Si tratta di una opera particolare realizzata da Flavia Segnan, già a noi nota per un precedente splendido libro sulla Carnia. Prima però di affrontare la tematica ed i contenuti di questo suo nuovo lavoro, debbo accennare ai motivi per i quali ho ritenuto doveroso iscrivere quest'opera "foresta" nella nostra biblioteca di Carnia. Eccoli succintamente: 1. Lo storico Strabone (63 a.C. - 20 d.C.) nel VII libro (cap 5,2) della sua opera "Geografia" scritta in greco, cita tra l'altro "...Trieste, villaggio carnico... Tergheste, komes karnikès...". Pertanto è storicamente corretto ritenere Trieste come una città vetero-carnica, anche se alcuni intendono il karnikes come aggettivo riferito maggiormente alla Carniola (comunque sempre abitata/colonizzata dai Carno-Celti, così come la Carnia, la Carinzia...). Senza dire che a Muggia (fino a metà '800) si parlava una koinè friulanofona (un friulano di tipo occidentale) successivamente e definitivamente sostituita dal dialetto venetizzante attuale. 3. L'estensore di queste note, pur avendo vissuto sei anni a Trieste (1970-76), non riusci mai a conoscere ed amare questa splendida città, a motivo soprattutto di uno studio se non proprio "matto e disperatissimo" certamente totalmente assorbente e che non concedeva troppe pause di libertà peripatetica... Leggendo però questo libro, egli ha nostalgicamente scoperto di essere un post-innamorato di Trieste, parendogli quasi ora (dopo la lettura di questo libro) di averla conosciuta e amata da sempre (così come a volte si rinnovella il primo amore, circonfuso da un'aura di ricordi magari ritoccati e magnificati), anche se la sua conoscenza di allora si limitava precipuamente alla ristrette adiacenze universitarie e ospedaliere (con rarissime estemporanee puntate su Barcola o sulle rive...). Avendo doverosamente premesso tutto ciò, intendo subito affermare che questa opera (che magari si presenta fisicamente dimessa e senza pretese) può essere davvero considerata un grande arazzo multicolore il cui ordito è costituito principalmente da due grossi fili che si intersecano e si intrecciano a realizzare una trama avvincente e a tratti sorprendente (nel senso proprio di sorprese): Il libro si compone di numerosi quadri, che spesso hanno una propria autonomia narrativa (si ripete quasi la intelaiatura di "Sette anni in Carnia"), i quali si alternano sapientemente e si rimandano personaggi, ambienti, situazioni, considerazioni... E la piccola storia degli Obersnù di palazzo Carciotti si inserisce e si adagia con naturalezza nella grande storia di Trieste che scorre a tratti lenta, a tratti impetuosa, a volte prevedibile, il più delle volte inattesa, riservando al lettore momenti di vero godimento intellettuale e di arricchimento culturale. L'apparato iconografico (rigorosamente in B/N), seppure non esteso, appare tuttavia esaustivo per spiegare le suggestioni di quegli ambienti e di quelle temperie evocate in pagina ed è in grado di pilotare la fantasia del lettore in periodi lontani liberando un apparente onirico vissuto, che a tratti può (illusoriamente) essere percepito come memoria e ricordo. Il dialetto triestin, di netta derivazione veneziana (con chiari apporti cosmopoliti), assai utilizzato dall'autrice, ravviva brillantemente nei dialoghi quella immediatezza e veridicità che altrimenti non si coglierebbero e porta in narrazione una simpatica vena di triestinità che lungi dal corrompere un testo già ottimo, lo valorizza e lo rende molto più scoppiettante e godibile la dove è richiesto. Ottimo il piccolo glossario iniziale che presenta alcuni tra i più singolari lemmi triestini per la gioia e la curiosità di chi triestino non è. E diverse parole del dialetto triestino (mi si conceda) hanno, a mio modesto avviso, probabilmente avuto una chiara derivazione friulana (mularie, strafanizz, sbrissâ...). Le note a piè pagina: sono tantissime (ben 156) e taluni critici le odiano sommessamente perchè interrompono il filo della lettura e a volte irritano. Qui non è così. Ogni nota ha una sua forza interna, una sua ineludibile logica, un suo insostituibile apporto che va a integrare un racconto che viene ulteriormente rafforzato e vidimato (se ce ne fosse bisogno) con autorevolezza e precisione chirurgica. Credo che queste numerosissime note abbiano richiesto all'autrice un dispendio di tempo e di energie pari (se non superiori) alla trama del racconto in sè. Ma ne è valsa la pena: per me ogni nota (le ho lette tutte) è stata una incredibile scoperta di tantissima (troppa) Trieste che non immaginavo neppure... E credo lo saranno anche per la stragrande maggioranza dei triestini che avranno la ventura di avere tra le mani questo piccolo gioiellino e di leggerlo, con passo lento e regolare, con mente e cuore sinceri. Trieste, primo porto e quarta città dell'impero Austro-Ungarico! Dai Carno-celti ai Romani, dagli ebrei ai greci, dagli austriaci ai croati agli sloveni agli italiani... davvero un crogiulo di razze, di religioni, di attività, di varia umanità... Una grande città cosmopolita che solo l'Italia (dopo il 1918 e maggiormente dopo il 1954) non ha più saputo valorizzare e rilanciare, preferendo uno statu quo privo di prospettive e di sviluppo, che neppure in questi tempi di Unione Europea si è significativamente modificato, relegando ancora Trieste in una posizione di seconda fila rispetto ad altre città con analoga vocazione marittimo/commerciale. E la funzione amministrativa di capoluogo regionale non ha certamente sopperito a tale assenza di coordinata azione propulsiva. Ma che dire di questo lavoro storico-biografico della Segnan? Insomma un ottimo concentrato di storia europea e locale (quasi un vero Bignami che qui si ha la ventura di ripassare e soprattutto di rivivere attraverso le vicende di Trieste) e di una singolare narrazione familiare (che, come in un romanzo, rivela situazioni e atmosfere che paiono solo da poco trascorse).
Mi permetto, in questa occasione, di segnalare un secondo libro, che è quasi un "Atlante storico-geografico" di Trieste (offertomi caramente dagli amici Giulio e Paola) e che, a ragione, verrebbe autorevolmente a complementare l'opera della Segnan con le sue pagine splendidamente illustrate dei luoghi più antichi, più nascosti e riservati di questa città "carnica":
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