
giungono in Friuli attraverso il “Pons Sontii”, il ponte romano
sull’Isonzo. Essi sono guidati da Alboino ed hanno l’obiettivo di occupare
la penisola. Conoscono già l’Italia, avendo combattuto come truppe mercenarie
nelle guerre tra i Romani ed i Goti e successivamente a fianco dei Bizantini di
Narsete. Si tratta di un
intero popolo (non più di 200.000 persone) che si sposta con carri e masserizie
al seguito ed è organizzato in tribù o famiglie. Non è più la tipica
invasione barbarica, ma un originale stanziamento allogeno nell’odierno
Friuli. Qui non incontrano alcuna resistenza perché i Bizantini (che
hanno come capitale Ravenna) si sono ritirati sulla costa adriatica e sulle
isole della laguna e lo stesso patriarca di Aquileia, Paolo, fugge a Grado con
il tesoro della sua Chiesa. Il Corpus Civitatis Venetiarum della laguna assume sempre
maggiore importanza strategica e si avvia a diventare una nuova entità sullo
scacchiere nord orientale. Alboino istituisce un Ducato con capitale Forum Julii,
che sostituisce a tutti gli effetti la decaduta Aquileia romana, e nomina
Gisulfo primo Duca. In questo periodo, il nome di Forum Julii verrà
lentamente a designare tutto il Ducato (Friuli), mentre la capitale sarà
successivamente chiamata Civitas Austriæ (Città ad Oriente) che il
friulano abbrevierà in Civitât, da cui poi l’italiano Cividale. Suddivisi in gruppi non molto numerosi ma militarmente
efficienti, i Longobardi dilagano in tutto il Friuli, insediandosi nei castelli
abbandonati dai Bizantini: Cormons, Nimis, Osoppo, Artegna, Ragogna, Invillino e
Gemona. Il Ducato longobardo del Friuli comprenderà alla fine tutti gli
“agri” (territori) dei quattro Municipi romani di Aquileia, Concordia, Forum
Julii e Forum Julium Carnicum, tutte le terre cioè
situate tra il Livenza ed il Timavo, tra il mare e le Alpi. Le truppe longobarde proseguono poi la loro marcia e occupano il
Veneto, la Lombardia, il Piemonte, la Romagna, la Toscana: viene istituito il Regno
Longobardo in Italia con capitale Pavia. Al sud sono fondati i ducati
di Spoleto e Benevento. Il Ducato del Friuli, nel contesto del Regno Longobardo,
godrà di una speciale autonomia, quasi un piccolo Stato nel grande
Stato, raggiungendo una notevole stabilità politica e sociale, prefigurando
quello che pochi secoli dopo sarà lo Stato Patriarchino e successivamente il
Friuli Storico. Il vescovo di Zuglio, Massenzio, partecipa nel 576
al Concilio dei vescovi a Grado e nel 589 al Sinodo di Marano. Successivamente il vescovo zugliese
Fidenzio, su sollecitazione dei duchi longobardi, abbandona la cittadina
carnica, inadeguata e scomoda, e
pone la sua sede in Civitas Austriæ (Civitât - Cividale), neo-capitale del Friuli.
Nel frattempo, a causa del persistere dello scisma aquileiese dei
“Tre Capitoli”, la Pieve di Grado, fedele a Roma ma soggetta ad Aquileia,
viene eretta a Patriarcato autonomo: il primo Patriarca di Grado sarà
Candidiano nel 606 e questo Patriarcato durerà ininterrottamente fino al
1451, conservando sotto la propria giurisdizione i piccoli vescovadi
bizantini fedeli a Roma: Caprulae (Caorle), Heraclea (Eraclea), Torcellum (Torcello),
Castellum (Castello), Methamaucus (Malamocco), Rivus Altus (Rialto), Clodia (Chioggia)
e Hatria (Adria), tutti situati sulla sottile striscia litoranea che da Grado
giunge fino alla foce del Po.
Il Patriarcato di Aquileia in questo periodo raggiunge la
massima estensione potendo annoverare ben 24 sedi vescovili suffraganee:
le latine Acilum (Asolo), Altinum (Altino), Bellunum (Belluno), Cissa (Rovigno),
Concordia (Concordia), Feltria (Feltre), Julium Carnicum (Zuglio), Opitergium
(Oderzo), Parentium (Parenzo), Patavium (Padova), Pula (Pola), Tarvisium
(Treviso), Tergeste (Trieste), Tridentum (Trento), Verona (Verona), Vicetia
(Vicenza); nella Retia secunda: Sabiona (Säben), Augusta (Augsburg); nel
Norico: Aguntum (Lienz), Celeja (Celje), Tiburnia (St. Peter im Holz), Virunum (Zollfeld);
in Pannonia: Scarabantia (Sopron); nella Slavia: Aemona (Lubiana). Nel 699 però lo
scisma aquileiese, fondato più che altro su malintesi e vicendevole
ostinazione, rientra ed il Patriarca di Aquileia, nel sinodo di Mantova, torna
in piena comunione con Roma, pur avendo sempre conservato la sua vasta
giurisdizione ecclesiastica. Da questo momento coesisteranno però anche ufficialmente due
Patriarcati: il Patriarcato di Grado (già Pieve soggetta ad Aquileia)
con giurisdizione sulle terre costiere bizantine; quello di Aquileia con giurisdizione sui restanti vasti
territori longobardi dell’entroterra. Intanto alcune tribù di Slavi premono a est e si insediano
stabilmente nelle Valli del Natisone. L’ultimo vescovo zugliese Amatore (732), che risiede
sempre in Civitas Austriæ, viene da lì cacciato dal Patriarca di Aquileia
Callisto, il quale trasferisce definitivamente la sua residenza patriarcale
dalla modesta Cormones (oggi Cormons in provincia di Gorizia) alla fiorente Civitas Austriæ.
Il Duca longobardo Pemmone si oppone però a questo sopruso del
Patriarca e lo imprigiona nel castello di Duino, da dove lo vuole gettare in
mare (“…indeque eum in mare præcipitare voluit...” Paolo Diacono, H.L.,
VI, 51). Il re longobardo Liutprando però non approva il comportamento del Duca
nei confronti del Patriarca ed interviene liberando l’amico Patriarca
Callisto; destituisce poi Pemmone ed assegna il Ducato del Friuli al di lui
figlio Ratchis.
La Diocesi di Zuglio (la cui giurisdizione territoriale
ricalca l’antico agro romano di Julium Carnicum) viene così soppressa
(744 ?), inglobata nella vasta Diocesi di Aquileia e sostituita da una
Prepositura. Al Preposito, che è coadiuvato da un Capitolo di otto Canonici,
viene riconosciuto il diritto di tenere tribunale per le controversie
ecclesiastiche (diritto di plàcito), la vigilanza sul clero dipendente
ed i benefici speciali ed il privilegio di portare la mitria nelle grandi
solennità. I Longobardi, convertitisi nel
frattempo dall’arianesimo al cattolicesimo tramite la regina Teodolinda,
rafforzano i presidi lungo la strada del Monte Croce, istituendo le Arimannie
(Sezza, Fielis, Sutrio, Cercivento, Rivo, Casteons, Siaio, Durone), che sono
dei piccoli presidi misti o colonie, affidate ad un “arimanno” (in
longobardo: uomo libero, uomo dell’esercito) e costituite da personale
militare e civile, raggruppato in famiglie (Fare), dipendenti
direttamente dal Duca. Sul colle di S. Daniele a Casteons viene probabilmente eretto un
castello arimannico (di cui esisterebbero tracce sotto l’intonaco del
campanile) a controllare il piccolo valico obbligato che scavalca il colle. A coloro che restano nelle Arimannie con le famiglie (exercitales,
soldati “tuttofare”), viene concessa la “terra fiscale” da coltivare e
con cui sopravvivere. L’unità di misura è il “manso” (superficie di
terreno che una famiglia di coloni può coltivare annualmente con una coppia di
buoi o con un solo aratro). Grande personalità di questo periodo è Paolo Diacono,
autore della “Historia Langobardorum” (H.L.) e di vari inni sacri tra cui
quello dedicato a S. Giovanni Battista, dal quale Guitone d’Arezzo trarrà poi
il nome delle note musicali (Ut quaeant laxis, Resonare fibris, Mira
gestorum, Famuli tuorum, Solve polluti, Labii reatum, S.Iohannes.
Amen). A Paluzza, in località Pontaiba (?), nel 1885 sono stati
rinvenuti reperti sepolcrali risalenti al sec. VII attualmente custoditi altrove
(?). Sono stati
recentemente ritrovati numerosi reperti: orecchini e fibule a Forni di
Sotto; orecchini di bronzo a Clavais; anelli di bronzo, pugnali e balsamari ad
Ampezzo. In località Gjai (“bosco bandito” in longobardo) presso Cercivento
fu ritrovato uno scheletro molto lungo, rivolto verso levante con il cranio
appoggiato ad una grossa pietra. Inglobati in alcuni muri della Chiesa di S.
Pietro di Carnia sono tuttora visibili frammenti di scultura-architettura
longobarda. Numerose le parole carniche di origine longobarda:
braide, bleon, cort, flap, ruspi, breit, stink, sbregâ, sbisijâ, fodre,
sfilzade, grife, garp, ganf, crâsule, scae, sgarfâ, slapagnâ, strac, farc,
patèle.
( 773 - 952 ) Ma i re Longobardi, Astolfo e Desiderio, vanno ben presto in
contrasto politico con il Papa, il quale chiama in soccorso i Franchi di Carlo
Magno che nel 773 assedia Pavia e sconfigge definitivamente i Longobardi,
proclamandosi loro re: si interrompe così bruscamente e violentemente un lento
processo storico di identificazione nazionale friulana. Il 25 dicembre 800 il papa Leone III, nell’ antica basilica di
S. Pietro in Roma, consacrerà Carlo Magno Imperatore del Sacrum Romanum Imperium. Per il Friuli e la Carnia non cambia nulla, se non il padrone,
poiché nel frattempo longobardi e locali si sono ulteriormente mescolati e
vivono in pace e gli ordinamenti sociali restano immutati. I Duchi longobardi
vengono sostituiti dai Marchesi e dai Conti franchi. Carlo Magno, dopo aver eretto
Salisburgo nel 798 a sede metropolitica per le terre settentrionali finora
soggette ad Aquileia, nel 811 fissa sul fiume Drava il nuovo confine tra
la giurisdizione di Salisburgo e il patriarcato di Aquileia, nonostante
la contrarietà del patriarca aquileiese Orso I, che
rivendica anche la Carinzia. Questa rideterminazione carolingia dei confini
territoriali del Patriarcato durerà poi ininterrottamente fino alla sua
soppressione, che avverrà nel 1751. Nell’888 termina la dinastia carolingia e il Regno d’Italia
dei Franchi cade nel caos. Allora Berengario, marchese del Friuli, tenta con
tutti i mezzi di unificare il Regno, ma non ci riesce e viene dapprima sconfitto
e, dopo alterne vicende, viene ucciso in una chiesa di Verona nel 924. Del dominio Franco residuano solamente alcune parole: gargàt,
blave, sbrovâ, gratâ, pagnòche, masànc, vuàite, manèce, bugàde, fanèle,
uere. Subito dopo (899-942) il Friuli della Bassa viene più volte
invaso dagli Ungari, bande di predoni di origine uralica, provenienti
dalla regione danubiana, che distruggono e razziano tutto, accreditandosi una
fama peggiore degli Unni di Attila. Moltissimi documenti e codici antichi vanno
persi o sono distrutti. Tutta la pianura interessata da queste scorrerie verrà
denominata (per una errata lettura di “…vel strata Hungarorum”) “Vastata
Hungarorum” (devastata dagli Ungari), e la via attraverso la quale giungono
questi Ungari, la Stradalta, sarà nominata proprio “Strata Hungarorum”. Il
Friuli, devastato e spopolato, viene assoggettato alla Marca di Verona
diventando una semplice Contea, priva di peso politico ed economico. Il Corpus Civitatis Venetiarum della laguna cresce ancora
d’importanza e aumenta di popolazione. La Carnia, povera e fuori mano, viene fortunatamente
risparmiata da questi saccheggi e uccisioni, ed anzi conoscerà una ripresa dei
traffici ed un incremento demografico. Attorno al 1000 verranno creati la Gastaldìa
(Giurisdizione civile) e i 2 Arcidiaconati (Giurisdizione
ecclesiastica): quello di Gorto (sottoposto all’Abbazia di Moggio) e quello
della Carnia. Sorgeranno le ultime Pievi:
Verzegnis, Enemonzo e Ampezzo che, ergendosi in mezzo ai villaggi, e non più su
colli fortificati, saranno testimoni di una vita più
tranquilla. In questo periodo si vengono meglio configurando anche i territori (Pivieri)
di queste Pievi, attraverso l’imposizione ai “plebesani” dell’obbligo di
versare la decima parte dei propri redditi alla propria Pieve
(una tassa cioè del 10%). Un quarto di questa decima, il quartese, è
riservato direttamente al pievano; il restante spetta al vescovo ed in parte è
devoluto per opere assistenziali e di culto. Questa tassa, introdotta dal Re dei
Franchi, Pipino il Breve verso la metà dell’ VIII secolo, sarà per molti
secoli l’unica ad essere prelevata con una certa regolarità in tutta
l’Europa occidentale e permetterà in Carnia un’affidabile censimento dei
fedeli di ogni Pieve, che resterà il punto di riferimento principale nella vita
del tempo: battesimi, sepolture e liturgie avverranno infatti esclusivamente
presso la Pieve. La Ecclesia Mater di
Aquileia, in assenza di un potere civile adeguato ed efficiente, vigila ed
esercita concrete funzioni di supplenza.
( 967 – 1077
) L’imperatore di Germania Ottone I, incoronato dal Papa in S.
Pietro nel 962, ha intanto sostituito in Italia i Franchi in una specie di
“translatio imperii” (trasferimento del comando), dando origine al “Sacrum
Romanum Imperium Nationis Germanicæ” che dominerà la storia di tutto il
Medio Evo europeo. Egli riesce finalmente a sconfiggere definitivamente gli
Ungari ad Augsburg e comincia a pensare di risolvere il grosso problema
dell’indifeso Friuli (importantissima cerniera tra il Nord e l’Italia e
terra di passaggio di troppe invasioni), che ha come unico referente il
Patriarca di Aquileia, la sola autorità credibile rimasta. Così l’imperatore Ottone I nel 967, imitando
precedenti donazioni di Carlo Magno, Lodovico il Pio, Lotario e Berengario, con
una solenne investitura, mette nelle mani del Patriarca di Aquileia, Rodoaldo,
tutta la terra friulana compresa tra la Stradalta e il mare, che viene nel
frattempo ripopolata anche da coloni slavi. Anche Ottone II e Ottone III affidano al Patriarca
aquileiese ulteriori territori in amministrazione diretta, così che attorno al
1000 i territori del Patriarca sono di gran lunga più estesi di quelli del
Conte di Gorizia, vassallo dell’Imperatore. Questa è dunque la politica degli
imperatori tedeschi: affidare le giurisdizioni feudali all’ uomo di Chiesa,
piuttosto che ad un civile, per evitare che diventino ereditarie. Ciò costituirà
una novità ma nel contempo anche un grave limite che rappresenterà
l’intrinseca debolezza dello Stato patriarchino prima e impedirà poi la
stabilizzazione di un futuro vero Stato friulano. Nel 1027 l’imperatore Corrado II stabilisce assieme al
Patriarca Popone che i territori del Patriarcato non dipendano civilmente
più in alcuna maniera dal Conte di
Gorizia o dai Marchesi ma direttamente dal Patriarca, il quale diviene così
feudatario di primo grado, che dipende solo e direttamente dall’Imperatore. Nella primavera del 1077 l’imperatore Enrico IV è di ritorno
dal castello di Matilde di Canossa dove ha fatto atto di sottomissione al papa
Gregorio VII che lo aveva scomunicato per motivi politici (inizia qui il periodo
della lotta per le investiture: da una parte l’Imperatore che si arroga il
diritto di investitura per principi e vescovi, dall’altra il Papa che sancisce
la sua supremazia spirituale con il “Dictatus Papæ”). Enrico IV è stato nel frattempo abbandonato dal Duca di Carinzia
e dal Conte di Gorizia, suoi feudatari, che gli si sono ribellati ed hanno
sbarrato i principali passi alpini. Il Patriarca di Aquileia, Sigeardo,
rimastogli sempre politicamente fedele e che in precedenza aveva già
ri-comunicato Enrico IV in Aquileia anche senza il “placet” del papa, gli va
incontro e lo scorta con le proprie truppe fino al passo di Monte Croce,
l’unico rimasto libero. Enrico IV il 3
aprile 1077 (con Diploma emesso in Pavia) proclama il patriarca Sigeardo
“Princeps Italiae et Imperii” istituendo così ufficialmente la Patria
del Friuli, che conierà propria moneta ed avrà proprie truppe, vero stato
temporale del Patriarca di Aquileia, non soggetto a nessun’ altra autorità
civile. Nel
frattempo il Corpus Civitatis Venetiarum è diventato una grande e
strategica città: Venezia.
( 1077 - 1420 ) Il Friuli e la Carnia non hanno parte alcuna nella storia
italiana medioevale, dei Comuni e delle Signorie, le cui note vicissitudini
occupano tutto il Medio Evo. In questo periodo, il Friuli e la Carnia costituiscono lo Stato
Patriarchino Aquileiese. Sorto ufficialmente nel 1077 come Patria
del Friuli per opera dell’imperatore tedesco Enrico IV, esso presenta i
caratteri di uno stato feudale di stampo germanico, a capo del quale vi è un
Principe-Vescovo, il Patriarca di Aquileia. Questi, dal punto di vista politico (in temporalibus), è
ghibellino e direttamente legato all’Imperatore tedesco, come vassallo,
mediante l’investitura feudale con la spada, che avviene in Civitas Austriæ-Cividale.
Dal punto di vista ecclesiastico
(in spiritualibus) dipende invece dal Papa di Roma, che lo consacra, tramite un
Legato Pontificio, con l’imposizione del pallio, cerimonia che si svolge nella
basilica di Aquileia. Questa duplicità di legittimazione dell’autorità sarà
anche per il Patriarcato una delle principali cause delle continue lotte per le
investiture che vedranno gli imperiali da un lato e gli alleati del papa dall’altro. Il primo periodo dello Stato Patriarchino (1077-1251), sarà
caratterizzato da una politica nettamente ghibellina, con patriarchi tedeschi di
assoluta fedeltà imperiale, e sarà il periodo di maggiore splendore e di
relativo benessere per il Friuli e la Carnia, che si identificheranno nella
Patria del Friuli. Il secondo periodo (1251-1420), quello dei patriarchi guelfi, di
origine generalmente italiana, fautori di una politica di alleanze diverse, di
lento distacco dall’Imperatore e di allineamento alla politica papalina,
rappresenterà il periodo del progressivo svilimento del Patriarcato, che
inizierà così la propria parabola discendente. Uniche due eccezioni in questo
periodo sono rappresentate dal patriarca francese Bertrando di S. Geniès e da
quello tedesco Marquardo di Randek, i quali cercheranno di difendere e
consolidare ancora l’autonomia dello Stato Patriarchino dalle mire veneziane e
papali, oltre che da quelle dei conti tedeschi. La Chiesa o Patriarcato di Aquileia, specialmente dopo la
ricomposizione dello scisma dei “Tre Capitoli”, si ritiene una Chiesa
apostolica e primaziale, al pari di quella romana. “Apostolica” in quanto
fondata direttamente da un apostolo, Marco, che, secondo la tradizione, qui
avrebbe addirittura scritto il suo Vangelo; “primaziale e metropolita” (dal
greco: metèr-polis, città-madre) in quanto conta un numero elevato di diocesi
suffraganee (dipendenti): 17 nella sola Langobardia, senza considerare la
Pannonia, il Norico e l’Illirico. La sua giurisdizione ecclesiastica (in spiritualibus) comprende
infatti a Est la Slovenia e l’Istria, a Nord la Carinzia e parte del Tirolo, a
Sud-Ovest giunge fino al lago di Garda e a Mantova mentre a Nord-Ovest comprende
anche il vescovado di Como. Il Patriarca di Aquileia, unico in tutto l’Occidente, non
scenderà mai a Roma a rendere omaggio al papa “ad limina Petri” come tutti
gli altri vescovi; non sarà mai cardinale di Roma e quindi membro della Corte
papale, eccetto che nell’ultimo periodo dei patriarchi veneziani, che invece
ambiranno a quel titolo; userà sempre il “nos majestatis”ed il suo
appellativo sarà “Sua Celsitudine”; al
Concilio di Lione del 1245 il Patriarca di Aquileia, Bertoldo di Andechs,
pretenderà una cattedra uguale al Papa per sottolineare l’origine apostolica
anche della sua Chiesa. Inizialmente il Patriarca viene eletto dal “Clerus populusque
aquilejensis” e Roma si limita alla concessione del Pallio (lunga stola bianca
ornata di sei croci). Successivamente Roma formula la teoria della
“confirmatio” (spetta cioè al Papa confermare o no l’avvenuta elezione);
poi esprime la “riserva” (spetta al Papa provvedere alla sede vacante se
l’elezione canonica del patriarca è inficiata da qualche vizio); poi avoca a
sé la “consecratio” (è il Papa che consacra il Patriarca). Lo Stato Patriarchino durerà ben 343 anni, durante
i quali la Carnia conoscerà un periodo di discreta autonomia e indipendenza. Il
Parlamento della Patria o “Colloquium Generale” (che si riunisce al
bisogno di volta in volta nei centri più importanti della Patria) è il massimo
organo consultivo-deliberativo del Patriarca, in cui sono rappresentate le tre
classi: nobili (30 membri), clero (14) e comunità locali
(16). I contadini o servi di masnàda (sotàns) non hanno alcun
diritto o rappresentanza. La Carnia vi è rappresentata dal Preposito di S. Pietro,
dal Gastaldo (dal longobardo Gast-ald, amministratore dei beni del sovrano)
della Magnifica Comunità della Terra di Tolmezzo, da cui dipende quasi tutta la
Carnia, e dall’abate di Moggio, che ha giurisdizione anche sulla pieve di
Gorto di Ovaro, da cui dipendono le chiese di Zovello e Cercivento, unica nella
Valle del But a non fare parte del Capitolo di S. Pietro. Il latino ecclesiastico è la lingua ufficiale per ogni
documento ed atto pubblico; il tedesco è l’idioma delle classi
altolocate e della corte del Principe-Vescovo. Il friulano (con tutte le
sue varianti locali), pur iniziando in questo periodo ad avere dignità
letteraria, è l’espressione del popolo e si arricchisce di tedeschismi: gàtar,
rincjn, daspâ, flic, bìsches, vignarûl, ràine, ròne, sterz, bêz, gosse.
Tedeschizzati saranno anche i nomi delle maggiori città: Weiden (Udin), Aglaar
(Aquilee), Klemaun (Glemone), Peitscheldorf (Vençon), Österich (Civitât), Schönfeld
(Tumieç). Ogni comunità locale intrattiene rapporti peculiari con
l’autorità del Patriarca il quale concede ampi e diversi spazi di autonomia
in relazione alla situazione geo-politica locale. Il Patriarca governa
civilmente mediante un Luogotenente, dimorante a Udine; Gastaldi
(come a Tolmezzo, Cividale e Fagagna); Capitani, nei Quartieri; Gismani
(dal tedesco Dienst-mann, uomo di servizio, ministeriale) dislocati nei castelli
e fortificazioni lontani (Ognissanti a Sutrio, Moscardo a Paluzza ecc.).
Quest’ultimi hanno l’obbligo di vassallaggio nei confronti del Patriarca e
di fornire ognuno, in tempo di guerra, tre uomini armati a cavallo. Gli abitanti dei vari villaggi si organizzano in Vicinìa
(dal latino “vicus” villaggio o paese, da cui “vicilla” piccolo
paese, che poi si contrae in “villa”). Essa è un’ aggregazione di
più nuclei familiari, a capo dei quali viene eletto annualmente un
capofamiglia, che assume l’appellativo di Merìga (o Degano-Dean),
il quale presiede l’ assemblea (Arengo) ogni volta che se ne ravvisi la
necessità. Si eleggono anche due Giurati che hanno il compito di
coadiuvare il Meriga; si scelgono pure l’ ”Armentarius” ed il
“Porcarius” cui viene affidata l’incombenza di vigilare le comuni greggi e
le mandrie al pascolo: da qui nascerà poi la consuetudine del ”ròdul”. Le Vicinie concorrono a formare il Quartiere, presieduto
dal Capitano, eletto dai Merighi delle varie Vicinie adunati in assemblea di
Quartiere (Comandària). Ogni Quartiere mantiene delle Cèrnide
(milizie armate locali) che insieme formano un battaglione di 500 soldati
archibugieri, con lo specifico obbligo di difendere i 13 passi della Carnia, tra
cui M. Croce e Promosio. Tali istituzioni dureranno immutate fino all’avvento
napoleonico. Lo Stato Patriarchino cesserà di esistere nel 1420 per
opera della Repubblica Veneta, che mal ne sopporta la concorrenzialità
economica e politica. Venezia, dopo decennali provocazioni e con il tacito
appoggio del Papato, sfruttando abilmente le discordie tra i nobili friulani ed
alleandosi anzi con alcuni di essi (i Savorgnan di Udine), occuperà “manu
militari” tutto il Friuli in poche settimane in una guerra di efferata crudeltà,
approfittando anche dell’assenza del Patriarca, Lodovico di Tech, recatosi in
Ungheria a cercare aiuti. Vano sarà ogni suo successivo tentativo militare di
riconquistare la Patria del Friuli, caduta definitivamente nelle mani di
Venezia. Il 4 giugno 1420 Udine sarà costretta alla resa incondizionata
alle truppe veneziane e a sborsare ben 30.000 ducati per evitare il saccheggio (Marin Sanudo).
Il ducato è una moneta d’oro puro, coniata a Venezia fin dal 1284; pesa gr
3,55; nel sec. XVI prenderà il nome di zecchino e sarà moneta corrente in
Europa fino al 1797. Anche la Carnia, temendo il peggio, il 16 luglio 1420,
attraverso un’ambasceria di Simone Lotorio quondam (= fu) Candido e Alessio
quondam Abramo, farà “supplichevole atto di dedizione e di sottomissione”
alla Repubblica Veneta, il cui Senato, il 9 settembre 1420, dichiarerà:“Quello
che abbiamo fatto contro la Patria lo abbiamo fatto soltanto per assicurare il
nostro Stato...”. Venezia soggiogherà così e provincializzerà il Friuli e la
Carnia e li inserirà nel contesto italiano, dopo quasi 400 anni di singolare
germanizzazione temperata sempre dalla latinitas della Chiesa cattolica. Questo periodo patriarchino ha registrato momenti turbolenti e
violenti, ma ha offerto alle varie comunità locali interessanti spunti di
iniziale democrazia e di reale autonomia, assolutamente sconosciuti nel resto
d’Italia. Il
Patriarcato di Aquileia, ridotto grandemente anche nella sua giurisdizione
episcopale, continuerà la sua attività esclusivamente ecclesiastica (in
spiritualibus) per altri 331 anni, con patriarchi esclusivamente veneziani, fino
al 1751, quando il Patriarcato di Aquileia verrà definitivamente soppresso.
( 1420 - 1797 ) Il dominio della Serenissima dura 376 anni, durante i
quali Venezia accresce la sua importanza, diventando una delle grandi potenze
europee, sotto l’egida del leone di S. Marco. Nell’828 le spoglie
dell’evangelista, trafugate dai veneziani da Alessandria d’Egitto, erano
state traslate a Venezia, che era alla ricerca di un prestigioso sigillo
storico-religioso. Da allora S. Marco verrà dunque ricordato più
come tardivo protettore di Venezia che come probabile evangelizzatore di
Aquileia. Nel 1451 il papa Nicolò V, su insistenti pressioni di Venezia,
sopprime la sede patriarcale di Grado (rimasta sempre fedele a Roma anche nel
periodo dello scisma aquileiese dei ”Tre Capitoli”) e trasferisce il titolo
di Patriarca al Vescovo di Venezia, che finora è stato suffraganeo di quello di
Grado. Il veneziano Lorenzo Giustiniani nel 1456 è così il primo Patriarca di
Venezia e tale titolo è ancora oggi prerogativa
del Vescovo di Venezia. Nel contempo, il titolo di Patriarca di Aquileia è da questo
momento, e fino al 1751, esclusivo
appannaggio delle grandi famiglie patrizie veneziane (Grimani, Barbaro,
Gradenigo, Delfino) le quali, mediante la nomina di un parente coadiutore con
diritto di successione, lo tramandano da zio a nipote o da fratello a fratello,
come fosse una privata questione di famiglia, tant’è che alcuni canonisti
odierni sostengono che le nomine dei Patriarchi, effettuate dopo il Concilio di
Trento (1545-63), potrebbero essere considerate quasi tutte invalide o illegali.
Il Patriarcato di Aquileia tuttavia, nonostante il suo drastico
ridimensionamento temporale ed ecclesiastico del 1420, continua a rappresentare,
con la sua pretesa “apostolica e primaziale”, un problema per la Curia
Romana. Aquileia possiede infatti una liturgia diversa, una croce diversa, una
disciplina canonica diversa, una pronuncia dogmatica particolare (il “Credo”
o “Simbolo” aquilejese), una giurisdizione “universale” su diocesi
suffraganee latine, tedesche e slave. Lo smantellamento del Patriarcato di Aquileia inizia
concretamente nel 1596 quando viene soppresso il rito liturgico
aquileiese (sostituito da quello romano) e si concluderà nel 1751 quando, su
insistenti pressioni della Casa d’Austria e di Venezia, verrà definitivamente
soppresso, anche dal punto di vista ecclesiastico. L’ultimo Patriarca, il
veneziano Daniele Delfino o Dolfin, sarà inspiegabilmente remissivo e, senza
troppa convinzione, scongiurerà il Papa di evitare la soppressione della Chiesa
di Aquileia. Dopo aver minacciato di ritirarsi nella sua casa privata di Venezia
(“Abbiamo casa in Venezia, se non ci vogliono ad Aquileia”), accetterà come
contropartita, nel 1747, la berretta cardinalizia “ad personam”, divenendo
così solo Arcivescovo di Udine, dove morirà il 13 marzo 1762. Con la Bolla Papale “Injuncta
nobis” del 6 luglio 1751, Benedetto XIV sopprime il Patriarcato e
istituisce due Arcivescovadi di pari dignità episcopale: quello di Gorizia, formalmente eretto il
18 aprile 1752, (con le diocesi suffraganee di: Como, Pedena, Trento e Trieste)
e quello di Udine, ufficialmente istituito il 16 gennaio 1753, (con le
diocesi suffraganee di: Feltre, Belluno, Capodistria, Ceneda(= Vittorio Veneto),
Cittanova, Concordia, Padova, Parenzo, Pola, Treviso, Verona e Vicenza).
L’Arcivescovado di Gorizia resta sotto la giurisdizione civile
dell’Imperatore d’Austria, quello di Udine sotto il dominio di Venezia. In questo periodo il Dominio veneziano in Carnia è
caratterizzato da un esclusivo e sistematico sfruttamento del territorio
e delle foreste a beneficio dell’Arsenale (ben 47 i boschi carnici
“banditi”, detti anche “Boschi di S. Marco” e poi in epoca moderna
“Consorzio Boschi Carnici”) e dall’imposizione di pesanti tasse, per
ben 4.500 ducati annui, sui commerci e sulla fluitazione del legname. Solo scarse contropartite verranno concesse ai carnici,
costituite per lo più da piccoli privilegi localistici e dal mantenimento dei
cosiddetti usi civici o proprietà collettive (alcuni pascoli,
taluni boschi, tratti di corsi d’acqua), riservati esclusivamente al godimento
degli abitanti “originari” della Vicinia e che saranno sempre causa di
continue lotte e controversie tra villaggio e villaggio, anticipatrici e
fautrici di quell’ individualismo e isolazionismo che caratterizzeranno la
Carnia fino al XX secolo. Saranno molte ma vane le proteste della Carnia, i cui uomini più
intraprendenti e meno ricchi prenderanno le strade del Nord per attività di
piccolo commercio ambulante (i cramârs , dal tedesco Krämer, merciaio)
o per impiantarvi successivamente botteghe di assoluto prestigio, magari dopo
aver “tedeschizzato” il proprio cognome (Morassi in Morasch, Moro in Mohr,
De Rivo in Von Bach ecc.). I cramârs dell’ Alto Bût e di Paluzza in particolare, con la
loro “crame” o “crasigne” (basto in legno provvisto di spallacci, per il
trasporto sulla schiena della mercanzia), approdano principalmente in: Austria
(15%); Ungheria, Moravia, Polonia (18%); Germania (56%); Patria del Friuli (2%).
Alla partenza o durante il passaggio, sostano per una preghiera nella chiesa di
S. Maria di Paluzza, dove incidono il loro “logo” sul muro dietro l’altare
ligneo, che ancora oggi esibisce decine di questi graffiti. Quelli dell’ Alto
Bût commerciano soprattutto in stoffe, provenienti dal porto di Venezia, che
essi acquistano in Patria tramite grossisti e negozianti locali. Questi cramârs
spesso invieranno doni preziosi alle loro chiese d’origine e, ipiù fortunati,
si faranno costruire delle belle case in Paluzza, sul cui portale spicca ancora
oggi il loro simbolo. Questa necessaria migrazione stagionale verso la Mittel
Europa (i cramârs rientrano solo per la fienagione nei mesi estivi), mette a
dura prova questi uomini che in alcuni Paesi europei vengono considerati
imbroglioni e traffichini, assimilabili ai “vu’ cumprà” odierni. I cramârs vengono a contatto con la nascente Riforma
protestante luterana, che a partire dal 1520, si diffonde nelle regioni
tedesche, sostituendosi lentamente alla confessione cattolica. Questi stessi
cramârs, al loro periodico ritorno in Carnia, porteranno queste nuove idee
religiose, le quali, dopo una prima limitata tolleranza e diffusione, verranno
implacabilmente contrastate dall’Inquisizione locale, con denunce e processi,
che solitamente si concluderanno con abiure, pubbliche penitenze e multe,
cosicchè la Riforma in Carnia verrà definitivamente soffocata. Solo gli ultimi decenni della dominazione veneta saranno
relativamente tranquilli, quando si
diffonderà la coltura del mais e del baco da seta, migliorerà la
tipologia delle case e delle chiese e nascerà l’industria tessile del
Linussio che darà lavoro per quasi un secolo a migliaia di carnici, che
diventeranno esperti “tessêrs”. La Serenissima, per un preciso e abile disegno politico, lascia
pressoché inalterati gli ordinamenti patriarchini. Verso il 1580, al Parlamento
della Patria affianca una nuova istituzione, la Contadinanza,
espressione autonoma degli uomini della terra. Entrambe queste Istituzioni
vengono però progressivamente svuotate di ogni reale potere e sottomesse al Luogotenente
veneziano, che dimora nel castello di Udine e che viene avvicendato dapprima
ogni anno, poi ogni 16 mesi. Vengono così sottratti cospicui diritti alla
Patria del Friuli: politici, economici, i tribunali d’appello. Il latino resta ancora la
lingua dei documenti più importanti, ma l’italo-veneto occupa via via
sempre maggiore spazio; la gente continua ad esprimersi in friulano, come
pure i preti nella predica e nell’ insegnamento della dottrina cristiana. A livello locale, permane la Vicinia,
assemblea dei Capifamiglia del villaggio, dalle cui fila viene eletto
annualmente il Meriga- a Paluzza l’elezione avviene sempre il 4 di
luglio- affiancato da due Giurati. La Carnia, che conta circa 150 Vicinie,
resta sempre suddivisa in 4 Quartieri: Socchieve, Gorto, S. Pietro, Tolmezzo.
Ogni Quartiere elegge il proprio Capitano; il quartiere di S. Pietro, che
comprende 36 ville, ne elegge due: uno “sopra” Randice ed uno “sotto”
Randice. Cleulis e Timau, essendo ville di confine, dipendono invece
direttamente dal Quartiere di Tolmezzo, sede del Gastaldo. La Vicinia costituisce una istituzione relativamente chiusa, per
essere ammessi alla quale i nuovi venuti debbono dare prova di serietà,
laboriosità e soprattutto debbono versare una quota concordata per usufruire di
tutte le opportunità del luogo (usi civici). Il Meriga convoca i Vicini
originari e quelli “non originari” per affrontare i vari problemi in una
pubblica riunione (Arengo) che, negli ultimi tempi di questa istituzione, a
Paluzza si svolge sotto “il volt dal Dech” in piazza della Fontana. Quando i
problemi interessano invece le vicinie di Paluzza, Casteons e Naunina, le
adunanze si tengono presso la chiesa di S. Nicolò di Lauzana. Chi non viene
ammesso alla Vicinia, rimane un “foresto” che non godrà dei diritti dei
Vicini e addirittura, quando morirà, verrà sepolto in una zona separata da
quella riservata agli originari. Durante il Dominio di Venezia i Turchi, a partire dal
1472, compiono diverse e sanguinosissime incursioni in Friuli (15.000 morti; 132
villaggi distrutti) ed anche un tentativo di infiltrazione in Carnia, attraverso
il passo di Lanza (Lance di Paularo), coraggiosamente presidiato da un manipolo
di carnici. Nel 1647 la Serenissima, avendo
estremo bisogno di denaro fresco per sostenere la guerra di Candia, trasforma la
Gastaldia della Carnia in Contea e la mette all’asta al migliore offerente.
Per 40.000 ducati, nel marzo dello stesso anno, l’intera Carnia
è venduta ad una Società, formata da un Manin, due fratelli Antonini, tre
fratelli Camuzio e due fratelli Pianesi, quest’ultimi di Tolmezzo. Ma i
reclami dei carnici contro questa vorace “Società
Finanziaria” sono molteplici e rabbiosi così che, il 3 dicembre 1653, il
Senato Veneziano ripristina la situazione precedente, mentre ai Soci Finanziari
non resterà che il titolo onorifico di “conte”. Nel 1797 la Serenissima Repubblica (o “La Dominante”) cade
per consunzione propria sotto la prorompente vitalità di Napoleone il quale,
con il trattato di Campoformido, cederà formalmente all’Austria il Veneto ed
il Friuli.
( 1797 e 1805 - 1813 ) Il 3 maggio 1797 Napoleone dichiara pretestuosamente
guerra alla Repubblica di Venezia, già indebolita da una lunga crisi economica
e politica. Il 9 maggio i Quartieri della Carnia, dopo la fuga dell’ultimo
Luogotenente della Serenissima Alvise Mocenigo, provvedono a nominare i propri
rappresentanti per prepararsi ad ogni eventualità. Il 16 maggio questi
Rappresentanti, riuniti a Tolmezzo, dichiarano di volere mantenere la Carnia
unita come Provincia e non aggregata al bellunese. Il 18 maggio il Capo di
Brigata Valorj, comandante la Provincia di Carnia e Cadore, dirama un proclama
da Pieve di Cadore affinchè tutti difendano la libertà e restino uniti. Il 30
maggio viene promulgato il nuovo Regolamento per la Provincia della Carnia. Ma Napoleone non rimane soddisfatto di queste soluzioni locali e
annulla tutto. L’intero Friuli, dal Livenza all’Isonzo, costituirà un unico
Distretto, governato da Udine da un generale di divisione francese, affiancato
dai rappresentanti locali. La Carnia è rappresentata solo da Pietro Jacotti,
giovane avvocato di Arta. Il 17 ottobre 1797, a seguito del
trattato di Campoformido, che prevede la cessione all’Austria
del Friuli, i francesi lasciano la Carnia. Il 6 febbraio 1798 il conte Wallis,
comandante austriaco dell’Armata in Italia, proclama la soppressione di tutti
gli organi di emanazione francese e ripristina tutte le istituzioni esistenti
prima del 1796. La situazione, già precaria dal punto di vista politico e
sociale, diventa ulteriormente instabile e confusa. La nuova sconfitta dell’Austria però, da parte di Napoleone ad
Austerlitz (2 dicembre 1805), rimette tutto in discussione e l’Austria è
costretta il 26 dicembre dello stesso anno con la pace di Pressburg a cedere
nuovamente ai francesi il Veneto ed il Friuli che vengono così a fare parte del
Regno Italico di Napoleone. L’occupazione militare del Nord Est italiano da parte dei francesi invasori dell'esercito napoleonico è caratterizzata da
continue azioni vandaliche: saccheggi, spoliazioni, profanazioni di chiese,
saccheggi sacrileghi, stupri violenze e uccisioni, non solo nelle grandi città ma anche nei paesi di Carnia.
Si va affermando dunque una sempre più intensa centralizzazione del
potere, con la istituzione del Prefetto, che resterà immutata fino ai giorni
nostri. A livello locale vengono soppressi il Parlamento della Patria, la
Provincia della Carnia, il suo Gastaldo ed i suoi Quartieri. Si istituisce il Dipartimento
di Passariano, che si estende dall’Isonzo al Tagliamento, con esclusione
della Bassa, la quale fa parte del Dipartimento dell’Adriatico.
Il Dipartimento di Passariano comprende 7 Distretti:
Udine, Latisana, Codroipo, S. Daniele, Tricesimo, Gradisca e Tolmezzo. Il
Distretto di Tolmezzo a sua volta è suddiviso in 5 Cantoni: Cantone di
Tolmezzo, di Rigolato, di Ampezzo, di Resiutta e di Paluzza. Il Cantone di Paluzza comprende tutti i paesi dell’Alto But che
costituivano il vecchio Quartiere di S. Pietro, oltre a Paularo, Timau e Cleulis.
Tutta l’Autorità civile e politica deriva dal Prefetto che amministra il
Dipartimento. Localmente si aboliscono le Vicinie che vengono fuse in un nuovo
Istituto, il Comune o Municipalità, che è costituito da almeno
3000 abitanti, con a capo il Sindaco (non più il Meriga) direttamente
scelto dal Prefetto, il quale designa anche i due Anziani che affiancano
il Sindaco ed i consiglieri comunali in base al censo di ognuno, cioè
alla propria capacità contributiva: coloro che non sono in grado di pagare le
tasse non possono infatti ricoprire alcuna carica pubblica. Il 18 ottobre 1813 Napoleone viene sconfitto a Lipsia ed il
vice-re d’Italia Eugenio si ritira fino all’Adige, lasciando libero accesso
agli austriaci che il 25 ottobre entrano in Udine guidati dall’Arciduca Carlo
che viene acclamato dal popolo come un liberatore dall’insostenibile giogo
francese. A Paluzza rientra l’unico reduce sopravvissuto alle lunghe ed
estenuanti campagne napoleoniche: Giuseppe Silverio, di assoluta fede giacobina.
In Carnia ritornano così gli austriaci ma “si comportano come fossero di passaggio”, requisendo e razziando qualsiasi cosa. La situazione resta confusa e incerta ancora per alcuni mesi, fino all’aprile 1815. ( 1798 - 1805 e 1813 - 1866 ) Con il Congresso di Vienna (1814) avviene la Restaurazione e le
monarchie europee ripristinano lo statu quo, sotto l’ abile regia del ministro
degli Esteri austriaco, Metternich. Nell’aprile del 1815 finisce anche in Carnia un periodo incerto
di interregno perché l’Austria proclama il Regno Lombardo-Veneto, con
due capitali amministrative: Milano e Venezia. Gli amministratori centrali come
quelli periferici (Delegati provinciali e Commissari distrettuali) sono di
nomina imperiale. I Comuni di origine napoleonica sono ancora oggetto del controllo
centrale, che impone periodici censimenti, statistiche, rilevazioni, liste di
leva. Nel 1816 l’Anagrafe viene affidata nuovamente ai Parroci che divengono
quasi dei funzionari governativi. I Comuni
inoltre vengono suddivisi in Autonomi e Assistiti. Nella nostra Valle tutti i Comuni sono “assistiti”, per cui
ad ogni atto è sempre necessaria la presenza dell’ I.R. (Imperiale Regio)
Commissario Distrettuale che ha sede a Paluzza. In questi Comuni “assistiti”
non esiste il Consiglio Comunale elettivo ma solo il Convocato, cioè
l’adunanza dei capifamiglia, indetta al bisogno per discutere dei problemi. Al
posto della Giunta, vi è la Deputazione Comunale, costituita da tre
cittadini deputati ad amministrare il Comune sotto lo stretto controllo
dell’I.R. Commissario Distrettuale, il quale a sua volta è sotto la
tutela dell’ I.R. Delegato Provinciale: tutti questi funzionari sono di
esclusiva estrazione locale, scelti dall’autorità austriaca in base al censo
di ognuno. Il Primo Deputato avrà una sorte di primato sugli altri due. Questo impiego di elementi locali qualificati creerà una
burocrazia efficace ed efficiente, che controllerà tutto e vorrà rendersi
conto di ogni spesa, ma solo “a posteriori”, chiamando così ciascuno a
rispondere personalmente delle proprie azioni solo al termine del mandato o alla
realizzazione di un’opera. L’Austria lascia pressoché inalterati gli ordinamenti
napoleonici, muta qualche nome (Distretto invece di Cantone), dà maggiore
importanza ai Comuni Autonomi e restaura alcuni privilegi. Ma soprattutto
sopprime alcune imposte (tassa sul sale e sovraimposta fondiaria) e ne
diminuisce altre, come “il focatico” (tassa sui nuclei familiari) e il
“testatico” (tassa individuale). Rinnova anche il catasto fondiario, che sarà
accuratamente registrato. La vita in Carnia, in questi anni, scorre lenta e monotona,
con i suoi ritmi secolari, scanditi da un duro lavoro, all’ombra del buon
governo asburgico il cui impero europeo conta tantissime etnie. Il 1° maggio 1818 il papa Pio VII, su pressioni
dell’Apostolica Maestà Austriaca e del Patriarca di Venezia, con la bolla “De
salute dominici gregis” sopprime l’Arcidiocesi di Udine che cessa di
essere metropolita di tutto il Friuli e di quasi tutto il Veneto, degradandola a
semplice sede vescovile soggetta al Patriarca di Venezia, il quale diviene così
metropolita del Triveneto. In questa occasione l’Arcidiocesi di Udine viene mutilata di
ben 64 parrocchie che passano ad altre diocesi limitrofe, mentre ne acquista
solo 18 (quelle nuove della Bassa friulana). Nello stesso
anno l’Austria stacca dalla provincia di Udine il mandamento di Portogruaro e
lo associa a Venezia che non lo cederà più. Il 30 aprile 1846, il papa Gregorio
XVI (al secolo Mauro Cappellari, nato a Belluno da genitori carnici di Pesariis
colà emigrati) stacca anche il Cadore (tranne Sappada) dalla Diocesi di Udine e
lo trasferisce sotto la giurisdizione di Belluno. Nel 1847, il papa Pio IX restituirà alla Sede di Udine il titolo
di “arcivescovile e metropolitana”, ma senza diocesi suffraganee,
dichiarandola “immediatamente soggetta” alla S. Sede e non più al Patriarca
di Venezia. La gran parte del popolo friulano e la quasi totalità di quello
carnico resteranno “indifferenti e sospettose davanti ai fatti del Risorgimento
italiano”. Ciò spiega l’assenza in Friuli fino al 1848 (e successivamente
fino al 1866) di qualsiasi episodio insurrezionale anti-austriaco. Solo alcuni ceti borghesi coltivano l’elitaria idea
risorgimentale italiana, che resta però sempre estranea alla grande massa della
popolazione, la quale ha già spontaneamente avversato il giacobinismo
rivoluzionario francese anticattolico, precursore e ispiratore del successivo
Risorgimento liberal-massonico italiano. Tra i “Mille” di Garibaldi ci saranno solo 20 friulani ed un
unico carnico, Francesco Zamparo di Tolmezzo. Garibaldi stesso s’infurierà
nel 1866 contro i veneti ed i friulani perchè non si solleveranno
spontaneamente contro gli Austriaci. L’insurrezione di Udine del 23 marzo 1848 durerà solo fino al
21 aprile, quando i friulani si arrenderanno definitivamente al generale
austriaco Nugent. Palmanova resisterà fino al 24 giugno; Osoppo fino al 12
ottobre ed avrà l’onore delle armi. Nulla mai accadrà in Carnia, dove
l’Austria sa ben amministrare. Nel 1866, alla notizia della pace tra Austria e Italia e della
scontata annessione all’Italia, in Friuli “non vi fu la più piccola traccia
di manifestazione, come se si fosse trattato di una pace tra la Cina ed il
Giappone” confesserà stupito e rammaricato Quintino Sella.
( 1866 - 1943 ) Il 4 agosto 1866 Quintino Sella arriva in Udine come Commissario
del Re Vittorio Emanuele e lancia un vibrante appello agli italiani del Friuli. Ma le incerte operazioni militari ancora in corso portano ad un
singolare armistizio il 12 agosto: una immaginaria linea di demarcazione risale
il Tagliamento e divide il territorio italiano (a destra) da quello austriaco (a
sinistra del Tagliamento). La valle del Bût resta dunque occupata ancora dagli austriaci,
con grande imbarazzo dei pochi patrioti locali che hanno esaltato nelle
settimane precedenti l’annessione al Regno dei Savoia. Il 17 agosto il Comune
di Treppo viene informato che dovrà mantenere 200 soldati austriaci, ma
l’occupazione si limita solo a Paluzza che manda pressanti richieste di aiuto
ai Comuni vicini affinchè inviino generi alimentari e biade per soddisfare le
esigenze degli occupanti in ritirata. Da Paluzza gli austriaci inviano gendarmi nei vari paesi in
azione di controllo e di intimidazione. Intanto il Regio Commissario italiano,
che si è stabilito a Villa Santina, suggerisce
di boicottare gli austriaci. Solo con la pace di Vienna del 3 ottobre 1866, gli Austriaci
abbandonano Paluzza e la Valle e si ritirano oltre Monte Croce. Il 21 ottobre 1866 il Friuli e la Carnia vengono annessi al Regno
di Vittorio Emanuele II di Savoia con un plebiscito di comprovate
irregolarità: in Veneto e Friuli, su una popolazione di 2.603.009 abitanti,
votano in 647.426 abitanti e di
questi i contrari all’annessione sono solo in 69. La Provincia di Udine, che
comprende anche il pordenonese, esprime 144.988 voti a favore e solo 36 contrari
all’annessione. Il 21 novembre 1866 avviene la prima consultazione elettorale
politica sotto il dominio italiano: possono votare in pochissimi (a Ligosullo in
3, a Treppo in 15, a Paluzza in 16). Solo nel 1882 con la Legge Zanardelli viene
esteso il diritto di voto a chi ha frequentato con successo la seconda
elementare o può pagare una tassa annuale di lire 19,8; l’età è abbassata
da 25 a 21 anni. Con questi requisiti, gli aventi diritto al voto politico
raggiungono solo l’8% nella Valle
del Bût . Nel 1891 la posta arriva a Paluzza due volte al dì ed anche a
Treppo e Ligosullo. L’economia dei paesi si fonda principalmente su
agricoltura, silvicoltura e allevamento (mucche, capre, maiali e pecore). I
boschi costituiscono una vera riserva economica che rende molto ricco ad esempio
il comune di Ligosullo. L’artigianato è quello di sempre; i cramârs
diminuiscono grandemente di numero e vengono lentamente sostituiti da arrotini,
muratori, fornaciai e manovali. La viabilità è precaria: spesso i ponti sono
sostituiti dai guadi (Orteglàs, Mûse nell’Alto But) ed i ponticelli sono
instabili e stretti; le carreggiate sono spesso maltenute e di elevata pendenza.
L’ istruzione è affidata inizialmente ai parroci ed ai
cappellani-maestri; successivamente lo Stato si approprierà di questo
importante settore mediante la nomina di maestri abilitati, che saranno presenti
in ogni Comune. Il Regno dei Savoia dura, con la variante fascista
(1922-1943), fino al 1946, anno del referendum istituzionale che sancisce la
nascita della Repubblica Italiana. Durante questo periodo, anche la Carnia
parteciperà alle sanguinose guerre del 1915-‘18 e del 1940-‘45,
oltre che a tutte le vicende coloniali dell’Africa. Un altro emblematico aspetto sociale di questo periodo sarà l’emigrazione
dei friulani e dei carnici: una prima ondata, tra fine ‘800 e inizio ‘900,
sarà indirizzata verso l’America (Nord Est degli USA e Argentina) e gli stati
centro-europei (Ungheria, Romania,
Germania ecc.); da ricordare la peculiare emigrazione di molti cittadini di
Cleulis e Timau verso il Brasile, che durerà fino al 1920: più di 2000 sono
oggi i discendenti cleuliani e timavesi in terra carioca. Una seconda ondata
migratoria avverrà alla fine della prima Guerra Mondiale, e si proietterà
ancora verso alcuni stati europei (Francia, Svizzera, Lussemburgo ecc.). La
terza ondata emigratoria, che sottrarrà importanti energie alla Carnia, inizierà
subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e sarà diretta ancora verso
l’Europa del Nord (Benelux, Germania, Francia, Svizzera). Sarà una
emigrazione in parte stagionale, in parte definitiva. Chi rimane in Carnia
sopravvive secondo gli schemi di sempre. Coloro che, durante la prima ondata emigratoria, annualmente
rientreranno in paese, porteranno le prime idee socialiste, le quali poi
troveranno immediata concretizzazione nel movimento cooperativistico, che
nei primi anni del XX secolo, farà fiorire in Carnia numerose ed ancora oggi
valide realtà. ( 1943 – 1945 ) Il giorno 8 settembre 1943, l’Italia firma unilateralmente l’armistizio con le forze Anglo-americane che sono sbarcate al sud, suscitando le prevedibili reazioni dell’alleato tedesco. Il re fugge a Bari, l’esercito italiano si scioglie: è la morte della Patria. Mentre il Sud viene via via liberato dagli anglo-americani che risalgono seppure faticosamente la penisola, al Nord viene creata, con il determinante appoggio tedesco, la Repubblica Sociale Italiana con capitale Salò (RSI).
( 1946 )
Vittorio Emanuele III abdica il 9 maggio 1946 a favore
del figlio Umberto. La caduta del Fascismo e la sconfitta bellica impongono la
indizione di un Referendum istituzionale,
circa il sistema politico da adottare, che si svolge il 2 giugno dello stesso
anno. I votanti sono 24.946.942 pari all’89,1 % degli elettori. La Repubblica
raccoglie 12.717.923 voti (54,3%), mentre la Monarchia conta 10.719.284 voti
(45,7%). I voti non validi sono 1.509.735 (6,1%). Umberto II, conosciuti
i risultati del Referendum, il 13 giugno lascia Roma e si rifugia in esilio in
Portogallo. Il 28 giugno viene eletto Capo Provvisorio dello Stato Enrico
De Nicola. Ha inizio la Repubblica Italiana, che sarà governata per i primi
45 anni praticamente da un solo partito, quello dei cattolici, la Democrazia
Cristiana, sostenuta da altri piccoli partiti satelliti minori, in un contesto
di democrazia bloccata per l’impossibilità della opposizione comunista
di andare al Governo, per motivi di carattere internazionale (Patto di
Yalta-Crimea, tra Roosevelt, Churchill e Stalin che sottoscrissero le rispettive
“zone di influenza” politico-economico-militare). La Carnia, inserita definitivamente nella provincia di Udine,
vivrà di riflesso le medesime situazioni comuni al resto dell’Italia
repubblicana. Gli anni ’50 saranno dedicati alla ricostruzione
fisica e morale del Paese, uscito devastato dalla disastrosa guerra fascista di
aggressiva espansione. Gli anni ’60 saranno caratterizzati dal cosiddetto “boom”
economico, ottenuto mediante abbondante manodopera a basso costo e che avvierà
la motorizzazione di massa e permetterà un nuovo livello di benessere sociale.
Il 31 gennaio 1963 nascerà la Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia,
che comprenderà il Friuli storico (UD, PN, GO), cui verrà innaturalmente
aggiunta l’appendice di Trieste con il suo esile residuo retroterra (il
territorio “B” sarà definitivamente ceduto alla Jugoslavia). L’autonomia
di questa Regione resterà solo teorica, in quanto ogni legge promulgata dovrà
sempre avere l’avvallo del Parlamento romano. Il progetto politico autonomista
del Movimento Friuli, dopo un iniziale consenso elettorale, perderà
progressivamente la sua forza propulsiva, forse anche perché troppo concentrato
su temi prettamente culturali. Gli anni ’70, noti come gli “anni di piombo”,
conosceranno il terrorismo di Destra e di Sinistra e saranno infine dominati
dalle azioni criminali delle Brigate Rosse, che raggiungeranno l’apogeo della
loro parabola con il sequestro e l’assassinio del presidente della DC, Aldo
Moro, fautore della politica delle “convergenze parallele”, preludio del “consociativismo”,
il blocco storico tra maggioranza e opposizione comunista. Dopo quella sul
divorzio (1974), il 22 maggio 1978 sarà promulgata la Legge 194, che consentirà
l’aborto volontario in Italia. Gli anni ’80 vedranno una nuova ripresa economica
che coinciderà con la leadership del socialista Bettino Craxi, il quale
controllerà abilmente la scena politica italiana pur disponendo di un consenso
elettorale sempre limitato. L’azione democristiana e socialista di questi
anni, perseguendo una politica di pauroso deficit progressivo (democrazia del
deficit), degenererà successivamente in una diffusa corruzione (deficit di
democrazia) a tutti i livelli che sfocerà in una serie di incriminazioni (Tangentopoli-Mani
Pulite), la quale porterà sul banco degli imputati i principali
protagonisti di questo periodo storico, anche se poi quasi nessuno conoscerà il
carcere e molti verranno in seguito assolti; Craxi, per evitare il processo,
fuggirà in Tunisia, preferendo così un dorato e volontario esilio alla
prospettiva della reclusione. Tangentopoli, che morderà contemporaneamente
anche l’ “isola felice” del Friuli, inizierà significativamente proprio
dopo il crollo dei regimi comunisti all’Est (1989); successivamente in Italia
si scioglierà anche la DC, alla cui estinzione non sarà estraneo il maglio
giustizialista di un magistrato molisano che opera a Milano, Antonio di Pietro,
la cui azione, dopo aver spazzato via anche i partitini satelliti della DC, inspiegabilmente si arresterà. Subito dopo questi tumultuosi avvenimenti politici, giudiziari e
sociali, irromperanno sulla scena politica italiana degli anni ’90, la
“Lega Nord” e “Forza Italia”. La prima, già presente con Umberto Bossi
fin dal 1987, sarà espressione del malcontento popolare anti-romano e propugnerà
il federalismo; la seconda costituirà l’improvvisato contenitore
realizzato nel 1994 da Silvio Berlusconi, detentore di un impero televisivo, per
i dispersi dei vecchi partiti, rimasti orfani di un simbolo credibile, dopo la
bufera giudiziaria nazionale. Anche i partiti residui muteranno nome e simbolo
nel breve arco di pochissimi anni: il PCI diventerà prima PDS e poi DS, non
prima di aver dato luogo a scissioni (Rifondazione Comunista, Comunisti Unitari,
Comunisti Italiani); il MSI diventerà Alleanza Nazionale e assieme a FI darà
origine al Polo. La residua DC si trasformerà in PPI, da cui si distaccheranno
numerose altre sigle (CCD, CDU, CS, UDR, CDR, UDEUR) sparse tra il Centro e la
Destra. L’Italia entrerà a fare parte dell’Europa dell’Euro, la
moneta unica europea che entrerà in vigore il 1° gennaio 2002, nonostante il
grave deficit finanziario interno dello Stato italiano (2,3 milioni di miliardi
di lire) che preoccuperà non poco i partners europei; le tasse
aumenteranno sensibilmente; l’immigrazione extracomunitaria e
maggiormente quella clandestina troveranno in Italia un naturale approdo. Gli ultimi anni del XX secolo vedranno infine comunisti e
democristiani, fieri avversari per un cinquantennio, divenire stretti alleati e,
paradossalmente, dopo il crollo totale dei regimi comunisti europei, nel 1998
Presidente del Consiglio dei Ministri sarà per la prima volta un ex comunista,
Massimo D’Alema. Il 25 novembre 1999, lo Stato italiano, dopo oltre 50 anni dalla
promulgazione della Costituzione, riconoscerà ufficialmente la lingua
friulana, già episodicamente utilizzata da due decenni dalla Chiesa
cattolica nella liturgia locale. Nel frattempo la Chiesa avvertirà un progressivo calo di
tensione ed il numero dei preti andrà diminuendo, mentre la frequenza in chiesa
toccherà livelli minimi. La televisione contribuirà in maniera determinante
all’offuscamento dei valori umani e religiosi; l’informazione apparirà
sempre più omologata; il consumismo dilagherà in ogni settore; la passione per
il gioco e l’azzardo divamperà. La Carnia, soprattutto negli ultimi anni del secolo XX,
soffrirà di una progressiva emarginazione socio-economica e politica:
l’agricoltura e la zootecnia familiare saranno abbandonate, le Valli
tenderanno a spopolarsi, la disoccupazione crescerà, la viabilità resterà
quella di 50 anni prima, i problemi idrogeologici saranno solo in minima parte
risolti. Un senso di rassegnata frustrazione occuperà l’animo del
Carnico.
(Alfio Englaro, 3 gennaio 2000)
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