QUID EST VERITAS?

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Come ormai ho scritto tante altre volte, resta sempre molto difficile recensire un'opera di Igino Piutti, specie se quest'opera affronta argomenti seri e importanti, sui quali si sono già cimentati moltissimi autori (una legione) ed esiste quindi una immensa bibliografia (un libro intero).
In quest'opera, il tolmezzino Piutti affronta la non piccola questione della storicità di Gesù Cristo e della veridicità dei Vangeli, argomento certamente affascinante ma molto ostico e sdrucciolevole, che riserva ancora difficoltà e oscurità per coloro che ne hanno fatto oggetto di studio per tutta la vita con adeguata e approfondita preparazione (vedi Joseph Ratzinger ma anche Hans Küng o Carlo Maria Martini). Se è vero ciò (e nessuno ne dubita), si può dedurre che chi, come il "neofita" Piutti, vuole cimentarsi con questa tematica, senza una specifica esperienza biblico-teologica, rischia di cadere in prevedibili errori di interpretazione che talvolta si trasformano in paradossi difficilmente sostenibili o giustificabili da dati oggettivi.
Ritengo che questa premessa sia necessaria, perchè al termine della lettura di questo non facile libro di 224 pagine, sono rimasto perplesso, stordito, frastornato e francamente incredulo, non tanto per le affermazioni o le singolari intuizioni dell'autore (a volte anche condivisibili) ma per l'intero impianto di questo "romanzo" (perchè come tale sembrerebbe opportuno considerare questo libro) che mi è apparso a tratti una provocazione intellettuale, a tratti un esercizio letterario-culturale-teologico-filosofico, a volte discutibile, spesso paradossale, insomma in una parola: inquietante, certamente più inquietante di "Io figlio di Dio".
Ma forse questo è proprio ciò che vuole l'autore: stupire, strabiliare, meravigliare, sbalordire...
Dalla nota trama evangelica, Piutti estrae una serie di dati che intende verificare e vuole assolutamente rileggere nella loro essenzialità.
Questi dati, una volta "revisionati", vengono arricchiti da tutta una serie di elementi provenienti da altre varie fonti, che mi è parso di individuare oggettivamente in questi capisaldi:
- vangeli apocrifi
(cioè non riconosciuti dalla chiesa cattolica, ma liberamente circolanti anche se non di pubblico dominio, come il vangelo copto di san Tommaso in primis, di Nicodemo e di Bartolomeo);
- Dan Brown
("Il Codice da Vinci") massimamente a pag. 67 ma anche passim;
- Ernest Renan (autore di una ritenuta eretica "Vita di Gesù" nel 1863, che fece scandalo enorme in Francia e poi in tutta Europa per le affermazioni ivi contenute, che gli causarono la perdita della cattedra universitaria). E a proposito di quest'ultimo autore, rievoco questo aneddoto: quando Piutti mi presentò a grandi linee il contenuto di questo libro, seduti ad un tavolo esterno del bar Eden, gli chiesi immediatamente: "Ma allora sei come Renan?" "Peggio" fu la sua icastica e sincera risposta.
- altre letture non ancora individuate.

In questo "romanzo" dunque confluiscono tutti questi disparati elementi che fanno di quest'opera un articolato mosaico inizialmente affascinante e plausibile, ma, ad una attenta valutazione finale, mi viene da dire grottesco e incongruente per molti motivi che lascio volentieri al lettore di scoprire e individuare, altrimenti toglierei davvero quella sottile suspence che innerva tutto il racconto, il quale a momenti pare davvero tingersi di giallo, in diretta competizione con Dan Brown, tanto è scritto bene ed in maniera precisa e sempre accattivante, con logica apparentemente rigorosa e concatenante.

Purtroppo anche in questo lavoro di Piutti, non mancano i soliti antipatici refusi tipografici (che andrebbero eliminati una buona volta) oltre che taluni refusi biblici (Giuseppe di Arimatea, non Giovanni: pag. 5 e 31; ruppero le gambe ai due ladroni non per accertarsi che fossero già morti ma, essendo ancora vivi, per farli morire più in fretta -di edema polmonare acuto, ndr- : pag. 34; Simeone non Simone al tempio: pag. 76; Abramo non Adamo è il padre di Isacco: pag. 86; l'agnello non "toglie" i peccati dal mondo ma li carica su di sè "tollis": pag. 133, come bene ha tradotto pre Toni Beline con "tu cj cjapis su"...).

Ottimi gli spunti relativi a: ingresso a Gerusalemme (pag. 45); la ricorrente intuizione di essere Figlio di Dio (pag. 50, 53, 56); la condizione personale di nazireato (pag. 113); gli Esseni (pag. 118); la ipotetica (seppure inventata) diatriba teologica tra l'apostolo Giovanni e Paolo di Tarso circa l'organizzazione della nascente chiesa (pag. 212)...

Poco convincenti o addirittura paradossali altri spunti: il binomio Gesù Bar Abba (equivalente al nostro Gesù) e Gesù Nazireno (equivalente al nostro Barabba) con le loro assurde divaricate e infine sovrapposte e confuse storie (pag. 11 e segg.); Nazareth versus Gamala (pag. 109, 168, 173); spettatori/trici del sepolcro vuoto (pag. 165, 168); il ritiro finale a Betlemme (pag. 174); la tardiva partenza dei Magi (pag. 214); la vera preghiera del "Padre nostro" (pag. 180); il brusco passaggio nominale da Gesù a Cristo/Messia (pag. 188); il "marketing" paolino per la nascente chiesa (pag. 201); la capziosa distinzione tra gli aggettivi nazareno e nazaretano, ecc...

Da questo continuo e sfavillante passaggio da mirate estrapolazioni evangeliche canoniche a interessate estrapolazioni apocrife a innesti teologico-filosofici personali (taluni peraltro pregevoli e certamente meditati e sentiti), il tessuto del racconto diventa (o pare diventare) credibile e verosimile, con il risultato finale però di un completo stravolgimento del Vangelo conosciuto, che alla fine appare davvero come una totale impostura architettata da Paolo di Tarso per dare organizzazione ad una chiesa faticosamente in fieri, una chiesa non voluta nè da Gesù Cristo nè dai suoi apostoli...

Conoscendo la dimostrata storicità dei Vangeli sinottici, non ritengo proprio che la Chiesa Cattolica (contro cui oggi tutti facilmente ed intensamente "sparano" come sulla proverbiale Croce Rossa) possa essere considerata una colossale impostura che dura da oltre 2000 anni, pur riconoscendole tutti i limiti che una umana organizzazione può presentare, non ultimi la sua (spesso odiosa) politicizzazione e la sua inossidabile rigida gerarchia (ancora addobbata con pomposi titoli spagnoleschi) che, se da un lato è indispensabile per conservare un minimo di disciplina morale-liturgico-teologica (oggi peraltro molto evanescente perfino tra gli stessi preti), dall'altro rischia a volte di diventare un serio ostacolo alla sua stessa credibilità e diffusione.

Siccome per l'uomo (massimamente quello moderno) la verità è ancora sempre estremamente difficile (o impossibile) da definire (meno che meno da dimostrare), mi sarebbe parso più logico e pertinente quest'altro titolo al libro: Ubi est veritas? (dove sta la verità?). Forse a questo interrogativo Piutti avrebbe potuto (e dovuto) rispondere. Invece, come Pilato, ha solo posto la domanda.

L'immagine di copertina è del tutto estranea al contenuto del libro.

Delle due l'una dunque: se questo lavoro di Piutti è un fantasioso romanzo sulla vita e le opere di Gesù (e qui suggerirei di porre in copertina il sottotitolo "romanzo"), esso presenta indubbiamente degli aspetti sorprendenti e per certi versi innovativi, con una trama avvincente e imprevedibile, che tiene il lettore... sulla corda.
Se invece quest'opera pretende di essere un esplosivo saggio di esegetica biblica o di revisione del paleo-cristianesimo, allora le riserve prevalgono nettamente perchè Piutti più che ipotesi fa congetture, più che portare dati probanti si affida alla fantasia ed all'immaginazione, senza addurre alcuna specifica pezza d'appoggio a quanto va sostenendo.

Vorrei concludere questa impegnativa (estenuante e non conclusiva) recensione con le citazioni di due autori che si situano su posizioni diametralmente opposte:

"Per quanto il futuro possa riservarci eventi inattesi, Gesù non sarà mai superato. Il suo culto si ravviverà senza posa; la sua leggenda farà scaturire lacrime senza fine; le sue sofferenze toccheranno i cuori migliori, i secoli proclameranno in eterno che tra i figli d'uomo non c'è nessuno più grande di Gesù"
Ernest Renan

"E' fuor di dubbio che una Vita di Gesù andrebbe scritta in ginocchio, con un tale sentimento d'indegnità da far cadere la penna di mano. Un peccatore dovrebbe arrossire di aver avuto l'ardire di realizzare un'opera del genere"
François Mauriac

 

 

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