Diocesi di S. Pietro Se è vero che “il ricordo“ è la più bella delle esperienze umane e che l’ “esse est reminisci” dei filosofi rappresenta la vita stessa dell’uomo, ricercare le proprie radici nella storia e tradizioni positive del passato è segno di intelligenza e buon gusto, e di riconoscenza e amore per quei protagonisti che creando la storia della nostra terra ci hanno lasciato in eredità quel patrimonio di civiltà sepolta che è dovere di ogni friulano e carnico riscoprire e riportare alla luce. Oscar Wilde in uno dei suoi paradossi dice che “non è compito dell’arte diventare popolare ma è compito del popolo diventare artistico”. Sarebbe a dire che quando l’uomo diventa artistico diventa anche artefice, artefice ed artista allo stesso tempo sia nel creare che nel ricreare. E si ricrea quando si restaura, quando valutando il reperto si decide il tipo d’intervento da fare, se conservativo, di ripristino o di rifacimento. Nella storia del Friuli e della Carnia molte cose buone e belle sono state soppresse, abolite o sepolte dalla ragion di stato, dal dominio longobardo ad oggi. Tra queste la soppressione del vescovado di Julium Carnicum, del Patriarcato d’Aquileja, del Capitolo Canonicale di S.Pietro e della medesima provincia della Carnia che con privilegio di valore costitutivo, istituita nell’anno 1392 dal patriarca Giovanni Sobieslav e riconfermata dall’anno 1420 dai dogi della Serenissima, si mantenne fino all’arrivo di Napoleone. Benché i tempi siano cambiati l’assetto politico e religioso del Friuli pur rispondendo ad esigenze di ordine economico-amministrative di tutto rispetto, poco o nulla tiene in conto quelle legittime aspirazioni affettive ed emotive che costituiscono la vita e l’anima di un popolo. Un popolo che pur apprezzando il valore di una buona e sana economia, non sentendosi schiavo della medesima tenta di colmare il vuoto generato dal consumismo, riproponendo quelle “quidditas“ del passato che forse oggi sono più che mai attuali per dare stimolo, esempio, coraggio e novità a quello sbiadito vivere contemporaneo che privo di ideali, di certezze e spiritualità, schopenauerianamente conduce alla monotonia ed alla noia del quotidiano. Una di queste “quidditas“ riproposta, è la ricostituzione dell’antica diocesi di Julium Carnicum, particolarmente sentita dai carnici e dagli autori di questo fascicolo(predisposto in occasione della Scensce 2004) che ne hanno raccolto il pensiero. Le motivate argomentazioni che essi esprimono, con confronti, dati alla mano e oggettive prospettive di ordine pastorale-filantropico-religioso, a prescindere dalla reale possibilità del suo realizzo, restano la diretta testimonianza di una risorgente volontà e desiderio di patria, di etnia e di famiglia, non certo frutto di nostalgie peregrine, ma di sentimenti che nascono da un popolo legato profondamente alla sua terra, alle sue tradizioni, alla sua fede. Una simile iniziativa dovrebbe essere intrapresa anche per la ricostituzione del Patriarcato d’Aquileja. Anzi, se consideriamo l’autorità metropolitica che il patriarcato aveva fino all’anno 1751, data della sua soppressione, oggigiorno Julium Carnicum sarebbe di sicuro la prima diocesi suffraganea della ripristinata istituzione, seguita possibilmente da Cividale e San Daniele che a giusto titolo per la loro particolare dislocazione potrebbero equilibrare il territorio dell’attuale vasta arcidiocesi. Il Friuli tutto dovrebbe rivendicare a gran voce questa restituzione, non tanto per campanilismo, quanto per compensazione del disprezzo, umiliazioni e maltrattamenti, che i vari stati finitimi nelle trattative con la Santa Sede, hanno inflitto alla “Patria“ nel corso degli ultimi tre secoli. Anzi, la Santa Sede in considerazione delle gloriose origini della vetusta sede episcopale dei Santi Marco ed Ermacora, entrambi discepoli diretti di S.Pietro, dovrebbe “de jure“, concedere in perpetuo al ripristinato patriarcato, anche il cardinalato che rese illustre la sede di Udine nel corso di un secolo dal 1657 al 1762. E non è da escludersi l’umiliante situazione politica attuale che vede tutto il Principato Patriarcale, ( Il Friuli ) suffraganeo di un capoluogo di regione che gli spetterebbe di diritto per territorio, popolazione, storia e dislocazione logistica. A una rivendicazione siffatta si potranno addurre riserve di ogni tipo, soprattutto di ordine economico e giurisdizionale e non escluse quelle di orientamento e indirizzo della Conferenza Episcopale. Similmente molti esponenti del laicato cattolico con saccenza diranno che ci sono cose molto più importanti e urgenti di cui occuparsi, diranno come il discepolo del vangelo che rimpiange il profumo di nardo versato sul capo del Cristo: “che spreco“ ! Ma lasciando la risposta al Cristo per tanto zelo, quando un desiderio è popolarmente sentito, si può rispondere solo col più popolare dei proverbi: “VOX POPULI, VOX DEI”. Giovanni
CANCIANI di Paularo
SCENSCE 2004 - Un buon seminato
(sperìn) La festività della
Scensce del 23 maggio 2004 si è caratterizzata per un aspetto
negativo e per due
novità che, se non ora, certamente in seguito, potranno avere delle
ricadute positive per il popolo di Carnia. L’aspetto negativo innanzitutto: è
costituito dalla persistente assenza delle croci di CERCIVENTO, PAULARO,
ILLEGIO, TOLMEZZO, CAVAZZO E AMARO e di poche altre, i cui sacerdoti ritengono
evidentemente che l’incontro dei fedeli sul Colle di S. Pietro non sia
fondante e unificante per la Chiesa di Carnia, ma resti solo una
manifestazione folcloristica limitata alla valle del But. Alcuni preti anzi
considerano il BACIO DELLE CROCI alla stregua di una festività parrocchiale
come quelle di S. Floreano o di S. Ilario o della Madone dal Clap o dal Mac
di San Zuan. Altri addirittura le antepongono la pur splendida Rogazion di
Guart
(riesumata o creata solo 15 anni fa e ora annualmente itinerante nelle varie
parrocchie dell’antico arcidiaconato di Gorto), la quale tuttavia non
esprime certamente quel carattere unificante per tutte le Valli e quella
tipica “carnicità”, quale è invece da tutti percepita nel rito del Bacio
delle Croci della Scensce, che, proprio per questo, richiama fedeli dai monti,
dai colli e dal piano. Per scansare critiche o non dover accampare
imbarazzanti giustificazioni, alcuni parroci, “ostili” a S. Pietro di
Zuglio, hanno addirittura fissato nel giorno della SCENSCE la festa della
PRIMA COMUNIONE nella propria parrocchia, proprio per accreditare un impegno
improrogabile per quel giorno ed evitare di mandare croce e fedeli a S.
Pietro. Poi magari questi stessi preti istituiscono veglie ecumeniche di
preghiere UT UNUM SINT, senza accorgersi forse che il loro atteggiamento
locale, se proprio non divide, certamente contribuisce a disunire ancora di
più
la Carnia. Ma così vanno le cose quassù, anche in ambito ecclesiastico!
Figurarsi poi in altri ambiti! Biade Cjargne e… biâts predis, per molti dei
quali l’unico mezzo di aggiornamento è il MV (immagine di pre Toni Beline)! E vediamo ora gli aspetti
positivi. La prima novità
è stata il volumetto LA DIOCESI DI ZUGLIO distribuito gratuitamente in
300 copie sul Plan da Vincule (erano accettate offerte libere per la Pouse di
Cougnes; totale raccolto: quindici euro!). Si è trattato di un fascicolo
molto semplice e pulito tipograficamente, in cui sono stati raccolti alcuni
degli scritti più significativi sulla Diocesi di Zuglio, comparsi negli
ultimi 4 anni sulla stampa locale, sul sito internet “cjargne online” o
nelle tv locali e sui “Quaderni di Cultura timavese”. Ben 27 sono stati gli
articoli riportati, molte le tabelle esplicative, due le cartine storiche. Ha
ulteriormente valorizzato il volumetto un intelligente articolo di apertura da
titolo “Diocesi di S. Pietro” del maestro Giovanni Canciani, padre della
Mozartina di Paularo e autore dell’Inno di Carnia “Carnorum Regio” il
cui spartito è pure stato inserito nel testo. Canciani ha tracciato un
sintetico profilo storico agganciato al presente, in cui si sostengono
criticamente le richieste e le idee del gruppo degli autori. Anche Renato
Garibaldi ha portato il suo contributo “Voglia di futuro”, in cui ha
ripreso il tema della “carnicità” intesa come summa di esperienze,
ambienti, saperi. Pre Toni Bellina ha lasciato un suo intervento in friulano
in cui ha ribadito che il popolo deve continuamente proporre e sollecitare il
clero, poco incline a volte all’ascolto del popolo di Dio o distratto su
altri temi. L’ideatore di questa
piccola ma importante iniziativa editoriale è stato Marino Plazzotta di
Treppo, che ha speso molto del suo tempo per realizzare questo breve vademecum
sulla diocesi di Zuglio; gli altri co-autori sono stati Stelio Dorissa di
Zuglio e Alfio Englaro di Paluzza; tutti insieme sono stati anche
auto-finanziatori dell’iniziativa che non ha avuto dunque alcun sponsor.
Marino Plazzotta ha significativamente voluto che la copertina del volumetto
richiamasse esplicitamente il target tipografico del volume degli ATTI DEL
CONVEGNO DELLA MONTAGNA svoltosi a Tolmezzo nel 2000, quasi a sollecitare il
medesimo impegno della Chiesa udinese nei confronti della Diocesi di Zuglio e
più concretamente della Carnia. Anche se taluni passi sono sembrati a taluni
un po’ critici o polemici, occorre valutare la stesura nel suo complesso,
nel cui contesto sono possibili (e auspicabili) spunti di riflessione o, come
dice Marino, di meditazione. La seconda novità
positiva di questa Scensce 2004 è costituita dal Iuliensis sermo,
tenuto in rigoroso idioma cjargnel da Don Tarcisio Puntel, cui è toccato
quest’anno, in qualità di canonico di S. Pietro, il compito di rivolgere la
parola ai presenti. Dopo un breve cenno storico sulla tradizione del bacio
delle croci, che risale a circa 1000 anni fa, don Tarcisio ha intrattenuto
i numerosissimi fedeli su una tematica attuale e assai spinosa: la fuga
dei giovani dalle valli di Carnia. Don Tarcisio ha enumerato i vari motivi
che indurrebbero tutti alla fuga da queste nostre valli, ma ha subito prospettato
come l’arresto di questa fuga non potrà mai essere determinata solo dal
progresso, che spesso non risolve affatto i problemi secolari della Montagna.
Don Tarcisio ha allora evidenziato tutti gli aspetti positivi che la Carnia
offre oggi alle persone che scelgono di vivere qui nonostante tutto ed ha
affermato che la Carnia oggi sa dare molto di più di quanto non ci si renda
conto: basta guardare dentro e attorno a noi. Citando poi il poeta carnico
Leonardo Zanier e parafrasando la sua opera più famosa LIBARS DI SCUGNI LÂ,
lo ha invitato a regalarci una nuova silloge poetica dal titolo LIBARS DI
PODEI RESTA. E qui si è liberato l’applauso (caso davvero
eccezionale!) di tutta la folla stipata in cattedrale e fuori, che ha così
voluto sottolineare la piena comunanza di pensieri e di sentimenti con don
Tarcisio. Più sotto è riportata l'intera predica di don Tarcisio Puntel Di tutto questo,
naturalmente nessun cenno su LA VITA CATTOLICA della domenica successiva né
sui quotidiani friulani: per i loro cronisti locali a San Pietro di Carnia non
è successo proprio nulla! Credo tuttavia che questi
due semi speciali (il fascicolo e il sermone) porteranno dei frutti un
domani, anche se frutti nascosti o poco visibili… Ciascuno in cuor suo,
ridiscendendo il colle di S. Pietro, avrà certamente portato a casa qualcosa
di questi semi che forse germoglieranno in seguito; parte del seminato sarà
certamente caduto sui sassi (amen!), parte sarà finito in bocca agli uccelli
(amen!), ma qualcosina certamente sarà finito in terra buona e generosa,
anche se qualcuno contemporaneamente vi ha seminato anche la jerbate… Non importa se noi che
viviamo nell’oggi non riusciremo forse a vedere questi frutti,
l’importante è avere la speranza che un giorno essi germoglieranno, seppure
insieme alla jerbate… Del resto il Vangelo
stesso ha ci già rassicurato: “Vi è chi semina, vi è chi miete e vi è
infine chi raccoglie”. Noi abbiamo solo seminato,
ad altri toccherà raccogliere e mettere da una parte la jerbate per bruciarla
e dall’altra il grano da conservare gelosamente nel prezioso granaio (di
Carnia). Alfen
JULIENSIS
SERMO Sei content e mi sint onorât di podei dî une peraule chest'an al gno popul da Cjargne in tal so dì plui cjâr e impuartant: la Scensce. Prin di dut una note storiche. Pra Pieri Siccorti, nassût a 'Sevean in
tal 1823, al è stât curât e maestri a Sece par ben 36 agn e a sci po dî
ch'al è il plui grant ricercjadôr dai documenz riguardant S. Pieri. Po ben!
In doi documents che lui al à catalogât cun tante cure, ài cjatât une
storie interessante. In tal 1457 il pravost Antoni da Venzon al à scugnût
cjatâ une soluzion ai cavii fra Paluce e Plan, cavii ch'ai nesceve simpri in
ocasion da fieste da Scensce. In tal 1529, tra Sudri e Paluce a ere nassude
une miege baruffe su quâl crous a veve il dirit di vei il puest subit dopo
chê di S. Pieri, simpri in tal dì da Sensce. Paluce a pratindeve di iessi la
prime e cussì encje Sudri. In chest document di quasi 500 agni indevur, il
Pravost d'in chê volte al vores vût di risolvi la cuestion Dopo vei cjalât
libris vecjons e encje ruvinâz dal timp, ch'a i podeve risalî a qualchi
secul indevûr, al dîs ch'a nond'ere nue ch'a riguardave l'ordin das crous in
ta pruciscion da Scensce.. Us voi proponi soradut un
aspiet che tantes volte a mi fâs inrabiâ parceche al cope la sperance. Ma eiese propit cheste la situazion da noste Cjargne? Eco, encje io stoi mâl quanche a sci
viout nome il negatîf ch'al è achì da nou e cussì vuei mi sint di dî dut
il biel chi cjati in cheste tiere che il Signôr al à vulût ch'a seti encje
la me cjere. Don Tarcisio Puntel,
canonico di S. Pietro e
IL VESCOVO DI ZUGLIO E’ NUNZIO IN SRI LANKA L’attuale vescovo titolare
di Zuglio, S.E. mons. Mario
Zenari, di 58 anni, il 10 maggio 2004 è stato nominato dal papa Nunzio
Apostolico dello Sri Lanka. Questa nomina premia l’impegno diplomatico del
“nostro” vescovo, il quale va ora a ricoprire un incarico più impegnativo
e gravoso del precedente. A mons. Mario Zenari vadano gli auguri più vivi e
fraterni della redazione di questo balcon e di tutto lo staff di Cjargne
Online. Auspichiamo contemporaneamente che il prossimo “vescovo titolare” di
Zuglio diventi “residenziale”, dando pieno significato pastorale
e istituzionale al vescovado della Carnia, divenuta finalmente DIOCESI. QUALE DIOCESI DOPO IL REFERENDUM? Purtroppo, dopo il referendum popolare del 21
marzo 2004, che ha inequivocabilmente bocciato l’ipotesi della provincia
Regionale dell’Alto Friuli ed esaltato invece la insopprimibile
voglia di autonomia della Carnia, l’ipotesi di una Diocesi di Zuglio
allargata al Canal del Ferro-Tarvisiano, appare oggi alquanto remota e
impraticabile. Necessariamente e in subordine, occorrerà invece
puntare più pragmaticamente sulla Diocesi Carnica, un progetto certamente
meno ambizioso ma più omogeneo e coerente. L’Arcidiocesi di Udine, pur perdendo kmq 1.230 del
proprio attuale territorio (con bassissima densità di abitanti),
conserverebbe tuttavia una consistente popolazione di ancora ben 448.000 unità,
restando sempre tra le prime grandi cinque diocesi italiane. Il Referendum consultivo popolare del 21 marzo
2004, invocato e sostenuto dalla Chiesa Udinese e dal suo Arcivescovo, ha
dimostrato due cose inequivocabili: - l’Alto Friuli non esiste, se non come
espressione geografica coniata strumentalmente dalla politica udinese. - la Carnia unita ha una insopprimibile esigenza
di autonomia, che le deriva dalla sua storia millenaria, per molti aspetti
diversa e peculiare rispetto a quella di altre zone del Friuli storico. Ignorare tutto ciò significa ignorare la sensibilità
e le attese del popolo di Carnia. Per questo ora il testimone torna alla Chiesa
Udinese, la quale, dopo aver constatato la bocciatura del proprio progetto
politico (Provincia regionale dell’Alto Friuli), dovrebbe adesso dare
dimostrazione di coerenza e lungimiranza, sostenendo e concedendo
quell’autonomia pastorale alla Carnia che ne ha chiaramente manifestato
l’esigenza sul versante politico-istituzionale. Diversamente, tutto ciò che la Chiesa Udinese avrebbe compiuto in questi 4 anni a favore della Provincia regionale della Montagna, parrebbe grandemente incoerente con i principi di sussidiarietà ed autonomia finora professati.
BARCELLONA – UDINE Il 15 giugno 2004, la grande diocesi di Barcellona
(Spagna) è stata smembrata in tre parti con la creazione ex novo
delle due nuove diocesi di Terrassa e di Sant Feliu. Contestualmente
l’arcidiocesi di Barcellona (finora immediatamente soggetta alla S. Sede) è
diventata METROPOLITANA avente come suffraganee le due diocesi di nuova
creazione. Si licet parva componère magnis… si tratta di
evidentissime analogie con la situazione nostra. Vediamo: l’Arcidiocesi
di Barcellona (kmq 3.041) era finora metropolitana SENZA diocesi
suffraganee ed era sede di un arcivescovo-cardinale residenziale
coadiuvato da 6 vescovi ausiliari per una popolazione di oltre 4,5
milioni di abitanti, residenti in un territorio omogeneo e non vastissimo. L’arcidiocesi di Udine (Kmq 4.726) è ancora immediatamente
soggetta alla S. Sede ed è anche METROPOLITANA senza diocesi
suffraganee. Mentre la popolazione udinese (490.000 abitanti) risulta assai
inferiore a quella di Barcellona (guidata da ben 7 vescovi però), la
superficie della arcidiocesi di Udine è di gran lunga superiore a quella
catalana (di ben 1.700 kmq). Se dunque si è ravvisata la necessità di creare
due nuove diocesi catalane per meglio servire pastoralmente quella porzione
terra catalana (già dotata di 7 vescovi), non si può non ravvisare
l’analoga necessità di ri-creare la piccola ma fondante DIOCESI DI ZUGLIO -
per dare identità e speranza alla
CARNIA, -
per ridurre il vastissimo territorio
arcidiocesano udinese e infine -
per dare pieno significato al virtuale
titolo metropolitico dell’arcivescovo di Udine. Sì
in Carnia c’è S. Pietro e attorno a Lui la Sua “chiesa”, i Suoi
credenti, i Suoi fedeli. Non ci sono documenti anteriori al III secolo che ci
possono raccontare se il Cristianesimo arrivò a Julium Carnicum prima di
allora, così come non ce ne sono di una probabile presenza di S. Pietro e S.
Marco ad Aquileja nei primi anni della nuova era. Piace pensare però che in
quella sorta di fervore missionario suscitato dall’esortazione del Cristo a
predicare il Vangelo a tutte le genti che Pietro e Marco siano approdati anche
ad Aquileja e che Ermacora consacrato da Pietro ne sia stato il primo vescovo.
A sostegno di questo “immaginario“ c’è l’autografo del grande
imperatore e re di Boemia Carlo IV di Lussemburgo che dopo essere stato ad
Aquileja nel 1355 così scrive:
A son agnorums che a Zuj,
a lassù su la
mont di San Pieri, a ven puartade indevant la biele e antiche usance da
bussade das crous. Cemût che oramai duç san, il dì da Scensce di ogni an,
dutes la crous dal Cjanâl di San Pieri a sci cjatin a lassù par riverence ae
antiche Plêf Mari dal Cjanâl. Ma in tai agns otante as an començât
a partecipâ, ben viodudis, ancje crôs che dal Cjanâl a no erin; par prime,
se no fali, chê de nestre Plêf di Sante Marie di Guart. Cjatant
l’iniziative cetant biele, o ai domandât a pre Meni Cimiotti, di
podei lâ ancje cun chê di Gjviano. La rispueste a è stade categoriche:
”Asolutamenti no; chê a è une tradizion nome di chel Cjanâl e baste!”.
Purtrop pôc dopo, avonde zovin, pre Meni al è lât tal mont dai trops. Lui
al ere di Dimplan e al è stât preidi plui di duç a Gjviano (passe 34 agns),
prin mansionari e po’ plevan cunat che Gjviano, in gracie sô, a è deventade
parochie. A
sostituîlu al è rivât pre Milio Englaro, cjale câs encje lui dal
Cjanâl di San Pieri (al ere di Paluce), cu l’incaric di plevan di Rigulât.
A lui, prime di fai la domande di podei portâ la crous a San Pieri, ai volût
specificâ: “O sai che la bussade des crous a è une vuestre biele e antiche
tradizion, ma centant plui antiche encjemò a è la Diocesi di Zuj,
diocesi, come c’al sa, da Cjargne interie e no nome di chel Cjanâl.
Partecipant encje noatris, o onorin dutis dôs lis realtâts.” Pre Milio al
à aderît dal moment e cun di plui al à vulût lui stess inghirlandâ las dôs
crous, chê di Gjviano e chê di Rigulât. D’in chê volte (1987) Gjviano
nol à mai mancjât a chest apuntament. Cumò, invidât a fâ part dal cumitât
pe diocesi di Zuj, o
ai aderît cun grant plasei e mi darai da fâ par dut che che tal gnò piçul
pues fâ, par judâ a rivâ a puartâ fint insom cheste biele iniziative. A
vares podût jessi cjapade in man encjemò in chê volte che a è state
riesumade la sede vescovîl di Zuj (1967) e ch’al è stât nomenât
il prin vescul titolâr moderno (mons. Aldo Gobbi di Verone), ma no stin a vaî
sul lat straçât. Cumò di gracie che a è partide cheste
iniziative, e o vin di lâ indevant cun grinte, guai a fermâsi, fin cuant che
o rivarin insom. E o rivarin sicuramenti parcè che o vin de nestre bande la
Religjon, la Storie, la Tradizion, e, no ultime, la Justicie. Pieri
Pinçan SCENSE
2005 Anche
quest’anno, 8 maggio 2005, si è felicemente svolta la maggiore festa
della Carnia sul colle di S. Pietro di Zuglio, con un significativo numero
di croci astili, una presenza discreta di fedeli accorsi dalle valli ed una
sempre più ridotta rappresentanza di preti (solo 5). La
cerimonia, totalmente espressa in lingua friulana, ha avuto gli stessi
ritmi e cadenze degli anni, dei decenni e dei secoli passati: sul Plan
da Vincule il Prevosto di Zuglio, reggendo la croce di San Pietro, ha
dapprima impartito le benedizioni rogazionali, che in lingua madre sono così
risuonate: “Dal folc e da tampieste… Dal flagjel dal taramot… Das
disgraciis, da fan e da uere… Dai valens e da l’arie impestade das radiazions atomichis…
Da muart
eterne…”. Ogni invocazione era seguita dal Libera
nos Domine dei fedeli radunati attorno all’altare. Poi
il Prevosto ha invitato tutti al raccoglimento: “Cristians dal Cjanâl di
S. Pieri e di ogni atri sît! Achì i vignin ogni an par rinfresciâ la
memorie di tancj secui passâts… Cjatâsi achì, sot chest campanili, al
voul dî ricuardâsi ch’i sin encjemò fradis… Chest a no’l è un at di
dipendence come une volte, ma un at di fraternitât e di afiet tra di nou…” E’
poi seguito lo splendido inno “Chi, su la mont, che i secui a ricuarde”
cantato entusiasticamente da tutti i presenti, molti dei quali, giunti qui per
la prima volta, non hanno potuto trattenere un moto di intensa commozione… La chiamata
delle croci ha poi costituito il momento più alto e significativo: le
croci astili, ornate di nastri multicolori e di fiori di campo, provenienti da
quasi tutti i paesi di Carnia, da Mauthen (Carinzia) e anche
dalla collina friulana, si sono a turno avvicinate alla croce madre di
S. Pietro, rendendole filiale omaggio e ricevendone il “bacio”. Al
termine, processionalmente, tutti si sono diretti verso la pieve-cattedrale
di S. Pietro, già stracolma di gente, per la solenne messa “In
Ascensione Domini”, accompagnata da un Coro di elementi rappresentativi
di tutta la nostra Terra. Fin
qui la cronaca; ora alcune riflessioni: 1. Come accade ormai da troppo
tempo, erano assenti le croci astili di: Cavazzo, Amaro, Cercivento,
Paularo, Villa Santina, ed alcune altre, per un malinteso senso di
diffidenza e di temuta sudditanza. Oggi non è più ammissibile una
latitanza religioso-pastorale di questo tipo perché, come ha bene affermato
il Prevosto, il bacio delle croci non è più un atto di dipendenza, ma
solamente un atto di fraternità e di unione tra le chiese di Carnia. E
questo lo dovrebbero ben sapere anche i preti ostinatamente assenti, i quali
dovrebbero altresì conoscere almeno i rudimenti della storia del nostro
Cristianesimo. 2. Come era accaduto per la Scense
2004, anche quest’anno era stato predisposto (dai soliti volenterosi) un opuscolo
(da distribuire gratuitamente sul Plan da Vincule) con alcune riflessioni
sulla storia di Carnia e sulla antica Diocesi di Zuglio. Questa
spontanea iniziativa si è arenata sul nascere a causa di una dichiarata
mancanza di fondi (assai debole motivazione: si trattava infine di poche
centinaia di euro). 3. Nel medesimo giorno
dell’Ascensione (8 maggio), presso la Pieve di S. Floriano di
Illegio (sede attualmente della mostra artistica miliardaria denominata “Mysterium”),
è stata inventata ex novo un’altra cerimonia per i fedeli di Amaro,
Cavazzo, Tolmezzo, nonostante che la festività di S. Floriano si fosse già
splendidamente celebrata solo quattro giorni prima, il 4 maggio… Sempre nello
stesso giorno, 8 maggio, a Ravascletto, si è voluto inscenare una
“Scense” alternativa (si dice a base di polenta e frico…). Ma
com’è possibile questo? Com’è possibile che la Carnia non si ritrovi
unita neppure nel suo giorno più importante dell’anno? Com’è
possibile che il simbolo identitario di Zuglio non riesca ancora ad
unire non dico i fedeli o i politici, ma neppure i preti, che continuano
amabilmente a ignorarsi (eufemismo)? Se una Pieve rivaleggia con un’altra,
se un prete scende in mondana competizione con un altro, se una parrocchia
ignora deliberatamente un coordinamento di più vasto respiro, che ne sarà
della Chiesa di Carnia? Se i pastori dunque sono divisi tra loro, come
possono pretendere che il gregge loro affidato resti unito o torni
all’ovile? 4. A fronte della cronica carenza di
preti e con lo scopo di tamponare le falle sempre più vistose che si creano
incessantemente nei ranghi del clero, si vorrebbe, da parte di qualcuno, valorizzare
il ruolo delle antiche Pievi di Carnia, che sono 11, per
riorganizzare il territorio pastorale della nostra Montagna. Alcune di queste
Pievi avevano una vasta giurisdizione (come quelle di S. Pietro, di Gorto, di
Illegio, di Cesclans, di Invillino, che sono le più antiche, la cui origine
va collocata verso il VIII-IX sec., anche se i recenti scavi di S.
Martino presso Luincis indicherebbero l’esistenza di una chiesa battesimale
risalente al V secolo); le altre Pievi sorsero invece in tempi successivi (sec.
XII) a breve distanza l’una dall’altra, arrivando spesso al titolo di
Pieve mediante perorazioni all’Autorità Ecclesiastica. L’idea di questo
viaggio ad retrorsum nel tempo, alla ricerca delle radici per
rivitalizzare i rami odierni (spesso rinsecchiti o cadenti) di un grande
albero in progressiva sofferenza, potrebbe apparire a prima vista ottima e
felice. Ma sussistono, a mio modo di vedere, due obiezioni di fondo e
la prima è la seguente: la “valorizzazione” delle 11 Pievi di Carnia
introdurrebbe un ulteriore elemento di divisione in una realtà
ecclesiale che è già molto divisa e frantumata, quando non in perenne
conflitto e competizione, come bene dimostrano anche i fatti della Scensce
2005 (e non dico altro). La seconda obiezione è questa: se davvero si
vogliono riscoprire le radici antiche per rivitalizzare l’attuale pianta,
sarebbe più ragionevole ed efficace andare ancora più sotto e più
indietro nel tempo, fino al IV secolo, quando, ben prima delle
Pievi che ancora non esistevano, esisteva il VESCOVADO DI ZUGLIO con
una giurisdizione vasta e importante, comprendente non solo TUTTA
la Carnia, ma anche parte del Cadore, parte della valle del Gail, la collina
friulana, come bene ha dimostrato Franco Quai nel suo splendido e
insuperato libro “La sede episcopale del Forum Julium Carnicum”,
Agraf 1973. Flavia De Vitt fissa le origini del vescovado di Zuglio tra
il 381 e il 480, facendolo durare poi fino all’VIII secolo,
nel suo preciso e documentato lavoro “Pievi e Parrocchie della Carnia”,
SFF, Edizioni Aquileia, 1984. Ebbene, la riscoperta del vescovado di Zuglio (e
quindi della sua Diocesi) avrebbe (questa sì) un carattere unificante
per l’intera Carnia, costituirebbe quel processo finalmente virtuoso in
grado di garantire unità e rappresentatività alla nostra Terra, che potrebbe
continuare a mantenere e a vivificare le proprie peculiarità plebanali e
parrocchiali, ora giustificate e irrobustite dalla cattedra vescovile di S.
Pietro di Zuglio, rassicurante ed autorevole, ma soprattutto finalmente aggregante.
La S. Sede ha riscoperto l’antico vescovado di Zuglio ancora nel 1964,
creandone appositamente il titolo, di cui si fregia oggi S.E. mons.
Mario Zenari, nunzio apostolico in Sri Lanka. La Carnia, con i suoi preti, non
lo ha ancora fatto e questo è a dir poco paradossale ma è anche emblematico
di quanto poco interessi la nostra Storia e di quanto invece interessi il
proprio piccolo hortus conclusus. E se la Carnia, divisa dalle
montagne e dai rius ma profondamente unita dai problemi, resterà
ancora un mosaico di piccolissimi e insignificanti orticelli rigorosamente
recintati, mai nulla di buono accadrà per il nostro popolo, che continuerà a
subire perché diviso. E la Diocesi di Zuglio potrebbe costituire quel primum
movens per il raggiungimento di quella piena consapevolezza di Popolo e di
Terra, che ancora ci manca. Perché
non avere il coraggio dunque di andare fino in fondo? Perché non andare alle
radici stesse del nostro Cristianesimo? Alfen
LA
DIOCESI DELLA CARNIA
Per venire a conoscenza della
Storia della Diocesi di Zuglio basta leggere e invitare a leggere a pag.
12 del libretto: "La Diocesi di Zuglio" il corto ristretto storico.
Diciamo quì soltanto l'essenziale.
Gli studiati ci dicono che il primo Vescovo di Zuglio,
anzi del Forum Julium Carnicum, è ricordato nel 490 con il Vescovo Januario,
( ma sul Dizionario Biografico Friulano" del Prof. Nazzi, si trova che Januario o
Gennaio era Vescovo di Aquileia dal 441 al 449). Ad ogni modo la Diocesi
di Zuglio è così antica.
Era allora sufraganea della, a quel tempo, Diocesi di Aquileia,
che soltanto più tardi ha cominciato a chiamarsi Patriarcato.
Sei sono stati i Vescovi di Zuglio a parte Januario:
Acceptus,Theodorus, Asterius, Maxentius, Fidentius e Amator. ( da "La
sede episcopale del Forum Julium Carnicum" del Prof.. Mons.
Franco Quai.
Questo Amatore è quello che dalla sua residenza di Zuglio si è
trasferito a Cividale e nel 732 è stato cacciato dal Patriarca Callisto.
Da quel tempo non si è più parlato della Diocesi e nel 744 è stata
probabilmente soppressa. Si dice in quel ristretto sopradetto: "La
Diocesi di Zuglio cessa pertanto di esistere più per motivazioni di
carattere politico che per necessità pastorali..."
Quanti significati ha la parola <Politica>! Nel nostro caso,
come per il Patriarcato, significa: - fare in nome dei poveri piccoli,
gl'interessi e le comodità dei grandi, con l'arma della prepotenza da una
parte e della sottomissione dall'altra...
Facciamo allora un salto adesso di 1232 anni, per arrivare al 1964
quando è stata creata la "Titolarità del Vescovato di Zuglio in
Carnia".
Questa "Titolarità" in se stessa non ha quasi nessun
valore, perché a quanto si vede ha il solo scopo di dare un titolo in più a qualche Vescovo, senza
preoccuparsi minimamente dei fedeli che dovrebbe amministrare ma, come
in tutti i casi c'è qualcosa di male e il resto di bene, così è anche nel
nostro caso.
E' male dunque dare il titolo di Vescovo titolare a chi, non soltanto
non sa dove si trova la Diocesi ma, almeno in un caso, in quello del nero
Alfredo Kipkoech, non si è mai presentato, (ha detto allora il Prevosto
mons. Pietro Degano:... No si sà se al è vignût di not o parcè che al è
nêri, chì no si lu a' viodût...). Non basta neanche, sebbene tanto
gradita, la presenza di una o due volte dei pastori, per poi dimenticarsi della malga e della mandria... Ma dall'altra parte ha il grande
merito, prima, perché tale riconoscimento della Diocesi di allora è la
base per costruire quella di adesso. .
Se avessimo dovuto cominciare da terra sarebbe stato molto più difficile e
forse con meno probabilità di riuscita; secondo perché in grazia a questo
possiamo vantarci di aver avuto, seppure soltanto titolare a quel tempo,
il primo Vescovo, carnico, della Diocesi di Zuglio (carnico fra i carnici,
pastore con il suo gregge, il nostro Arcivescovo e futuro,( magari in un
secondo tempo), Patriarca, Monsignor Pietro Brollo:
Al punto che siamo
arrivati, ora tutto può andar via liscio come l'olio e quello che bramiamo
si può dirlo in poche parole: - Nel 732 il Patriarca Callisto ha cacciato
il Vescovo di Forum Julium Carnicum, adesso il
( per intanto) Arcivescovo di Udine mons. Pietro Brollo e non il Vescovo
di Roma, ripara il mal fatto di allora e nomina il nuovo Vescovo della
Carnia,
dell'era moderna, suffraganeo dell’ Arcidiocesi, (sempre per intanto),
di Udine. Tutto qui. Dovrà essere
possibilmente carnico, o al più del Patriarcato di Aquileia.
A parte la risuscitata Diocesi con quello che questo comporta, a
parte qualche cambiamento di poco valore, tutto resterà come prima. Nessuno
ha niente da perdere, neanche l'attuale titolare Mons. Mario Zenari che non
perderà il titolo, perchè qui bisogna fare come è stato fatto nel 1751
con il Patriarca Daniele Delfino, conserverà il suo titolo di Vescovo
titolare di Zuglio per tutta la vita se vuole, o se lo vogliono. Tutta la
nostra riconoscenza al Patriarca Delfino, per quella bella lettera che ha
scritto a quel tempo in difesa del Patriarcato, ma come abbiamo visto è stato
tutto inutile.
Per questioni di territorio dell'antica e nuova Diocesi di Zuglio,
bisognerà restare per adesso alla sola Carnia, ma col proponimento, più
avanti, di tornare ad avere con noi anche il Cadore, che è stato con noi
fino al 1846 quando lo hanno trasferito alla Diocesi di Belluno; ci sono
tanti ancora adesso che bramano di ritornare con noi.
Una curiosità che solo pochi sanno:-Chi è stato l'autore di quel
trasferimento è stato il Papa Gregorio XVI, al secolo Mauro Capellari,
guarda caso, carnico, oriundo da Pesariis. I suoi antenati si sono
trasferiti a Belluno nel 1300. (don Antonio Roja) Ma qui c’è sicuramente
un errore di data: non è possibile che i suoi genitori si siano trasferiti
nel 1300 per due ragioni: una che a quel tempo non esistevano i cognomi, che
se non vado errato hanno cominciato a formarsi verso la fine del 1500, poi
perché il suo Pontificato termina proprio nell’anno del trasferimento del
Cadore e dunque nel 1846, quando è morto
Tanto c’è da dire su questo Papa, dato che questo fatto, dato che può essere una ragione
complementare in favore della nostra causa per la PROVINCIA DELLA CARNIA, ma qui limitiamoci a dire che il mio
amico Carlo Quaglia da Pieria, ha tutte le prove che queste non sono
fantasie ma la pura realtà. Ci ripromettiamo di farlo prossimamente.
Ebbene, a questo proposito il Dott. Craffonara, professore sud
tirolese, che conosce bene la nostra Storia e non soltanto quella e che
parla benissimo in friulano, (ci darà sicuramente una mano nel nostro
progetto), ci dice che ai tempi
di Zuglio era Diocesi anche Aguntum, che si trova fra Lienz
e Oberdrauburg, in Carinzia. ( In quel posto c'è adesso una grande Croce
bianca fra i reperti).
Abbiamo detto della grande importanza che ha l'eredità europea per
il Patriarcato. Allora mi permetto di fare un ragionamento. Non sò se
sbaglio, ma se è così, dovrebbe essere stata Diocesi anche Virunum, che
si trova nei pressi di Zolfeld, sempre in Carinzia. Tutte tre, dunque,
del
Patriarcato di Aquileia e tutte tre fanno parte della nuova Europa. Dunque, Europa, datti da fare... non vogliamo privilegi ne favori, soltanto coerenza e giustizia, e naturalmente TRADIZIONE: Pieri Pinçan
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