Una Parola e una Presenza che continua
Ricordo di don Renzo Micelli

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La sera del 14 ottobre 2011, nel V° anniversario della morte, è stata ricordata nella Pieve di S. Martino di Cercivento la figura di don Renzo Micelli, che fu per 31 anni parroco di questo paese e per 5 anni parroco anche di Timau (dal 2001 al 2006), oltre che cappellano presso la Casa di Riposo di Paluzza (dal 1993 alla morte).
La serata è iniziata con la recita del Rosario, seguita dalla azione liturgica della Messa, concelebrata da tutti i suoi confratelli sacerdoti (compagni di seminario ed altri) e sostenuta nei canti liturgici dalla Onoranda Compagnia dei Cantori di Cercivento, che hanno riproposto anche mottetti in latino su antiche melodie "a la vecje o patriarchine".
Al termine della Messa, hanno brevemente tratteggiato la figura di questo prete, due suoi compagni di classe: don Giampietro Bellini e mons. Luciano Nobile, che hanno saputo enucleare, con poche e significative espressioni e precisi ricordi personali, le caratteristiche umane e pastorali di don Renzo.
Successivamente, sempre all'interno della Pieve, gremita di fedeli, è stato presentato questo singolare libro che raccoglie e accomuna un'ampia e rappresentativa antologia delle (oltre 400) prediche domenicali di don Renzo, scelta curata e redatta, secondo il calendario liturgico (Avvento-Natale-Quaresima-Pasqua-Ordinario-Santi), dal suo amico e compagno di seminario, don Claudio Como.
L'assessore comunale Gabriella Zanier, dopo aver ringraziato i tanti collaboratori occupati alla stesura del libro, ha raccontato il lungo percorso che ha infine portato alla conclusione dell'opera.
Celestino Vezzi ha infine introdotto il curatore, don Como, che ha svolto la sua prolusione indirizzandola su quattro temi, che bene individuano l'impegno omiletico-teologico di don Renzo: il silenzio, il tempo, la parola, Gesù Cristo. Per ognuno di questi argomenti vi è stata la lettura di una "predica" di don Renzo contenuta nel libro (proposta dalla voce di Renato Della Pietra), preceduta dalle puntuali e personali considerazioni di don Claudio che ne introduceva l'argomento.
Alla fine, in un'atmosfera di assoluto silenzio ed intensa commozione, ha preso faticosamente la parola anche il cognato di don Renzo, che, a nome della famiglia, ha voluto ringraziare tutti.

 

 

Il libro (offerto gratuitamente a tutte le famiglie di Cercivento) si presenta con una veste tipografica davvero splendida (merito dell'accurato e capace lavoro di Luciano Plazzotta della Tipografia Cortolezzis di Paluzza) che ha saputo imprimere al libro, fin dalla immagine di copertina, un'aura rievocativa e di soffuso mistero che si respira poi nelle pagine interne, ricchissime di documentazione fotografica non solo relativa alla vita di don Renzo (bellissime a questo proposito le immagini in b/n, ormai seppiate, della consacrazione sacerdotale e della prima Messa avvenute nel duomo di Tolmezzo nel 1966) ma anche alla Pieve di Cercivento (i momenti più salienti della sua recente esistenza) ed alle più significative opere d'arte in essa custodite.
Il contenuto del libro merita un commento perchè non si tratta solo di "prediche" come è fin troppo facile intuire ma anche di altro:
- Mi ha colpito subito la prima frase della presentazione di don Claudio Como a pag. 5: "Penso che l'annuncio della Parola di Dio sia uno dei compiti più difficili di un sacerdote. Egli non può dire le sue idee, ma quelle del Signore..." In questa piccola icastica frase è contenuto, secondo me, tutto il grave problema dei preti moderni che si ostinano a predicare le proprie idee senza alcun rispetto e venerazione per quelle del Signore. Il progressivo svuotamento delle chiese nasce proprio da questo nodo irrisolto (e forse irrisolvibile: meditate preti, meditate!)...
- L'attuale pievano di Cercivento, don Harry (che è di Zovello, nonostante il nome), sottolinea poi alcuni passaggi di talune omelie di don Renzo, dai quali trae spunto per ulteriori analisi del tempo presente...
- Il sindaco De Alti tratteggia la complessa figura di don Renzo paragonandolo, per la sua intransigenza, ad un rigoroso "Savonarola contro i mercanti del tempio"...
- Le omelie di don Renzo qui trascritte, sono precedute da un breve riferimento biblico consigliato e sono seguite da una Preghiera. Non è utile nè opportuno leggerle una di seguito all'altra, ma risulta giovevole leggerne una alla settimana, proprio secondo la scadenza liturgica, per poter assaporare pienamente il significato della parola e dei temi, che altrimenti risulterebbero avulsi dalla realtà e isolati tra loro. Solo in questo modo si potranno "intuire" la grande capacità comunicativa e la profonda preparazione teologica insite nelle riflessioni domenicali di don Renzo.
- Le Testimonianze finali rappresentano un commovente tributo di affetto e di stima nei confronti di don Renzo da parte di amici o di istituzioni: la prima è quella di don Como che ha riproposto un suo scritto, vergato ad un mese dalla morte dell'amico, in cui ripercorre la lunga sofferenza psicologica e fisica dell'amico scomparso; segue il ricordo che pre Toni Beline, con la solita verve ironico-polemica, pubblicò su "La Vita Cattolica" del 21 ottobre 2006; vi è poi il discorso che il Sindaco tenne pubblicamente nella ricorrenza dei 25 anni di permanenza di don Renzo a Cercivento; seguono due lunghi articoli pubblicati sulla "Dalbide" ed infine vi sono le testimonianze di due timavesi che ricordano la multiforme attività di don Renzo "sot la Crete" quando in pochi anni insegnò a quella comunità a camminare sulle proprie gambe..
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Debbo dire davvero che si tratta di un bel libro, gradevole e ordinato sotto tutti i punti di vista, che aiuta e stimola a riflettere senza mai stordire o fare assopire.

 

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Nota personale

- Conoscevo da decenni don Renzo Micelli, ma l'ho avvicinato di più e meglio durante i lunghi anni della sua malattia. Lo vedevo periodicamente, lo incoraggiavo anche con qualche veniale reticenza o parziale verità; gli davo sempre del tu per favorire un rapporto più diretto e umano ma egli mi si rivolgeva sempre con il "lei" ed il massimo rispetto come se io fossi stato più vecchio di lui ed egli fosse un paziente qualsiasi e non invece la mite persona nota e conosciuta da anni. Niente da fare insomma, non sono mai riuscito a farmi dare del tu...
- Con me non si lamentò mai di nulla quando, tappa dopo tappa, saliva lentamente e inesorabilmente il suo lungo calvario, aiutato in questo anche da altri specialisti-cirenei che di volta in volta ne attestavano il peggioramento delle condizioni fisiche, sotto il peso di una croce sempre più pesante e insopportabile...
- Ho pochissime ma pregnanti confidenze e molti ricordi di questo prete, taciturno, (auto)isolato, poco incline al sorriso, sempre pallido. Ricordo i suoi brevi soggiorni nel Ricovero di Paluzza nei momenti più tormentati della malattia, amorevolmente assistito da una insostituibile suor Laura; ricordo il suo amico di sempre, Mario, costantemente presente specie nei momenti più critici, che mi rimproverò aspramente il giorno del decesso dell'amico perchè la sera prima non lo avevo avvertito della sua imminente morte, quasi che io fossi un preveggente...
- Ad ogni incontro, mi chiedevo perchè don Renzo avesse un carattere così riservato e quasi diffidente, ostile.
Credo di averlo compreso del tutto solo oggi, rileggendo attentamente in questo bel libro il ricordo di don Como (pag. 215, riga 15) e di pre Toni Beline (pag. 217, riga 17) i quali, nel rispettivo scritto, sottolineano con forza un momento cruciale della vita di don Renzo. Da sempre avevo saputo che don Renzo (prima di diventare suddiacono) era stato mandato a fare il militare di leva a Trapani (18 mesi!), cosa assolutamente eccezionale a quei tempi, per "prova" (o punizione? e di che poi?) da parte di una "superiorità" sclerotica (nel senso greco del termine) e umanamente (e forse anche oculisticamente) assai miope. Sapevo che quest' esperienza lo aveva indelebilmente e negativamente segnato per tutta la vita (voglio qui ricordare che allora nelle caserme il nonnismo era crudele e spietato tanto più sopra le reclute più miti e fragili; se poi una di queste avesse palesato anche lontanamente la volontà di farsi prete o frate, allora diventava la vittima sacrificale del capobranco). Questo prolungato trauma psicologico (accenno di volata ai tanti suicidi di giovani reclute che in quegli anni avvenivano in diverse caserme italiane) pesò poi per tutta la sua esistenza e ritengo che troppe persone, anche a lui vicine, non abbiano mai tenuto nella giusta considerazione questo particolare aspetto nel successivo determinismo della sua psicologia e del suo carattere. Mi piace qui ricordare anche un altro prete (milanese) dell'epoca, che i "superiori", non anticipandone il suddiaconato, volevano costringere a fare la naja (18 mesi), facendogli così perdere quasi tre anni di studi e magari anche la serenità d'animo; questo giovane (allora) teologo non si perse d'animo, si consigliò con alcuni sacerdoti, lasciò il seminario milanese (e i suoi superiori), si rivolse al vescovo di Teramo il quale, comprendendone la situazione, lo accolse nel suo seminario, non lo costrinse alla naja e lo ordinò poi prete nel 1970: questo "pretino" si chiama(va) Angelo Scola ed oggi (2011) è il neo-cardinale di Milano dopo essere stato a lungo Patriarca di Venezia...
- Sappiamo bene che tra i preti (inutile negarlo) non corrono generalmente ottimi rapporti (nonostante gli ostenati abbracci di pace sull'altare delle concelebrazioni), ma certamente il rapporto di don Renzo con alcuni suoi confratelli non fu idilliaco o improntato a sensi di profonda amicizia (come dovrebbe poi essere), ma subì nel tempo alterne fortune; una conflittualità che spesso comprometteva anche il normale svolgimento delle relazioni umane. Perfino il biât don Mario Del Negro (ormai ospite stabile della Casa di Riposo di Tolmezzo per le sue compromesse condizioni psico-fisiche) mi riferiva che spesso, recatosi appositamente a Cercivento, non riusciva quasi mai a portare un saluto fraterno all'amico don Renzo, perchè quest'ultimo non gli apriva a volte neppure la porta della canonica... Se però osserviamo questo singolare aspetto alla luce della traumatica esperienza giovanile di don Renzo, tutto diventa più chiaro e più comprensibile.
- Credo che lui ed io andassimo d'accordo su tutto, tranne su un punto cruciale: la Diocesi di Zuglio, per la quale (purtroppo) don Renzo (come capita solitamente ai preti tolmezzini) non manifestava alcun trasporto o nostalgia, essendo rimasto prigioniero di una particolare e anomala situazione ecclesiastica del passato (la antica appartenenza della Pieve di Cercivento all'Arcidiaconato di Gorto, situato in un'altra valle) che non si curava minimamente di capire e di aggiornare. Non volle mai riconoscere l'esistenza storica della paleocristiana diocesi di Julium Carnicum; non volle mai mandare (nonostante le mie annuali insistenze) la croce astile di S. Martino di Cercivento alla Scense sul colle di S. Pietro (insieme a quelle di tutta la restante Carnia, ivi compresa quella di S. Maria di Gorto che è sempre stata presente); sosteneva (anche con me) che Cercivento era "una isola nell'Alto But" che non aveva nulla a che fare con gli altri paesi contermini e che (addirittura) anche gli antichi confini ed i corsi d'acqua avevano sempre legato Cercivento alla val Degano. Davvero un pò troppo, anche dal punto di vista idro-orografico!
Quando pubblicai (anche su questo sito) un articolo sull' auspicabile ripristino della diocesi di Zuglio (paragonandola ad una ciotola di riso...), mi spedì una cartolina ironica sul tema, augurandomi una "ciotola ricolma e abbondante di riso" (nel doppio senso!); comunque, ogni volta che andava in pellegrinaggio da qualche parte, si ricordava sempre di me e delle mie mai morte utopie, inviandomi "messaggi" biblici anche in greco antico.

 

 

Insomma, pur tolmezzino di nascita e pievano in Carnia, non accettò mai il ruolo di Zuglio come sede episcopale antica nè tantomeno moderna. Voleva prove archeologiche ("Come quelle riscontrate con il battistero paleocristiano di S. Martino di Ovaro" diceva), nonostante io gli ribattessi sempre che non si sarebbe potuto demolire tutto il paese di Zuglio per trovare queste prove, certamente esistentissime sotto le case degli attuali abitanti del paese. Credo che anche quest' atteggiamento rigido di netta chiusura su questa problematica, facesse parte del suo carattere che mal si conciliava con una discussione pacata ed aperta.
- Tuttavia riconobbi sempre in lui un grande amore per la sacra scrittura e la teologia in generale, per la liturgia e le celebrazioni, una grande attenzione al luogo sacro (fosse la sua pieve, una chiesa o una cappelletta tra i boschi). A questo proposito, quando vi fu il primo incontro di preghiera a Ramaçâs dopo la ristrutturazione del sito, don Renzo guidò la processione che da Enfretors saliva verso Coico (don Tarcisio guidò quella che invece scendeva da Cleulis); durante tutta la salita don Renzo pregò e cantò sempre con estrema serietà e compostezza, senza mai uscire (neppure per un commento banale alla fatica) dal suo ruolo di "celebrante"; e durante la messa a Ramaçâs pareva fosse nel duomo di Udine, tanto erano precise la sua gestualità e la sua collocazione; ogni volta che ricordo quella giornata, penso alla sciatteria ed alla inutile e banale "creatività" liturgico-sociologica di taluni celebranti odierni, capaci eventualmente di far spallucce anche davanti al grande papa Ratzinger...
Quando andai al funerale del padre di un mio amico a Timau, non essendoci chierichetti disponibili, mi affiancai a don Renzo e lo sostenni nella recita dei salmi e delle preghiere, lungo tutto il percorso dalla zona Tempio Ossario fino a S. Geltrude: nell'accomiatarmi, mi ringraziò caldamente e notai sul suo volto un raggio di commosso sorriso compiaciuto...

- Volendo abbozzare un profilo di questo prete di Carnia, giunto al suo ministero sacerdotale negli anni ruggenti del dopo Concilio e in pieno '68, mi sentirei di affermare che si è trattato di una personalità complessa, volitiva, solo apparentemente contradditoria, ricca di spunti intellettuali e di vivacità critica, capace e scrupolosamente preparata per un ruolo non facile e (in epoca attuale) indubbiamente arduo, con una gradissima potenzialità rimasta però subito imbrigliata e soffocata soprattutto da fattori esterni e imprevisti, subìti o comunque non da lui voluti. Una personalità irrimediabilmente danneggiata nell'animo (e nel corpo) da una esperienza giovanile grottesca inutile e gratuita, che avrebbe pesantemente condizionato chiunque ed i cui responsabili non hanno nemmeno avuto la carità (o il coraggio) di chiedere poi perdono...
Ritengo tuttavia che a questo punto della storia, tutto si sia già chiarito tra i protagonisti della vicenda, sotto il vigile e benevolo occhio di S. Pietro (non di Carnia, però)...

 

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