Come ormai ho scritto tante altre volte, resta sempre molto difficile recensire un'opera di Igino Piutti, specie se quest'opera affronta argomenti seri e importanti, sui quali si sono già cimentati moltissimi autori (una legione) ed esiste quindi una immensa bibliografia (un libro intero). In questo "romanzo" dunque confluiscono tutti questi disparati elementi che fanno di quest'opera un articolato mosaico inizialmente affascinante e plausibile, ma, ad una attenta valutazione finale, mi viene da dire grottesco e incongruente per molti motivi che lascio volentieri al lettore di scoprire e individuare, altrimenti toglierei davvero quella sottile suspence che innerva tutto il racconto, il quale a momenti pare davvero tingersi di giallo, in diretta competizione con Dan Brown, tanto è scritto bene ed in maniera precisa e sempre accattivante, con logica apparentemente rigorosa e concatenante. Purtroppo anche in questo lavoro di Piutti, non mancano i soliti antipatici refusi tipografici (che andrebbero eliminati una buona volta) oltre che taluni refusi biblici (Giuseppe di Arimatea, non Giovanni: pag. 5 e 31; ruppero le gambe ai due ladroni non per accertarsi che fossero già morti ma, essendo ancora vivi, per farli morire più in fretta -di edema polmonare acuto, ndr- : pag. 34; Simeone non Simone al tempio: pag. 76; Abramo non Adamo è il padre di Isacco: pag. 86; l'agnello non "toglie" i peccati dal mondo ma li carica su di sè "tollis": pag. 133, come bene ha tradotto pre Toni Beline con "tu cj cjapis su"...). Ottimi gli spunti relativi a: ingresso a Gerusalemme (pag. 45); la ricorrente intuizione di essere Figlio di Dio (pag. 50, 53, 56); la condizione personale di nazireato (pag. 113); gli Esseni (pag. 118); la ipotetica (seppure inventata) diatriba teologica tra l'apostolo Giovanni e Paolo di Tarso circa l'organizzazione della nascente chiesa (pag. 212)... Poco convincenti o addirittura paradossali altri spunti: il binomio Gesù Bar Abba (equivalente al nostro Gesù) e Gesù Nazireno (equivalente al nostro Barabba) con le loro assurde divaricate e infine sovrapposte e confuse storie (pag. 11 e segg.); Nazareth versus Gamala (pag. 109, 168, 173); spettatori/trici del sepolcro vuoto (pag. 165, 168); il ritiro finale a Betlemme (pag. 174); la tardiva partenza dei Magi (pag. 214); la vera preghiera del "Padre nostro" (pag. 180); il brusco passaggio nominale da Gesù a Cristo/Messia (pag. 188); il "marketing" paolino per la nascente chiesa (pag. 201); la capziosa distinzione tra gli aggettivi nazareno e nazaretano, ecc... Da questo continuo e sfavillante passaggio da mirate estrapolazioni evangeliche canoniche a interessate estrapolazioni apocrife a innesti teologico-filosofici personali (taluni peraltro pregevoli e certamente meditati e sentiti), il tessuto del racconto diventa (o pare diventare) credibile e verosimile, con il risultato finale però di un completo stravolgimento del Vangelo conosciuto, che alla fine appare davvero come una totale impostura architettata da Paolo di Tarso per dare organizzazione ad una chiesa faticosamente in fieri, una chiesa non voluta nè da Gesù Cristo nè dai suoi apostoli... Conoscendo la dimostrata storicità dei Vangeli sinottici, non ritengo proprio che la Chiesa Cattolica (contro cui oggi tutti facilmente ed intensamente "sparano" come sulla proverbiale Croce Rossa) possa essere considerata una colossale impostura che dura da oltre 2000 anni, pur riconoscendole tutti i limiti che una umana organizzazione può presentare, non ultimi la sua (spesso odiosa) politicizzazione e la sua inossidabile rigida gerarchia (ancora addobbata con pomposi titoli spagnoleschi) che, se da un lato è indispensabile per conservare un minimo di disciplina morale-liturgico-teologica (oggi peraltro molto evanescente perfino tra gli stessi preti), dall'altro rischia a volte di diventare un serio ostacolo alla sua stessa credibilità e diffusione. Siccome per l'uomo (massimamente quello moderno) la verità è ancora sempre estremamente difficile (o impossibile) da definire (meno che meno da dimostrare), mi sarebbe parso più logico e pertinente quest'altro titolo al libro: Ubi est veritas? (dove sta la verità?). Forse a questo interrogativo Piutti avrebbe potuto (e dovuto) rispondere. Invece, come Pilato, ha solo posto la domanda. Delle due l'una dunque: se questo lavoro di Piutti è un fantasioso romanzo sulla vita e le opere di Gesù (e qui suggerirei di porre in copertina il sottotitolo "romanzo"), esso presenta indubbiamente degli aspetti sorprendenti e per certi versi innovativi, con una trama avvincente e imprevedibile, che tiene il lettore... sulla corda. Vorrei concludere questa impegnativa (estenuante e non conclusiva) recensione con le citazioni di due autori che si situano su posizioni diametralmente opposte: "Per quanto il futuro possa riservarci eventi inattesi, Gesù non sarà mai superato. Il suo culto si ravviverà senza posa; la sua leggenda farà scaturire lacrime senza fine; le sue sofferenze toccheranno i cuori migliori, i secoli proclameranno in eterno che tra i figli d'uomo non c'è nessuno più grande di Gesù" "E' fuor di dubbio che una Vita di Gesù andrebbe scritta in ginocchio, con un tale sentimento d'indegnità da far cadere la penna di mano. Un peccatore dovrebbe arrossire di aver avuto l'ardire di realizzare un'opera del genere"
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