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DO SVIDAN IJA
I
girasoli di Boria
di Claudio Calandra
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A
botta calda questo titolo può risultare ermetico ai più. DO SVIDANIJA in
lingua russa significa “arrivederci” e coloro i quali hanno vissuto, durante
la II guerra mondiale, quella a dir poco non comune parentesi storica
dell’occupazione cosacca della Carnia (vedi anche il libro di Norina CANCIANI),
conosce perfettamente il significato di queste due parole.
Chi
è Claudio Calandra? E’ un paluzzano doc sia per nascita che per parte di
madre; vive con la famiglia a Milano dove lavora: insomma un “paluçan di
Milan”.
Già
dalla copertina si può immaginare il luogo dove si svolge il racconto: il
“tor di San Jacun di Cente” non inganna. Quando avvengono questi fatti? Il
sottotitolo, nel citare il piccolo Boria, rimanda subito al 1944-45, epoca
appunto della Kosakenland in Nord Italien. Da questi pochi indizi
sappiamo dunque che le vicende del libro si svolgono a Paluzza e dintorni,
durante la occupazione cosacco-caucasica.
Molti
storici e cronisti si sono già abbondantemente cimentati con questo tema,
sviluppato anche in un cortometraggio russo dal significativo titolo
“Preghiera” (girato in URSS e in Carnia) e che a suo tempo aveva suscitato
commenti e pareri contrastanti.
Su
questo filone storico si innesta il lavoro di Calandra, il quale ripercorre in
questo libro le tappe di una spontanea amicizia sbocciata tra il piccolo cosacco
Boria e lo stesso autore, bambino in Paluzza, occupata dai cosacchi. Sui binari
rigorosi della storia, si dipana, dolcissima, una vicenda umana unica,
irripetibile, che vede il russo Boria e il carnico Claudio vivere insieme una
stagione intensissima e densa di avvenimenti lieti e tristi, in un ambiente
particolare, quale quello determinato dalla guerra, dalla fame, dalla
occupazione militare.
A
far da palpitante coreografia ai due ragazzini, si muovono i personaggi più
caratteristici del paese: si ritrovano mons. Gorizizzo, il vecchio farmacista
Carpendo, il medico Santoro, Toni il muini e altre figure di indubbia
singolarità.
L’abile
e felice penna di Calandra riesce a
ricreare pienamente l’atmosfera di quei tempi e tra le righe affiora sovente
una malinconia nostalgica, venata da sommessi rimpianti e da struggenti amarcord.
Il
diverso destino che segnerà Claudio e Boria occupa efficacemente le ultime
pagine del racconto e un girasole spunterà dalla terra dove riposa Boria, perché
i buoni, dopo la morte, daranno vita a un girasole, secondo la leggenda cosacca.
Anche se la Drava cancellerà invece ogni cosa.
Un
libro che si legge tutto d’un fiato e che, pur pubblicato nel lontano 1994,
invoglia ancora ad una sua rilettura che riserva sempre emozioni nuove ed evoca
costantemente freschezza di sentimenti.
NOTA:
l’ultimo romanzo di Claudio CALANDRA è “Via dei Servi”, Marsilio editore
(1999).