Le spiritate di Verzegnis

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Preceduto da una prolungata e assidua compulsazione di documenti, precedenti scritti, autorevoli personaggi (ampiamente citati nella Nota finale dall'autrice) tra cui l'ex cappellano di H Tolmezzo ed esorcista don Elio Nicli requie, in questo dicembre 2021 Raffaella Cargnelutti pubblica, presso la prestigiosa editrice Mursia, il suo ultimo lavoro che si può ragionevolmente definire un romanzo storico perchè, "all'infuori di padre Raffaele e pochi altri, come la Menica e la Ines, che sono frutto di fantasia, i personaggi narrati sono tutti realmente esistiti".

Purtroppo la lettura di questo ultimo lavoro della Cargnelutti, è stata funestata da tristi accadimenti e dalla repentina morte, nel breve volgere di 10 giorni, di due persone a me carissime per vicinanza, consuetudine, amicizia, frequentazione: Marinella e Nandino, che hanno dato lustro a Paluzza (e alla Carnia) e cui va il mio costante e fervido pensiero. Questi tristissimi avvenimenti forse non mi hanno consentito quella serenità di spirito e quell'attenzione di ingegno che questo libro costantemente richiede.
Peraltro la storia narrata in queste pagine già era a me nota, avendo letto questi fatti in altri documenti e da ultimo anche nel libro di Pietro Spirito (nato a Caserta nel 1961) intitolato "Le indemoniate di Verzegnis" (Guanda 2000).
Ricordo a tal proposito che anche a Ligosullo nel 1674 avvenne un analogo episodio. I rappresentanti di Tausia e Ligosullo avevano infatti informato il Nunzio Apostolico presso la Serenissima, Airoldo,  che nel paese vi erano molte donne “indemoniate” (26 su 360 abitanti). Aggiungevano anche che Ligosullo “siede distante dalla veneranda Chiesa di S. Daniele sopra la villa di Paluzza 4 miglia di strada assai faticosa, di ripe scoscese, rivi d’acqua, che per ogni intemperie di piogge si fa intransitabile, massimamente d’inverno, per esser la villa in montagn’alta, dove cascano le nevi di dismisurat’ altezza, per sei mesi continui e impedisce il transito di andare alla s. Messa et divini offitii, non solo ai fanciulli et decrepiti, ma anco a persone di più robusta indole…”. Questa situazione di costante pericolo idrogeologico costituiva, per i mittenti di Ligosullo, la condizione ideale che favoriva “il Comun Inimico di prender possesso di quei corpi” poiché era loro preclusa la possibilità di andare a messa. Poi anche a Ligosullo il Vicario, dopo il sopralluogo, derubricò la faccenda a qualcosa di meno grave e le donne furono così “liberate” dal diavolo (vedi a tal proposito: Paluzza in Carnia, pag 81).

Dopo queste doverose premesse, bisogna dire che, pur se l'argomento non era nuovo, l'autrice ha saputo infondere in queste pagine la sua femminile sensibilità (le protagoniste sono tutte giovani femmine!) e la sua forza evocativa (descrizioni che riportano al vivo le crude immagini del film "L'esorcista" del 1974), la sua delicata vena pittorica (i paesaggi sono sempre quadri raffinati e vividi), la sua indagine psicologica (sia delle protagoniste che dei loro improbabili terapeuti, siano essi preti o medici), la sua ambientazione storica (i primi anni del Regno dei Savoia vissuti nei villaggi isolati tra i monti), la sua insopprimibile propensione a presentare a volte la Carnia sotto una lente negativa (le prefiche-vaiotas che si strappano i capelli e le vesti... le allusioni all'incesto... le miserie dei poveracci), i suoi lampi manzoniani (Agnese, la perpetua, Menica, il curato...).

La trama storica viene arricchita continuamente da invenzioni letterarie non solo con personaggi di fantasia ma anche con situazioni verosimili che imprimono al racconto un alto tasso di veridicità (salvo piccole incongruenze temporali o liturgiche come la immutabile formula latina della consacrazione sostituita sorprendentemente dal "Tantum ergo" o il sacerdote che suona il campanello o che indossa il piviale per celebrare la messa...).

La descrizione allucinante degli ospedali-manicomi ottocenteschi e le singolari ed empiriche terapie di allora; le vivaci diatribe tra il potere civile (anticlericale) e quello religioso (ancorato a visioni vetero-pastorali); le superstizioni e le piccole beghe di paese; le difficoltose o inesistenti vie di comunicazione, i guadi dei torrenti... costituiscono lo sfondo entro cui si muovono i tanti protagonisti di questa complicata e sofferta storia che, nonostante tutti i tentativi posti in essere per venirne a capo, non troverà comunque una convincente soluzione nè una plausibile spiegazione...

La narrazione appare sostenuta e non presenta cadute di tensione ma stimola sempre l'attenzione e l'attesa del lettore. Lo stile è apparentemente semplice e lineare, in realtà è ricercato e cesellato e limato fino a raggiungere un grado di pulitura e trasparenza, riconoscibile e confrontabile, proprio dell'autrice e già ampiamente sperimentato nei precedenti lavori.

Direi dunque che questo ultimo romanzo storico della Cargnelutti si pone strutturalmente nel solco della sua cifra narrativa ed anche la tematica, pur essendo apparentemente diversa, presenta molti punti di contatto con gli altri racconti sia nelle ricorrenti descrizioni ambientali sia nella sagomatura psicologica dei personaggi principali.
Una caratteristica dunque che distingue subito i lavori di quest'autrice carnica che a volte, pur amandola, sembra "malmenare" la Carnia...

 


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