MATRICOLA 34751

 

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Ho letto con attenzione questo lavoro memorialistico di Olivo Soravito di Liariis di Ovaro (nato nel 1923 e ad oggi, 2013, vivente), nel quale l'autore racconta per sommi capi la sua intera vita.
Si tratta di un breve racconto sponsorizzato da un quotidiano locale e realizzato con il sostegno del Comune di Ovaro e di una banca regionale.
Prima del "diario" vero e proprio (curato e trascritto da Paolo De Caneva) si leggono (nell'ordine):

un breve incipit del Sindaco
una succinta presentazione di Antonio Simeoli
una lunga introduzione (da pag. 11 a pag. 23) di Alberto Soravito di Meu

Una breve considerazione su quest'ultima, che mi è parsa un po' "ecumenica" nel senso che in essa l'autore spazia dalla Resistenza alle tradizioni locali, dai Celti alle leggende carniche, dalle note biografiche ai "çatârs" alle considerazioni strettamente personali.
In tutto questo multiforme materiale menzionato, incorre in taluni refusi: "... tutta la classe del 1925 viene chiamata alle armi dal Governo repubblicano di Salò, allo scopo di incrementare le file della Resistenza" pag 12, proprio così; "...ragazzo ventitreenne" pag 16, quando era invece ancora ventunenne; "... uscite dall'inferno del municipio di Ovaro in fiamme, le forze cosacche ..." pag. 17, senza accennare minimamente a chi avesse appiccato il fuoco al municipio nè quali trattative erano state nel frattempo avviate. Rivela poi che nelle file dei partigiani "... si erano introdotti elementi della peggior specie... che si appropriavano per loro conto di oggetti preziosi, orologi, sapone, generi alimentari... i partigiani ne avevano in grande quantità e spesso ne facevano un vero sperpero... commettevano atti indegni di un popolo civile, atti che avrebbero fatto arrossire i vandali stessi." pag 13-14.

 

Dopo aver letto interamente il vero "diario" che va da pag. 27 a pag. 55, desidero puntualizzare alcuni aspetti:

- debbo dire che il titolo mi pare assai specioso e fuorviante in quanto le vicende cui si riferiscono il titolo e la copertina, occupano pochissime pagine (da pag 36 a pag. 44: solo 9 pagine sulle 63 dell'intero libro) che sono decisamente poco rispetto all'economia dell'intero diario che narra invece tutta la vita dell'autore, dall'adolescenza alla vecchiaia. Certamente quelle 9 pagine sono pregnanti e assai coinvolgenti, ma se si voleva mantenere quel titolo e quella copertina, occorreva ampliare e arricchire quello specifico racconto del campo di concentramento a Buchenwald, integrandolo con successive considerazioni o ricordi dell'autore, fino a farlo diventare preminente. Così non è stato e a mio modesto avviso il lettore potrebbe sentirsi alla fine deluso, anche per taluni refusi, imputabili alla memoria o alla tipografia ("13 aprile 1943" anzichè 1945 di pagina 44; "... sopra di noi volavano diversi elicotteri " sempre a pag. 44, mentre si sa bene che allora non esistevano ancora gli elicotteri)...

- il racconto però si svolge tranquillo, le varie tappe della vita di Olivo Soravito si susseguono ininterrottamente, le alterne vicende danno sapore e interesse alle pagine che si leggono molto volentieri perchè sono limpide e prive di retorica, hanno il gusto della sincerità e del disincanto potendo esse appartenere ad uno delle centinaia di carnici che hanno vissuto quell'epoca. Così la scuola, la naja, l'emigrazione, il duro lavoro, il matrimonio, i figli, i lutti...

- l'iconografia in b/n risulta assai stimolante per la varietà dei soggetti e la pur scarna ma essenziale documentazione.

Sarebbe stato quanto mai opportuno conoscere l'epoca precisa in cui Olivo Soravito ha scritto materialmente questo diario, perchè anche il tempo intercorso dai fatti narrati diventa in questo caso molto importante, in quanto la narrazione odierna potrebbe a volte supplire il naturale deficit della memoria ed allora le vicende avrebbero altra colorazione.
Sicuramente questo "diario" si discosta sensibilmente da quello di Pino Maieron, gli Untermenschen, dove l'autore narra esclusivamente e con toni crudamente realistici, la sua personale tragedia e quella del padre vissuta in un campo di sterminio nazista.
Questo libro di Soravito conserva tuttavia il pregio di una testimonianza diretta e semplice di un uomo ormai novantenne che ha raccontato sinteticamente la propria lunga e complessa vita senza esaltazione e senza protagonismo, ma con un approccio quasi disilluso.

 

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