CELESTINO SUZZI
una biografia scomoda

divider.gif (415 bytes)

 

Dall’archivio “magico” di Giobatta Lupieri (1776-1873) a Luint di Ovaro, la operosa Bianca Agarinis Magrini ha (es)tratto anche questo interessantissimo libro (non certo "leggero" e a volte di difficile lettura per la sua prosa ottocentesca), che racconta e ricostruisce, attraverso un fitto epistolario ottimamente conservato, la complessa vicenda umana di un prete, don  Celestino Suzzi, nato a Resiutta  nel 1815 e morto a Nocera nel 1883, la cui parabola esistenziale fu tutto un susseguirsi di prese di posizione politiche e religiose anticonformiste, di pronunciamenti filosofici di stampo rosminiano e giansenista, di atti di insofferenza e insubordinazione verso il proprio vescovo...
Appena ordinato prete, don Suzzi fu mandato dal vescovo udinese Lodi (che già lo conosceva per le sue performances politicamente eterodosse esibite durante gli anni del seminario) come cappellano a Candide (allora in Diocesi di Udine) dove conobbe Liberale Monti (già amicissimo del Lupieri); poi fu, seppure per soli pochi mesi, a Ovaro dove ebbe modo di conoscere e apprezzare Giobatta Lupieri (catalizzatore e stimolatore di questo fitto epistolario da cui è nato il presente libro) e da dove, a seguito di riferite calunnie nei suoi confronti (“lubrico, effeminato e bevone...”), fu rimosso da mons. Lodi per essere mandato dapprima a Portis, da qui ad Avasinis (dove però non volle andare) poi a Dogna (dove migliorò i rapporti col vescovo che gli concesse libertà di spostamento), poi a Gradisca di Sedegliano, poi a Fraforeano… Tutti questi rapidi trasferimenti, percepiti dall'interessato come decisioni vescovili di carattere punitivo, erano dovuti alla continua contrapposizione con il suo vescovo che più volte aveva minacciato, sia verbalmente che per iscritto, la sospensio a divinis ipso facto incurrenda. Nel 1845 muore improvvisamente il vescovo Lodi, conservatore e filoaustriaco, cui succede nel 1847 Zaccaria Bricito, patriota e filoitaliano, da tutti osannato ed elogiato, liberali e giacobini compresi, Lupieri e Suzzi in testa. Ma neppure con mons. Bricito, Suzzi trova pace ed anzi lo accusa ingiustamente di aver "boicottato" la rivoluzione udinese del 1848-49; Bricito muore improvvisamente nel 1851 di tubercolosi, compianto dal Lupieri il cui genero, dott. Magrini, era grande amico di molti preti e anche del segretario dell'arcivescovo, dal quale avrà spesso notizie fresche... Suzzi diventa lentamente sempre più anticlericale, polemico, specie con i confratelli preti friulani che, a seguito delle leggi piemontesi contro i religiosi varate in quel periodo, prendono paura, diventano molto guardinghi e sempre meno filo-italiani; d'altro canto molti preti e professori del seminario, rimasti comunque filo-italiani, vengono rimossi dal loro ruolo dalla polizia austriaca. Nel frattempo Suzzi viene accusato di protestantesimo ma egli non demorde pur sentendosi solo, sorretto solo dalla calda amicizia di Lupieri che lo invita sempre, ma inutilmente, ad essere cauto e paziente, a frenare i suoi guizzi e le sue intemperanze. Anche con il successore del vescovo Bricito, mons. Trevisanato, le cose non vanno meglio, anzi don Suzzi nel 1853 deposita in Curia il "libello di ripudio" e, disobbedendo anche al nuovo vescovo, se ne fugge a Parenzo, in Istria, dove diventa insegnante nel Ginnasio di quella cittadina e dove ha modo di conoscere altri 5 preti friulani (tra cui don Giuseppe Butazzoni) che, patrioti come lui, hanno preferito lasciare il Friuli per vivere in un luogo appartato e sereno dove coltivare le proprie idee politiche e religiose in un forte clima utopico di reciproca esaltazione intellettuale e spirituale, come la riscoperta e la riproposizione di un cristianesimo delle origini... Nel 1854 don Suzzi torna in Carnia, a Luint, dove viene accolto dall'amico Lupieri e da suo genero, il dr. Magrini, per diventare il precettore del figlio di quest'ultimo, il piccolo Giulio. Contemporaneamente è inquisito dal vescovo che gli contesta di professare dottrine eretiche al punto che nel gennaio del 1855 gli viene notificata la "sospensio a divinis" anche se oggi non risulta chiaro il motivo preciso di tale severa determinazione, mancando agli atti il documento originale. Per non mettere in difficoltà gli amici Lupieri e Magrini, don Suzzi, come un solitario e solipsistico eroe, fugge a piedi di notte nel Comelico da dove scriverà lettere accorate agli amici di Luint; in una di queste, allega anche la difensiva che intende inviare all'Arcivescovo: si tratta di una lettera durissima che nè Lupieri nè Magrini riusciranno a fare modificare nè riusciranno d'altra parte a convincere il Suzzi a più miti consigli e a recarsi dal suo vescovo per un chiarimento; questa dura ostinazione del prete, nonostante i continui buoni uffici del dr. Magrini che a tal proposito incontrerà sia il capo della polizia austriaca di Udine sia l'Arcivescovo, sarà probabilmente la causa ultima dei successivi travagli... Suzzi parte per Resiutta poi va a Codroipo poi a Latisana, da una vedova sua conoscente e benefattrice. A fine anno Lupieri e Magrini, con un atto unilaterale di cui forse si saranno poi pentiti, comunicano a don Suzzi che non intendono più assumerlo come precettore del piccolo Giulio (Giulietto), forse per timore della polizia austriaca ma anche perchè Suzzi "... è grande per memoria e per intelletto, ma confida un pò troppo in se stesso. Quest'è lo scoglio pericoloso per lui ma se in bene convertisse i doni della natura e della provvidenza in lui profusi, potrebbe essere utile alla Chiesa e alla Società..." come scrive Lupieri a don Vergendo. Così il prete si ritrova solo e senza sussistenza, sempre sotto stretto controllo della polizia austriaca che vorrebbe addirittura mandarlo al confino in Dalmazia presso il convento di Vissovaz... In queste avvilenti condizioni morali e fisiche, sentendosi abbandonato da tutti, il povero prete vive settimane terribili. Qui il libro-epistolario presenta quasi una cesura improvvisa perchè nel 1856 ritroviamo don Suzzi che si pente e ritratta, dopo una lunga mediazione ed azione di convincimento da parte di don Giovanni Vergendo, parroco di Raveo, il quale, in una lettera indirizzata al Lupieri, racconta come conobbe il Suzzi (nella sua chiesa mentre compiva un atto provocatorio coram populo leggendo una traduzione volgare non approvata della Bibbia), come lo accostò, come lo indirizzò sulla retta via ed infine descrive l'atto della ritrattazione presso la curia udinese. L'abiura si celebrò, nella forma ufficiale e solenne stabilita dal diritto canonico e dal rituale romano per queste evenienze, davanti al crocifisso affiancato da due candelieri e il vescovo a latere; dopo la ritrattazione don Suzzi scrive una lettera pubblica che trasmette al vicario generale, Andrea Casasola, friulano di umilissime origini, che diventerà poi arcivescovo di Udine nel 1863. Scrive anche altre lettere in cui racconta il proprio travaglio interiore, il proprio ravvedimento ed il proprio pentimento per quanto commesso negli anni trascorsi; il tono di queste "nuove" lettere appare sincero e chiaro come era sincero e chiaro quello delle lettere "del ribelle e del protestante": addirittura Suzzi si lamenta e quasi rimprovera l'amico Lupieri quando, dopo il pentimento, scrive (nel libro a pag. 188) "... Per essermi riconciliato colla Chiesa la mia reputazione d'onestà e di franco e leale carattere ha d'aver subito tal crollo che un mio amico per tranquillarmi crede util cosa di venirmi a testificare che almen nel suo animo ella regge ancora in piedi". E' infatti accaduto che molti dei liberali, che sostenevano il Suzzi quando era in aperta diatriba con l'autorità ecclesiastica, una volta che questi si è riconciliato con la chiesa, gli abbiano voltato le spalle e lo abbiano quasi disconosciuto, accusandolo di viltà, atto per lui del tutto arbitrario e incomprensibile, non pertiente con il sentimento dell'amicizia vera cui egli crede profondamente... Nel 1859, chiede così al suo vescovo il permesso di espatriare in Lombardia ed il vescovo udinese glielo concede volentieri, così che don Suzzi diventa insegnante di lettere al Ginnasio Bosisio di Monza, proprio quando la Lombardia viene annessa al Regno sabaudo dopo la fine della seconda guerra d'indipendenza; in questi anni Suzzi diventa attivo sostenitore della causa della unificazione italiana e resta in contatto sempre con gli amici veneti e friulani rimasti sotto l'Austria. I fatti di Aspromonte (Garibaldi ferito e fatto prigioniero dall'esercito piemontese) esercitano su di lui fieri sentimenti antipiemontesi che solo in parte Lupieri, nelle lettere, riesce a mitigare. L'epistolario qui diventa raro e lacunoso e le testimonianze dirette non sono esaurienti per cui risulta difficile analizzare compiutamente le vicende personali del Suzzi il quale, a seguito pare della pubblicazione del Sillabo da parte di Pio IX (che condanna il modernismo e le sue teorie), chiede ed ottiene la cosiddetta "dispensa papale" cioè la riduzione allo stato laicale e si professa positivista: questo atto viene subito enfatizzato dall'anticlericale "Giornale di Udine" e dal periodico "Esaminatore friulano" diretto dal prete apostata Vogric. Anche Lupieri viene a sapere di questa impopolare decisione dell'amico prete e in una lettera, dai toni affettuosi e sinceri, lo informa sulla situazione della Carnia; successivamente la corrispondenza tra i due amici si fa sempre più rara mentre le posizioni politiche dei due vanno sempre più divaricandosi, con Suzzi che riprende il tema della questione temporale dello stato pontificio e la visione di una chiesa restituita alla primitiva sua povertà e semplicità. Nel frattempo egli trova ospitalità a Ferrara come insegnante di lettere classiche al ginnasio e da qui scrive di nuovo a Lupieri con toni accorati e disillusi (sul Regno italiano sabaudo) e si professa antimonarchico e antifrancese, biasimando anche Napoleone "un idolo che non è altro che il pessimo dei despoti..." per giungere a dirsi repubblicano e mazziniano; questa nuova idea politica sarà ulteriormente rafforzata dalla vicenda del resiuttano Angelo Rossi, imprigionato dal governo italiano per aver sostenuto sul suo giornale la tesi repubblicana e morto detenuto nel 1869. Così Suzzi si inimica anche alcuni sacerdoti "patrioti" come don Osualdo De Caneva (che se ne sta sempre a Parenzo in Istria) che lo apostrofa in alcune lettere (forse anche per altri bassi motivi) con epiteti offensivi: " cervello balzano... spretato... vero frate ipocrita..."; perfino l'amico Lupieri scrive "... di Suzzi nulla di certo. Pare a Ferrara; ma qui ha perduto il credito". Suzzi arriva a Teano, presso Caserta, per insegnarvi al ginnasio. Da qui compie un viaggio a Roma (in cui si sta svolgendo il Concilio Vaticano I che formulerà la infallibilità del papa quando definisce ex cathedra questioni di fede): della città fa un minuzioso resoconto nell' ultima sua lettera inviata a Lupieri (che muore poi nel 1873); nel 1872 Suzzi si trasferisce a Sessa Aurunca e poi a Nocera, dove muore improvvisamente di ictus cerebri il 14 gennaio 1883, a 68 anni (nel registro dei morti: a 66 anni!). La sua morte viene ampiamente ricordata e la sua figura esaltata dai giornali anticlericali udinesi.


Ma vediamo più da vicino alcuni significativi aspetti di questo interessantissmo libro, che presenta una varetà di spunti e di argomenti davvero unica e che merita una collocazione speciale nella nostra biblioteca di Carnia ed in quella, a mio avviso, dei cultori e degli amanti della nostra storia:
- La personalità di don Suzzi che emerge dalle sue lettere appare assai complessa e di difficile inquadramento; certamente coesistono in lui diversi tratti psicologici che vanno a delineare un profilo che a me pare di poter individuare sinteticamente come ciclotimico: egli infatti alterna continuamente periodi di forte umore depresso (ad esempio quando muore la madre o quando va in rotta la prima volta col vescovo o quando vive una crisi esistenziale nel 1846 che lo vede "solo contro tutti") a periodi di evidente euforia ed esaltazione che sfiora la mitomania (con manie di grandezza come quando annuncia un'opera sua di vaste proporzioni che intende titolare nientemeno che "Prospetto sinottico emblematico della Società umana religiosa e civile dal principio dell'era volgare infino a' giorni nostri" oppure quando celebra, esagerando, un modesto lavoro letterario dell'amico Camillini; e manie di persecuzione come quando si lamenta di essere preso di mira da tutti i confratelli). Questa continua ciclicità psicologica appare a volte interrotta da periodi di discreto benessere e di relativa calma interiore, ma questo elemento caratteriale così plateale potrebbe essere stato la causa delle sue peculiari prese di posizione e dei suoi atteggiamenti di sfida, che, in tempi in cui la psicopatologia non esisteva ancora come branca medica scientificamente studiata, poteva dare origine a profonde incomprensioni e giudizi sommari, certamente quasi sempre negativi da parte di chi lo avesse conosciuto.
- Dal punto di vista letterario invece la sua personalità appare assai robusta e lascia trasparire una vasta e articolata cultura ed erudizione, anche se a volte espresse in modo volutamente ricercato o inutilmente retorico; sicuramente Suzzi è stato una figura di primissimo piano nella Diocesi di Udine e nelle varie città che poi lo ospitarono.
- Molto significativa la descrizione della situazione intellettuale e culturale della Carnia che don Suzzi accompagna all'espressione del suo profondo rammarico per la morte del parroco di Paluzza e "ultimo superstite della insigne Collegiata di Giulio Carnico" mons. Pietrantonio Silverio (1845).
- In occasione del matrimonio della figlia dell'amico Lupieri, Eugenia, con il dr. Magrini (medico, musicista e organista di chiesa, ricordato anche nel libro storico parrocchiale di Paluzza), Suzzi manda una lunga lettera a Luint dove svolge incredibilmente, con puntuali e dotte citazioni classiche e argomentazioni teologiche, il tema del matrimonio e della omosessualità. Questa grandiosa lettera è un inno spontaneo al Cristianesimo che ha elevato la dignità della donna, fino ad allora schiava dell'uomo, a domina (da cui, per contrazione, donna) ed ha esecrato l'omosessualità intesa come normalità di comportamento e qui cita, per condannarlo, Licinio che "lascia le donne agli uomini volgari e i giovanetti ai filosofi".
- La sua lettera-testamento del 6.2.1853 inviata a Lupieri, costituisce davvero il manifesto del suo pensiero contro il sistema-chiesa e contro Roma, dove l'impianto accusatorio contro il "potere" romano è mirabilmente anticipatore di quello spessissimo oggi utilizzato da taluni preti moderni che adoperano le stesse argomentazioni quando non le medesime parole. Mentre si leggono queste lettere di Suzzi ante abiuram, torna prepotentemente alla mente pre Toni Bellina con i suoi svariati libri e pamphlet e le sue invettive contro Roma ma vengono in mente anche tanti altri preti viventi e operativi. E spontanea sorge questa considerazione: se fosse vissuto oggi, Suzzi non sarebbe stato certamente sospeso a divinis nè avrebbe chiesto la riduzione allo stato laicale (che lo avrebbe subito anonimizzato) ma certamente avrebbe avuto enorme successo e risonanza mass-mediatica come "prete di frontiera"; se pre Toni fosse vissuto nell'Ottocento sarebbe senza ombra di dubbio sospeso a divinis ipso facto...
- Altra stupenda lettera è quella del 1851, quando, prendendo lo spunto dalle gravissime esondazioni di fiumi e torrenti, tesse un'ampia disamina sugli aspetti idrogeologici della Carnia e del Friuli.
- Quasi giornalistica la descrizione dell'incendio di Chiusaforte paragonato a quello precedente disastroso di Liariis.
- Molto interessante la sua ultima lettera del 1870 a Lupieri, scritta da Teano, in cui racconta e descrive la città di Roma proprio pochi mesi prima della breccia di Porta Pia; una descrizione di alto profilo giornalistico che spazia su tutto: dai cantieri pubblici e privati alle strade in costruzione, dal debito pubblico alle spese "folli"... Un reportage quasi tele-visivo che ci restituisce una Roma papalina diversa dal solito clichè!
- Suscita molto interesse il componimento poetico in friulano "Lu chiant de razze latine" che "vinse un concorso, indetto a Montepellier in Francia nel 1878, per valorizzare le lingue locali, innalzandole all'onore di lingue letterarie". Suzzi è dunque da ritenere forse il primo autore che elabora un poemetto in lingua friulana di carattere elevato e si pone certamente tra coloro che hanno aperto la strada a questo tipo di letteratura: perfino Isaia Graziadio Ascoli, fondatore della Società Filologica Friulana e creatore della glottologia in Italia, ne fu entusiasta!
- Molto interessanti le biografie di moltissimi preti friulani dell'Ottocento, riportate in nota dalla bravissima Curatrice che ha scandagliato in profondità l'ACAU (archivio curia arcivescovile di Udine) ed altre numerose fonti per fornire un esauriente corollario a questa opera davvero unica e importante nel suo genere per quanto riguarda la Carnia.
- In appendice sono riportate tutte le opere di Celstino Suzzi.
- Tipograficamente il libro presenta due limiti che avrebbero potuto essere senz'altro evitati: l'utilizzo di un carattere troppo piccolo, a volte illeggibile (specie le note!) e il colore dei caratteri, un rosso ocra, che non consente una agevole lettura, specialmente nelle ore notturne con luce artificiale. Una bizzarria davvero unica!


DUE CONSIDERAZIONI FINALI
1).
Il sottotitolo del libro (una biografia scomoda), specialmente al termine della attenta lettura del libro, mi ha lasciato assai perplesso e in disaccordo, per i motivi che seguono:
- innanzitutto: scomoda per chi? nel sottinteso si dovrebbe arguire che è scomoda per la Chiesa, ma a me non pare proprio. In queste lettere è rispecchiato sempre l'animo effervescente e mutevole del protagonista sia nel periodo del ribellismo sia in quello del ravvedimento operoso sia poi in quello dello stato laicale. Non si possono giudicare eventi e gesti di due secoli fa con gli strumenti culturali di oggi. Occorre sempre contestualizzare i fatti ed in questa contestualizzazione a me sembra che la Chiesa, pur con tutti limiti dell'istituzione umana che rappresenta, abbia agito sempre a fin di bene e in buona fede, anche se a volte i mezzi possono essere stati poco diplomatici, come certamente poco diplomatici sono stati quelli di don Suzzi.
- Ritengo che la biografia di ciascuno di noi riservi sempre delle "zone" scomode per altri: per il prossimo, per i familiari, per i colleghi di lavoro... L'importante è, a parer mio, riconoscere queste "scomodità" erga alios e farne tesoro per migliorare la nostra esistenza.
2). A me pare che il positivo interesse e la favorevole accoglienza di questo libro negli anni della sua uscita siano anche basate su un assunto che la stessa autrice rende esplicito a pag. 36 quando scrive “…la reazione del vescovo a questo atto di autonomia degli ovaresi (che avevano autonomamente scelto il Suzzi come parroco, ndr) fu di sdegno, a conferma della concezione antidemocratica e dell’autoritarismo gerarchico della Chiesa. Le conseguenze ricaddero logicamente sul più indifeso e ingenuo, il giovane Suzzi”. Ora ai cattolici (ministri ordinati e semplici fedeli) è noto che la Chiesa, diversamente da uno stato democratico, non è una democrazia intesa come oggi la intendiamo, ma sempre ha avuto un sistema squisitamente gerarchico, che, col passare dei secoli, si è stabilizzato nei modi in cui lo osserviamo oggi, anche se in epoca paleocristiana il vescovo di Roma (che aveva una limitata giurisdizione) veniva eletto dal "clerus populusque romanus" ed i vescovi erano "acclamati" in chiesa dai fedeli (come S. Ambrogio), mentre per i parroci vigeva (anche fino al secolo scorso) il diritto di giuspatronato per i capi-famiglia che potevano scegliere il loro sacerdote tra una terna indicata dal vescovo. La situazione andò via via mutando sia per le contingenze esterne sia per scelte strutturali interne che non consentirebbero assolutamente oggi, in un mondo assai complesso e diversificato, una gestione cosiddetta "democratica" ed un ritorno alla chiesa primitiva, "semplice e povera". Tuttavia la Chiesa ha riservato il più alto grado di democrazia interna all’elezione diretta del papa vescovo di Roma, che ancora oggi viene eletto democraticamente con un quorum di 2/3 dei cardinali presenti, che, nonostante le ironie laiciste, si ritengono sempre ispirati dallo Spirito Santo nell'esprimere il proprio voto! Tutti questi aspetti sono arcinoti ai christifideles. Il giovane 25enne (che sia don Suzzi o pre Toni) quando, dopo lunghi anni di studi, viene ordinato prete, fa solenne promessa al proprio vescovo di castità, povertà e obbedienza, ben conoscendo le parole che pronuncia e ben sapendo che nessuno lo costringe assolutamente a diventare prete. Addirittura il motto dei gesuiti riguardo all’obbedienza è il detto francescano: “Perinde ac cadaver” cioè docile e obbediente come un morto, senza volontà propria. Certamente questo atteggiamento di obbedienza passiva e acritica può apparire assurdo e sconcertante per i non credenti, ma per chi ha il dono della fede cattolica è un naturale atto di estrema fiducia e abbandono in Dio e nei sui rappresentanti. Ora (ma anche allora) tanti preti sono (erano) poco casti, discretamente ricchi e affatto obbedienti. Sull'ultima promessa (obbedienza), non mi riferisco qui ai preti “impegnati nel sociale o in politica” o a quelli “facenti chiesa a sé” nè a quelli che sono pubblicamente favorevoli alla legge sull'aborto e sull'eutanasia, nè a quelli che sostengono il diritto degli omosessuali a sposarsi e ad avere figli adottivi: per tutti costoro nessun vescovo oggi più si preoccupa (purtroppo) nè scaglia anatemi. Mi riferisco espressamente a taluni preti che  mettono in forse perfino alcuni dogmi della fede cattolica come la reale presenza di Cristo nell’Eucarestia (ritenuta solo un segno di fraternità commensale) o la utilità della confessione (basta il pentimento personale di fronte a Dio) o la comunione dei santi  (residui medievali) o il primato di Pietro (falso teologico) e potrei andare avanti "protestantizzando"… Ora dunque oggi ci si scandalizza perchè ieri un vescovo richiamava legittimamente un prete alle proprie promesse iniziali per problematiche squisitamente politico-filosofiche, ma non ci si scandalizza assolutamente perchè un medesimo vescovo oggi non richiami più alcun prete neppure per questioni essenziali di fede! Siccome di preti ce n'è sempre di meno, i vescovi se li tengono così come sono, senza rendersi conto che, in una comunità, è più dannoso un prete siffato che l'assenza di un prete. E questo è lo scandalo moderno. Amen.

home.gif (2935 bytes)


Cjargne Online
1999-2005© - Associazione culturale Ciberterra - Responsabile Giorgio Plazzotta
I contenuti presenti in questo sito sono di proprietą degli autori - Tutti i diritti riservati - All rights reserved
Disclaimer