divider.gif (415 bytes)

 

 

 

I primi 10 interventi

  • Una singolare carriera ecclesiastica - KIPKOECH ARAP ALFRED - Da vèscul di Zuj a vescovo militare del Kenya

  • Una grande manifestazione di popolo - SCENSCE DOIMIL A S. PIERI - Cose mai viste, cose mai scritte

  • Una legittima aspirazione della Carnia - LA DIOCESI DI ZÚJ - Un fulgido passato che permea il presente

  • Origine delle Diocesi del Friuli - Rapida sintesi storica

  • Problemas pa Diocesi di Zùj

  • Preti per la Diocesi di Zùj - Una proposta con due obiettivi

  • TUTTE LE DIOCESI ITALIANE  Regione per regione - Chê di Zuj inmò a no è

  • La provincia della Carnia e la Diocesi di Zuglio (in friulano)

  • La provincia della Carnia e la Diocesi di Zuglio (in italiano)

  • Un tetto bugiardo che copre vergogne 

Secondo gruppo di interventi

 
  • Il cerimoniale (immagini del libro)
  • In viaggio da Zuglio ad Aquileia
  • IL FURLAN lenghe liturgjche
  • DIOCESI DI ZUGLIO valorizzerebbe anche Udine
  • LA GLESIE MARI BANDONADE
  • IN SICILIA SI’, IN CARNIA NO. PERCHE’?
  • PREGHIERA di un prete PER LA DIOCESI DI ZUGLIO
  • CHIESA UDINESE - (TROPPO) IMPEGNO PER OBIETTIVI (TROPPO) POLITICI
  • IN CALABRIA SI, IN CARNIA NO. PERCHE’?
  • CARNIA  ritorna Beleno

Terzo gruppo di interventi

 
  • LO STUPORE DEGLI ATTI - DIOCESI DI ZUJ : quattro righe
  • VEXATA QUÆSTIO - Il malessere dei preti
  • Il territorio della Diocesi di Zuglio
  • DIOCESI DI ZUGLIO -
  • “ZUGLIO una diocesi negata” - Un video istruttivo e chiaro
  • SCENSE 2001- Una presenza significativa, Un’assenza inattesa

  • 1751 - 6 LUGLIO - 2001 - Un triste anniversario, un mesto compleanno

  • UN PALLIO VIRTUALE Per l’Arcivescovo di Udine

  • LA DIOCESI DI ZUGLIO
    Come quando dove è nata questa IDEA-PROGETTO

  • SULLA NECESSITA’ DI RIPRISTINARE LA DIOCESI DI ZUGLIO (in friulano e italiano)

Quarto gruppo di interventi

  • IL PIU’ ANTICO BATTISTERO DI CARNIA

  • COLLE ZUCA - Una testimonianza forte, un segno di speranza

  • Lettera del Centro Amicizia e Libertà alla curia

  • “QUESTO CONVEGNO NON S’HA DA FARE, NE’ DOMANI NE’ MAI”

  • RECUPERO DEL TITOLO DI ZUGLIO

  • I Preti di Carnia

  • Scense 2003

  • Copertina della Cassetta VHS dedicata alla Diocesi di Zuglio

  • Una ciotola di riso per i “cjargnei cence Diu”

  • VOLEIS UN VESCUL E NON VEIS NENCJE PREIDIS  
 


Diocesi di S. Pietro 

Se è vero che “il ricordo“ è la più bella delle esperienze umane e che  l’ “esse est reminisci” dei filosofi rappresenta la vita stessa dell’uomo, ricercare le proprie radici nella storia e tradizioni positive del passato è segno di intelligenza e buon gusto, e di riconoscenza e amore per quei protagonisti che creando la storia della nostra terra ci hanno lasciato in eredità quel patrimonio di civiltà sepolta che è dovere di ogni friulano e carnico riscoprire e riportare alla luce.

Oscar Wilde in uno dei suoi paradossi dice che “non è compito dell’arte diventare popolare ma è compito del popolo diventare artistico”. Sarebbe a dire che quando l’uomo diventa artistico diventa anche artefice, artefice ed artista allo stesso tempo sia nel creare che nel ricreare. E si ricrea quando si restaura, quando valutando il reperto si decide il tipo d’intervento da fare, se conservativo, di ripristino o di rifacimento.

Nella storia del Friuli e della Carnia molte cose buone e belle sono state soppresse, abolite o sepolte dalla ragion di stato, dal dominio longobardo ad oggi. Tra queste la soppressione del vescovado di Julium Carnicum, del Patriarcato d’Aquileja, del Capitolo Canonicale di S.Pietro e della medesima provincia della Carnia che con privilegio di valore costitutivo, istituita nell’anno 1392 dal patriarca Giovanni Sobieslav e riconfermata dall’anno 1420 dai dogi della Serenissima, si mantenne fino all’arrivo di Napoleone.

Benché i tempi siano cambiati l’assetto politico e religioso del Friuli pur rispondendo ad esigenze di ordine economico-amministrative di tutto rispetto, poco o nulla tiene in conto quelle legittime aspirazioni affettive ed emotive che costituiscono la vita e l’anima di un popolo. Un popolo che pur apprezzando il valore di una buona e sana economia, non sentendosi schiavo della medesima tenta di colmare il vuoto generato dal consumismo, riproponendo quelle “quidditas“ del passato che forse oggi sono più che mai attuali per dare stimolo, esempio, coraggio e novità a quello sbiadito vivere contemporaneo che privo di ideali, di certezze e spiritualità, schopenauerianamente conduce alla monotonia ed alla noia del quotidiano. Una di queste “quidditas“ riproposta, è la ricostituzione dell’antica diocesi di Julium Carnicum, particolarmente sentita dai carnici e dagli autori di questo fascicolo(predisposto in occasione della Scensce 2004) che ne hanno raccolto il pensiero.

Le motivate argomentazioni che essi esprimono, con confronti, dati alla mano e oggettive prospettive di ordine pastorale-filantropico-religioso, a prescindere dalla reale possibilità del suo realizzo, restano la diretta testimonianza di una risorgente volontà e desiderio di patria, di etnia e  di famiglia, non certo frutto di nostalgie peregrine, ma di sentimenti che nascono da un popolo legato profondamente alla sua terra, alle sue tradizioni, alla sua fede.

Una simile iniziativa  dovrebbe essere intrapresa anche per la ricostituzione del Patriarcato d’Aquileja. Anzi, se  consideriamo l’autorità metropolitica che  il patriarcato aveva fino all’anno 1751, data della sua soppressione, oggigiorno Julium Carnicum  sarebbe di sicuro la prima diocesi suffraganea della ripristinata istituzione, seguita possibilmente da Cividale e San Daniele che a giusto titolo per la loro particolare dislocazione potrebbero equilibrare  il territorio dell’attuale vasta arcidiocesi.

Il Friuli tutto dovrebbe rivendicare a gran voce questa restituzione, non tanto per campanilismo, quanto per compensazione del disprezzo, umiliazioni e maltrattamenti, che i vari stati finitimi nelle trattative con la Santa Sede, hanno inflitto alla “Patria“ nel corso degli ultimi tre secoli. Anzi, la Santa Sede in considerazione delle gloriose origini della vetusta sede episcopale dei Santi Marco ed Ermacora, entrambi discepoli diretti di S.Pietro, dovrebbe “de jure“, concedere in perpetuo al ripristinato patriarcato, anche il cardinalato che rese illustre la sede di Udine nel corso di un secolo  dal 1657 al 1762.

E non è da escludersi l’umiliante situazione politica attuale che vede tutto il Principato Patriarcale, ( Il Friuli ) suffraganeo di un capoluogo di regione che gli spetterebbe di diritto per territorio, popolazione, storia e dislocazione logistica.

A una rivendicazione siffatta si potranno addurre  riserve di ogni tipo, soprattutto di ordine economico e giurisdizionale e non escluse quelle di orientamento e indirizzo della Conferenza Episcopale. Similmente molti esponenti del laicato cattolico con saccenza diranno che ci sono cose molto più importanti e urgenti di cui occuparsi, diranno come il discepolo del vangelo che rimpiange il profumo di nardo versato sul capo del Cristo: “che spreco“ ! 

Ma lasciando la risposta al Cristo per tanto zelo, quando un desiderio è popolarmente sentito, si può rispondere solo col più popolare dei proverbi: “VOX POPULI, VOX  DEI”.

Giovanni CANCIANI di Paularo

      
                                                                           

 

VOGLIA DI FUTURO 

Se avete voglia di incontrare alcune buone ragioni per vivere e continuare a crescere i vostri figli in questa terra avara e disagiata, partecipate personalmente a questi appuntamenti: ricorrenza di S. Floreano, salendo da Ileggio o Imponzo verso la pieve omonima, rogazioni della Pieve di S. Maria di Gorto, Bacio delle Croci a a S. Pietro, benedizione del mazzo di S. Giovanni B. a  Cercivento. Mi fermo qui, ma solo per economia di spazio.

La nostra società non ha tempo né voglia per fermarsi a riflettere sui valori che hanno determinato la vita dei nostri avi per secoli e secoli. La coltivazione della terra, le forze della natura, lo spirito delle comunità, la fede in Cristo. Oggi ci sono gli anticrittogamici, gli antibiotici per cristiani e animali, le previsioni del tempo con anticipo di settimane, la televisione che fa popolo globale attorno ai modelli di consumo; e la fede rischia di rimanere solo un anello all’anulare sinistro.

Qui da noi per fortuna tira ancora un’aria profumata di valori. Un’aria esportabile, proponibile, educatrice.

Certo non abbiamo sacerdoti, e senza soldati l’idea di una compagnia con il solo capitano potrà far ridere; ma l’idea si è fatta proposta affinché quel capitano sia  modello per tanti spettatori muti ma interessati, in una terra che ha gli elementi per proporsi e tante cose perdute che qui sono state conservate e possono ridiventare esempio per tutti.

Il vento che soffia tra gli alberi porta tante voci di speranza.

Speranza dalla fondazione della Pouse di Cougnes, centro ecumenico nato alle radici della plurisecolare Cattedrale di S. Pietro, che raccoglie varie iniziative volte proprio a valorizzare questo patrimonio umano, naturale e spirituale; speranza dalle tante vocazioni laiche, dalla voglia di avere un nostro corso di teologia che prepari la strada ad un rinnovamento interno alla chiesa che pare inevitabile e certamente segno di una svolta storica; speranza nella sempre maggior partecipazione del popolo agli incontri di matrice religiosa e alle funzioni; speranza nella acquisita consapevolezza che le nostre chiese sono casa nostra e bandiera del nostro ricco passato e non proprietà della soprintendenza o peggio terra di nessuno; speranza nei discorsi della gente che incomincia a riscoprire quanto è bello essere diversi, vivere  tra questi boschi e questi colori, tra queste pietre e queste acque, lontani dalla città e dalle sue comodità, ma vicini gli uni con gli altri perché figli degli stessi ideali che hanno unito gli avi da S. Marco ad Ermacora, Fortunato e tutti i nostri Santi; speranza infine in questo ritrovato orgoglio della nostra gente per le proprie tradizioni, per la propria lingua, per la propria arte, per la propria cultura, per il proprio museo, per la propria storia, per le proprie case, per i propri mobili, per i propri vecchi e per tante cose ancora che hanno fatto unica questa nostra  montagna. Che bello essere carnici, dico io, anche se siamo rochs, anche se siamo salvadis, anche  se non abbiamo la boutique di Armani e un solo cinema dove le prime sono le terze di tante sale di città. Anima della Carnia risorgi e facci dire che non ce ne frega niente! Abbiamo la nostra identità, abbiamo la nostra cultura, abbiamo tanti ricordi.

Non hai nulla da imparare, Carnia mia, dall’America, dai libri, dalla TV. L’esperienza dei tuoi abitanti ti ha fatto grande, ti ha cresciuta, ti ha arricchita. Tornino i nostri Crocefissi, i nostri Santi, le nostre Madonne, i nostri ricordi, di cui  ne abbiamo abbastanza per coprire i muri di tutto il Friuli e riempire il cuore di tutto il mondo.

Il tesoro della Carnia non è nel contributo delle spese di riscaldamento e nelle rimesse di nostri emigranti, ma si trova nelle campane che suonano l’Ave Maria, nelle Croci del Bacio dalla Scense o della Pleif di Guart  e nel Mac di S. Juan che quando non sapremo più cos’è non basteranno tutti i fioristi del mondo per procurarlo.

 Renato Garibaldi di Carcivento   

SCENSCE 2004 - Un buon seminato (sperìn) 

La festività della Scensce del 23 maggio 2004 si è caratterizzata per un aspetto negativo e per due novità che, se non ora, certamente in seguito, potranno avere delle ricadute positive per il popolo di Carnia.

L’aspetto negativo innanzitutto: è costituito dalla persistente assenza delle croci di CERCIVENTO, PAULARO, ILLEGIO, TOLMEZZO, CAVAZZO E AMARO e di poche altre, i cui sacerdoti ritengono evidentemente che l’incontro dei fedeli sul Colle di S. Pietro non sia fondante e unificante per la Chiesa di Carnia, ma resti solo una manifestazione folcloristica limitata alla valle del But. Alcuni preti anzi considerano il BACIO DELLE CROCI alla stregua di una festività parrocchiale come quelle di S. Floreano o di S. Ilario o della Madone dal Clap o dal Mac di San Zuan. Altri addirittura le antepongono la pur splendida Rogazion di Guart (riesumata o creata solo 15 anni fa e ora annualmente itinerante nelle varie parrocchie dell’antico arcidiaconato di Gorto), la quale tuttavia non esprime certamente quel carattere unificante per tutte le Valli e quella tipica “carnicità”, quale è invece da tutti percepita nel rito del Bacio delle Croci della Scensce, che, proprio per questo, richiama fedeli dai monti, dai colli e dal piano. Per scansare critiche o non dover accampare imbarazzanti giustificazioni, alcuni parroci, “ostili” a S. Pietro di Zuglio, hanno addirittura fissato nel giorno della SCENSCE la festa della PRIMA COMUNIONE nella propria parrocchia, proprio per accreditare un impegno improrogabile per quel giorno ed evitare di mandare croce e fedeli a S. Pietro. Poi magari questi stessi preti istituiscono veglie ecumeniche di preghiere UT UNUM SINT, senza accorgersi forse che il loro atteggiamento locale, se proprio non divide, certamente contribuisce a disunire ancora di più la Carnia. Ma così vanno le cose quassù, anche in ambito ecclesiastico! Figurarsi poi in altri ambiti! Biade Cjargne e… biâts predis, per molti dei quali l’unico mezzo di aggiornamento è il MV (immagine di pre Toni Beline)!

E vediamo ora gli aspetti positivi.

La prima novità è stata il volumetto LA DIOCESI DI ZUGLIO distribuito gratuitamente in 300 copie sul Plan da Vincule (erano accettate offerte libere per la Pouse di Cougnes; totale raccolto: quindici euro!). Si è trattato di un fascicolo molto semplice e pulito tipograficamente, in cui sono stati raccolti alcuni degli scritti più significativi sulla Diocesi di Zuglio, comparsi negli ultimi 4 anni sulla stampa locale, sul sito internet “cjargne online” o nelle tv locali e sui “Quaderni di Cultura timavese”.

Ben 27 sono stati gli articoli riportati, molte le tabelle esplicative, due le cartine storiche. Ha ulteriormente valorizzato il volumetto un intelligente articolo di apertura da titolo “Diocesi di S. Pietro” del maestro Giovanni Canciani, padre della Mozartina di Paularo e autore dell’Inno di Carnia “Carnorum Regio” il cui spartito è pure stato inserito nel testo. Canciani ha tracciato un sintetico profilo storico agganciato al presente, in cui si sostengono criticamente le richieste e le idee del gruppo degli autori. Anche Renato Garibaldi ha portato il suo contributo “Voglia di futuro”, in cui ha ripreso il tema della “carnicità” intesa come summa di esperienze, ambienti, saperi. Pre Toni Bellina ha lasciato un suo intervento in friulano in cui ha ribadito che il popolo deve continuamente proporre e sollecitare il clero, poco incline a volte all’ascolto del popolo di Dio o distratto su altri temi.

L’ideatore di questa piccola ma importante iniziativa editoriale è stato Marino Plazzotta di Treppo, che ha speso molto del suo tempo per realizzare questo breve vademecum sulla diocesi di Zuglio; gli altri co-autori sono stati Stelio Dorissa di Zuglio e Alfio Englaro di Paluzza; tutti insieme sono stati anche auto-finanziatori dell’iniziativa che non ha avuto dunque alcun sponsor. Marino Plazzotta ha significativamente voluto che la copertina del volumetto richiamasse esplicitamente il target tipografico del volume degli ATTI DEL CONVEGNO DELLA MONTAGNA svoltosi a Tolmezzo nel 2000, quasi a sollecitare il medesimo impegno della Chiesa udinese nei confronti della Diocesi di Zuglio e più concretamente della Carnia. Anche se taluni passi sono sembrati a taluni un po’ critici o polemici, occorre valutare la stesura nel suo complesso, nel cui contesto sono possibili (e auspicabili) spunti di riflessione o, come dice Marino, di meditazione.

La seconda novità positiva di questa Scensce 2004 è costituita dal Iuliensis sermo, tenuto in rigoroso idioma cjargnel da Don Tarcisio Puntel, cui è toccato quest’anno, in qualità di canonico di S. Pietro, il compito di rivolgere la parola ai presenti. Dopo un breve cenno storico sulla tradizione del bacio delle croci, che risale a circa 1000 anni fa, don Tarcisio ha intrattenuto i numerosissimi fedeli su una tematica attuale e assai spinosa: la fuga dei giovani dalle valli di Carnia. Don Tarcisio ha enumerato i vari motivi che indurrebbero tutti alla fuga da queste nostre valli, ma ha subito prospettato come l’arresto di questa fuga non potrà mai essere determinata solo dal progresso, che spesso non risolve affatto i problemi secolari della Montagna. Don Tarcisio ha allora evidenziato tutti gli aspetti positivi che la Carnia offre oggi alle persone che scelgono di vivere qui nonostante tutto ed ha affermato che la Carnia oggi sa dare molto di più di quanto non ci si renda conto: basta guardare dentro e attorno a noi. Citando poi il poeta carnico Leonardo Zanier e parafrasando la sua opera più famosa LIBARS DI SCUGNI LÂ, lo ha invitato a regalarci una nuova silloge poetica dal titolo LIBARS DI PODEI RESTA. E qui si è liberato l’applauso (caso davvero eccezionale!) di tutta la folla stipata in cattedrale e fuori, che ha così voluto sottolineare la piena comunanza di pensieri e di sentimenti con don Tarcisio. Più sotto è riportata l'intera predica di don Tarcisio Puntel

Di tutto questo, naturalmente nessun cenno su LA VITA CATTOLICA della domenica successiva né sui quotidiani friulani: per i loro cronisti locali a San Pietro di Carnia non è successo proprio nulla!

Credo tuttavia che questi due semi speciali (il fascicolo e il sermone) porteranno dei frutti un domani, anche se frutti nascosti o poco visibili…

Ciascuno in cuor suo, ridiscendendo il colle di S. Pietro, avrà certamente portato a casa qualcosa di questi semi che forse germoglieranno in seguito; parte del seminato sarà certamente caduto sui sassi (amen!), parte sarà finito in bocca agli uccelli (amen!), ma qualcosina certamente sarà finito in terra buona e generosa, anche se qualcuno contemporaneamente vi ha seminato anche la jerbate…

Non importa se noi che viviamo nell’oggi non riusciremo forse a vedere questi frutti, l’importante è avere la speranza che un giorno essi germoglieranno, seppure insieme alla jerbate…

Del resto il Vangelo stesso ha ci già rassicurato: “Vi è chi semina, vi è chi miete e vi è infine chi raccoglie”.

Noi abbiamo solo seminato, ad altri toccherà raccogliere e mettere da una parte la jerbate per bruciarla e dall’altra il grano da conservare gelosamente nel prezioso granaio (di Carnia).

Alfen

 

Alcune immagini di Scensce 2004

Plan da Vincule

Messa in Cattedrale

I canonici salgono il colle

Sermone di Don Tarcisio Puntel

JULIENSIS SERMO
IN ASCENSIONE DOMINI MMIV

Sei content e mi sint onorât di podei dî une peraule chest'an al gno popul da Cjargne in tal so dì plui cjâr e impuartant: la Scensce.

Prin di dut una note storiche.

Pra Pieri Siccorti, nassût a 'Sevean in tal 1823, al è stât curât e maestri a Sece par ben 36 agn e a sci po dî ch'al è il plui grant ricercjadôr dai documenz riguardant S. Pieri. Po ben! In doi documents che lui al à catalogât cun tante cure, ài cjatât une storie interessante. In tal 1457 il pravost Antoni da Venzon al à scugnût cjatâ une soluzion ai cavii fra Paluce e Plan, cavii ch'ai nesceve simpri in ocasion da fieste da Scensce. In tal 1529, tra Sudri e Paluce a ere nassude une miege baruffe su quâl crous a veve il dirit di vei il puest subit dopo chê di S. Pieri, simpri in tal dì da Sensce. Paluce a pratindeve di iessi la prime e cussì encje Sudri. In chest document di quasi 500 agni indevur, il Pravost d'in chê volte al vores vût di risolvi la cuestion Dopo vei cjalât libris vecjons e encje ruvinâz dal timp, ch'a i podeve risalî a qualchi secul indevûr, al dîs ch'a nond'ere nue ch'a riguardave l'ordin das crous in ta pruciscion da Scensce..
Chiest fat a nus fâs capî che la tradizion das Crous a è propit une TRADITIO, ven a stâ une trasmission di un rît, di une liturgie ch'a comence almancul in tal secul viii, quanche la sede vescovîl di Zui a è stade soprimude dal patriarcje di Aquilee Calisto.
Za viers il 1000 a sci sa che la int da val di S. Pieri ai vegnive a cassù pai batisims, i funerai e las fiestes. Plui indevant (viers il 1290) a ven concedût ai 8 cjalunis di lâ a fâ servizi in tai paîs cu l'oblic di iessi cun dut il popul ogni domenie achì. Quanche tal 1377 i cjaluns e il popul a an comenzât a dismenteâ S. Pieri, il pravost Michel di Udin al à obleât duc' i 8 cjalunis a jessi presinz almancul in 11 festivitâz: Nodâl, Pifanie, Scensce, Pentecostes, Sz Pieri e Pauli, S. Pieri in vinculis, il 2 d'avost (in chê dì al sci riunive il cjapitul), la Nunziade, la Sunte, la Nativitât da Madone e il doi di novembar. Ma encje chesc'oblics un tic a la volte a sci son ridoz a la sole Scensce, caraterizade da presince das crous ornades cun roses e i nastros das fantates maridades in ta l'an.
Vuei nou sin achì par rinvigurî e tramandâ incjamò une volte cheste liturgie ch'a dimostre l'afiet e la venerazion pa pleif plui antiche da Cjargne ch'a è stade encje sede vescovîl par secui. Cheste biele tradizion di vuei a rinfuarce las nostes radîs in ta fede e a sci propon come simbul crodibil e autorevul di dute la gleisie cjargnele.

Cussì la Cjargne îr. E vuei?

Us voi proponi soradut un aspiet che tantes volte a mi fâs inrabiâ parceche al cope la sperance.
Vuei in Cjargne, ce chi cjati, al è che spes no sci fâs che lamentasci e avilisci: "Achi a nond'è nue, nond'è divertimenz, nond'è lavôr, lucs indulà socializâ, nond'è benjessi, né ricjece…". I zovins ai pensa di lascint in âtes bandes, pensant di vivi miôr di achì.
Un giornâl locâl, qualche meis indevûr, al à pensât di riproponi una racolte di poesies, publicade zà in tal 1964 di Leo Zanier da Maranzanas, un ch'al à emigrât duta la so vita e la à provât, coma tanc' aitis la durece da lontananze da famea e dal pais. Interessant al è cemût che Leo al è stuf di noma rasegnâsci a fatalitât e al vôsa fuart cuintri l'ategjament rasegnât dal cjargnel.
Cheste racolte di poesies ch'a sci intitule:LIBARS DI SCUGNI LA, al po' iessi aplicât encje a chei ch'ai vûl lascint da Cjargne e bandonâ las vals, restades encje vuei come il timp passât cence strades sigures, cence lavôr sigûr, cence progjez concrez, forsit (e chest al è il pieis) cence sperance!

Ma eiese propit cheste la situazion da noste Cjargne?

Eco, encje io stoi mâl quanche a sci viout nome il negatîf ch'al è achì da nou e cussì vuei mi sint di dî dut il biel chi cjati in cheste tiere che il Signôr al à vulût ch'a seti encje la me cjere.
In tal Cjanal dal Fier al è ben tant plui moviment cun dutas las stradas, autostradas, ferovias che an costruît, ma a non an puartât benjessi, a non an fermât l'emigrazion dai pais. Dut il contari e la val a no sci la conos âti.
Tante int ch'a rive su da zitât a mi dîs:"Ma voaitis stais ben a cassù!". Iò ur rispuint:"Sì, parceche voaitis vegnîs e subit sci scindilais", e lôr:"Voaitis voleis vegni in zitât parceche no conosceis ce ch'a è la zitât".
Io sei nassut a cassù, anzi indulà che la Cjargne a finis! Ai son 32 agn chi sei preidi in tai miei paîs e cumò a è ora chi us disi ch'a ringrazi il Signor ch'a mi ha fat vivi la me vita achì.
1) No vala nue chest ambient ch'a nus sta intorn, un habitat a misure di om in perfete armonie cu la nature? Cun duc' chei incuinamenz di ogni gjenar ch'andè pal mont?
2) Sonei tant da biadâ i nostis paisuz ben ordinez, cence la criminalitât ch'a si sint pa television, las drogas, la prostituzion, las novas sclavitûz.
3) Eisel iessi indevûr cui timps pal fat che nostis fruz a podin incjamò zuâ su las palces o iessi libars di cori in tal bosc.
4) …e las cunfusions das autostradas ch'a no an ruvinât incjamò i nostis passons, i praz e i boscs.
5) No crout ch'a setin propi tanc' disocupaz, encje se par lavorâ a tocja spostâsi, ma sai che tantas impresas a fasin fadia mostro a cjatà int. I vecjos mistîrs la nova gjenerazion no ju vûl fâ.
6) Pensi ai nostis vecjos ch'a no son bogn di stâ cu las mans in man, ma che simpri a cjatin mût di passâ il lor timp in pizules ativitâz.
7) Il sport! Achì zovins e no zovins impegnâz ogni dì in une socialitât ch'a ju arichìs e a ju madurìs.
8) Circui culturai, grops editoriai.. A sci viout simpri plui quasi une gare a livel culturâl par recuperâ e salvaguardâ tradizions, storie, costums.
9) La religjositât incjamò vive in tal nosti popul encje sa sofrìs i mâi che ben conossìn. Cjargnei, no stait a bandonâ la voste gleisie! A è iei la vite dai nostis pais, la storie, la mari ch'a nus ten dongje! Vuei no vùlin nencje nominâ il cristianisim in ta costituzion europee epur viodìn achì bessoi, in cheste fieste, che no podìn fâ cjaminâ la noste storie cence tegni cont da fede ch'a à alimentât i secui passâz.
10) E sino propit a nue cul volontarât sociâl: femines e oms di ogni etât in vârs setôrs da vite publiche.
11) Stin viodint encje un recupero das vecjes cjases, dai stai e staipes di mont ch'a vegnin metûz in sest e abitâz da persones che an il gust da quiete e da vite semplice.
In some, il biel vivi ch'al fâs dismenteâ ce chi paìn ogni dì par vei cheste splendide pussibilitât di continuâ a restâ su las notes monz, in ta noste Cjargne.
Une fortune che, come ogni âti ben e à un preisi.
Un preisi che a voltes al po' sameanus insoprtabil, quanchi pensin a tasse sul freit, a viabilitât precarie, as sperequazions economiches, al abandon dal teritori.
A la fin, metint dut su la belace, a mi samee che a mi conven restâ a cassù, cui nostis problemas, i nostis limiz, las notes protestes, i nostis bruntulamenz, cun chestes monz ch'a nus divît e i nostis problemas secolârs ch'a i nus unìs.
Par chest vores che il nosti Leo Zanier, cheste volte a nus ufrìs une nove racolte di poesies ch'a sci intitulàs: LIBERS DI PODEI RESTA.

Don Tarcisio Puntel, canonico di S. Pietro e
parroco di Paluzza

IL VESCOVO DI ZUGLIO E’ NUNZIO IN SRI LANKA 

L’attuale vescovo titolare di Zuglio, S.E. mons. Mario Zenari, di 58 anni, il 10 maggio 2004 è stato nominato dal papa Nunzio Apostolico dello Sri Lanka. Questa nomina premia l’impegno diplomatico del “nostro” vescovo, il quale va ora a ricoprire un incarico più impegnativo e gravoso del precedente. A mons. Mario Zenari vadano gli auguri più vivi e fraterni della redazione di questo balcon e di tutto lo staff di Cjargne Online. Auspichiamo contemporaneamente che il prossimo “vescovo titolare” di Zuglio diventi “residenziale”, dando pieno significato pastorale e istituzionale al vescovado della Carnia, divenuta finalmente DIOCESI.

  

QUALE DIOCESI DOPO IL REFERENDUM? 

Purtroppo, dopo il referendum popolare del 21 marzo 2004, che ha inequivocabilmente bocciato l’ipotesi della provincia Regionale dell’Alto Friuli ed esaltato invece la insopprimibile voglia di autonomia della Carnia, l’ipotesi di una Diocesi di Zuglio allargata al Canal del Ferro-Tarvisiano, appare oggi alquanto remota e impraticabile.

Necessariamente e in subordine, occorrerà invece puntare più pragmaticamente sulla Diocesi Carnica, un progetto certamente meno ambizioso ma più omogeneo e coerente.

L’Arcidiocesi di Udine, pur perdendo kmq 1.230 del proprio attuale territorio (con bassissima densità di abitanti), conserverebbe tuttavia una consistente popolazione di ancora ben 448.000 unità, restando sempre tra le prime grandi cinque diocesi italiane.

Il Referendum consultivo popolare del 21 marzo 2004, invocato e sostenuto dalla Chiesa Udinese e dal suo Arcivescovo, ha dimostrato due cose inequivocabili:

- l’Alto Friuli non esiste, se non come espressione geografica coniata strumentalmente dalla politica udinese.

- la Carnia unita ha una insopprimibile esigenza di autonomia, che le deriva dalla sua storia millenaria, per molti aspetti diversa e peculiare rispetto a quella di altre zone del Friuli storico.

Ignorare tutto ciò significa ignorare la sensibilità e le attese del popolo di Carnia.

Per questo ora il testimone torna alla Chiesa Udinese, la quale, dopo aver constatato la bocciatura del proprio progetto politico (Provincia regionale dell’Alto Friuli), dovrebbe adesso dare dimostrazione di coerenza e lungimiranza, sostenendo e concedendo quell’autonomia pastorale alla Carnia che ne ha chiaramente manifestato l’esigenza sul versante politico-istituzionale.

Diversamente, tutto ciò che la Chiesa Udinese avrebbe compiuto in questi 4 anni a favore della Provincia regionale della Montagna, parrebbe grandemente incoerente con i principi di sussidiarietà ed autonomia finora professati. 

BARCELLONA – UDINE
Stupefacenti analogie

Il 15 giugno 2004, la grande diocesi di Barcellona (Spagna) è stata smembrata in tre parti con la creazione ex novo delle due nuove diocesi di Terrassa e di Sant Feliu. Contestualmente l’arcidiocesi di Barcellona (finora immediatamente soggetta alla S. Sede) è diventata METROPOLITANA avente come suffraganee le due diocesi di nuova creazione.

Si licet parva componère magnis… si tratta di evidentissime analogie con la situazione nostra. Vediamo: l’Arcidiocesi di Barcellona (kmq 3.041) era finora metropolitana SENZA diocesi suffraganee ed era sede di un arcivescovo-cardinale residenziale coadiuvato da 6 vescovi ausiliari per una popolazione di oltre 4,5 milioni di abitanti, residenti in un territorio omogeneo e non vastissimo.

L’arcidiocesi di Udine (Kmq 4.726) è ancora immediatamente soggetta alla S. Sede ed è anche METROPOLITANA senza diocesi suffraganee. Mentre la popolazione udinese (490.000 abitanti) risulta assai inferiore a quella di Barcellona (guidata da ben 7 vescovi però), la superficie della arcidiocesi di Udine è di gran lunga superiore a quella catalana (di ben 1.700 kmq).

Se dunque si è ravvisata la necessità di creare due nuove diocesi catalane per meglio servire pastoralmente quella porzione terra catalana (già dotata di 7 vescovi), non si può non ravvisare l’analoga necessità di ri-creare la piccola ma fondante DIOCESI DI ZUGLIO 

-         per dare identità e speranza alla CARNIA,

-         per ridurre il vastissimo territorio arcidiocesano udinese e infine

-         per dare pieno significato al virtuale titolo metropolitico dell’arcivescovo di Udine.

Ubi Petrus ibi Ecclesia

Sì in Carnia c’è S. Pietro e attorno a Lui la Sua “chiesa”, i Suoi credenti, i Suoi fedeli. Non ci sono documenti anteriori al III secolo che ci possono raccontare se il Cristianesimo arrivò a Julium Carnicum prima di allora, così come non ce ne sono di una probabile presenza di S. Pietro e S. Marco ad Aquileja nei primi anni della nuova era. Piace pensare però che in quella sorta di fervore missionario suscitato dall’esortazione del Cristo a predicare il Vangelo a tutte le genti che Pietro e Marco siano approdati anche ad Aquileja e che Ermacora consacrato da Pietro ne sia stato il primo vescovo. A sostegno di questo “immaginario“ c’è l’autografo del grande imperatore e re di Boemia Carlo IV di Lussemburgo che dopo essere stato ad Aquileja nel 1355 così scrive: 
Io Carlo IV per grazia di Dio re dei Romani sempre augusto e re di Boemia ho visto il libro dei vangeli di S. Marco di sua propria mano scritto integro dall’inizio alla fine in sette quaderni in possesso del patriarca e della Chiesa Aquilejese il quale libro in detta chiesa fu conservato dal beato Ermacora e dalla Chiesa Aquilejese predetta fino all’odierno giorno, che sicuramente il beato Ermacora dalla mano del beato Marco il medesimo libro ricevette e dal Beato Pietro per designazione ed intercessione di S. Marco ricevette l’episcopato della predetta Aquilejese Chiesa, del quale libro per mia petizione presso il patriarca e il capitolo di detta Aquilejese Chiesa ottenni questi due ultimi quaderni del libro predetto ed gli altri cinque precedenti sono rimasti nella chiesa sopradetta e queste cose ho scritto di mano mia propria l’anno dall’Incarnato Verbo 1355 nella vigilia di tutti i Santi nell’anno nono del mio regno.”
Accettando questa testimonianza della buona fede dell’imperatore ci rimane facile immaginare che Ermacora, vescovo della “Seconda Roma”, a sua volta spinto dallo zelo apostolico, si sia mosso  seguendo le orme di Pietro verso quei centri romani, destinati a diventare “municipium o colonia“ dislocati sulle grandi strade verso la Rezia, il Norico e la Pannonia, per istituire quelle primordiali diocesi che sarebbero state alla base della Sua provincia ecclesiastica metropolitana. Ipotesi questa che suggerirebbe  la presenza del vescovo in Julium Carnicum ed in altri centri similari molto prima di quel III secolo che segna la nascita e la cronologia discretamente documentata del Cristianesimo “extra urbem” della Decima Regio. In questo contesto una sorta di legame affettivo tradizionale col Pricipe degli Apostoli sbarcato ad Aquileja con S. Marco, sarebbe dal III secolo in poi la conseguenza della nascita di quel culto per S. Pietro che farà sorgere le numerose cattedrali a Lui dedicate. Tra queste, S. Pietro di Carnia e abbastanza a noi vicine S. Pietro di Castello a Venezia e S. Pietro di Salisburgo. A questo riguardo torna utile ricordare che nei primi due secoli i cristiani, si riunivano nelle “domus ecclesiae” (casa dell’assemblea) che privati cittadini concedevano a preti e vescovi per la celebrazione del culto divino. Dal III secolo in avanti quando l’originario significato della parola “ecclesia” passerà ad indicare il luogo sacro (chiuso e coperto) dove l’assemblea dei fedeli dovrà raccogliersi per le funzioni del nuovo culto cristiano nascerà il problema delle strutture adatte per la capienza del crescente numero dei fedeli che più avanti (IV-V secolo) troverà la soluzione nelle basiliche cemeteriali prima, nell’addattamento delle basiliche pagane poi, (specie nelle città) e infine nella costruzione di grandi edifici sacri sui sepolcri e reliquie dei santi. Così è accaduto per Aquileja e per Giulio Carnico. Certamente la chiesa di S. Pietro dell’VIII secolo costruita sul monte dopo la distruzione di Julium Carnicum (forse all’interno di una struttura fortificata), fu la cattedrale di Amatore, l’ultimo vescovo giuliese, così come la basilica cemeteriale del Julium Carnicum del VI secolo fu la cattedrale del vescovo Massenzio. In seguito con l’inglobamento della diocesi nella giurisdizione del patriarca Callisto, il vescovado fu ridotto a prepositura e la cattedrale a chiesa collegiata suffragata più tardi da un capitolo di otto canonici  che sopravisse fino alla soppressione napoleonica del 1810. Adesso sarebbe tempo che San Pietro “ post cinerem resurgat” magari a piccoli passi, incominciando a ricostituire quel piccolo senato del capitolo canonicale che potrebbe forse fermare l’attuale deriva religiosa e morale della Carnia. Otto canonici, rappresentanti tutti i canali che salgano a San Pietro e lo invochino con le parole dei graffiti presenti sulla tomba dell’Apostolo nelle grotte vaticane: “Petrus salva navem ecclesiae”, parafrasabile in “Petrus salva navem ecclesiae Carnorum“, senza dimenticare naturalmente che la fede smuove le montagne !


Giovanni Canciani di Paularo


 

La Diocesi di Zuj segont me  

A son agnorums che a Zuj, a lassù su la mont di San Pieri, a ven puartade indevant la biele e antiche usance da bussade das crous. Cemût che oramai duç san, il dì da Scensce di ogni an, dutes la crous dal Cjanâl di San Pieri a sci cjatin a lassù par riverence ae antiche Plêf Mari dal Cjanâl.

Ma in tai agns otante as an començât a partecipâ, ben viodudis, ancje crôs che dal Cjanâl a no erin; par prime, se no fali, chê de nestre Plêf di Sante Marie di Guart.

Cjatant l’iniziative cetant biele, o ai domandât a pre Meni Cimiotti, di podei lâ ancje cun chê di Gjviano. La rispueste a è stade categoriche: ”Asolutamenti no; chê a è une tradizion nome di chel Cjanâl e baste!”. Purtrop pôc dopo, avonde zovin, pre Meni al è lât tal mont dai trops. Lui al ere di Dimplan e al è stât preidi plui di duç a Gjviano (passe 34 agns), prin mansionari e po’ plevan cunat che Gjviano, in gracie sô, a è deventade parochie.

A sostituîlu al è rivât pre Milio Englaro, cjale câs encje lui dal Cjanâl di San Pieri (al ere di Paluce), cu l’incaric di plevan di Rigulât. A lui, prime di fai la domande di podei portâ la crous a San Pieri, ai volût specificâ: “O sai che la bussade des crous a è une vuestre biele e antiche tradizion, ma centant plui antiche encjemò a è la Diocesi di Zuj, diocesi, come c’al sa, da Cjargne interie e no nome di chel Cjanâl. Partecipant encje noatris, o onorin dutis dôs lis realtâts.” Pre Milio al à aderît dal moment e cun di plui al à vulût lui stess inghirlandâ las dôs crous, chê di Gjviano e chê di Rigulât. D’in chê volte (1987) Gjviano nol à mai mancjât a chest apuntament.

Cumò, invidât a fâ part dal cumitât pe diocesi di Zuj,  o ai aderît cun grant plasei e mi darai da fâ par dut che che tal gnò piçul pues fâ, par judâ a rivâ a puartâ fint insom cheste biele iniziative.

A vares podût jessi cjapade in man encjemò in chê volte che a è state riesumade la sede vescovîl di Zuj (1967) e ch’al è stât nomenât il prin vescul titolâr moderno (mons. Aldo Gobbi di Verone), ma no stin a vaî sul lat straçât.

Cumò di gracie che a è partide cheste iniziative, e o vin di lâ indevant cun grinte, guai a fermâsi, fin cuant che o rivarin insom. E o rivarin sicuramenti parcè che o vin de nestre bande la Religjon, la Storie, la Tradizion, e, no ultime, la Justicie. 

Pieri Pinçan
Gjviano di Rigulât

SCENSE 2005
Quando la delusione vince la speranza

Anche quest’anno, 8 maggio 2005, si è felicemente svolta la maggiore festa della Carnia sul colle di S. Pietro di Zuglio, con un significativo numero di croci astili, una presenza discreta di fedeli accorsi dalle valli ed una sempre più ridotta rappresentanza di preti (solo 5).

La cerimonia, totalmente espressa in lingua friulana, ha avuto gli stessi ritmi e cadenze degli anni, dei decenni e dei secoli passati:

sul Plan da Vincule il Prevosto di Zuglio, reggendo la croce di San Pietro, ha dapprima impartito le benedizioni rogazionali, che in lingua madre sono così risuonate: “Dal folc e da tampieste… Dal flagjel dal taramot… Das disgraciis, da fan e da uere… Dai valens e da l’arie impestade das radiazions atomichis… Da muart eterne…”. Ogni invocazione era seguita dal Libera nos Domine dei fedeli radunati attorno all’altare.

Poi il Prevosto ha invitato tutti al raccoglimento: “Cristians dal Cjanâl di S. Pieri e di ogni atri sît! Achì i vignin ogni an par rinfresciâ la memorie di tancj secui passâts… Cjatâsi achì, sot chest campanili, al voul dî ricuardâsi ch’i sin encjemò fradis… Chest a no’l è un at di dipendence come une volte, ma un at di fraternitât e di afiet tra di nou…

E’ poi seguito lo splendido inno “Chi, su la mont, che i secui a ricuarde” cantato entusiasticamente da tutti i presenti, molti dei quali, giunti qui per la prima volta, non hanno potuto trattenere un moto di intensa commozione…

La chiamata delle croci ha poi costituito il momento più alto e significativo: le croci astili, ornate di nastri multicolori e di fiori di campo, provenienti da quasi tutti i paesi di Carnia, da Mauthen (Carinzia) e anche dalla collina friulana, si sono a turno avvicinate alla croce madre di S. Pietro, rendendole filiale omaggio e ricevendone il “bacio”.

Al termine, processionalmente, tutti si sono diretti verso la pieve-cattedrale di S. Pietro, già stracolma di gente, per la solenne messa “In Ascensione Domini”, accompagnata da un Coro di elementi rappresentativi di tutta la nostra Terra.

Fin qui la cronaca; ora alcune riflessioni:

1. Come accade ormai da troppo tempo, erano assenti le croci astili di: Cavazzo, Amaro, Cercivento, Paularo, Villa Santina, ed alcune altre, per un malinteso senso di diffidenza e di temuta sudditanza. Oggi non è più ammissibile una latitanza religioso-pastorale di questo tipo perché, come ha bene affermato il Prevosto, il bacio delle croci non è più un atto di dipendenza, ma solamente un atto di fraternità e di unione tra le chiese di Carnia. E questo lo dovrebbero ben sapere anche i preti ostinatamente assenti, i quali dovrebbero altresì conoscere almeno i rudimenti della storia del nostro Cristianesimo.

2. Come era accaduto per la Scense 2004, anche quest’anno era stato predisposto (dai soliti volenterosi) un opuscolo (da distribuire gratuitamente sul Plan da Vincule) con alcune riflessioni sulla storia di Carnia e sulla antica Diocesi di Zuglio. Questa spontanea iniziativa si è arenata sul nascere a causa di una dichiarata mancanza di fondi (assai debole motivazione: si trattava infine di poche centinaia di euro).

3. Nel medesimo giorno dell’Ascensione (8 maggio), presso la Pieve di S. Floriano di Illegio (sede attualmente della mostra artistica miliardaria denominata “Mysterium”), è stata inventata ex novo un’altra cerimonia per i fedeli di Amaro, Cavazzo, Tolmezzo, nonostante che la festività di S. Floriano si fosse già splendidamente celebrata solo quattro giorni prima, il 4 maggio… Sempre nello stesso giorno, 8 maggio, a Ravascletto, si è voluto inscenare una “Scense” alternativa (si dice a base di polenta e frico…). Ma com’è possibile questo? Com’è possibile che la Carnia non si ritrovi unita neppure nel suo giorno più importante dell’anno? Com’è possibile che il simbolo identitario di Zuglio non riesca ancora ad unire non dico i fedeli o i politici, ma neppure i preti, che continuano amabilmente a ignorarsi (eufemismo)? Se una Pieve rivaleggia con un’altra, se un prete scende in mondana competizione con un altro, se una parrocchia ignora deliberatamente un coordinamento di più vasto respiro, che ne sarà della Chiesa di Carnia? Se i pastori dunque sono divisi tra loro, come possono pretendere che il gregge loro affidato resti unito o torni all’ovile?

4. A fronte della cronica carenza di preti e con lo scopo di tamponare le falle sempre più vistose che si creano incessantemente nei ranghi del clero, si vorrebbe, da parte di qualcuno, valorizzare il ruolo delle antiche Pievi di Carnia, che sono 11, per riorganizzare il territorio pastorale della nostra Montagna. Alcune di queste Pievi avevano una vasta giurisdizione (come quelle di S. Pietro, di Gorto, di Illegio, di Cesclans, di Invillino, che sono le più antiche, la cui origine va collocata verso il VIII-IX sec., anche se i recenti scavi di S. Martino presso Luincis indicherebbero l’esistenza di una chiesa battesimale risalente al V secolo); le altre Pievi sorsero invece in tempi successivi (sec. XII) a breve distanza l’una dall’altra, arrivando spesso al titolo di Pieve mediante perorazioni all’Autorità Ecclesiastica. L’idea di questo viaggio ad retrorsum nel tempo, alla ricerca delle radici per rivitalizzare i rami odierni (spesso rinsecchiti o cadenti) di un grande albero in progressiva sofferenza, potrebbe apparire a prima vista ottima e felice. Ma sussistono, a mio modo di vedere, due obiezioni di fondo e la prima è la seguente: la “valorizzazione” delle 11 Pievi di Carnia introdurrebbe un ulteriore elemento di divisione in una realtà ecclesiale che è già molto divisa e frantumata, quando non in perenne conflitto e competizione, come bene dimostrano anche i fatti della Scensce 2005 (e non dico altro). La seconda obiezione è questa: se davvero si vogliono riscoprire le radici antiche per rivitalizzare l’attuale pianta, sarebbe più ragionevole ed efficace andare ancora più sotto e più indietro nel tempo, fino al IV secolo, quando, ben prima delle Pievi che ancora non esistevano, esisteva il VESCOVADO DI ZUGLIO con una giurisdizione vasta e importante, comprendente non solo TUTTA la Carnia, ma anche parte del Cadore, parte della valle del Gail, la collina friulana, come bene ha dimostrato Franco Quai nel suo splendido e insuperato libro “La sede episcopale del Forum Julium Carnicum”, Agraf 1973. Flavia De Vitt fissa le origini del vescovado di Zuglio tra il 381 e il 480, facendolo durare poi fino all’VIII secolo, nel suo preciso e documentato lavoro “Pievi e Parrocchie della Carnia”, SFF, Edizioni Aquileia, 1984. Ebbene, la riscoperta del vescovado di Zuglio (e quindi della sua Diocesi) avrebbe (questa sì) un carattere unificante per l’intera Carnia, costituirebbe quel processo finalmente virtuoso in grado di garantire unità e rappresentatività alla nostra Terra, che potrebbe continuare a mantenere e a vivificare le proprie peculiarità plebanali e parrocchiali, ora giustificate e irrobustite dalla cattedra vescovile di S. Pietro di Zuglio, rassicurante ed autorevole, ma soprattutto finalmente aggregante. La S. Sede ha riscoperto l’antico vescovado di Zuglio ancora nel 1964, creandone appositamente il titolo, di cui si fregia oggi S.E. mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Sri Lanka. La Carnia, con i suoi preti, non lo ha ancora fatto e questo è a dir poco paradossale ma è anche emblematico di quanto poco interessi la nostra Storia e di quanto invece interessi il proprio piccolo hortus conclusus. E se la Carnia, divisa dalle montagne e dai rius ma profondamente unita dai problemi, resterà ancora un mosaico di piccolissimi e insignificanti orticelli rigorosamente recintati, mai nulla di buono accadrà per il nostro popolo, che continuerà a subire perché diviso. E la Diocesi di Zuglio potrebbe costituire quel primum movens per il raggiungimento di quella piena consapevolezza di Popolo e di Terra, che ancora ci manca.

Perché non avere il coraggio dunque di andare fino in fondo? Perché non andare alle radici stesse del nostro Cristianesimo?
Perché non attingere forza e speranza direttamente dalla antica diocesi juliense?

Alfen


Il bacio delle croci a Scense 2005

 

 

LA DIOCESI DELLA CARNIA
brevi considerazioni presonali

           

Per venire a conoscenza della Storia della Diocesi di Zuglio basta leggere e invitare a leggere a pag. 12 del libretto: "La Diocesi di Zuglio" il corto ristretto storico. Diciamo quì soltanto l'essenziale.

            Gli studiati ci dicono che il primo Vescovo di Zuglio, anzi del Forum Julium Carnicum, è ricordato nel 490 con il Vescovo Januario, ( ma sul Dizionario Biografico Friulano" del Prof.  Nazzi, si trova che Januario o Gennaio era Vescovo di Aquileia dal 441 al 449). Ad ogni modo la Diocesi di Zuglio è così antica.

            Era allora sufraganea della, a quel tempo, Diocesi di Aquileia, che soltanto più tardi ha cominciato a chiamarsi Patriarcato.

            Sei sono stati i Vescovi di Zuglio a parte Januario:

            Acceptus,Theodorus, Asterius, Maxentius, Fidentius e Amator. ( da "La sede episcopale del Forum Julium Carnicum" del Prof.. Mons. Franco Quai.

            Questo Amatore è quello che dalla sua residenza di Zuglio si è trasferito a Cividale e nel 732 è stato cacciato dal Patriarca Callisto.

            Da quel tempo non si è più parlato della Diocesi e nel 744 è stata probabilmente soppressa. Si dice in quel ristretto sopradetto: "La Diocesi di Zuglio cessa pertanto di esistere più per motivazioni di carattere politico che per necessità pastorali..."

            Quanti significati ha la parola <Politica>! Nel nostro caso, come per il Patriarcato, significa: - fare in nome dei poveri piccoli, gl'interessi e le comodità dei grandi, con l'arma della prepotenza da una parte e della sottomissione dall'altra...

            Facciamo allora un salto adesso di 1232 anni, per arrivare al 1964 quando è stata creata la "Titolarità del Vescovato di Zuglio in Carnia".

            Questa "Titolarità" in se stessa non ha quasi nessun valore, perché a quanto si vede ha il solo scopo di dare un titolo in più  a qualche Vescovo, senza preoccuparsi minimamente dei fedeli che dovrebbe amministrare ma, come in tutti i casi c'è qualcosa di male e il resto di bene, così è anche nel nostro caso.

            E' male dunque dare il titolo di Vescovo titolare a chi, non soltanto non sa dove si trova la Diocesi ma, almeno in un caso, in quello del nero Alfredo Kipkoech, non si è mai presentato, (ha detto allora il Prevosto mons. Pietro Degano:... No si sà se al è vignût di not o parcè che al è nêri, chì no si lu a' viodût...). Non basta neanche, sebbene tanto gradita, la presenza di una o due volte dei pastori, per poi dimenticarsi  della malga e della mandria...

Ma dall'altra parte ha il grande merito, prima, perché tale riconoscimento della Diocesi di allora è la base per costruire quella di adesso.  . Se avessimo dovuto cominciare da terra sarebbe stato molto più difficile e forse con meno probabilità di riuscita; secondo perché in grazia a questo possiamo vantarci di aver avuto, seppure soltanto titolare a quel tempo, il primo Vescovo, carnico, della Diocesi di Zuglio (carnico fra i carnici, pastore con il suo gregge, il nostro Arcivescovo e futuro,( magari in un secondo tempo), Patriarca, Monsignor Pietro Brollo:

             Al punto che siamo arrivati, ora tutto può andar via liscio come l'olio e quello che bramiamo si può dirlo in poche parole: - Nel 732 il Patriarca Callisto ha cacciato il Vescovo di Forum Julium Carnicum, adesso  il ( per intanto) Arcivescovo di Udine mons. Pietro Brollo e non il Vescovo di Roma, ripara il mal fatto di allora e nomina il nuovo Vescovo della Carnia, dell'era moderna, suffraganeo dell’ Arcidiocesi, (sempre per intanto), di Udine.

Tutto qui. Dovrà essere possibilmente carnico, o al più del Patriarcato di Aquileia.

            A parte la risuscitata Diocesi con quello che questo comporta, a parte qualche cambiamento di poco valore, tutto resterà come prima. Nessuno ha niente da perdere, neanche l'attuale titolare Mons. Mario Zenari che non perderà il titolo, perchè qui bisogna fare come è stato fatto nel 1751 con il Patriarca Daniele Delfino, conserverà il suo titolo di Vescovo titolare di Zuglio per tutta la vita se vuole, o se lo vogliono. Tutta la nostra riconoscenza al Patriarca Delfino, per quella bella lettera che ha scritto a quel tempo in difesa del Patriarcato, ma come abbiamo visto è stato tutto inutile.

            Per questioni di territorio dell'antica e nuova Diocesi di Zuglio, bisognerà restare per adesso alla sola Carnia, ma col proponimento, più avanti, di tornare ad avere con noi anche il Cadore, che è stato con noi fino al 1846 quando lo hanno trasferito alla Diocesi di Belluno; ci sono tanti ancora adesso che bramano di ritornare con noi.   

            Una curiosità che solo pochi sanno:-Chi è stato l'autore di quel trasferimento è stato il Papa Gregorio XVI, al secolo Mauro Capellari, guarda caso, carnico, oriundo da Pesariis. I suoi antenati si sono trasferiti a Belluno nel 1300. (don Antonio Roja) Ma qui c’è sicuramente un errore di data: non è possibile che i suoi genitori si siano trasferiti nel 1300 per due ragioni: una che a quel tempo non esistevano i cognomi, che se non vado errato hanno cominciato a formarsi verso la fine del 1500, poi perché il suo Pontificato termina proprio nell’anno del trasferimento del Cadore e dunque nel 1846, quando è morto

            Tanto c’è da dire su questo Papa, dato che questo fatto,  dato che può essere una ragione complementare in favore della nostra causa per la PROVINCIA DELLA CARNIA,  ma qui limitiamoci a dire che il mio amico Carlo Quaglia da Pieria, ha tutte le prove che queste non sono fantasie ma la pura realtà. Ci ripromettiamo di farlo prossimamente.

 

            Ebbene, a questo proposito il Dott. Craffonara, professore sud tirolese, che conosce bene la nostra Storia e non soltanto quella e che parla benissimo in friulano, (ci darà sicuramente una mano nel nostro progetto), ci dice  che ai tempi di Zuglio era  Diocesi  anche Aguntum, che si trova fra Lienz e Oberdrauburg, in Carinzia. ( In quel posto c'è adesso una grande Croce bianca fra i reperti).

            Abbiamo detto della grande importanza che ha l'eredità europea per il Patriarcato. Allora mi permetto di fare un ragionamento. Non sò se sbaglio, ma se è così, dovrebbe essere stata Diocesi anche Virunum, che si trova nei pressi di Zolfeld, sempre in Carinzia. Tutte tre, dunque, del Patriarcato di Aquileia e tutte tre fanno parte della nuova Europa.

Dunque, Europa, datti da fare... non vogliamo privilegi ne favori, soltanto coerenza e giustizia, e naturalmente TRADIZIONE:

 

Pieri Pinçan di Gjviano

 

home.gif (2935 bytes)

 


Cjargne Online
1999-2005© - Associazione culturale Ciberterra - Responsabile Giorgio Plazzotta
I contenuti presenti in questo sito sono di proprietà degli autori - Tutti i diritti riservati - All rights reserved
Disclaimer