IO FIGLIO DI DIO

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Sotto lo pseudonimo di Diver Dalce, il tolmezzino Igino Piutti ha realizzato questo lavoro nel 2000, pubblicato da Edizioni Segno di Tavagnacco.
Il tema affrontato non è di poco conto ed il libro stesso non è di facile ed immediata lettura.
Aver poi voluto analizzare e approfondire il vangelo più difficile dei quattro canonici, cioè quello eminentemente teologico di Giovanni, rende ulteriormente complesso e complicato il tentativo di trovare risposte esaurienti agli interrogativi ultimi e decisivi che ogni uomo moderno si pone.
Anche per chi ha letto il vangelo nel suo testo originale ("Novum testamentum graece et latine"), nella edizione curata da Augustinus Merck, sa perfettamente che quello di Giovanni costituisce un continuo rompicapo di interpretazione e di corretta ermeneutica per gli stessi esegeti e biblisti, ciascuno dei quali riesce sempre a trovare spiegazioni nuove o diverse, quando non in contrasto tra loro, spesso in una ridda di rivendicate posizioni che di teologico poi hanno ben poco, essendo alla fine sorrette solo da intellettualismo puro senza la necessaria umile carità.
Figurarsi quindi per un laico, seppure profondamente motivato, ma specialisticamente non adeguatamente attrezzato, quale può essere Piutti il quale, pur ribadendo di non essere un esperto, dispiega tutta la sua buona volontà nel cercare di capire e quindi di darsi risposte accettabili o plausibili, partendo dalla sua formazione cattolica adoloscenziale di cui volentieri (e a volte aspramente, come a pag. 77) critica l’impostazione catechistica  vissuta personalmente a Cazzaso di Tolmezzo.
A proposito di questo discusso vangelo, occorre preliminarmente ricordare come lo stesso grande teologo Joseph Ratzinger, nel suo primo affascinante volume su Gesù di Nazareth, quando (da par suo) affronta lo spinosissimo problema dell'attribuzione di questo difficile vangelo (pag. 266), condivide egli stesso alcuni plausibili dubbi sul fatto che l’evangelista Giovanni sia lo stesso apostolo prediletto di Cristo; egli accetta serenamente l’ipotesi di Stuhlmacher secondo cui l'autore materiale di questo vangelo potrebbe essere stato un “presbitero Giovanni” del II secolo, il quale, essendo stato in diretto contatto con l'apostolo Giovanni, avrebbe trascritto ed elaborato “teologicamente” il messaggio di Cristo, filtrato però sempre dalla raffinata sensibilità dell'apostolo prediletto.
Comunque sia, il coraggio di Piutti di voler affrontare, con armi improprie (da non addetto ai lavori), nientemento che la spinosissima questione del divino utilizzando nientemeno che il più ostico dei vangeli (o meglio, la sua prima elaborazione teologica), ce lo fa apparire quasi temerario se non spericolato e imprudente.
Piutti palesa innanzitutto un substrato di specifiche letture personali sulle grandi religioni, massimamente quelle orientali (e, tra queste, soprattutto quella derivante dall’Upanishad), e sulla filosofia occidentale al punto che spesso riesce a compiere dei raccordi convincenti e dei richiami puntuali tra loro. Conosce molti autori, ne mutua a volte la visione; a volte ne critica l’impostazione.
Insomma si deve dire che ad ogni pagina, ad ogni riga, si avverte l’uomo inquieto ed ansioso che vuole andare a fondo nelle questioni per sviscerare il problema del divino e dell’umano, in tutte le sue sfaccettature, fulminato dall’ipotesi di essere figlio di Dio.
La serena e attenta lettura dei 33 capitoletti (o meglio: la loro rilettura) convincerà alla fine il lettore, che avrà avuto la pazienza di seguirlo per 180 pagine, che il Piutti merita tutta la stima e la considerazione di coloro che hanno già percorso (o tentato di farlo) questo difficile, scivoloso ed erto sentiero della conoscenza di Dio.
Pare di capire subito che l’autore non aderisce alla linea filosofica aristotelico-tomista (le grandi prove dell’esistenza di Dio vengono qui ripudiate) ma si avvicina a quella (precedente) platonico-agostiniana dell’ “in interiore homine habitat veritase da questo assunto pare sviluppare tutta la sua peculiare visione filosofico-religiosa che emerge con forza di pagina in pagina attraverso intuizioni e riflessioni del tutto originali (anche se alcune conclusioni paiono a tratti troppo semplicistiche).
I punti che maggiormente mi hanno incuriosito sono molti ma quelli che seguono mi paiono i più caratterizzanti:
- il continuo (sorprendente) parallelismo tra la Upanishad orientale e alcune affermazioni del Cristo giovanneo.
- una nuova personale interpretazione della parabola del buon pastore e di alcuni episodi evangelici.
- la spiegazione del dualismo tra “figlio di Dio” e “figlio dell’uomo”.
- il concetto di Dio Padre e di Spirito santo.
- il capitolo relativo al complesso rapporto tra vangelo e chiesa (di cui vengono stimgatizzati con una durissima requisitoria i comportamenti impropri del suo potere politico-temporale), in cui fa capolino, seppure soft, perfino la cara “democrazia cristiana”, il partito politico in cui militò per lunghi anni l’autore stesso.
- la originalissima “ristrutturazione” della Divina Commedia dantesca mediante “intranet virtuali”.
- gli “illuminati” del VI secolo prima di Cristo (Confucio, Buddha, Zarathustra, Pitagora, Isaia) come punto policentrico per una nuova concezione religiosa dell’umanità intera.

Le impressioni e le considerazioni che derivano dalla lettura di queste complesse e originali pagine sono molteplici e spesso di segno contrario. Vediamone alcune:

Siccome oggi molti preti si atteggiano ad operatori sociali o culturali, mi è parso fisiologico che un operatore culturale (qual’è stato il prof. Piutti) si cimenti su tematiche teologico-religiose (ormai abbandonate dai preti), pur non essendo egli uno specialista del settore ma solo un semplice laico vissuto in una pervasiva atmosfera cattolica.
Quello che ne è uscito mi è parso un complicato saggio socio-politico-religioso, dove le componenti di queste tre branche dell'essenza umana si rincorrono e si intersecano nel tentativo di giungere ad una sintesi nuova ed originale.
Si percepisce sottotraccia una diffusa (e per me incomprensibile) ostilità nei confronti della chiesa cattolica, che emerge sia velatamente sia, più spesso, in maniera esasperata, in riferimento al catechismo dell’età infantile, quasi che quest’ultimo avesse alterato o velato il “vero” vangelo.
Tale atteggiamento porta a volte l’autore a valutazioni erronee, come quando sostiene ingenerosamente che “…gli handicappati di cui Cristo ha voluto popolati i vangeli, poi sono spariti nel cristianesimo… (pag. 164)”, mentre invece è a tutti noto che fu proprio la chiesa a fondare per prima ospedali, lebbrosari, orfanotrofi, mense ed ogni altra istituzione dedicata agli emarginati ed ai poveri.
Una continua tensione utopica sembra guidare e animare il ragionamento e le riflessioni dell’autore al punto che a volte si fatica a seguirlo, specie nelle ultime pagine, dove si toccano e si mescolano New Age, Apocalisse, sistemi politici ed infine la mitica età dell’oro individuata nell’era dell’Aquario che sta per venire...
Talune ipotesi conclusive o succinte sintesi risentono di una certa autoreferenzialità che limita in certo qual modo una eventuale condivisione del pensiero.
Molte enunciazioni si pongono nettamente in contrasto con la teologica cattolica (“Cristo non è morto per salvarci con il suo sacrificio… E’ del tutto ininfluente che sia risorto… E’ secondario che sia veramente esistita la figura storica di Cristo…“ ) suscitando nel lettore (io credo) anche un certo disagio intellettuale, che si trasforma in insoddisfazione finale come del resto, onestamente, anche l’autore stesso riconosce.

Dal punto di vista tipografico rilevo un unico neo: la copertina, che è del tutto inadeguata a rappresentare il contenuto del libro.

Non essendo io né teologo né filosofo né cultore del misticismo orientale, non sono in grado di dare giudizi esaurienti o definitivi su questo non facile libro del carnico Piutti, il quale sembra qui propugnare una nuova religione personale di stampo sociale e filantropico, tutelata e irrobustita dalla consapevolezza di essere figlio di Dio.
Mi limito solamente a segnalare questo lavoro, che meriterebbe di essere letto e studiato da coloro che hanno consuetudine con questi argomenti (preti, insegnanti di religione, cattolici impegnati, atei di professione…) i quali potrebbero trarne sicuramente degli input di riflessione individuale e di successiva rielaborazione indirizzata ad altri soggetti.
Per quanto mi riguarda, io ne sono uscito frastornato, specie pensando al profondo divario che sussiste tra il candidamente ingenuo (ma teologicamente precisissimo) catechismo di Pio X della mia fanciullezza e il diffuso analfabetismo religioso odierno.
E prepotente sale una domanda: complessivamente, meglio oggi o ieri?

 

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