LO STRANO SOGNO

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E' piuttosto difficile condensare in poche righe di recensione quest'opera del 2006 (inizialmente di non facile approccio) del tolmezzino Igino Piutti.
Sintetizzando al massimo, si potrebbe intanto dire che si tratta della storia (neppure tanto romanzata) del villaggio di Cjaçâs, rivisitata attraverso i racconti di alcuni significativi personaggi vissuti in periodi tra loro distanti e diversissimi, che hanno però in comune l'esperienza fisica e sentimentale del medesimo luogo: Cjaçâs.
Questi personaggi, impalpabili figure dantesche, vengono presentate al protagonista Luciano dal proprio maestro elementare (un secondo Virgilio?) che li evoca durante un lungo interminabile intensissimo sogno (si disvelerà soltanto nell'ultima pagina) e nel quale questi attori-protagonisti di se stessi si alterneranno, in subentranti e rapide mutazioni sceniche, a raccontare la propria storia personale vissuta, in epoche diverse, sul medesimo palcoscenico di Cjaçâs...
L'architettura del complesso racconto, dopo il primo chiarificatore capitolo di introduzione, si presenta quasi in forma didascalica per il lettore, nel senso che ad ogni personaggio che appare sulla scena si associa un ben determinato periodo storico di Cjaçâs, che il Piutti cerca, in maniera sempre assai convincente e serena, di descrivere nei suoi aspetti più caratteristici e notevoli, senza mai tralasciare quel pizzico di stimolante e brillante fantasia che non deborda mai nell'assurdo o nell'inverosimile o nel paradossale (come ad esempio in I Dobes) ma resta sempre confinata entro i sicuri recinti del verosimile e della storia nota.
Con questo accostamento di storia e fantasia para-storica, a lui familiare e congeniale, Piutti riesce a offrire al lettore un esauriente spaccato della più che bimillenaria storia di Cjaçâs/Kia-zzâs (volgarmente e stolidamente traslitterato in italiano in: Cazzaso! roubes da mats), elevata frazione di Tolmezzo.

I grandi "quadri storici", ciascuno dei quali ancorato dunque ad un personaggio che si materializza davanti agli occhi del lettore, sono i seguenti:
la protostoria (Birt), i celti (Kia-zzâs), i romani (Marcilia), il cristianesimo (Lorenzo), i longobardi (Gisulfo), il Medio Evo (Bertrando), il patriarcato di Aquileja (Gregorio), il dominio tedesco (Magler), il settecento di Linussio (Jacopo)... tutti legati tra loro da un misterioso oggetto che attraversa secoli e millenni fino a...

I lineamenti generali della "grande" storia sono perfettamente riportati; i lineamenti della micro-storia locale appaiono del tutto omogenei e perfettamente inseriti nella macro-storia, senza sbavature o stonate forzature.

Tra questi grandi sintetici "capitoli storici" Piutti inserisce volentieri anche "capitoli" di pura speculazione teologica o filosofica (come ad esempio i capitoli caratterizzati dalla comparsa del Professore o da un certo Igino, il teologo!) nei quali l'autore, homo naturaliter religiosus, immette singolari intuizioni intellettuali, elaborazioni filosofiche, considerazioni personalissime, le più suggestive delle quali mi sono parse le seguenti:
- il tema della finitudine che emerge assai spesso
- il tratto esistenzialista (-immanentista?) che mi pare pervada tanta parte del suo pensiero
- la personale concezione della preghiera
- la continua ricerca interiore di Dio
- il concetto basilare di essere figlio di Dio
- la passione insopprimibile per il Vangelo di Giovanni (con tutte le originali riflessioni e diatribe connesse)
- la sottile costante polemica con l'evangelista Marco (interpres Petri) e Paolo di Tarso, colpevoli organizzatori della paleo-chiesa cristiana in (ritenuta) opposizione al misticismo di Giovanni
- la sottile costante polemica con alcune (spesso importanti) proposizioni della teologia cattolica
- la sempre presente convinzione dell' "àntropos mètron" e dell' "in interiore homine habitat veritas"
- la suggestione interiore leopardiana
- il concetto del pensiero come energia motrice dell'universo e il quasi bergsoniano "slancio vitale"
- il bosco e l'oceano come splendida metafora della vita e dell'aldilà

- il significato di Kia
- il concetto di Dio e la coscienza di esistere
- "il metro di giudizio sarà il grado d'impegno e non il risultato"
- la fede "subìta" e non libera
- la quasi sottintesa condivisione della teologia luterana della "sola fides, sola gratia, sola scriptura" senza le opere

Vi sono numerosissimi altri spunti di riflessione e considerazioni varie che qui non troverebbero spazio, tanto sono pregnanti e significative, e che il lettore attento non mancherà di rilevare con vero piacere intellettuale, perchè (come già ricordato in altra sede) Piutti stimola sempre ma (qui) non stordisce (quasi) mai.

Lo stile del Piutti appare fin dall'inizio seducente e calibratissimo, oserei dire che il testo (nella sua globalità) è un autentico componimento poetico riversato in prosa, perchè ha la peculiare capacità di evocare in ogni momento atmosfere e situazioni incredibilmente e autenticamente verosimili, con un uso preciso e intenso di aggettivi e verbi che appaiono sempre adeguatissimi e mai forzati o vacuamente esibiti.
In linea a queste considerazioni, ho trovato in questo Piutti il poeta della luce (per i suoi inarrivabili e accecanti flash), della nebbia (per le sue impareggiabili e sempre diverse descrizioni), del fiume (per i suoi sapienti e rapidi tocchi "visivi"), del bosco (per le sue memorabili evocazioni pittoriche), della ruralità alpina (per gli impressionistici quadri delle varie attività agricole in altura), del temporale (per gli indimenticabili approcci "sonori" realizzati), del terremoto (per la perfetta calibratura di ogni "tragico particolare"), delle imprevedibili e incontenibili forze naturali (per la grandiosità dei suoi affreschi)...

Solo scarsi peccatucci veniali si riscontrano in questo affascinante e memorabile libro di Piutti (i soliti refusi tipografici seppure in numero assai minore di altre opere; qualche refuso biblico: si chiama Giuseppe non Giovanni di Arimatea, pag. 127; un titolo non del tutto convincente).

In sintesi, si tratta di un'opera di ottimo profilo letterario, complessa, che merita un convinto e spassionato elogio non solo per il pane storico spezzato e distribuito con sagacia a carnici eruditi e a carnici "tabula rasa", ma anche per la (non sempre digeribile) associata bevanda filosofico-teologica, che merita senza alcun dubbio una segnalazione precisa perchè, con il suo retrogusto, apporta un valore aggiunto a questo importante lavoro che, fino a questo punto, ritengo in assoluto il migliore di Piutti.

Se esiste la "storia della filosofia" con i suoi riconosciuti maestri, si deve senz'altro considerare Igino Piutti un indiscusso maestro (o l'antesignano?) della "filosofia della storia". Perlomeno qui in Carnia.

 

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