LIBERA DI VINCERE

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Questa (auto)biografia di Manuela Di Centa rappresenta certamente qualcosa di inedito per la Carnia per i motivi che verranno poi sviluppati.
Il libro, uscito ai primi di dicembre 2011 per i tipi della Piemme, racconta in effetti la Carnia nella sua complessa globalità da un'angolatura tutta particolare: quella di una donna tenace e caparbia che ha saputo superare difficoltà di ogni sorta per raggiungere livelli di eccellenza nello sport più duro tra quelli invernali, il fondo. A mio avviso, qualora si fosse trattato di una biografia, sarebbe stato utile il seguente sottotitolo: Elogio della donna carnica. Purtroppo Manuela non poteva auto-elogiarsi...
In questa sua lunga e significativa parabola, Manuela non ha mai dimenticato le proprie origini, dalle quali ha costantemente tratto nuova linfa e nuovo vigore specialmente nei momenti più duri e impegnativi, quando si sentiva sola, quando tutto faceva prevedere la fine anticipata di una ancor breve carriera, quando nulla all'orizzonte lasciava presagire altri luminosi traguardi...
In questi frangenti, Manu ha sempre ricorso a nonna Irma, sua "protettrice" (e portatrice della prima guerra mondiale), che le è stata di esempio e di stimolo oltre che maestra di vita e di sana parsimonia; anche nonno Nelut affiora in queste pagine, con i suoi ricordi di Africa e la sua inesauribile voglia di raccontarsi nell'osteria del paese; poi c'è l'altra nonna, Rina, affezionata alla "Rossa" che ebbe sempre un ruolo importantissimo nel sostentamento della famiglia specie in tempo di guerra (la mucca nella stalla si chiamava sempre "Rossa")...
Sulla scena compaiono poi altri personaggi: zia Bibi, la sarta; Venanzio Ortis, il cugino campione agli Europei di Praga nel 1978; l'amico di sempre Giancarlo Silverio; il vecchio don Monaco, che benedice e incoraggia...
E poi i vari allenatori, massaggiatori, medici e professori che si alternano sul lungo percorso di Manu, riuscendo determinanti nei passaggi più cruciali (la tiroidite di Hashimoto... la perforazione intestinale...); e poi tutti i finlandesi (uomini, laghi, boschi)...
Su tutti questi personaggi dal multiforme ruolo, sovrasta con costante determinismo la famiglia: il papà Tane (il primo e forse l'unico allenatore-psicologo-tifoso), mamma Luisa (sempre discreta dietro le quinte ma capace di innervare ogni aspetto della vita familiare); il fratello maggiore Andrea (sempre e dovunque insostituibile, specie nei momenti più delicati); il fratello minore Giorgio (cui Manu ha ceduto il testimone alle olimpiadi di Torino nel 2006). Una famiglia che è stata ed è tuttora il fondamento di ogni azione e decisione di Manuela, una famiglia tradizionale che ha saputo conservare al suo interno quei valori e quella semplicità che non risentono delle mode passeggere ma che restano saldamente ancorati a principi antichi e (per alcuni) ancora immutabili.
Molti aspetti sconosciuti si apprendono dalla lettura di questa multifattoriale (auto)biografia, che rendono ancor più umanamente fragile e simpatica (nel significato più vero di sin patein: soffrire insieme) questa donna carnica che si è elevata sulle cime più alte dello sport mondiale.

CLAUDIO CALANDRA
Questo scrittore (nato anch'egli a Paluzza), che ha alle spalle ben 4 romanzi di successo (DO SVIDANIA 1994, VIA DEI SERVI 1999, BUCCE D'ARANCIA 2008, L'ARROGANZA DEL CUORE 2010), è il determinante demiurgo che, con sperimentata arte di maieutica letteraria, ha mirabilmente saputo prima sollecitare poi trarre ed infine trasporre in pagina ogni pensiero, ogni sentimento, ogni fremito, ogni lacrima, ogni dolore, ogni esaltante gioia di Manuela Di Centa.
L'ha fatto con la consueta maestria e la delicata discrezione che già conosciamo; l'ha fatto giorno dopo giorno, ascoltando, assimilando, metabolizzando, reinterpretando con la propria spersonalizzazione la personalità della campionessa, magnificando ciò che maggiormente lo colpiva e dando risalto, da raffinato scrittore quale egli è, a ciò che avrebbe poi potuto colpire e suggestionare il lettore.
Il suo scrivere è lieve, preciso, piano, istantaneo, mai astruso o circospetto.
Si potrebbe quasi dire che in questo splendido (quinto) libro, Claudio Calandra abbia trattato e sviluppato un argomento insolito, la vita di Manuela Di Centa, con il determinante e ineludibile supporto della protagonista stessa del "romanzo".
Già perchè, a ben vedere, si tratta davvero di un romanzo, ma non nel senso letterale del termine, quanto invece nel senso che la vita della protagonista ha davvero tutte le caratteristiche di un romanzo tradizionale: la dura infanzia in una famiglia sobria con i problemi di sopravvivenza quotidiana, gli affanni per farsi strada nella vita, il grave incidente del fratello maggiore, il matrimonio evaporato, gli altri amori perduti, la malattia subdola e ignota, i rischi mortali trascorsi, i grandiosi successi e i deludenti insuccessi... Insomma, se non è un romanzo questo!?
Ed allora mi è parso naturale e oserei dire anche giusto che l'autore abbia a tratti un po' romanzato questo reale romanzo della vita di Manuela, arricchendolo di particolari delicati, di ricami dell'anima, di inflessioni ambientali, di fantastiche cogitazioni e di verosimili retropensieri...
Debbo confessare che durante la lettura del libro (mi ha incatenato per 6 ore filate con punte di autentica commozione interiore!) ho rivisto (e rivissuto) in diretta non solo le principali gare di Lillehammer (che ho poi "dovuto" rivedere subito dalle cassette VHS ancora ottimamente e gelosamente conservate), ma anche (e soprattutto) la Paluzza degli anni '60, gli uomini e le donne di allora, i bambini che giocavano e Tane, avvolto nella sua mantellina nera, che risaliva di buon mattino, dopo il duro lavoro notturno, verso il bosc bandît...

Grazie Manuela per aver voluto riproporre il tuo fantastico mondo (di ora e soprattutto di allora) e grazie a Claudio Calandra per avercelo restituito intatto così com'era. Unicuique suum!

 

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