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AMORE CARNALE
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Risulta davvero difficile svolgere una recensione esaustiva per un romanzo di quasi 350 pagine! Tenterò di farlo partendo dalla copertina.
La raffigurazione (due persone sicuramente innamorate) è totalmente fuorviante, perchè distorce e non rappresenta affatto il nocciolo duro (la sessualità bellica e belluina, tragica e violenta) del lungo racconto.
Anche il titolo è totalmente fuorviante, quasi un ossimoro, nonostante la sottile e (per me) poco convincente spiegazione di pag. 343. Se anzichè "carnale" fosse stato usato il neologismo "carniale" sarebbe stato più misterioso ma certamente più comprensibile e adeguato in fine lettura.
E' un romanzo troppo lungo, eccessivamente lungo, dalla lettura a tratti estenuante, che a mio sommesso avviso racchiude in sè due distinti romanzi che potrebbero convenientemente stare e sussistere separatamente.
Infatti le prime 160 pagine hanno uno svolgimento ed un tema particolari che, dopo adeguata rifinitura e implementazione, potrebbero costituire il romanzo dell'adolescenza di una donna che non vuole fare (e non fa) la fine di suor Gertrude, di manzoniana memoria, ma trova in sè la forza ed i motivi per abbandonare un ambiente a lei divenuto estraneo e opprimente.
Nelle altre 185 pagine si sviluppa la drammatica storia della protagonista che vive la sua personale (e corale) tragedia durante i drammatici otto mesi del 1944-45, in piena occupazione russa cosacco-caucasica della Carnia (sostanzialmente i caucasici, di religione mussulmana, nella parte settentrionale della Carnia; i cosacchi, di religione ortodossa, a sud; entrambe queste etnie russe furono sinteticamente e comprensivamente definite MÒNGUI dai carnici).
Ogni capitolo (numerato in lingua friulana) si caratterizza per un titolo in friulano (non sempre corretto) con traduzione italiana a fondo pagina.
Vorrei ora considerare questo complesso lavoro del bergamasco William Amighetti (che non conosco affatto e che ha scelto proprio la Carnia per ambientare il suo primo romanzo) da tre prospettive diverse: quella spiccatamente letteraria, quella storica e quella geografica.
Profilo letterario
Sicuramente i tanti refusi tipografici (a volte anche grammaticali e di sintassi) nuocciono alla lettura di un testo già di per sè nervoso, irto, tagliente e appuntito, che non concede grandi spazi nè alla retorica nè alle mode attuali, anche se a volte l'autore è vinto dalla insistente voglia di inserire considerazioni personali (la vexata quaestio dell'aborto, ad esempio, a pag.207, in un contesto storico di 70 anni fa dove il problema "aborto" non era neppure avvertito e che storicamente mai emerse neppure in situazioni tragiche). Amighetti possiede certamente la stoffa dello scrittore, anche se essa non appare ancora totalmente sgrezzata e ripulita da manierismi, anche se a volte è poco aderente a taluni personaggi come se essa si irrigidisse e non si addattasse adeguatamente ad essi. Tuttavia, specie nel "secondo" romanzo, Amighetti sa cavalcare con estrema padronanza un racconto tragico e drammatico insieme (perfino raccapricciante) che, come in un crescendo rossiniano, raggiunge l'acme con toni fragorosi e inquietanti ed alla fine si stempera, si diluisce e trova compimento in un poetico ed allusivo alcolismo allucinato e allucinatorio, che lascia tuttavia intravedere (forse) una raggiunta e sofferta pace interiore nell'animo della protagonista, la cui indagine psicologica appare sempre approfondita, sofferta, verosimile, direi davvero realistica ed emotivamente coinvolgente, che non viene meno neppure quando l'autore indugia eccessivamente su particolari scabrosi o troppo crudi.
Profilo storico
Aver voluto ambientare questa dolorosa storia nel periodo di occupazione cosacco-caucasica della Carnia, richiedeva a mio sommesso avviso, una maggiore cura nel contattare le fonti storiche locali (vedi ad esempio tutti i libri inseriti nella nostra biblioteca, digitando in HP la voce "cosacchi in carnia" in google di www.cjargne.it). Da tale compulsazione sarebbe apparso un quadro storico leggermente diverso da quello che l'autore rappresenta. I cosacchi erano di certo occupanti ma, da tutte le testimonianze locali raccolte nei 7 decenni scorsi, emerge una situazione che non consentirebbe di confermare la ferocia e la efferata crudeltà che essi esibiscono in questo romanzo (addirittura paragonati ai maiali a pag. 37).
Di tutte le fazioni in lotta sul nostro territorio, la nostra gente temeva (nell'ordine) maggiormente i nazi-fascisti, poi i partigiani ed infine i mongui, con i quali era addivenuta ad una convivenza pacifica seppure obbligata e dolorosamente sopportata. Questi russi (acerrimi avversari di Stalin) erano stati forzatamente dislocati in Carnia dagli stati maggiori germanici per fronteggiare e annientare la resistenza partigiana che avrebbe potuto mettere a rischio le vie di ritirata dell'esercito tedesco verso l'Austria. Questo fu il vero motivo per cui nacque la Kosakenland in Nord Italien, progettata dai tedeschi col tacito assenso della RSI.
Sbocciarono anche amicizie e amori veri tra i cosacchi e i locali (Do Svidania) ma non per una "sindrome di Stoccolma"ante litteram od una infatuazione collettiva ma semplicemente perchè la nostra povera gente aveva esattamente percepito in loro un'altrettanta "...povera gente, lontana da suoi, in un paese qui che le vuol male..." come bene descritto, seppure per altri invasori, dal Giusti in "S. Ambrogio": era cioè una "nazione" con famiglie intere, vecchi, donne, bambini, carriaggi, masserizie, cani cavalli cammelli...
Avendo detto questo, restano incontrovertibili le sanguinose azioni anti-partigiane, le violenze, gli stupri (un centinaio, secondo Michele Gortani), gli incendi delle case, le uccisioni. Anche tra questi nuovi invasori convivevano infatti delinquenti e criminali che tuttavia non possono essere assunti a paradigma universale del cosacco tipico. Ricordo tra l'altro che le funzioni di polizia (almeno a Paluzza e nell'Alto But) erano sempre prerogativa dei soli tedeschi il cui Comando era estremamente severo con le trasgressioni cosacche (furti, violenze...). Pare quindi davvero sorprendente, improbabile e poco storica l'esistenza di un "ritrovo cosacco" (mai se ne ebbe notizia) gestito da belle ragazze carniche costrette a rapporti sessuali con i mongui in cambio di un pezzo di carne...
Amighetti non mostra una grande stima per i sacerdoti di Carnia ma avrebbe quanto meno dovuto raccontare che don Giuseppe Treppo venne ucciso ad Imponzo (frazione di Tolmezzo) dai cosacchi il 9 ottobre 1944 (inizio della invasione cosacca) mentre don Pietro Cortiula venne ucciso a Ovaro il 2 maggio 1945, durante la ritirata delle truppe cosacche (vedi a tal proprosito Pastor Kaputt): solo due dei tantissimi preti che, in quei tribolati mesi, difesero energicamente i propri paesani...
Profilo geografico
La descrizione idro-orografica e geomorfologica della Carnia che si legge in queste pagine è di pura fantasia, anche se la maggioranza dei nomi sono reali (Paluzza, Cercivento, Tolmezzo, Timau, Udine...). L'autore ha osservato certamente la Carnia (attraverso Google maps?) ma non credo si sia mai portato fisicamente nei luoghi descritti nel romanzo e ciò può costituire solamente un peccatuccio veniale che non inficia certamente l'impalcatura del racconto. Aver però voluto mescolare, nella stessa ambientazione, luoghi e nomi reali della Carnia con luoghi inesistenti (ad esempio Clemon, paesello al centro dell'intero romanzo, situato nell'Alto But) e con alcuni tipicamente bergamaschi, ha creato (a mio sommesso parere) una certa confusione e un discreto danno all'intera economia del libro che perde sicuramente in verosimiglianza storica (pur restando sempre un romanzo) senza intaccare tuttavia la credibilità artistico-letteraria dell'autore che dimostra, in taluni passaggi, una fantasia sbrigliata (senza briglie) più utile e necessaria però in un lavoro di taglio leggendario/favolistico.
Conclusione
Credo di poter motivatamente sostenere che questo lavoro del bergamasco Amighetti otterrebbe un meritatissimo e maggiore successo se egli osservasse la regola d'oro dell'AUREA CONCINNITAS (una più incisiva brevità insomma: massimo 160 pagine!) e seguisse (per la prossima edizione/ristampa) il suggerimento di spacchettare il mega romanzo attuale in due distinti romanzi (sequenziali?), ognuno dei quali avrebbe una propria dignità letteraria e tematica.