AQUILEIA
de urbis ortu

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La quarta di copertina di questo romanzo storico ("www.ilmiolibro.it" 2013, pagine 270, euro 18), che vede come co-autori Diego Carpenedo (paluzzano) e Igino Piutti (tolmezzino), così recita:

Se questa può essere la estrema sintesi del lungo ed appassionato lavoro che ha impegnato per lunghissimi mesi i due autori, occorre aggiungere che, al termine della lettura, emerge e prende corpo una complessa e diversificata serie di riflessioni che cercherò di indicare nelle righe che seguono:

- Occorre dire innanzitutto che l'impalcatura di questo romanzo storico risente chiaramente dello stile e della diversa genialità dei due autori, la cui scrittura a tratti scorre indipendente, a tratti si interseca, a tratti si integra. Fantastico lirico e sentimentale Piutti; preciso conciso e scientifico Carpenedo. Si potrebbe affermare che il contributo di ciascuno risulta complementare ed essenziale nell'economia del lungo racconto: laddove infatti la sbrigliata fantasia di Igino tenderebbe a spiccare il consueto volo pindarico, si materializza subito la consapevole pragmaticità scientifica di Diego che riporta la narrazione nell'alveo della verosimiglianza; dove quest'ultima sembrerebbe congelare il racconto in pagine di asettica descrizione, ecco giungere la portentosa virtù taumaturgica del primo a ravvivare la trattazione che, in questo modo, recupera vitalità e baldanza ed appare sempre pulsante, coinvolgente, a volte imprevista e imprevedibile...

- Igino Piutti, come è suo costume, (l'ho già definito altrove un sofisticato ed immaginifico "poeta della storia") ama le iperboli, le provocazioni e le invenzioni storico-letterarie ed anche in questo lavoro non si smentisce, inserendo alcune fantasiose gratuite "bestemmie" che, se al lettore medio possono sfuggire, si configurano davvero come un gravissimo sfregio per alcuni dei massimi poeti latini i cui versi più suggestivi vengono qui attribuiti a letterati precedenti, quasi che Virgilio (pag. 7) o Tibullo (pag. 67) avessero, non tratto ispirazione, ma brutalmente copiato da altre opere: insomma un'accusa di plagio senza precedenti! Ho più volte suggerito a Igino di eliminare queste (per me) fastidiose provocazioni che nulla aggiungono a questo palpitante romanzo, il quale anzi viene fortemente penalizzato nella sua plausibilità. Ovviamente anche i troppi refusi tipografici presenti passim in questa seconda edizione andranno assolutamente mendati nella prossima, arricchita magari con qualche cartina topografica esplicativa (in b/n) in grado di istruire ed avvincere ulteriormente il lettore.

- Diego Carpenedo, ingegnere saggista ed ex senatore (a Roma!) che non ama fronzoli ed invenzioni nella sua rassicurante tranquilla juvenili senectute, scrive sempre in maniera quasi distaccata, a volte didascalica, sempre precisa (con la precisione quasi maniacale del ne quid nimis) e ciò rende alcune pagine davvero memorabili per la loro immediata chiarezza, in grado di porgere al lettore, digiuno di storia, alcuni capitoli assai ben congegnati che illustrano alcuni particolari aspetti della civiltà romana (la Costituzione di Roma, le istituzioni romane del potere, il significato del diritto romano, la cerimonia di fondazione di una città, la successiva centuriazione, la descrizione degli edifici pubblici e privati, le varie tipologie di strade romane, le scelte orografiche degli ingegneri romani, le loro competenze e capacità...).

- La trama della narrazione (che non conosce mai cali di tensione o di interesse) si impernia sulla storia della fondazione di Aquileia ed ovviamente la gusterà interamente il lettore, che troverà in essa moltissimi sorprendenti elementi che ne costituiscono l'ossatura portante: il lirismo, la poesia, la viva quotidianità, la umanità schietta dei protagonisti, il dramma, la tragedia... Forse quest'ultimo aspetto è quello che informa più in profondità l'intero racconto perchè ciascun personaggio riveste alla fine sempre un ruolo tragico che lo esalta e lo fa ricordare con nostalgica mestizia all'interno di questo grandioso affresco storico che pervade sempre i singoli personaggi. E poi: collegamenti veridici pertinenti, inserimento di elementi o episodi ignoti, rievocazione di eventi che fanno da collante narrativo, in un sapiente intreccio di storia vera (Carpenedo) e fantasia storica (Piutti), i cui confini spesso si fanno diafani e impalpabili suscitando emozioni e suggestioni, cogitazioni e ripensamenti, sorpresa e stupore...
Coesistono anche diversi elementi singolari, genuino prodotto della fantasia piuttiana, che richiamano e si collegano alla nostra realtà presente, i più interessanti dei quali mi sono parsi i seguenti:
* il "fâ di bessoi" di ipotetica derivazione greca (pag. 150) costituisce la cifra portante che dà sostanza alla commedia inaugurale di Stazio per la nuova città;
* il programma politico del protagonista romano che si fonda sulle 3 "i" integrazione-infrastrutture-innovazione (pag. 155) richiama alla mente immediatamente quello di uno schieramento politico italiano attuale (dove però al posto di " Integrazione" vi era "Inglese");
* l'amato Tokai come prodotto autoctono dei Karni stanziali brilla nei convivi insieme ai noti Cecubo e Falerno e al prosaico sidro...
* la descrizione del rapimento del protagonista, il quale si ritrova "...sotto un dominio pieno ed incontrollato..." evoca immediatamente la figura del leader democristiano Aldo Moro rapito e poi ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978...

Ma direi che il tema centrale che sostiene e innerva tutto il romanzo è costituito dal binomio INTEGRAZIONE E INCLUSIONE, il programma politico-fattuale per il quale ha lavorato, è vissuto, si è battuto Acidino, il protagonista storico del libro.
Una integrazione unidirezionale però, dei Karni nel popolo romano, una inclusione di essi nel tessuto connettivo di Roma, una diluizione dei primi nei secondi, una inclusione compenetrante e però (per i karni) annullante...
Su questa utopia sorge cresce e si sviluppa (in questo affascinante e, per certi aspetti, contradditorio romanzo) la città di Aquileia il cui fondatore vuole e deve dimostrare orbi terrarum che questo processo socioculturale, politico e perfino religioso è attuabile a costo zero, se non a costo zero almeno a basso costo...

Vorrebbe infine Acidino (seconda utopia) svuotare i villaggi montani dei Karni per concentrarli in un nuovo complesso urbano misto a fondovalle, vorrebbe inserirli nel sistema cittadino, vorrebbe insomma spersonalizzarli e concentrarli in una nuova città da chiamare Karnia, ma il Fato decide diversamente.
..

Volendo concludere queste succinte note, mi sento di affermare che questo complesso lavoro di Carpenedo e Piutti (che richiederebbe però anche una adeguata bibliografia finale di aiuto e stimolo per il lettore) riveste un ruolo importante non solo come originale romanzo storico ma anche (e soprattutto) come strumento pedagogico e di diffusione della cultura intesa nella più ampia accezione e come peculiare stimolo per un impegno civile nella società attuale. Un libro che, pur con i lievi limiti evidenziati, merita assolutamente un posto privilegiato nelle scuole medie e superiori della Carnia e del Friuli come testo di lettura, considerando che quelli ufficialmente consigliati suscitano a volte sorpresa, disagio se non fastidio...

Ed infine come ultima postilla, dopo l'attenta e soddisfacente lettura del loro meticoloso lavoro, basato sulla storia reale e sulla reale concatenazione logica degli eventi, vorrei concludere con una innocua provocazione indirizzata ai due autori:
anzichè continuare a chiamare la Carnia e il Canal del Ferro "Alto Friuli", perchè non chiamare il Friuli "Bassa Carnia"? storicamente sarebbe assai più corretto e pertinente!

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De Carnea notulæ a latere (ovvero risvolti attuali marginali)

Dopo aver girato l'ultima pagina di questo avvincente romanzo, come non pensare immediatamente alla situazione attuale della Carnia, con i "paesi alti" in via di verticale spopolamento, i cui soggetti sono (attivamente? passivamente?) convogliati verso Tolmezzo, trasformata in un grande alloggiamento che accoglie in massa i nuovi discesi? A distanza di oltre 2000 anni, si sta avverando appieno il sogno-progetto del romano Acidino (e forse quello meno esplicito del tolmezzino Piutti, il cui subliminale auspicio personalmente non condivido, preferendo io assolutamente continuare a vivere nelle "terre alte" che hanno oggi ancor più bisogno del presidio umano). Se allo scivolamento a valle associamo poi aborti, denatalità, assenza di lavoro e invecchiamento non ci resta che assistere impotenti e senza dignità alla scomparsa della Carnia vera e profonda delle valli con conseguenze facilmente immaginabili, soprattutto per il territorio ed il prezioso patrimonio edilizio.

A me pare infine di poter (dover) sottolineare un' eccessiva filo-Romanità nei due autori, i quali amano descriverne solo gli aspetti positivi, sottacendo quelli assolutamente e notoriamente negativi (noti peraltro anche a Cincibilo leggendario re dei Karni transalpini). Una filo-Romanità paternalistica a volte, che vuole suggerire ai Karni di aderire a Roma e di sottomettervisi per raggiungere il "progresso", per migliorare le proprie condizioni di vita... Mi pare insomma di vedere nel potere romano descritto in questo romanzo la metafora del potere democristiano del secolo scorso, di cui i due autori erano a vario titolo dei Fielis locali (personalmente mi sento di appartenere ancora alla fazione dei karni Divornos e Sapo, pur non condividendone i mezzi di azione)...

Per tutti questi motivi, un insinuante dubbio resterà irrisolto nel lettore: che cioè i due autori (felicissimo connubio) abbiano utilizzato la finzione letteraria del romanzo storico esclusivamente per parlare esattamente del presente. Per dare una scossa salutare all'assonnata Carnia (il sonno della ragione genera mostri), per sollevare una discussione, per stimolare una riflessione, per stanare i responsabili, per dare voce ad una terra che langue nell'indifferenza assoluta della classe politica attuale.

Chi conosce oggi, autunno 2013, il numero e il nome dei consiglieri regionali e dei parlamentari eletti in Carnia? Io non lo so. Quale è il loro legame con il territorio? Io non lo so. Che fanno per arrestarne un declino che si annuncia inesorabile? Io non lo so.

La Carnia è divisa, sempre più divisa perchè proprio il romano DIVIDE ET IMPERA è stato utilizzato con estrema spregiudicatezza quassù ed ha generato veri mostri. Eccone uno: la benzina costa più a Ligosullo e a Paluzza che a Sutrio (!) e Treppo Carnico (!). Non solo, ma quelli di Sutrio e Treppo, non avendo distributori di carburante sul proprio territorio comunale, vanno a fare il pieno proprio a Paluzza, dove la stessa benzina costa di più agli stessi paluzzani che ospitano il distributore: kafkiano davvero! Costa di più a Ravascletto e a Timau che ad Arta e a Tolmezzo, in un guazzabuglio incomprensibile di privilegi, sicuramente ottenuti da sindaci più energici e capaci rispetto ad altri meno efficienti. E questo è solo l'esempio più lampante e paradigmatico. Nessuno finora ha mai pensato a modificare una tale assurda legge regionale, uniformandola a criteri di maggiore equità e giustizia sociale, oltre che di corretta geografia. Ecco un altro mostro: gli sgravi fiscali per gli insediamenti produttivi in montagna sono pressochè identici per la ampia piana di Amaro (prospiciente all'autostrada) e per i ridotti piani di Ovaro o di Paularo (rubati alla montagna e al torrente)... Anche a causa di questi mostri diabolici, i carnici sono e rimangono tenacemente campanilisti ed in perenne rivalità tra loro... Amen!

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EDIZIONE DEFINITIVA marzo 2017

 

 

OSSERVATORE ROMANO 12 ottobre 2017

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