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DI TERRE LONTANE |
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Dopo aver letto l'ultimo romanzo di Giovanna Nieddu (Sinsilimins, 2012), ero rimasto profondamente impressionato dalla levità e dalla grazia del suo scrivere, dai suoi toni soffusi e quasi evanescenti, dalla sua tavolozza calda, quasi acquerellata. E nonostante questo particolare hardware letterario, il software mi era apparso subito fortemente realistico, a tratti duro, quasi di stampo verista. Di tutto quel primo romanzo (che io chiamerei piuttosto "cronaca vera" scritta in punta di cuore), di tutto quello stupendo affresco di Carnia moderna (peraltro mai direttamente nominata), l'immagine che mi si è stampata indelebile nella memoria è forse quella più triste e inquieta, quella che contempla "...una donna con un figlio accanto, un figlio nel grembo, un figlio nella bara" (pag.105): un quadro da tragedia greca, altamente drammatico, che si sviluppa però e compare in un nostro borgo alpestre, evocato con grande e struggente suggestione...
Credo davvero perciò che la cifra specifica e caratterizzante di questa (finora per me sconosciuta) autrice sia proprio il netto contrasto tra il suo modo di scrivere "soave" e la rappresentazione "verista" dei drammi della vita. E da questa collisione nasce la poetica della Nieddu, una poetica che avvolge e coinvolge il lettore, che lo trasporta delicatamente, quasi per mano, a conoscere situazioni e personaggi, ambienti e paesaggi, "pensieri e parole", sentimenti e sonorità...
Anche questo romanzo (2005, euro 10,50) non si discosta dai canoni letterari di questa autrice sarda trapiantata in Carnia, che l'ha accolta con sincera affabilità e solo minimissimo iniziale pregiudizio... Qui ora vive e lavora; qui ha trovato marito, cui ha donato una figlia. Una sarda che non solo capisce ma anche parla ormai la nostra lingua, che resta affascinata (a volte impaurita) dalle nostre montagne, dai nostri rius, dai nostri prati, dal nostro cielo, soprattutto dalla nostra neve... Tutto ella sa mirabilmente trasferire quasi visivamente in queste pagine leggere, rilassanti... Capitoletti brevi, brevissimi la cui brevità è inversamente proporzionale alla loro intensità.
Neppure questo però è un romanzo (come non lo è il suo ultimo) ma direi che è piuttosto un'autobiografia poetica che "accarezza i ricordi", li fa rivivere, li fa riemergere con il loro alone non sempre nostalgico ma sempre con il preciso contorno di una memoria che non vuole perdere nulla, neppure il meno bello, neppure il brutto...
Da Olbia/Nuoro la storia, attraverso tappe sempre faticose e spesso impervie, si dipana verso il "Continente" (Roma, Firenze, Udine...) fino a raggiungere definitivamente il "Continente Carnia" dove Giovanna trova finalmente e definitivamente il suo "ubi consistam"....
Non è una storia usuale, non è una storia banale; non è la solita storia di emigrazione, comune a sardi e carnici. Il più delle volte è una storia triste, a tratti tristissima che non dà respiro, non dà tregua perchè le vicende si accavallano, si rincorrono, spesso impreviste (la improvvisa morte del padre) o imprevedibili, che non consentono quasi mai una messa a fuoco della situazione per una ripartenza diversa e più orientata, quasi che il Fato avesse chiaramente già tutto deciso e predisposto...
Le varie scene si susseguono rapide, mutevoli; cambiano gli scenari e le ambientazioni ma ciò che sembra dare uniformità e colore a tutto è (mi pare) un impalpabile senso di mestizia, che informa ogni atteggiamento della protagonista, ogni sua decisione (o non decisione), ogni suo desiderio...
L'infanzia, l'adolescenza, la giovinezza trascorrono segnate da precisi "segna-vita" che scandiscono la crescita e la maturazione di una donna costantemente alla ricerca di se stessa, avendo perso prematuramente i consueti punti di riferimento costituiti dai genitori (la madre, dopo la morte del padre, si risposerà...), dal proprio habitat (presto abbandonato), dalle proprie amiche (continuamente sostituite)...
La Sardegna, amatissima in tutti i suoi molteplici aspetti, viene qui evocata con toni di sommesso lirismo, a volte silenziosamente accorati mai però lacrimevoli o patetici, direi compostamente sardi... per questo commuovono.
La Carnia, amata nuova patria, assume
connotazioni realistiche, storia di oggi dunque, calata però in un' indefinibile e rarefatta atmosfera che assorbe le asperità, rende ovattati i rumori, ritempra i caratteri, rimodella i profili senza peraltro nascondere asperità, rumori, caratteri, profili che in queste pagine diventano amabili, quasi desiderati.
La quotidianità (anche quella che magari va a finire sui giornali) qui si veste di inconsapevole poesia e assurge a paradigma di vita, vita intensamente e interamente vissuta perchè capace di accorgersi e di apprezzare ogni più piccola cosa del Creato...
E' un piccolo gran bel libro, pulito, che, come "Sinsilimins", sa suscitare sentimenti semplici, induce ad essere più buoni, favorisce una riflessione interiore, stimola a considerare la vita con altro occhio ed altro cuore.
(Un ottimo "ricordati di me" per una particolare ricorrenza di familiari o amici)