I CELTI RITORNANO

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Questo lavoro di Igino Piutti, edito da Edizioni Segno di Tavagnacco nel 2001 (con ristampa nel 2002) si discosta nettamente dal suo ultimo libro (L’assedio della Carnia), anzi sembra quasi che l’autore stesso sia un’ altra persona. Per i motivi che seguono:
Tipograficamente innanzitutto il libro si presenta con una ottima veste: ottima la copertina, ottima l’impaginatura, nessun refuso tipografico, indice finale adeguato.
Il modo di scrivere dell’autore appare qui preciso e conciso, coinvolgente e appassionante, lieve e duro, mai ripetitivo, mai svenevole, imprevedibile a volte, sempre comunque capace di evocare scene e ambienti con singolare perizia.
E’ un romanzo? E’ una storia romanzata? E’ leggenda? E’ invenzione letteraria? E’ recupero favolistico? E’ autobiografia?
Interrogativi che non hanno risposta perché, al termine della lettura di queste densissime 188 pagine, si arriva alla conclusione che questo lavoro non appartiene a nessuna di queste tipologie letterarie ma è intimamente costituito da tutte queste, in una sapientissima e dosatissima mescolanza di toni e colori,  di reale e irreale, di sogno e immaginazione, di presente e passato, di storia e leggenda, di vissuto e di favola.

Il tratto saliente che subito emerge dalla lettura delle prime pagine è principalmente quello onirico – immaginifico che permea ogni racconto rendendolo quasi impalpabile ed evanescente. L’autore poi riesce perfettamente ad intrecciare questo tratto fantastico con quello storico - leggendario per offrire al lettore una trama assolutamente originale che ha per palcoscenico una Carnia continuamente mutevole e seducente, che ha attraversato secoli di storia mantenendo costante il suo misterioso fascino di terra selvaggia, indelebilmente e profondamente segnata per sempre dalla antica civiltà celtica.  
Il libro si compone di 15 capitoli, ognuno dei quali è caratterizzato ed accoglie un personaggio fantastico che imprime a ciascun capitolo una propria peculiarità intrinseca che si collega alla successiva attraverso un gioco di specchi e di rimandi dei due principali protagonisti, Maria e Luciano, attorno ai quali ruotano altri personaggi di non minore importanza.
Non è possibile qui dare conto di ogni capitolo, basti dire che la suggestione di ognuno  di essi resta impressa vividamente nella memoria del lettore perché Piutti sa alternare abilmente scene bucolicamente rasserenanti e limpidamente agresti a improvvisi squarci di greve dramma o di orribile tragedia e da questo continuo e imprevedibile contrasto di luci e di suoni nasce la spettacolarità e il coinvolgimento di questa narrazione.
Come non ricordare allora i misteriosi luoghi di Sorantri, Misincinis, Mazeit, S. Simeone… o le impalpabili figure di Vinadia o di Lauriscia, di Maria Svualda o di Bordana o di Artenia… o la truculenza di Rodolfo il Glabro o la orribile fine di Rinaldo da Mede… o la tomba misteriosa in declivio  o la rilucente grotta posta sotto la cascata?
Che dire delle fantastiche ipotesi dei pitagorici greci giunti in Carnia nel VI secolo prima di Cristo o del pensiero filosofico dei Celti o del loro modo di tramandare oralmente il sapere o dell’origine celtica dei benandanti (quorum ego) in grado di compiere il viaggio dell’anima o della toponomastica celtica o della loro religiosità o dei parallelismi tra ritualità celtica e i successivi riti cristiani?
Che pensare della sessualità disinibita dei celti, della loro esibita omosessualità, della sorprendente distinzione tra piacere sessuale e procreazione, del non volere allevare i figli in famiglia affidati invece all’educazione collettiva dei Druidi (quasi alla maniera spartana)?
In ogni pagina Piutti sa intrecciare mirabilmente gli sfuggenti fili della storia celtica (i ritrovamenti archeologici) con quelli multicolori della leggenda e della fantasia per realizzare un ordito avvincente, a tratti verosimile o inverosimile, a seconda della predisposizione intellettuale del lettore, nell’originale tentativo di poter risalire e scrivere la storia ignota dei celti,  attraverso il viaggio dell’anima oppure il sogno/visione delle tre Marie.
Una grande saga dunque del popolo celtico riproposta e rivissuta attraverso la finzione letteraria che risulta più utilmente avvicente di un serioso libro di storia o di archeologia, per diffondere la conoscenza di questo lontano e misterioso popolo indoeuropeo, ritenuto il nostro più antico antenato documentato.  

Credo che la chiave interpretativa di questo lavoro di Piutti sia racchiusa in questa riga: "Capire i Celti diventa un modo per capirsi, per capire il proprio rapporto con l'ambiente e con la storia dei luoghi nei quali è nato" perchè l'autore è stato davvero affascinato dai Celti, come credo lo sarà qualsiasi lettore che avrà l'ardire di aprire questo importante e intrigante libro e di gustare, immedesimandosi, ogni quadro ed ogni scena che gli si aprirà davanti, perchè potrà avere davvero la inespressa sensazione di un richiamo ancestrale che lo farà attivamente partecipe del racconto, dove ritroverà sorprendentemente inattesi aspetti (seppure a tratti solo percepiti) del vivere odierno in Carnia.

Nota
Resta da fare un 'unica severa annotazione all'impianto storico-fantastico del libro.
Piutti attribuisce (pag. 187) ai romani converiti al cristianesimo (e quindi ai cristiani tout court: "In nome di Cristo!") il genocidio dei Celti perchè "i cristiani con l'idea di essere depositari dell'unica verità, non potevano rinunciare al tentativo di imporre la loro verità agli altri". Questo grossolano falso storico (seppure in un contesto fantastico) esige una chiara puntualizzazione:
le legioni romane di M. Emilio Scauro sconfiggono definitivamente i Carni il 15 novembre del 115 a. C., con il massacro di donne vecchi e bambini (un autentico genocidio ante litteram), riportandone poi a Roma il relativo trionfo "de Galleis Karneis" (come risulta dal frammento capitolino dei Fasti Trionfali, scoperto nel 1563 dal Fistulario). Di altre successive battaglie non si ha notizia storica. Dunque i Carno-Celti sono stati eliminati 115 anni prima della nascita di Cristo, anche se qualche sparuta comunità potrebbe essere pacificamente sopravvissuta in alcuni posti isolati e periferici, a mezza costa dei monti.
La religione cristiana, dopo tre secoli di persecuzione da parte dei romani, viene riconosciuta come "religio licita" solo nel 313 d.C. con il famoso editto di Costantino, il quale ricevette peraltro il battesimo solo in punto di morte (337). A partire dal 318 viene disposta la proibizione parziale delle pratiche pagane e barbare ma solo nel 341-46 (sotto gli imperatori Costanzo e Costante) si verifica per la prima volta la proibizione totale dei sacrifici pagani e barbari e l'ordine di chiusura dei loro templi.
Stupisce quindi e dispiace che Piutti abbia voluto interpretare il genocidio dei Carni come opera dei cristiani, vanificando nel finale un egregio e peraltro riuscito tentativo di scrivere la storia dei carno-celti in forma fantastico-romanzata. Non se ne comprende il significato.
A meno che Piutti non disponga di altri documenti storici, a me ignoti.

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