Scoperta
archeologica ad Ovaro IL
PIU’ ANTICO BATTISTERO DI CARNIA Nelle scorse settimane
è stato scoperto in Carnia un battistero paleo-cristiano risalente al V
secolo. Si tratta di una vasca battesimale per immersione, rinvenuta
accanto ai resti di una basilica coeva, ampia oltre 400 mq. Questa importantissima
scoperta è stata fatta in una modesta (e finora trascurata dal punto di vista
archeologico) chiesa nel comune di Ovaro, la chiesa di S. Martino che
si trova poco distante dalla frazione di Luincis e a pochi passi dal torrente
Degano, in zona pianeggiante. Ciò indurrà
probabilmente gli storici a riscrivere molte pagine di quella storia del
cristianesimo in Carnia che si riteneva ormai consolidata. Solo alcuni
interrogativi: 1.
Come mai questo antico battistero nella chiesetta di S. Martino e non
invece nella Pieve di S. Maria di Gorto, da sempre ritenuta “matrice”
della Carnia occidentale? 2.
San Martino era dunque precedente alla pieve di Gorto? 3.
Se era precedente, perché la successiva Pieve è stata trasferita sul
colle di Gorto? 4.
Come si collega S. Martino di Lunicis con la Zuglio vescovile? 5.
Il Cristianesimo è quindi giunto assai prima del II secolo ad Aquileia
e quindi la “leggenda” di S. Marco evangelista di Aquileia non è poi così
leggendaria e peregrina. 6.
Il Cristianesimo è giunto quindi anche a Zuglio molto prima di quanto
finora ritenuto e da qui si è poi irradiato in Karnia e nel Norico. Tutti questi segni o segnali della Provvidenza forse indicano la strada per Zuglio diocesi “restauranda”?
COLLE ZUCA- Una testimonianza forte, un segno di speranza Superato
Invillino, si prende la strada per Verzegnis; poco prima dello splendido ponte
in pietra che scavalca un Tagliamento asciutto da decenni (la sua acqua è
stata “rubata” dalla SADE-ENEL ad Ampezzo e incanalata in condotta forzata
sotterranea fino alla centrale idroelettrica di Somplago che fornisce
elettricità alla pianura), si trova la cappelletta della MADONNINA DEL
PONTE, che si erge a ridosso delle ghiaie bianche del vecchio fiume;
accanto alla chiesetta votiva si diparte una stradina tortuosa che si inerpica
lentamente fino alla sommità di un piccolo colle, verdeggiante di larici e
abeti, COLLE ZUCA, che nasconde da secoli un misterioso tesoro ignorato
dalla stragrande maggioranza dei carnici: un complesso archeologico di
inestimabile valore storico, che è stato portato alla luce tra il 1972 e
il 1974 da una equipe della Università di Monaco di Baviera (!!!) guidata dai
proff. Werner
e Bierbrauer. Questo
complesso cultuale tardo-antico, protetto da una grande tettoia in
ferro-plexiglas, è costituito dai muri di: 1-
un grande edificio di m. 28 x 14.90 denominato CHIESA A
risalente al sec. V. Ha una pianta rettangolare priva di abside, con muri
perimetrali di cm 60 di spessore, costruiti con la tecnica a spina di pesce.
L’aula A contiene la zona dell’altare con un rialzo semicircolare isolato
per il clero e il presbiterio di forma quadrata, con ampie parti di pavimentazione
a mosaico composta da tessere policrome con motivi curvilinei e
geometrici e fiori. La tecnica pittorica usata per la decorazione pavimentale
fu ottenuta mediante l’accostamento di piccoli parallelepipedi di pietre
naturali, paste vitree, terracotta, marmi, madreperla, applicati sulla
superficie pavimentale tramite il supporto di un letto di calce, stucco e
gesso. A nord dell’aula A ci sono due stanze secondarie di m. 3,60 di lato. 2-
una secondo edificio
detto CHIESA B, rettangolare (m. 17.30 x 7.20) costruito sopra la
CHIESA A, dopo che questa fu distrutta da un violento incendio e poi
smantellata nel VI sec. Questa CHIESA B si conservò fino al sec. IX. 3-
una vasca battesimale
per immersione, addossata alla CHIESA B . Nelle
operazioni di scavo del 1972, furono inoltre rinvenuti 6
reperti: 1.
Fibula ad arco in bronzo (cm 7,2) VI sec. 2.
Pomo di spata in acciaio (cm 4) VI sec. 3.
Fibula in bronzo (cm 9,2) VI sec. 4.
Fibula a gallo in bronzo (cm 5,25) V-VII sec. 5.
Orecchino in bronzo (cm. 3,7) V-VII sec. 6.
Spillone in bronzo (cm. 15,7) V-VII sec. Tutti
questi reperti archeologici, insieme ad una croce preziosa, sono custoditi nel
museo archeologico di Cividale. Questo
magnifico luogo, gratuitamente aperto al pubblico (ma desolatamente deserto), -
stimola riflessioni: Aquileja,
via Julia Augusta, Forum Julium Carnicum, Cristianesimo, il vescovo di Zuglio… -
evoca suggestioni: una
basilica cristiana, il Col Santino, la plebs che si raccoglie… -
suscita interrogativi: quale
collegamento con Gorto? Con Zuglio? Quando? E prima? Ma poi? -
indica speranze: RISORGERA’
MAI L’ANTICA SEDE VESCOVILE DI FORUM JULIUM CARNICUM? GRAZIE
a Mauro
Tedeschi che fa scoprire ai carnici i propri sconosciuti e grandiosi GIACIMENTI
CULTURALI.
Lettera del Centro Amicizia e Libertà alla curia
Centro
culturale Amicizia e Libertà ________________________________________________________________________________
Sua
Em.za Rev.ma Card.
Giovanni Battista Re, Prefetto
della Congregazione per i Vescovi, 00120
CITTA’ DEL VATICANO E,
p. c., -Loro
Ecc.ze Rev.me Metropoliti di Venezia, Gorizia, Trento e Udine; Vescovi suffraganei delle Province ecclesiastiche
di Venezia, Gorizia e Trento LORO
SEDI -Sito:
www.cjargne.it Oggetto:
Costituzione della diocesi di Zuglio Carnico. Zoldo
Alto, 4 febbraio 2002 Eminenza
Reverendissima, della Carnia non mi ero pressoché
mai occupato, essa era per me un «altro mondo». Finché, il 1° agosto 2000,
scalando una montagna in Svizzera morì un mio giovane amico carnico, di Paluzza,
il carabiniere Erwin Maier. Da allora, da quando egli ha chiuso
gli occhi a questo mondo, io li ho aperti alla sua terra; il mio spirito ha
iniziato a interessarsene e ad amarla. E’ stato così che alla sua parrocchia
ho donato la stola che avevo ricevuto dal mio anziano parroco il giorno
dell’ordinazione sacerdotale; e con il suo comune ho iniziato a lavorare per
costituire un piccolo museo, le «Collezioni dell’Amicizia Erwin Maier». La Carnia è una terra difficile da
vivere; le asperità della montagna sono evidenti e possono scoraggiare; le
nuove generazioni sono «indottrinate» da modelli di vita più facile e in
tanti casi preferiscono scendere in pianura, quasi fosse la terra promessa.
Eppure, al pari di altre comunità storiche di montagna, la Carnia ha una sua
identità, una ricchezza spirituale e umana che le è propria e che possiamo
definire «l’anima della Carnia». Le tradizioni civili e religiose, o sociali
in genere, sono già un «corpo» in cui essa si è incarnata. Patrimonio
prezioso di civiltà, che le culture globalizzanti e consumistiche stanno
progressivamente emarginando, come un retaggio vano del passato, e quindi
facendo uscire dal cuore, dalla memoria e dalla prassi di vita collettive. Io
stesso, pur nato e vissuto in un’area geograficamente tanto vicina, non mi
rendevo assolutamente conto della realtà: né di quella positiva (il
patrimonio culturale civico e religioso), né di quella negativa (la progressiva
scristianizzazione e perdita di identità collettiva). A proposito delle realtà positive: sapesse con quanta commozione interiore ho ascoltato e riascoltato la cantata natalizia «Miegenot». Essa ha ricostruito, dentro di me, quella sensazione di Dio che nell’infanzia mi era familiare: oh, nostalgia degli anni in cui Dio mi parlava nel soffiare del vento, nel canto degli uccelli, nel vibrare della luce! Tutto ciò non è passato, in me; ma qualcosa si è come spento. La constatazione di atteggiamenti meno di fede, meno limpidi, soprattutto da parte di alcuni vescovi, mi ha raffreddato. Eppure, tornando a quell’ «anima», testimoniatami da canti come «Miegenot», lo sguardo di fede si ravviva e l’orecchio religioso sente con più chiarezza la voce paterna di Dio, e sgorga meglio la risposta: «Padre!». Come è facile distruggere ciò che è bello e prezioso e, perché puro, più incapace di difendersi; così è l’anima; anche la nostra, cara Eminenza… A proposito delle difficoltà della
Carnia: il sito www.cjargne.it ha una ricca
documentazione delle problematiche. Per quel che mi riguarda, mosso cioè
esclusivamente da amore («premio a sé stesso»), ho riflettuto parecchio, e mi
è parsa meritevole di attenzione la proposta, pur emersa solo pochi anni fa, di
ricostituire l’antica diocesi di Zuglio Carnico. Non sto a illustrarne i
motivi: se li riassumessi, parrebbero pochi; se li elencassi e approfondissi, mi
dilungherei troppo. Né credo utile sia io a fare questo lavoro di
documentazione; quand’Ella, assieme ai vescovi della Conferenza episcopale
triveneta, ha e può avere altri mezzi per accertarsi della fattibilità e
opportunità del progetto. So che la stessa diocesi di Udine,
tramite il proprio settimanale, ha dato voce alla proposta parallela di
costituire la provincia della Carnia. E’ ovvio che le due soluzioni
potrebbero, e sarebbe auspicabile procedessero di pari passo. Il vescovo di
Udine, essendo carnico, ha intuibili difficoltà a prendere posizione; ma è
altrettanto vero che, se il bene delle anime lo richiede, questa difficoltà può
essere facilmente circoscritta alla sua persona. Che Dio ci aiuti! Con riverenti saluti. Il
Responsabile (Pellegrini
don Floriano)
Risposta
della Curia
11
maggio 2002 Zuglio
una diocesi antica “QUESTO
CONVEGNO NON S’HA DA FARE, NE’ DOMANI NE’ MAI”
Il giorno 11 maggio 2002, vigilia della Scense, a
Zuglio si sarebbe dovuto tenere un Convegno-dibattito su “ZUGLIO UNA DIOCESI
ANTICA”, organizzato e gestito da un gruppo di laici, tra cui i coordinatori
del presente balcon. Tema: il
ripristino della antica diocesi di Zuglio. Ai primi di marzo, i relatori contattati avevano
dato tutti la propria adesione, le tematiche erano state a ciascuno assegnate,
il programma dei lavori era stato minuziosamente delineato, il luogo
dell’incontro era stato individuato, i supporti tecnici erano stati garantiti,
il video di base era stato totalmente rielaborato con grande dispendio di
energie e di tempo da parte di VTC di Treppo, l’inno di Carnia del maestro
Canciani era stato riversato su VHS come un coinvolgente videoclip. Insomma era
tutto partito sotto i migliori auspici: anche l’arcivescovo Brollo era stato
preliminarmente informato di questa straordinaria iniziativa partita dal basso,
che avrebbe dovuto avere il seguente PROGRAMMA: ore
9,30 Inno della Carnia “Karnorum regio” (di
Giovanni Canciani) ore
9,40 Presentazione del filmato VTC “Zuglio, una diocesi antica” (di
Alfio Englaro e Marino Plazzotta) 10,10
“Come dove quando è nata l’idea…” di Alfio Englaro 10,20
“Diocesi di Zuglio: un fulgido passato che permea il presente” di Giovanni
Canciani 10,
30 “Diocesi di Zuglio: il senso di una tradizione” di Celestino Vezzi 10,
40 “Diocesi di Zuglio e solidarietà sociale” di Pierluigi Di Piazza 10,50
“ Diocesi di Zuglio e società civile” di Mario Gollino 11,00
“Diocesi di Zuglio per una pastorale in Carnia” di Giuseppe Cargnello 11,10
“Diocesi di Zuglio e identità carnica” di Antonio Bellina 11,20
“Diocesi di Zuglio: significato religioso e convivenza civile” di Renato
Garibaldi 11.30
“Diocesi di Zuglio: perché la Polse di Cougnes a S. Pietro” di Giordano
Cracina 11.40
“Diocesi di Zuglio: troppo piccola per esistere?” di Titta Del Negro 11.50
“Diocesi di Zuglio e Provincia ecclesiastica del Triveneto” di Duilio
Corgnali 12.00
discussione 13.00 conclusione dei lavori Moderatori MARINO PLAZZOTTA E STELIO
DORISSA Ebbene, quando pareva che tutto fosse ormai fatto,
ecco che il diavolo ci mette la coda. E che coda! Da dove meno ci si sarebbe aspettato, ecco giungere
improvviso, fragoroso e inatteso un deciso NO, argomentato da motivazioni tanto
ingenerose quanto assurde e
incredibili. NO (si disse inizialmente) PERCHE’ DIETRO QUESTO
CONVEGNO CI SONO SCOPI POLITICI... anzi NO (corressero poi): è un tema troppo
prematuro per essere trattato, è meglio somministrarlo in piccole dosi annuali
perché non faccia troppo male ai carnici (ignorantoni e trogloditi, ndr). Questa grave e indimostrata ACCUSA e questo
perentorio strampalate ARGOMENTAZIONI giunsero dall’interno del Consiglio di
Amministrazione della POLSE DI COUGNES (vedi
Giacimenti Culturali), un consiglio di amministrazione che avrebbe dovuto
invece aderire entusiasticamente alla proposta ed alla iniziativa, come del
resto avevano già fatto il Comune di Zuglio, la parrocchia, don Cracina stesso
(presidente della Polse), tutti i relatori e moltissimi laici messi a conoscenza
di questo progetto culturale. Questo NO incredibile della POLSE DI COUGNES, che
si proclama cuore pulsante di S. Pietro di Carnia, ha avuto un effetto dòmino
sugli altri iniziali sostenitori: prima la parrocchia ha tergiversato poi anche
il comune di Zuglio ha fatto marcia indietro, argomentando giustamente che un
convegno, ideato per unire, finiva per ulteriormente dividere i carnici (i
carnici?). A questo punto, nulla si poteva obiettare alla
parrocchia ed al comune di Zuglio che temevano una “lacerante divisione”.
Come dargli torto? Perciò, senza l’appoggio civico e religioso di
Zuglio, era di tutta evidenza che il convegno in
Zuglio risultava impossibile. D’altra parte, organizzare ALTROVE un convegno
sulla diocesi di Zuglio, era a tutti parso una pezza peggiore dello strappo. Che fare allora? I tre organizzatori hanno fatto la
cosa più semplice di questo mondo: hanno annullato il Convegno su ZUGLIO UNA
DIOCESI ANTICA, dopo che tutto era già stato predisposto fin nei minimi
particolari. E così, I TRE organizzatori, dopo aver perso la
faccia con i (mancati) relatori, con la (mancata) organizzazione, con le
(mancate) speranze, si sono resi conto ancora una volta che in Carnia sono
sempre I FORESCJ ad imporre le proprie interessate visioni e le proprie
particolari idee, spesso con arroganza evangelica (!). Sarebbe opportuno che il consiglio di
amministrazione della POLSE DI COUGNES, che giustamente vuole apparire un faro
di ecumenismo erga omnes,
fornisse tutte le spiegazioni di questo caso così clamorosamente anti-ecumenico
intra moenia.
Come vi si giunse? Fino al 1964, il
vescovado di Zuglio era solo un rudere archeologico all’interno del mondo
aquileiese, dimenticato da tutti, carnici compresi. In quell’anno la
Congregazione Romana dei vescovi prese la determinazione di assegnare ai nuovi
vescovi latini (impegnati in Curia vaticana o in diplomazia) i Titoli di alcune
sedi vescovili occidentali antiche, abbandonando i Titoli di alcune diocesi
orientali non più recuperabili (caduti definitivamente sotto l’Islam:
attualità sconcertante!). Nell’Europa
occidentale e in Italia esistevano diocesi, ormai decadute, ma non per questo
colpite da interdizione: era bene che rivivessero nei Titoli. Anche queste, come
le diocesi efficienti o più recenti, avevano una storia religiosa che meritava
di essere enucleata e valorizzata. La S. Sede ebbe cura di
compiere accurate ricerche storiche, interrogò i vescovi italiani, consultò i
testi classici dei vescovadi italiani alla ricerca di preziosi indizi storici e
di tracce inconfutabili del loro passato. Il Lanzoni, nel suo
monumentale testo “ LE DIOCESI ANTICHE D’ITALIA” aveva un breve cenno per
la sede vescovile di Julium Carnicum. Tale notizia, suffragata da altre prove
storiche reperite in loco, fu sufficiente per creare la TITOLARITA’ DI ZUGLIO
CARNICO. “Fu così che
l’edera del rudere venne strappata e il reperto potè godere di maggior luce
“ commentò Franco Quai, allora parroco di Zuglio, oltre che grande studioso e
storico locale. I
VESCOVI TITOLARI DI ZUGLIO In
epoca moderna Nel 1967 mons. Aldo Gobbi,
veronese, all’atto della sua elezione a vescovo, ebbe il titolo di Zuglio: era
il primo vescovo in epoca moderna a
fregiarsi di tale titolo. Ma Aldo
Gobbi, come la stragrande maggioranza dei preti e cattolici italiani, ignorava
l’ubicazione di Forum Julium Carnicum. Sentite cosa disse mons. Aldo Gobbi in
merito: “Mi fu comunicato che per la
nomina a vescovo, il titolo sarebbe stato quello di Zuglio. Pensai che la località si trovasse in Africa o in Asia
Minore… Poi scopersi che bisognava cercare in Alta Italia e forse nella zona
immediata oltre i confini di Stato, verso l’Austria… L’attenzione poi si
fissò su una località della Carnia, sopra Tolmezzo, laddove G. Cesare aveva
fondato un vicus. Venni così a conoscere dell’esistenza di una sede vescovile
durata più secoli, fino a quando i Longobardi avevano deciso di accentrare
tutto a Cividale, loro capitale… Feci la mia prima visita a Zuglio in un
mattino splendente di fine maggio…” racconta ancora Aldo Gobbi, che resterà
titolare di Zuglio fino alla fine degli anni ’70. 21
ottobre 1985 il carnico Pietro
Brollo diventa vescovo ausiliare di Udine col titolo di Zuglio. Mai titolo
fu più coincidente e più consono: per la prima volta un carnico ricopriva la
titolarità di Zuglio e tale titolo gli restò fino al 1996, quando Pietro
Brollo divenne vescovo di Belluno. 1996
Il
titolo di Zuglio passò all’africano Alfred
Kipkoech Arap Rotich del Kenya, impegnato in Vaticano. Questo vescovo non
venne mai a Zuglio a visitare la cattedrale che gli fornì il Titolo. Nel 1999
il vescovo africano, titolare di Zuglio, tornò in Kenya dove divenne vescovo
castrense del suo paese (cioè Ordinario Militare per il suo esercito),
suscitando prevedibili commenti, non sempre benevoli, verso una tale scelta. 1999
Il titolo di Zuglio passa a Mario
Zenari, veronese, impegnato in diplomazia (è nunzio apostolico in Costa
d’Avorio). Nella festa della Scense 2000, mons. Zenari fu presente insieme
all’arcivescovo di Udine, alla grande e indimenticata cerimonia sul colle di
S. Pietro. Santui
della PROVINCIA Pizighez della DIOCESI 15
maggio 2002 Sulla stampa locale (Messaggero Veneto), compare un
titolone a piena pagina: LA CHIESA CARNICA CHIEDE LA PROVINCIA. Il clero:
FACCIAMO SUBITO UN REFERENDUM. E ancora: CHI
HA RESPONSABILITA’ POLITICHE NON SI RENDA ARTEFICE DI UN IMPERDONABILE
TRADIMENTO.
Il vescovo Brollo: E’ UNA RICHIESTA DI POPOLO. 18
maggio 2002 Anche la VITA CATTOLICA, dedica una intera pagina
al vescovo Brollo che dice: POLITICI
ACCOGLIETE IL GRIDO DELLA MONTAGNA. Entrambi i giornali si soffermano sulla mozione del
clero di Carnia che è stata inviata al presidente del Consiglio regionale,
Martini, il 9 maggio scorso. Insomma un fuoco di fila del clero che reclama a
gran voce LA PROVINCIA DELLA MONTAGNA, quale strumento di autonomia e progresso
per la Carnia. In entrambi i giornali non si fa parola alcuna della Diocesi di
Zuglio. riflessione -. I preti di Carnia, supportati dal loro vescovo,
hanno concretizzato un comportamento incoerente e per certi aspetti
schizofrenico: da un lato affossano
la richiesta della Diocesi di Zuglio (di cui non vogliono neppure sentire
parlare), dall’altro reclamano la
PROVINCIA della Montagna (di cui si ergono a paladini). In altri termini:
RECLAMANO CIO’ CHE ESSI NON CONCEDONO. Quasi evangelico. -. Perché
agiscono in questo modo? A prima
vista, il loro comportamento risulta davvero incomprensibile e per certi aspetti
pateticamente retorico, come quando, andando sopra le righe, paragonano la
Carnia alla Palestina (vedi MV del 15 maggio scorso), screditando così ogni
legittima aspirazione della Carnia. Certamente qualche prete ignora totalmente
la storia di Zuglio e della sua diocesi oltre che la storia di Carnia, tuttavia
analizzando più a fondo questo atteggiamento dei preti, si riesce a
venirne a capo. Forse. Vediamo: 1.
L’arcivescovo di Udine, il tolmezzino Pietro Brollo, si è sempre detto
assolutamente contrario non solo al
ripristino della diocesi di Zuglio, ma anche alla nomina di un proprio vescovo
ausiliare, titolare di Zuglio. I motivi veri non li conosciamo; li possiamo solo
intuire. Di certo non appartengono all’animo carnico, ma albergano altrove. 2.
I preti di Carnia, ritenendo ciascuno di avere un proprio piccolo orticello da
gelosamente conservare, non intenderebbero mettersi in distonia con il proprio
vescovo. In altri termini, sottoscrivendo una mozione comune per il ripristino
della DIOCESI DI ZUGLIO, i sacerdoti temerebbero di poter incorrere nelle sempre
possibili ritorsioni della Curia che farebbe buon viso a cattivo gioco:
accoglierebbe la mozione del clero carnico con fraterna sollecitudine,
disponendo il giorno dopo l’avvicendamento dei preti firmatari, che si
ritroverebbero, certamente nolenti, a dir messa nei paesi della Bassa o in un’
altra valle. Anche se l’obbedienza non è più una virtù, come affermò don
Primo Mazzolari. 3.
Che fa allora il Clero di Carnia? Preferisce
allinearsi con le direttive della
Curia e della VITA CATTOLICA, che della Provincia della Montagna hanno fatto un
cavallo (ed un cavillo) di battaglia. “La mozione per la Provincia firmata dal
clero carnico non è che il sigillo finale di una sudditanza culturale nei
confronti della politica curiale” ha sostenuto uno degli organizzatori del
convegno fallito di Zuglio. Quesito finale Se i 28 sindaci di Carnia mandassero una mozione in Vaticano per reclamare la DIOCESI di Zuglio, che direbbero i preti di Carnia, la Curia di Udine e l’arcivescovo?
Luci e ombreDomenica
1 giugno, festa dell’Ascensione, si sono ritrovati sul colle di S. Pietro
migliaia di cristiani pellegrini, a ribadire e rinsaldare le proprie radici
storiche e religiose nella cattedrale che è stata centro propulsore del
cristianesimo in Carnia e oltre la Carnia. Questa
edizione della Sjensje ha presentato vari aspetti positivi: -
La gente è stata più composta e
partecipe di sempre ed ha seguito con rispettoso silenzio lo svolgersi delle
cerimonie. -
L’arguzia del prevosto mons.
Degani è stata questa volta molto fine, intelligente e tempestiva, movendo non
solo il riso ma anche la riflessione dei presenti. -
Il piccolo mercatino sul
Plan da Vincile ha avuto i toni sommessi e popolari di un tempo, senza eccessi e
senza inutili e disturbanti rumorosità. -
I cantori, diretti dal m.o
D’Orlando, hanno creato atmosfere d’ altri tempi, rese ancor più
realistiche da qualche improvviso calo di tono o genuina grippe. -
La Pouse di Cougnes ha poi
accolto i curiosi per una visita estemporanea alle recentissime realizzazioni:
l’ultimo lotto del corpo centrale, la cella campanaria, il telescopio. La
prossima inaugurazione di questi luoghi darà l’occasione per approfondire
questo argomento. -
La presenza di pochissimi
preti (5 in tutto) e di tantissima gente ha sottolineato un problema che
ancora non tutti hanno pienamente compreso: la scarsità di sacerdoti. Dopo
aver dunque elencato gli aspetti salienti della Scense 2003, ci soffermeremo da
ultimo sulla folta presenza delle croci astili, giunte sul colle non
come obbligo di dipendenza ma come segno di testimonianza e di fraternità
nella stessa fede di Cristo. Oltre
a quelle solitamente presenti, erano altresì significativamente presenti anche: -
la croce carinziana di Mauthen-Kotschach
(che un tempo faceva parte della diocesi di Iulium Carnicum) -
alcune croci della pedemontana (Venzone,
Osoppo, Verzegnis, Trasaghis) che pure facevano parte della diocesi iuliense. -
Alcune croci provenienti perfino dalla
pianura del Friuli storico, giunte in Carnia come segno di filiale
devozione per una sede vescovile tra le 3 più antiche della regione, che sono
appunto: Aquileia, Concordia e Zuglio. -
La croce di S. Maria di Gorto,
seconda pieve di Carnia per antichità del titolo e vastità del territorio, in
segno di omaggio alla cattedrale di Zuglio, sede del vescovo carnico fino all’VIII
secolo. -
Assieme alla croce astile di Gorto,
erano inoltre presenti tante altre croci di quel Canale: Ovaro,
Comeglians, Tualis, Zovello, Ravascletto, Rigolato, Forni Avoltri ecc. che
dipendono oggi come ieri, dalla Pieve di S. Maria di Gorto. -
Grandi assenti erano le croci di
Tolmezzo, di Amaro, di Cavazzo, di Illegio, probabilmente per un malinteso e antistorico
campanilismo in funzione anti-zugliese. Queste assenze avrebbero il significato
di negare qualsiasi ruolo alla cattedrale di S. Pietro? Ma perchè non portarvi
almeno un segno di testimonianza e di fratellanza nella fede? Taluni non
riconoscerebbero neppure il passato episcopale di Zuglio, asserendo non esservi
prove documentali di una tale prerogativa. In effetti dietro questo
arroccamento, sussiste un anacronistico e incomprensibile rifiuto del primato
ecclesiastico di Zuglio mentre traspare una spasmodica difesa a oltranza
della posizione egemone di Tolmezzo sulla Carnia. Ciò è suffragato da tanti
aspetti, non ultimo il tentativo di spostare l’interesse storico ed
ecclesiastico da Zuglio ad Illegio, mediante annuali mostre e feste plebanali a
S. Floriano, che hanno spesso un sapore di netta contrapposizione a S. Pietro di
Zuglio, specie in assenza di un coordinamento e di un respiro comune tra le
varie chiese locali, che invece di collaborare e di progettare insieme, paiono
contrapporsi su tematiche poco collegate con la realtà quotidiana. -
Per quanto riguarda la nostra valle, mancava
una sola croce: quella di S. Martino di Cercivento, che ieri dipendeva dalla
pieve di Gorto ma che oggi fa parte integrante della forania di S.
Pietro-Paluzza. Questa significativa assenza, che dura da alcuni anni, appare
tanto più ingiustificata e incomprensibile se si pensa che la croce della
stessa Pieve di Gorto (da cui dipendeva un tempo Cercivento) era pure presente
alla Scense, assieme alle altre croci di quel Canale, che, nonostante i dissidi
passati e presenti, riconoscono ancora e sempre la peculiarità e il primato
della cattedrale di S. Pietro sulla Carnia. Sarebbe
proprio ora che Cercivento, Tolmezzo, Illegio, Cavazzo, Amaro e tutte le chiese
di Carnia, finora ingiustificatamente assenti a S. Pietro nel giorno della
Scense, comprendessero finalmente che Zuglio non intende affatto prevaricare
o soffocare nessuno. Zuglio desidera solo rinsaldare le comuni radici nella fede
e proporsi come simbolo credibile e autorevole della Chiesa di Carnia, senza
alcun altro intendimento. E’ triste dover assistere ancora oggi a queste
divisioni interne della chiesa di Carnia, che continua a reclamare una provincia
autonoma dagli altri e non è capace essa stessa di offrire una testimonianza
di unità e di speranza per tutti i carnici delle valli.
Copertina della Cassetta VHS dedicata alla Diocesi di Zuglio Per informazioni rivelgersi a VTC VideoTeleCarnia
Una ciotola di
riso per i “cjargnei cence Diu” Don Beppino Salon opera in Madagascar da molti anni e annualmente
torna a in paese per un periodo di contatto con la vecchia madre malata e la
comunità… Ciò che suscita sorpresa è la sua voglia di tornare sempre laggiù
dove trova le gratificazioni (umane e spirituali) che qui non ha: il cosiddetto
“mal d’Africa”. Laggiù, ripete sempre, le chiese sono affollatissime, le
processioni frequentatissime, le comunioni numerosissime, le scuole salesiane
ambitissime…: un cristianesimo trionfante ed in forte espansione. Una suora di Cleulis che lavora in Brasile, raccontava delle
enormi folle che si accalcano nelle chiese delle favelas, che pregano, che
invocano, che soffrono…: un cristianesimo trionfante ed in forte espansione. Don Tarcisio è stato di recente in Romania a trovare un
sacerdote rumeno con il quale è in contatto per aver “adottato” un
seminarista. Anche là: tantissimi preti in esubero, vocazioni boom, chiese
affollate, offerta di preti per l’ Italia…: un cristianesimo trionfante e
in forte espansione. Ma allora, se è facile “convertire” gli
africani in Africa e i rumeni in
Romania, perché poi è così difficile invece “convertire” gli africani
e i rumeni quando questi arrivano, si sistemano e vivono in Italia? Non sono
forse sempre africani e rumeni? La risposta potrebbe apparire fin troppo
banale: il cattolicesimo prospera nella miseria e nella indigenza, laddove
una ciotola di riso o un paio di scarpe fanno da essenziale tramite
alla successiva “conversione”. Per contro, nella nostra società del
benessere, ricca e opulenta, il cristianesimo va lentamente scemando e
diluendosi in una specie di sincretismo religioso che sfocerà in futuro in
un indifferentismo agnostico globalizzato quando non in un teismo diffuso. Certo
il Cristianesimo non scomparirà dal Mondo, anche se Cristo stesso, in un
momento di sconforto, si è chiesto: “Ma troverò davvero la fede al mio
ritorno?” Ma la Cristianità (intesa come complesso di
civiltà-cultura-storia) presto si trasferirà (già è iniziata questa traslatio
Christianitatis), emigrerà dalla vecchia Europa opulenta e ormai
scristianizzata verso il Terzo mondo (Africa e America Latina) proprio perché
laggiù esiste ancora il tramite (= ciotola di riso) che permette l’aggancio
con il Vangelo. Un tramite che nel terzo Mondo non è però solo
“la ciotola di riso” ma anche: diritti dell’uomo, sfruttamento, fame,
analfabetismo, povertà, malattie… Infatti solo dopo questo tramite,
viene la proposta di “vita eterna” con tutte le note conseguenze. In altri
termini: “primum vivere, deinde philosophari” come argomentava Hobbes, per
indicare appunto la priorità delle esigenze materiali prima di ogni altra
necessità spirituale. La gente, anche oggi o specialmente oggi nel Terzo Mondo,
chiede prima di sopravvivere, dopo è anche disposta ad ascoltare il Vangelo di
Cristo, specie se questo Vangelo aiuta a vivere e, spesso, a sopravvivere. E torniamo in CARNIA, dove il
cristianesimo praticante (come nel resto d’Italia) non supera ormai il 10% dei
cattolici e dove la scristianizzazione pratica si sta diffondendo via via in
sempre maggiori e più vasti strati della società. Osservando poi i nostri
bambini e ragazzi, si potrebbe facilmente profetizzare che, tra due generazioni,
del Cristianesimo in Carnia non resterà che un labilissimo e indistinto
ricordo. Ed allora: come si farà ad AGGANCIARE al
Vangelo la società ricca e opulenta del prossimo domani, quando sarà del
tutto scristianizzata, quando non conoscerà più nulla di Cristo? Ecco il punto: come avverrà (se mai
avverrà) la prossima ri-evangelizzazione? Quale sarà la “ciotola di
riso” che consentirà di ri-agganciare al Vangelo la nostra società del
benessere, ormai del tutto scristianizzata?
Molti oggi in effetti si accontentano di quel 10%
che frequenta ancora spesso stancamente la chiesa, sostenendo che basta poco
lievito per sollevare una grande massa di pane; ma non riflette abbastanza però
sul fatto che il “pane” odierno non è più fatto di farina e acqua come un
tempo, ma di: wishky e sballi, discoteche e denaro, superfluo ed effimero,
possedere ed apparire, noia e disprezzo della vita. Un impasto nuovo e
pesantissimo che nessun lievito sarebbe oggi in grado di modificare, specie se
il lievito anziché uscire e cercare l’impasto, se ne resta chiuso nei sacri
recinti oppure in chiesa a recitare giaculatorie, pago di sé e della propria
salvezza. Esiste tuttavia (ma soprattutto ciò sarà più
vero nell’immediato futuro) anche per la nostra società opulenta e
scristianizzata la “ciotola di
riso” in grado di avvicinarla al Vangelo. Questa “ciotola di riso” è la NOSTRA IDENTITA’, la
NOSTRA STORIA. La Chiesa oggi ha una grandissima
responsabilità se non riesce immediatamente ad individuare e a valorizzare
questa “ciotola di riso”, l’unica in grado di catalizzare e richiamare il
popolo ricco “cence Diu” verso la conoscenza e l’accettazione del Vangelo. Dove cercare allora la NOSTRA STORIA e la
nostra identità, per riproporla e offrirla a chi ne ha fame e bisogno? Ma è proprio nella ANTICA SEDE VESCOVILE
DI ZUGLIO che affondano le radici della nostra storia; è proprio sul
colle di Zuglio che dobbiamo andare alla ricerca della nostra identità,
senza la cui individuazione non riusciremmo a comprendere nulla del nostro
passato, del nostro presente e, soprattutto, del nostro futuro di popolo di
Carnia. Unicamente per questo, si vuole perseguire
l’obiettivo di riportare il VESCOVO A ZUGLIO, proprio perchè le radici
storiche costituiranno l’unico aggancio valido per la nostra società del
futuro. Solo DOPO aver compiuto questo aggancio, si potrà riproporre il
Vangelo. Non prima. Questo rappresenta oggi la INCULTURAZIONE
DELLA FEDE, non altro. Se non si fa sentire e conoscere alla nostra gente il
valore, il sapore e la validità della nostra storia, non possiamo andare a
offrire null’altro. Specie se l’ ”Altro” è assai più difficile da
capire o da praticare, come appunto è il Vangelo. Perché la opulenta società
odierna ha già tutto, ha troppo, spesse volte ha il superfluo. Non ha bisogno di nulla. Di una sola cosa è carente e lo sarà sempre
più negli anni a venire: delle sue Radici. E la diocesi di Zuglio è la “ciotola di riso” che potrà in futuro riavvicinare la gente di Carnia al Vangelo ormai dimenticato.
VOLEIS UN VESCUL E NON VEIS NENCJE PREIDIS “Volete
un vescovo e non avete neppure i preti!” costituisce l’obiezione più
frequente e più insinuante che ci viene posta, specie dai preti stessi, che
spesso mal sopportano o benignamente tollerano che laici “si intromettano”
nelle loro questioni, come se queste “questioni” appartenessero solo a
loro e non anche al popolo di Dio (oggi va di moda questa definizione
post-conciliare per indicare la gente comune, quella, per intenderci, che non
conta nulla). Siccome
la obiezione presenta due problemi in uno, la risposta che cercheremo di
offrire, si comporrà ovviamente di due parti: Il
vescovo Innanzitutto è più facile creare un vescovo ex novo piuttosto che creare un prete ex novo. Infatti, mentre esistono alcuni preti oggi in grado di poter sostenere il ruolo di vescovo in Carnia (= ex presbyteris assumptus, pro presbyteris constitutus), non esistono invece giovani che desiderino farsi prete (= ex hominibus assumptus, pro hominibus constitutus). Di fronte a questa realtà indiscutibile, non sorprende dunque come risulti più facile oggi creare un vescovo piuttosto che un prete, un vescovo motivato e presente, in grado di suscitare a sua volta entusiasmo e speranze e di riconfermare e rafforzare nella fede il popolo (e i preti) di Dio. I
preti 1. Il futuro dei preti non sarà
diverso in Carnia dal resto del Friuli e dell’Italia. Già il Seminario
Arcivescovile di Udine è stato da anni soppresso e affittato ad altre scuole
pubbliche statali cittadine per mancanza assoluta di vocazioni ed è stato
sostituito dal cosiddetto SEMINARIO INTERDIOCESANO REGIONALE a Castellerio (Pagnacco)
dove affluiscono i superstiti seminaristi delle vicine diocesi di Gorizia,
Trieste e di Udine (in tutto una decina, guidati da preti udinesi, goriziani e
triestini). Se poi la crisi vocazionale dovesse prolungarsi (e non si vedono
attualmente ragioni che la possano arrestare), anche le diocesi di UD-GO-TS
dovranno presto (tra meno di 10 anni) attingere a vocazioni foreste o
addivenire ad altre più ragionevoli e pragmatiche soluzioni. 2. I pochi seminaristi (se ci saranno) della auspicabile futura DIOCESI DI
ZUGLIO potrebbero convergere, come quelli di GO e TS, nel seminario
interdiocesano regionale di Castellerio. In ogni caso, il problema della
scarsità di preti non potrà interessare (strumentalmente) solo la Carnia, ma
continuerà ad essere per lunghi decenni un angoscioso problema regionale che
dovrà essere ricalibrato su posizioni assai diverse da quelle odierne
(maggiore solidarietà tra chiese sorelle, maggiore permeabilità di aiuti,
maggiore interscambio di preti ecc...). Come si può dunque notare, la futura
diocesi di Zuglio si troverebbe in una situazione per nulla peggiore di quella
attuale, ma potrebbe contare su una maggiore responsabilizzazione e
condivisione dei problemi attraverso la sussidiarietà, derivante da
una autonomia pastorale che sarebbe certamente in grado di imprimere
una svolta decisiva alla profonda crisi attuale, che si finge di ignorare. Una
autonomia pastorale che non dovrebbe necessariamente dotarsi della burocrazia
diocesana normale (curia, organi di stampa ecc.) perché è assolutamente vero
che “non sunt moltiplicanda Entia sine necessitate”: un po’ quello che
si verrebbe a creare insomma sul versante politico-amministrativo con la
ipotetica Provincia Regionale della Montagna, di cui la Chiesa friulana si è
singolarmente eretta a paladina. 3. Fino a solo 30
anni fa c’era un prete residente a Ligosullo, Treppo, Rivo, Timau, Cleulis,
Cercivento, Sutrio, Noiaris, due a Paluzza: in tutto ben 10 sacerdoti. Oggi
sono rimasti in TRE residenti (Cercivento, Paluzza e Sutrio) con una
popolazione di poco inferiore e con problemi pastorali assai maggiori. Anche altrove sono ormai
tantissimi i paesi senza prete, che vengono periodicamente “curati” da
altri sacerdoti “a mieges”: una
messa festiva, fugace e furtiva, il sabato sera o la domenica pomeriggio
(quando non il lunedì) e il compito pastorale si ritiene assolto per
l’intera settimana. Ma è questa la “cura” pastorale che si intende
oggi? Tra alcuni anni anche i
sacerdoti “a mieges” mancheranno
e la crisi, oggi solo pre-annunciata, esploderà. La previsione è che
nell’Alto But resterà un solo prete. Si cercherà probabilmente di rispolverare
surrettiziamente le Pievi, dove far convergere tutta la gente della Valle
sotto la cura di unico sacerdote come nei secoli addietro, ma la società
odierna non è più docilmente sottomessa come lo è stato in passato ed ha
acquisito diritti e convinzioni impensabili solo 50 anni fa. Oggi il popolo ha
bisogno di guide morali visibili, di eticità pratica, di esempi vicini e
concreti, di contatti umani diretti, di parole immediate più che di
grandi e mediate cerimonie collettive che non incidono affatto sulle coscienze
e lasciano sempre il tempo che trovano: il papa stesso è più applaudito che
ascoltato… Come risolvere la questione
dunque? Vediamo: - Avremo preti
extra-comunitari del II e III mondo? Su questo punto Giovanni Paolo II è
stato categoricamente contrario, escludendo questo tipo di colonizzazione
culturale a rovescio. - Si concederà il matrimonio
anche ai preti, per incrementarne il numero? Ma anche su questa soluzione
il parere dell’attuale pontefice e della Curia Romana sono assolutamente
negativi. - Si attingerà al grande
serbatoio, finora volutamente inutilizzato, dei preti sposati e sospesi
“a divinis” per una forma di responsabile e consapevole diaconato?
Nulla di tutto questo alle viste sotto questo pontificato. Allora io rifletto e chiedo: Se oggi ci fosse il prete
residente a Cleulis a Treppo o a Ligosullo o a Valle o a Cabia o a Dierico o a
Rivo o a Tualis, questi verrebbe retribuito con i fondi dell’8 per mille?
“certamente” è stata la risposta della Curia (inciso: come vengono
utilizzati i fondi dei mancati stipendi ai mancati preti residenti?) Allora (ecco la proposta
concreta per l’oggi) istruiamo i
laici (meglio se sposati) e li mandiamo poi nelle parrocchie sguarnite,
garantendo loro uno stipendio analogo a quello del prete che non c’è più.
Del resto una soluzione analoga
è stata positivamente trovata per i 20.000 insegnanti di religione
cattolica (IRC) delle scuole statali: l’80% di essi è costituito
da laici, i quali, dopo adeguata preparazione parauniversitaria, sono
stati ritenuti idonei all’insegnamento dal proprio vescovo e percepiscono
quindi regolare stipendio, seppure dallo stato italiano (non sono quindi dei
volontari). Come fare per le parrocchie
sguarnite allora? A Udine esiste già la Scuola Superiore di Scienze Religiose
(non riconosciuta legalmente dallo Stato): ebbene, si faccia un accordo con la
Università Lateranense di Roma
(riconosciuta legalmente dallo Stato) in modo che chi frequenta a Udine venga
fornito di una laurea in teologia,
seria e attinente, valida a tutti gli effetti legali (e pastorali). Solo
coloro che ottengono questo titolo di studio sono abilitati a condurre la
parrocchia in assenza del prete titolare, ma non lo faranno più a titolo
gratuito o volontaristico (che provoca sempre un sensibile calo di credibilità
e autorevolezza nella persona volontaria), ma legalmente riconosciuti (magari
con un aggiornamento del Concordato Craxi-Casaroli del 1984) e soprattutto regolarmente stipendiati, con la
stessa giusta mercede che andrebbe al prete, qualora risiedesse in quel
paese. In questo modo si otterrebbero tre grandiosi risultati: A. si garantirebbe la presenza
nei paesi di una figura pastorale
competente, autorevole e collaborante col prete di fondovalle; una figura
pastorale che si dedica ai giovani, agli anziani, ai malati a tempo pieno; una
figura pastorale davvero nuova e stimolata a ricreare quella rete di
solidarietà cristiana presente un tempo in tutti i nostri paesi. B. si creerebbero dei posti di lavoro per il popolo di Dio,
dignitosamente retribuiti e altamente specializzati oltre che socialmente
essenziali. C. si risolverebbe inoltre uno
altro spinosissimo problema, prettamente “terreno”. Oggi la previdenza
del clero (inglobata in una sezione speciale INPS) è in una situazione
disastrosa: oltre un miliardo di euro di deficit. Nel 2003 vi sono
state entrate per 50 milioni di euro (costituite dai contributi dei
sacerdoti in attività) e uscite per 130 milioni di euro (costituite
dalle pensioni pagate ai preti in quiescenza). Per il 2004 è stato calcolato
che i contributi versati dal clero attivo ammonteranno a solo 20 milioni di
euro, mentre le pensioni al clero in riposo (12.677 preti) costeranno 5 volte
tanto, senza contare quelle di invalidità (1.167). In pratica, non essendoci
preti nuovi o figure pastorali in grado di versare contributi previdenziali,
la previdenza del clero molto presto farà bancarotta. Chi pagherà le
pensioni al clero di domani? Conclusioni: Continuando con la pratica di un
volontariato sempre gratuito, spesso poco preparato e male assortito, non si
potranno ottenere risultati durevoli e convincenti, proprio perché il volontario
non deve rispondere ad alcun requisito di idoneità o di aggiornamento
professionale (ricordiamo che il prete, dopo il liceo classico, compiva ben 5
anni di studi teologici universitari!) né deve ovviamente versare i
contributi previdenziali al fondo speciale “clero”. Oggi ci si accontenta che esista
il volontario come aiutante subalterno tuttofare e tanto basta. Ma
basta? E soprattutto: basterà? |
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