|
GIOVENTU' SPEZZATA
|
|
Dopo l’uscita del suo primo romanzo storico “Fratelli senza confini” Fabrizio Blaseotto a breve distanza propone “Gioventù spezzata”, un altro nuovo racconto basato su un episodio realmente avvenuto, poco conosciuto e velato, accaduto sui monti della Carnia durante la Grande Guerra (vedi anche la storia dell'alpino Ortis).
L’ambiente dell’alta Valle del But è a lui familiare per trascorsi giovanili tra gli Alpini e per la pratica del trekking d’alta quota, buoni motivi per ambientare le scene principali del romanzo tra Timau, la Carinzia, Tolmezzo, Paluzza ed il monte Freikofel, e desiderando, forse inconsciamente, ricordare le proprie radici, discendendo da una famiglia originaria della vallata del Gail, un tempo etnicamente collegata a Timau per comunità di lingua, costumi e stili di vita.
Il fatto che muove il romanzo è un grave e deplorevole caso di diserzione collettiva, avvenuto tra la sera dell’11 giugno 1916 ed il mattino seguente, di un sergente con un caporale ed undici Alpini della 72ª Compagnia del Battaglione Tolmezzo sul fronte del Freikofel. Le indagini avviate sulla loro assenza portarono al processo del 30 giugno celebrato dinanzi al Tribunale Militare che, appurato il gravissimo reato di diserzione verso il nemico, condannò in contumacia i tredici militari alla fucilazione alla schiena, previa degradazione. La testimonianza di un caporale austriaco catturato sul Freikofel confermò la presenza nelle retrovie austroungariche di soli undici disertori italiani; il Tribunale comunque ribadì il passaggio al nemico di tutto il gruppo, ritenendo non verosimile la fuga di due di essi verso le retrovie italiane, sempre molto sorvegliate. Dal lavoro di E. Forcella e A. Monticone “Plotone di esecuzione” si conoscono le provenienze geografiche dei disertori (dodici friulani ed uno veneto), le iniziali dei nomi e cognomi, le età e la motivazione di condanna del Tribunale, mentre nulla è dato sapere sulla loro sorte finale. Alcune statistiche, desunte dalle ricerche del Ten. Col. Prof. Giorgio Mortara “Dati sulla giustizia e disciplina militare”, Roma 1921, rilevano che, fra i 101.665 militari condannati per diserzione, 2.022 risultarono passati al nemico; i condannati a morte per diserzione assommarono a 3.495, di cui 1.813 passati al nemico; il totale delle sentenze eseguite per lo stesso reato fu di 391 disertori fucilati, di cui 14 per diserzione verso il nemico. Questi 391 disertori fucilati rappresentano ben il 52% dei 750 fucilati per tutti i tipi di reato! Si può fondatamente ritenere che i 2.022 disertori condannati siano stati indotti a questa ignobile e pericolosa scelta in maggioranza per evitare i rischi mortali del fronte, ma anche per viltà, ignoranza sulle sanzioni penali e civili conseguenti per sé e la propria famiglia e, in caso di correità con altri commilitoni, per l’ascendenza negativa esercitata dal capo del gruppo disertore. Questa diserzione collettiva fa da sfondo storico al romanzo, mentre il mezzo romanzesco utilizzato dall’autore è un vecchio diario autobiografico manoscritto, ritrovato assieme ad una sgangherata bicicletta in un casolare in demolizione di proprietà della famiglia dell’autore, nei pressi di San Michele al Tagliamento. Il diario apparteneva a tale Giacomo, un anziano di Timau che stagionalmente arrivava in bicicletta nella Bassa friulana per offrire servizi manuali e qualche mercanzia alle famiglie del contado, che in cambio gli offrivano ospitalità.
Dalla lettura del diario l’autore conobbe la vita di Giacomo, decidendo poi di raccontarla in questo libro.
Giacomo, il personaggio principale, giunge a Timau in fasce, si diploma al liceo classico “Stellini” di Udine, dove incontra Elena, ragazza di San Michele al Tagliamento che poi sposerà. Inizia a lavorare con il padre come cramâr, mercante ambulante di merci portate a spalla nella caratteristica crassigne recandosi stagionalmente a piedi in Austria, principale mercato di riferimento. Nel 1915 viene arruolato nella 72ª Compagnia del Battaglione Tolmezzo e, essendo diplomato multilingue, viene destinato dal generale Lequio (comandante del XII Corpo d’Armata operante in Carnia) a coordinare un ufficio di segretariato militare. Promosso poi al grado di sergente, con la squadra assegnatagli (un caporale e undici alpini quasi tutti friulani) viene incaricato di allestire a Paluzza un bordello militare per le truppe della zona e successivamente segue il proprio reparto sul fronte del Freikofel...
Qui mi fermo per non scoprire l’emozionante continuazione e finale del thriller, elaborato con fantasiosa abilità e romanzesca inventiva. Blaseotto è riuscito a costruire e a modellare sapientemente il personaggio Giacomo nelle sue multiformi personalità di giovane volonteroso, di subdolo disertore ribelle, di vecchio solitario e misterioso, in grado di stimolare sensazioni diverse e contradditorie nell’immaginario dei lettori. Molto reali risultano le descrizioni del contesto, come l’incontro con le infaticabili portatrici carniche, l’osteria affollata di soldati, lo squallido ambiente dei bordelli militari, gli sconvolgenti trattamenti nei confronti dei cosiddetti “scemi di guerra”, cioè i soldati colpiti da sindromi psichiatriche causate dall’esperienza del combattimento. Particolarmente forti appaiono gli episodi ambientati nel bordello militare di Paluzza, realmente esistito. A tale proposito la scarsa letteratura esistente su questo scabroso argomento rileva come un controllo sul meretricio effettuato in alcuni postriboli militari durante la Grande Guerra appurasse come 85 prostitute su 166 tra quelle visitate risultassero malate, effetto evidente delle conseguenze della guerra per queste donne e per molti dei soldati che con esse si intrattenevano.
Interessante e molto originale è poi la descrizione che l’autore dedica all’attività tipica e stagionale del cramâr carnico, figura oramai avvolta dalle nebbie del passato e travolta dai mutamenti sociali, economici e tecnologici, ma che da secoli contribuiva ad integrare lo scarso reddito delle famiglie carniche. Il cramâr raggiungeva con marce lunghe, faticose e sovente pericolose, villaggi, mercati e fiere nei territori dell’allora Impero austroungarico per offrire i propri prodotti e, esaurite le merci, rientrava a casa per rifornirsi per poi ripartire nuovamente. Naturalmente questo comportava che dovesse necessariamente saper leggere, scrivere e far di conto, motivo per cui dal ‘500 al ‘700 – sembrerà strano – il tasso di alfabetizzazione dei montanari carnici era mediamente superiore a quello degli abitanti della pianura friulana.
Quanto alla forma espressiva del testo, essa risulta corretta e piacevolmente scorrevole, corredata da dodici disegni a matita e da numerose note che, come il lettore potrà osservare, denotano diligenza e serietà di ricerca, rendendo l’opera facilmente accessibile anche ai non esperti dei luoghi, delle loro tradizioni e dei fatti bellici ivi avvenuti durante la Grande Guerra. Fingere di ignorare, o semplicemente trascurare alcuni episodi accaduti, ostacola la conoscenza della verità e, per farla emergere interamente, anche le microstorie possono fornire un contributo concreto per una sua maggiore comprensione.
L’episodio della diserzione collettiva con passaggio al nemico accaduto sul Freikofel nel 1916 rappresenta un tassello, seppur minimo, del grande e tragico mosaico che fu la Grande Guerra.
Un plauso quindi all’autore e all’editore per averlo coraggiosamente sottratto dall’oblio centenario nel quale era relegato, presentandolo al pubblico, sia pure in forma romanzata, con la certezza che stuzzicherà l’interesse del lettore più attento e storicamente curioso.
Dott. Luigi Tomat
Studioso di Storia del Friuli
e 1° Capitano Alpino