|
SINSILIMINS
|
|
Sinsilimins: un titolo strano per la nuova prova letteraria di Giovanna Nieddu. E' il nome che si dà ai mughetti a Fusea e Cazzaso.
Sinsilimins: anche Giovanna è stata presa dalla magia di questa parola e l'ha voluta come titolo. A mio parere è una parola legata alle favole degli sbilfs-folletti, metafora per dire che la natura ha una voce per chi la sa ascoltare. Non so se, come scrive Giovanna, i mughetti si trovino anche alle porte del paradiso, so per certo, come dice lei, che quella parola è un suono Sin si li mins, quattro rintocchi delle piccole campanule, sul vocalizzo dolce di quattro “i”. Così li sentono gli sbilfs ma anche gli umani, quelli che come i poeti sanno fermarsi al limitare del bosco e, guardando all'infinito del cielo, riescono a fare il vuoto infinito dentro a sé, a riempire di silenzio il proprio cuore, per sentirsi alle porte del paradiso, con la musica dei mughetti
Giovanna non è carnica (ha sposato un carnico), ma si è innamorata della Carnia e per questo sa leggere dentro al cuore della Carnia, e insegna anche a noi a viverne la suggestione, come ci insegna a sentire la musica dei mughetti. Per questo mi ha coinvolto e suggestionato questo breve romanzo, che mi auguro possa essere letto dai carnici per imparare a capire ancora di più la bellezza e la poesia dei loro paesi.
Un romanzo senza un intreccio perchè la trama è la vita stessa d'un paese di Carnia, e nella trama si intrecciano gli episodi in successione, come nella vita del paese, il succedersi delle stagioni. Si parla delle diciassette frazioni e il borgo che fa da scena al romanzo potrebbe essere Entrampo di Ovaro (ove Giovanna vive) o potrebbe essere Fusea, il piccolo borgo ad piedi di una grande montagna dove Giovanna ha trovato marito. Ma non c'è nessun riferimento esplicito. Non si fa mai neppure il nome di Carnia, perchè il vivere d'un paese di Carnia diventa metafora del vivere.
L'espediente dell'io narrante, dà l'impressione che il racconto sia una confessione, una autobiografia secondo una moda letteraria del momento (Fai bei sogni di Massimo Gramellini). I protagonisti sono i figli Marta ormai ragazzina e i due gemelli. Il rapporto tra la madre e i figli che crescono nel particolare contesto del paese diventa uno dei fili su cui si intreccia la esile trama del racconto: il difficile rapporto dei genitori che cercano di comprendere i figli, preoccupati ma allo stesso tempo attenti a salvagurdarne l'autonomia.
Ma nel vivere di paese c'è sempre un personaggio caratteristico, quasi emblematico del paese, e nel piccolo borgo c'è la vecchia Edera “magra, magra il collo vizzo, lunghe braccia ossute” con i suoi tre cagnolini “spelacchiati meticci” troppo vecchi per poter camminare e che lei trasporta su una vecchia carrozzina per bambini. C'è il vecchio Daniel sempre ubriaco...
E poi ci sono i punti di riferimento che fanno l'identità del paese. C'è un albero (come i noci per Carducci), qui c'è il tiglio diventato azzurro perchè Daniel l'ha spruzzato d'insetticida azzurro. Ci sono i luoghi particolari, il vecchio mulino abbandonato, il torrente...
Ma il più grande problema del borgo è quello della prossimità o vicinato (e qui Giovanna coglie l'essenza del vivere di paese, come valore e limite allo stesso tempo). Marta deve per necessità relazionarsi con due coetane amiche tra loro, che le fanno provare la colla sul palato. E la difficile esperienza di vita dei figli diventa sofferenza per i genitori, esperienza complessa con gli insegnanti e la scuola che non capisce, neppure il prete e la chiesa capiscono. Esperienza che però diventa anche gioia quando il bambino piccolo sguazzando in una pozzaneghera ti dice “non potrei desiderare una vita migliore di questa”.
Nella prossimità nel vivere gomito a gomito più che altrove nascono le coincidenze che determinano lo sviluppo della nostra vita. La vecchia Edera incespica e cade, Marta l'aiuta e tra lei ed Edera nasce una “strana impensabile amcizia” strana perchè “non conosciamo tutto dei nostri figli”.
Può succedere di tutto nel piccolo borgo anche che ci sia violenza su una bambina amica di Marta, “ma nessno vede e nessuno sente, né di giorno né di notte".
Può succedere di tutto quando soffia il fhon che fa impazzire la gente...
Il vento, il fhon, che penetra nelle ossa e nel cervello, m'è parso il vero protagonista subliminale del racconto. Il Vento che muove gli uomini come fossero appunto Canne al Vento. Il vento metafora della forza del destino che travolge l'uomo e porta la sua vita ad esiti impensati ed imprevisti. Qui Giovanna coglie l'essenza del fatalismo della cultura carnica mentre si richiama alla conterranea Grazia Deledda.
Nel borgo può anche succedere che il vecchio ubriaco uccida non si capisce bene, se volutamente o no, uno dei cani di Erica. Può succedere che Manuel uno dei ragazzi cada nel torrente, o forse si lasci cadere... Che differenza c'è tra buttarsi e lasciarsi prendere, non perchè (commenta Marta) volesse morire, ma forse perchè non voleva vivere la stessa vita...
Oppure il ragazzo era solo vittima delle streghe d'un passato di leggende ed Erica si protegge e protegge anche la casa degli amici, ponendo sulla porta una scopa di saggina rivolta verso l'alto e il nord. Ma non basta la scopa ad evitare la tragedia che si abbatte sul borgo e costituisce l'epilogo del romanzo. Graziana si è separata dal marito ed è andata a vivere solo due fermate d'autobus più in là. Qualcuno ha detto... e la sua andata è già una leggenda. Il figlio ha una ragazza che aspetta un bambino, e viene a sapere che anche sua madre aspetta un bambino. Il fatto lo sconvolge e la notte stessa sul dirupo sopra il paese, il figlio si è lasciato cadere (o è caduto?). Ed è stato recuperato dall'elicottero... “Ma qual'è il confine tra cadere e lasciarsi cadere? Come per Manuel!".
Poi alla fine c'è la catarsi, la tragedia si scioglie, Graziana ha avuto una bambina e l'ha chiamata Ester, anche la ragazza del figlio morto ha avuto una bambina e l'ha chiamata Nives. Hanno dovuto chiamare l'elicottero per trasportare la partoriente in ospedale, e Nives è nata prima d'arrivare in ospedale, qualcuno dice nello stesso elicottero che aveva trasportato il padre morto...
Sai che il dolore restituisce la gioia in un ritorno incessante. Sinsilimins.
Questa una possibile sintesi del romanzo. Ma Giovanna a “Sinsilimins” ha voluto aggiungere il sottotitolo di romanzo lieve. In realtà più che un romanzo è un componimento poetico, una elegia, un flebile carmen, un canto di lamento. E una poesia non si può raccontare. "M'illumino d'immenso" come la racconti? E' una emozione che devi provare, che devi sentire, così è questa poesia sulla vita di paese. Anche la lingua è quella della poesia, soprattutto nella ricerca delle parole, “perchè la parola è suono” e Giovanna sa trovare la parola che non dice soltanto ma parla al cuore, come parla il respiro della foglia sospesa nel vento d'autunno.
Vorrei chiudere questa breve presentazione con il commento d'un amico che non conosce Giovanna e che è rimasto dispiaciuto di non trovare nel romanzo riferimenti più precisi alla Carnia, ma che ciò malgrado non ha potuto non aggiungere che “... ho letto d'un fiato con molta attenzione e vero godimento dell'intelletto il lieve romanzo della Nieddu, l'ho trovato elegante raffinato colto preciso infallibile... Taluni capitoletti sono autentici capolavori. E' prosa davvero o poesia camuffata da prosa? O e' una lunga coinvolgente canzone che attende solo di essere musicata da un redivivo Battisti?"
Igino Piutti
|