DIBATTITO DI CONOSCENZA E COMUNICAZIONE Promosso dalla Lista Civica:
Gemona e Oltre / Oltri Glemone. (Intervento sul tema: Se Gemona va alla
montagna…conferenza di geopolitica “Il nuovo welfare e le
riforme sociali europee nella ridefinizione delle competenze regionali e
provinciali”. Il Welfare - mix. Premesse e opportunità per l’Alto Friuli. (int. 21) (Nell’età moderna, dal rapporto fra capitale e lavoro, da sempre conflittuale, nasce il concetto di benessere. Per realizzare se stesso, l’imprenditore, che dispone di capitale, si serve del lavoro di un altro uomo. Il rischio immanente “dell’uomo-forza lavoro-strumento” è quello di perdere con l’identità, la propria libertà, che salva con la cultura. Fin dalle prime elaborazioni filosofiche ed economiche, della protestante Europa Nord occidentale del 6/700, da dove prendono vita i grandi commerci intercontinentali organizzati e le prime produzioni di beni di consumo, la società neo-industriale assiste alla lotta del lavoratore “contro” il capitale, per poter soddisfare i bisogni primari, per affermare i diritti fondamentali per la sopravvivenza prima, e per la qualità della vita poi. Dalla fine dell’’800 e fino alla seconda guerra mondiale l’industrializzazione richiama nelle città grandi masse d’ex-contadini che si affidano quasi sempre a iniziative sociali di cooperazione, di mutualità e di solidarietà per sopravvivere). Il termine “welfare
state” -benessere statale/sociale (inteso come sommatoria
“corretta”dello stare-bene e del ben-essere personale detto “well-being”)
nasce in Europa, quando il ministro Beveridge fa approvare, nel ’46, dal
Parlamento inglese lo strumento delle moderne riforme sociali, per
rendere più giusta e produttiva quella società prostrata dalla guerra e che si
accinge ad abbandonare l’Impero. Seguono altri Stati industrializzati
dell’attuale UE (Francia, Germania, Paesi Bassi, Paesi Scandinavi, ecc…),
che con le riforme sociali vogliono garantire ai cittadini i diritti naturali
del cibo, della salute, della casa, dell’istruzione, del lavoro e della libertà.
Tenendo sempre sott’occhio il Bilancio dello Stato. L’Italia intanto
percorre una strada eticamente diversa. Così sono stati colpevolmente elusi
quei nodi sociali che continuano a far perdurare i privilegi corporativi e a far
crescere il già enorme debito pubblico, sommatoria d’ogni passata ingiustizia
sociale e ipoteca gravante sulle future generazioni. Ma oggi i nodi devono
essere sciolti, perché il mercato, la politica europea e la nostra, si trovano
nella necessità di proporre “un nuovo Welfare locale ed europeo”. E’
dall’inizio degli anni novanta del secolo scorso, che problemi sociali molto
complessi e sempre più vasti investono gran parte dei paesi dell’UE. L’articolato contesto è
dato dai “rischi sociali” collegati alle variazioni del reddito ed
alle trasformazioni sociali, che mettono in discussione il futuro benessere: - a) Le variazioni di
reddito da lavoro e da pensioni da
lavoro (altro è il concetto d’assistenza, con intervento pubblico) che
incidono sul potere d’acquisto di beni e consumi e che dipendono dalle
strutture occupazionali, dalle crisi organizzative, dalla scarsità e dalla
perdita del lavoro.; - b) Le trasformazioni
sociali che danno insicurezze e
conflittualità e che derivano da instabilità familiari, da
diseguaglianze di genere e sociali, da migrazioni, da nuove povertà, da
inserimenti e da esclusioni sociali le più diverse. Si tratta di problemi, ma
anche di risorse umane e sociali, che il sistema Welfare State a partire dal Terzo
Settore (cooperative sociali, associazioni, mutue, fondazioni, Ong,
organizzazioni di volontariato), così come le Imprese produttive di ricchezza
economica reale, di fronte alla tecnologia ed alle materie prime, si trovano a
dover gestire in modo unitario e complementare per promuovere e garantire uno
sviluppo ordinato e durevole dell’Europa futura. Da alcuni anni, studiosi
delle politiche sociali di Norvegia, Regno Unito, Francia, Germania, Spagna e
Italia, stanno approfondendo e comparando le loro diverse esperienze e culture
sociali, per rendere agibile “uno schema concettuale comune “di nuovo
Welfare, capace di affrontare le esigenze dell’attuale realtà piena di
cambiamenti e di condizioni ambientali diverse e complesse, con contenuti e
mezzi adatti e con metodi efficaci. Questo percorso è già, a grandi linee,
impostato. La visione più laica e liberale che emerge, tende a superare il
concetto del potere sociale “contro” il capitale-ricchezza privata,
per approdare ad un più pragmatico e realistico lavorare “per” un
equilibrio sociale che porti a risolvere i problemi e a raggiungere obiettivi
prefissati e condivisi di Stato di diritto e di giustizia sociale. La cultura
del dialogo fra le parti sociali, il confronto delle idee e la democrazia
richiedono “un grosso lavoro di costruzione dell’uomo” della futura società.
Un lavoro che serve a superare irrigidimenti e contrapposizioni che non
risolvono i veri problemi, ma che salvano solo i privilegi di pochi. Non ci sono
alternative e prospettive credibili se si vogliono perseguire, nello stesso
tempo, la giustizia sociale, la cura della qualità della vita e la pace, che
sono fra le premesse per il “benessere individuale”. Non ci sono risorse
finanziarie sufficienti, e quelle umane (mentali, sociali, culturali e
politiche) non si sono ancora completamente liberate dalle negatività
ideologiche e dalle resistenze culturali ai cambiamenti storici. I fatti
corrono più veloci delle idee, ma un’idea se condivisa da tutti, può
modificare i fatti. Con la crescita della domanda di servizi sociali
aumenta la difficoltà a sostenerne l’espansione e l’articolazione. Ancora,
la scarsità delle risorse dello Stato non permette di fronteggiare
adeguatamente i nuovi fenomeni d’emarginazione e d’esclusione sociale. Le
istituzioni private di origine religiosa o sindacale, a seconda dei paesi,
costituiscono una risorsa preziosa in vista di una più generale
riorganizzazione del sistema di benessere sociale europeo. A livello europeo gli
interventi più significativi del nuovo welfare si hanno: - nei processi di decentramento delle responsabilità
finanziarie e programmatorie a vantaggio delle Amministrazioni locali, per meglio
difendere e adattare le esigenze specifiche locali, operando con flessibilità ed efficienza, contenendo
costi e migliorando la qualità dei servizi; - nell’introduzione delle procedure e delle tecniche
del new-management con relativi vincoli di bilancio, riduzione dei benefici garantiti,
verifiche e valutazioni dei risultati; - nella previsione di detrazioni fiscali per
favorire interventi a favore di bisogni senza coperture finanziarie, incentivando il volontariato e
le organizzazioni non-profit; - nella separiazione più netta tra funzione di
finanziamento e quella di erogazione dei servizi, con la quale l’autorità pubblica ha la
responsabilità del finanziamento e della regolazione, ed i privati e/o le organizzazioni non-profit, che
hanno la delega per la fornitura diretta dei servizi. A questi interventi si
danno significati politici diversi,
che vanno dalla valutazione della spesa sociale a quella della riduzione del
livello dei servizi resi. Il punto che determina la svolta del nuovo welfare è
dato dall’incontro fra servizio pubblico ed iniziativa privata. Un
welfare-mix, appunto! Che è in grado di garantire risultati, ma il cui
impatto politico ha creato uno scontro ideologico fra le storicamente diverse
scuole europee di pensiero socio-economico, in corso di costruttivo superamento.
L’introduzione della privatizzazione nel welfare, richiede da un lato la
ri-definizione dell’impegno dello Stato e dall’altro la salvaguardia dai “fallimenti
del mercato” privato. I soggetti privati modificano la logica d’azione
in meglio, in quanto ad efficacia e a progettualità, in peggio, riguardo
all’identità originaria, alla flessibilità ed all’autonomia. Il
welfare-mix offre la possibilità di sviluppare un “sistema plurale
d’offerta” delle risorse finanziarie e professionali e di forme di servizi
diversificati e adeguati ai problemi da affrontare. Le politiche assistenziali
europee tendono alla privatizzazione dei sistemi d’offerta adottando le
seguenti misure: - riduzione di programmi pubblici e aumento della
fornitura privata per gli stessi servizi; - trasferimento della proprietà di agenzie di
servizio pubblico; - sviluppo di programmi di servizi privati con
finanziamento pubblico. Il dibattito sulla
privatizzazione si riferisce a due modelli possibili: Col primo modello
si tende a ri-orientare la domanda dei servizi pubblici verso il privato con
l’introduzione, ad esempio, di tagliandi e di detrazioni fiscali per
l’acquisto di servizi privati. Si pensa che in campo sanitario e previdenziale
i programmi assicurativi integrativi possano essere meglio collocati tramite il
mercato privato. Questo modello di privatizzazione, va oltre il sistema
Welfare-mix fondato sulla distinzione fra il finanziamento, di
responsabilità pubblica, e la gestione affidata a gestori privati. In
questo caso il contenimento della spesa pubblica riduce l’offerta dei servizi
(e la loro qualità), siano essi erogati a scopo di lucro che non-profit, con
danno diretto dei gruppi sociali più svantaggiati. La progressiva
commercializzazione ha riflessi sul non-profit spinto verso il privato, sul
management e in genere sulle fasce di popolazione a reddito marginale. I servizi
a domanda, diventano lucrativi e richiedono una profonda revisione del sistema
di welfare dove lo Stato deve tutelare il diritto di scelta del cittadino, ma
anche di stimolare la domanda dei servizi. Il secondo modello
di privatizzazione presuppone invece di agire sul sistema d’offerta di servizi
per migliorare efficienza ed efficacia delle politiche sociali. Lo scopo è
quello di trasferire gradualmente ai privati le responsabilità pubbliche senza
che i diritti sociali vengano compromessi dalla sovrapposizione delle funzioni
di programma e di gestione dello stato. Col modello “a domanda” la
privatizzazione conferisce al cittadino i valori del mercato, la capacità di
spesa, la scelta dei servizi. Quello basato sull’offerta presuppone che le
risorse private, soprattutto quelle delle Organizzazioni del Terzo Settore,
debbano seguire le regole del mercato per essere pienamente utilizzabili ai fini
dell’utilità collettiva. Alla base ci sono i valori della sussidiarietà e
della cittadinanza attiva, oltre a quelli della responsabilità
collettiva e della solidarietà. Lo Stato, che finanzia i
fornitori di servizi, controlla la qualità delle prestazioni. Il Welfare-mix,
creando una situazione, non solo concettuale, di “quasi mercato” obbliga i
soggetti interessati alla ricerca di un costante equilibrio fra le prerogative e
i limiti che sono caratteristici dello “Stato” e del “mercato privato”,
e che riguardano la disponibilità dei mezzi finanziari, la quantità e la
qualità dei servizi, il rispetto delle identità e degl’interessi di tutti
gli attori sociali. Queste brevi note sulla
privatizzazione voglionointrodurre nella discussione la complessa serie delle
argomentazioni che sono allo stesso tempo freno e motore, a seconda dei punti di
vista, del nuovo welfare. Tutti concordiamo che c’è bisogno di una cultura
sociale diversa, che dobbiamo saper leggere e interpretare le situazioni locali
e individuali, che è nell’interesse di tutti ottimizzare l’uso delle
risorse, che è indispensabile migliorare la qualità dei servizi e la
professionalità degli attori, che dobbiamo rispettare le regole del mercato e
quelle dell’etica comportamentale, che è dai valori spirituali e dai principi
che dobbiamo ricavare le nostre migliori motivazioni. In sintesi estrema deve
essere modernizzato lo Stato di diritto per superare l’attuale Stato di
beneficenza, d’assistenza e di carità. Dicendo: grazie! a tutti coloro che
con questi strumenti sinora hanno tenuto in piedi il nostro Welfare State. - Il Welfare-mix dunque, non è,
come potrebbe apparire, un “ fai da te” sociale. E’ un modo di risolvere i
problemi sociali basato sul dialogo, sulla conoscenza e sulla
partecipazione-responsabilizzazione di tutti gli attori sociali, che sono poi i
destinatari dei servizi e della ricchezza etico-morale che formano il Bilancio
sociale di qualsiasi società evoluta e civile. Nel nostro caso di quella
dell’U.E., della quale siamo parte integrante e attiva. Possiamo ricavare che
il fine vero del Welfare-mix è di mantenere viva e salda, nell’immaginario
sociale e nella realtà, l’esigenza che la politica e la cultura siano sempre
attente e sensibili verso le parti sociali più deboli ed emarginate. Dove il
volontariato sociale per l’uguaglianza dei diritti dei cittadini diventa
determinante. - I nostri riferimenti minimi sono
dati, per i concetti e i diritti dell’autonomia, dal Tit.V della Costituzione,
modificato col Referendum del 7/10/2001. Per il Sistema integrato dei servizi
sociali dalla L.328/2000 (L. Turco sull’assistenza). Per l’osservatorio
dell’anziano dalla L.10/98. Per le modifiche sul volontariato dalla L.266/91.
Per il sostegno della genitorialità dalla L.285/97. Per il mercato del lavoro
dalla L.30/03 (D.L.276/03), ecc.. Di importanza fondamentale sono la RSI, o
Responsabilità Sociale delle Imprese e il metodo di Ag. 21 locale (i piani di
zona), che riflettono ed interpretano la Carta di Rio, gli accordi di Lisbona,
la Carta di Nizza per quanto attiene il corretto sviluppo sostenibile
(equilibrio fra territorio e popolazione) di un’area considerata. Nel nostro
caso potrà essere l’Alto Friuli. La geopolitica ci conduce
nel vivo dei problemi socio-economici locali e ci permette di capire se siamo in
presenza o meno di un equilibrato sviluppo del binomio territorio / popolazione.
Con questo documento desideriamo contribuire a far conoscere e decidere bene,
dopo una più approfondita valutazione, se la nuova Provincia può essere lo
strumento giusto, come noi riteniamo, per migliorare le prospettive di crescita
del benessere socio-economico locale (personale e sociale). La premessa
fondamentale di tutto il discorso sull’Ente è che tutti, indistintamente,
riconoscono che l’Alto Friuli è l’area regionale più arretrata ed in
pericolo di definitiva emarginazione ed abbandono. Ciò significa riconoscere, che la fascia più debole
della popolazione regionale, non a caso residente nell’Alto Friuli, è stata
da sempre trascurata dalla Regione e dallo Stato italiano. Il sostanziale
disequilibrio sociale è riconoscibile dal livello di vita quivi praticato che
è il più basso di tutto l’arco alpino. Nessuno sviluppo futuro è pensabile,
se non poniamo mano ad un inclusivo e coeso sviluppo sociale, realizzabile
attraverso un nuovo e moderno welfare locale. Lo strumento fondamentale,
indispensabile per raggiungere l’obiettivo è un Ente capace di pensare e di
fare politica, dotato delle risorse finanziarie necessarie, delle quali la
popolazione ha diritto, per realizzare i programmi ed i progetti atti a far
vivere bene la popolazione residente sul territorio dov’è nata. Questa
occasione è storica e ci permette di istituire un Ente esemplare, a livello
europeo, per modernità ed efficacia: la nuova Provincia dell’Alto Friuli. Il
livello dell’autonomia, di cui sapremo dotarla, dipenderà dalla nostra
maturità di cittadini e dalla nostra capacità d’autogovernarci. Dipenderà
anche (poiché il Referendum è solo consultivo) dalla riscrittura dello
Statuto. Con quest’atto fondante la nostra Regione darà la misura ed il segno
del livello culturale e politico e della visione europea che ha di se stessa.
Per inciso, qualsiasi aspetto istituzionale possa assumere il nuovo Ente, che
comunque ci sarà, noi ne saremo coinvolti e facciamo bene a pensare sin d’ora
il cambiamento dello scenario politico, come una risorsa e un’opportunità,
non come un danno. Soprattutto rispetto ad argomenti sui quali, di riflesso, si
dovrà tornare a discutere, come l’ospedale, l’università, le scuole, i
trasporti, l’economia, ecc… Intanto dobbiamo pensare a
migliorare le condizioni generali di conoscenza, d’apertura verso gli altri,
di partecipazione attiva della popolazione, ai processi di crescita sociale. I Preconcetti e le
avversioni non hanno senso. Sono lesivi degl’interessi di tutti e non
permettono di affrontare nessun problema con la dovuta serenità e col
necessario equilibrio. Il recente passato dovrebbe insegnarci qualche cosa!
L’assenza della politica, anche su quest’argomento, e la colpevole
trasgressione delle leggi, riguardo all’informazione ed all’attivazione
delle procedure referendarie, che potevano costituire un momento di riflessione
e di democratico confronto, non d’insensata, cieca contrapposizione, sono
responsabilità a totale carico di quelle Amministrazioni, come la Gemonese,
inadempienti e irrispettose dei diritti civili e democratici dei cittadini.
Ignorando o reprimendo non si esprimono nuove idee e non si liberano nuove
energie. Il bilancio comunale del
benessere sociale (Welfare locale) e dello stare-bene e del ben-essere
individuale (well-being) a Gemona, è sotto gli occhi di tutti. Ci sono enormi
potenzialità. Manca la volontà politica per metterle in moto, sopratutto dal
punto di vista delle professionalità e della capacità di stare sul mercato. I
nostri politici locali non pensano a formare e a far crescere un adeguato
“Bilancio sociale a Gemona”, di cui il Welfare è parte qualificante. Essere
attori e vittime di un anacronistico assistenzialismo porta a vedere dovunque
nemici da eliminare, invece di pensare a guadagnare i risultati con la
preparazione e il lavoro. L’attuale Provincia di Udine non ha facoltà
politiche nemmeno in questo campo. Anche per questo, serve all’Alto Friuli una
Provincia, un Ente comunque diverso, che si dia le facoltà, le funzioni e i
compiti della politica e non della delega. La Regione, attraverso il
nuovo Statuto, potrà darsi norme certe per costruire una vera politica sociale
equilibratrice e moderna, basata sull’autonomia, sulla partecipazione, la
presa di coscienza e la corresponsabilità di tutti, a pari condizioni di
cittadinanza e d’opportunità di cambiamento.
Un disarmante “Il Friuli si è arreso”, di Gianfranco D’Aronco (ripreso da Illy il giorno dopo), apparso sul Messaggero Veneto del 24/2, precisando la negatività e la disparità dei rapporti con Trieste, deve farci riflettere sul differenziale mentale che distingue i friulani nel contesto regionale. Parafrasando Leonardo Zanier, verrebbe da dire “Libers… di scugnî restâ”, legati come sembra siamo, “solo” a ben più delle mille lire di pasoliniana memoria. E’ evidente che “il potere” e “l’essere nel potere” sono entrati male nel DNA identitario dei Friulani (mente, cultura e cuore). Di questo non possiamo fare carico ai Triestini, ai Veneti, ai socialisti o ad altri capri espiatori di derivazione fideistico-ideologica. La stessa riflessione riguarda, per caduta, “il ragionare contro i Carnici” da parte di certi gemonesi. Dobbiamo invece domandarci quanto tempo dovrà attendere ancora la nostra società perchè maturino i frutti della crescita culturale, morale e civile seminati dall’Università friulana di Udine. Dopo la fase identitaria e quella della cultura lavorista, dovrà pur rivelarsi nei nostri giovani e quindi nella società la completa percezione del sé, e della conseguente responsabilità civile che porta alla gestione autonoma del potere, auspicata dai padri della Patria! Il ”lavoro prodotto da secoli di miseria e di ubbidiente sudditanza”, nella mentalità di un popolo, non può essere rimediato da due / tre generazioni di pur validi e sensibili intellettuali. Per questo motivo, non possiamo, rassegnarci a perdere l’opportunità che viene offerta a tutto il Friuli, non solo all’Alto Friuli, riguardo all’autonomia della gestione politica, dalla rapida evoluzione dei tempi e dalle nuove situazioni politiche. Forte non è l’idea dominante, ma quella capace di creare nuove idee. In una di queste ci siamo dentro proprio ora. Gemona del Friuli,
04/03/2004
Claudio Sangoi RISULTATI REFERENDUM 21 marzo 2004 per la PROVINCIA “ALTO FRIULI” (int. 22)
CARNIA (28 comuni)
GEMONESE-TARVISIANO (15 comuni)
TOTALE COMPLESSIVO
dei 43 comuni
LA CADUTA DELLA QUINTA STELLA… 1.
Mentre nel Gemonese-Tarvisiano vi è stata una massiccia adesione trasversale
(da Destra a Sinistra) per il NO (83%) a fronte di un minimo SI (16%), in
Carnia il SI non è stato altrettanto massiccio (solo 71 %) con un NO significativo (28 %)
proveniente da Destra. Notare: a Rigolato, comune dell’attuale presidente del
Consiglio provinciale di Udine- D’Andrea (LN),
ha prevalso il NO (incredibile, ma vero). 2.
Se in Carnia il SI fosse stato massiccio come il NO del Gemonese Tarvisiano
(cioè 83%) e se vi fosse stata una più diffusa partecipazione al voto, il SI
avrebbe matematicamente prevalso nel computo finale. Pertanto occorre
onestamente riconoscere che la sconfitta del SI è nata proprio in Carnia,
dove ha trovato illustri padrini ed immaginabili sponsor. 3. In
Carnia il Centrodestra (AN ufficialmente e pubblicamente, ma anche FI
e LN) ha dato indicazione per il NO o l’astensione (vedi la diffusa minore
affluenza alle urne in Carnia rispetto al Gemonese), per cui occorre
ragionevolmente concludere che la Destra della Carnia è stata determinante
per il risultato negativo finale del referendum, nonostante avesse previsto
anche nel proprio programma elettorale regionale del 2003 l’indizione del
referendum (e quindi una posizione favorevole) per la provincia della Montagna.
Da segnalare in particolare (affinchè ciò resti agli atti e a futura memoria)
il costante e militante impegno per il NO di taluni personaggi politici
“carnici” di spicco: TONDO (FI), PIUTTI (FI?), D’ANDREA (LN), CAROLI (FI)
e i loro supporters hanno pubblicamente lavorato contro la provincia
regionale della Montagna. Cui prodest? 4.
Analizzando i voti dei due territori, occorre rilevare quanto segue: mentre il SI
della Carnia ha espresso una valenza positiva, a favore di una
autonomia amministrativa da decenni auspicata, il NO del Gemonese-Tarvisiano
ha presentato una cifra assolutamente negativa, contro la
Carnia e contro Tolmezzo in particolare, retaggio di antiche e mai sopite
rivalità che oggi prendono corpo e visibilità nella vexata quaestio
dell’ospedale di Gemona. La Carnia, globalmente intesa, viene tuttora
considerata responsabile di aver defraudato l’ospedale di Gemona a favore di
quello di Tolmezzo. Esiste a tal proposito un ODIO VISCERALE contro la Carnia
da parte delle popolazioni del Gemonese, alimentato e covato da precisi
personaggi politici di quel territorio, i quali hanno fatto le proprie
fortune elettorali proprio strumentalizzando sentimenti di rivalsa CONTRO
Tolmezzo e la Carnia, che a Gemona non ha sottratto proprio nulla (il
trasferimento di alcuni reparti a Tolmezzo e la loro razionalizzazione è stato
un atto anche della precedente maggioranza regionale di centro destra- Tondo in
testa- che oggi si è aspramente
battuta per il NO alla provincia: Freud non dice nulla?). In realtà basta
osservare la carta geografica per capire come l’ospedale di Tolmezzo abbia una
posizione centrale per l’intera montagna dell’ Alto Friuli,
diversamente da Gemona che appare ubicato nella estremità sud del comprensorio
montano, laddove ormai è quasi pianura. Purtroppo i cittadini del Canal
del Ferro (montanari che preferiscono di gran lunga l’ospedale di Tolmezzo e
non da adesso), non hanno visionato questa carta geografica che li avrebbe
illuminati prima del voto. E si sono lasciati fuorviare dalla GUIDA AL
REFERENDUM “emanata” dalla Provincia di Udine, e da altri mistificanti
discorsi… 5. Solo
tenendo presente il punto precedente, si può comprendere la valanga di NO del
Gemonese-Tarvisiano. Ha molto stupito infatti questo dato referendario con la
posizione espressa dai 38 consigli comunali su 43 (tutti quelli carnici e
ben 10 del Gemonese-Tarvisiano!) che nell’estate 2003 avevano dato
il proprio parere favorevole al referendum ed alla Provincia dell’ Alto Friuli.
Cos’è successo nel frattempo? I consigli comunali non rappresentavano affatto
i propri cittadini oppure è mutata l’opinione dei cittadini? Questi consigli
comunali debbono ora dimettersi? Un
bell’argomento per una tesi di sociologia politica o di flussi migratori
elettorali. A voler vedere però il bicchiere mezzo pieno, occorre sottolineare
anche che, riconoscendo pari dignità istituzionale a tutti i comuni, sui
43 comuni interpellati, 27 hanno detto SI e solo 16 hanno risposto NO. 6.
Questo referendum ha quindi chiaramente dimostrato che è artificioso ed
impossibile creare un’ Ente dell’Alto Friuli (pura invenzione semantica
udinese di carattere geo-politico) che non esiste nella realtà. La realtà
invece è assai diversa: a ovest la Carnia (non troppo unita ma
determinata nella richiesta di autonomia) con la sua storia peculiare e la sua
fortissima identità di popolo; a est il Gemonese-Canal del
Ferro-Tarvisiano (assolutamente compatti “contro” qualsiasi autonomia da
Udine, ma assemblati tra loro e senza alcuna identità comune). Un Alto Friuli
dunque profondamente diviso, poco comunicante nelle sue due realtà in
volenterosa antitesi, che il referendum ha ulteriormente evidenziato in tutta la
sua interna contrapposizione. Una dicotomia che dovrà fare riflettere tutti su
molte altre questioni. Non ultima quella di considerare “montagna”:
Gemona, Venzone, Bordano, Forgaria, Trasaghis, Artegna che sono pianura o al
massimo collina, ma che nel referendum sulla provincia della Montagna sono stati
determinanti. Conclusione: la Carnia (grazie anche ad
alcuni suoi quondam-illustri abitanti: vedi sopra) non è ancora matura per
una propria autonomia amministrativa autogestita. Le è più consono recarsi
“jù par da Udin, cul cjapiel in man, come c’a sji conven ai sotans” e
delegare ad altri le decisioni del proprio avvenire. Illy
tolga pure la quinta stella dal simbolo del suo raggruppamento politico (I.D.): non è stata
meritata da coloro ai quali era stata incredibilmente offerta! La
prossima stella (come le comete) ripasserà tra 234 anni. 22 marzo 2004, Dies Irae pa Cjargne a.e.
Da Carnici per i Carnici (int. 24)La popolazione ha dunque in maggioranza netto “no” alla costituzione della Provincia dell’Alto Friuli. La Carnia invece ha tenuto alta la testa e non si è fatta perdere l’occasione di affermare la sua unità di popolo. Sia Tondo che Piutti – illustri carnici - sono rimasti bacchettati a casa loro visto che Tolmezzo ha detto la sua e ha decretato definitivamente la perdita di qualsiasi credibilità in loco per i due ex-sindaci carnici che si sono tanto prodigati contro il nuovo ente. Strassoldo urla la sua soddisfazione per non avere perso i suoi territori di montagna. Il falso autonomista gioisce nell’intimo perché ha appena constatato che per l’Alto Friuli non ci sarà autonomia. Tutto come prima. C’è un dato: i politici hanno vinto. Essi mantengono indisturbati la loro poltrona a Udine e sono più tranquilli perché le elezioni sono lontane, per un po’ continueranno a dire che si stanno occupando della montagna, forse lo faranno fino al termine del loro mandato; ma un domani ricominceranno le disattenzioni per la montagna perché questo è fisiologico per un ente come la Provincia di Udine che al massimo per la montagna ci mette un assessore. Carlantoni si tiene il trono di vice presidente della giunta così come si tiene la poltrona di vice presidente del consiglio D’Andrea al quale è stata offerta proprio perché facesse di tutto per fare naufragare il progetto Provincia dell’Alto Friuli. In Carnia gli hanno dato retta solo i suoi concittadini. Mi chiedo dunque, in questa situazione, come può essere rappresentativo della Carnia qualcuno che ha idee completamente opposte a quelle della maggioranza degli abitanti della sua terra. Ora che non c’è sicuramente la volontà di convincere più nessuno, è giusto sottolineare come quella della Provincia dell’Alto Friuli sarebbe stata un gran passo in avanti istituzionalmente parlando. C’è una contraddizione di fondo che emerge nel delirio della vittoria del fronte del “no” e che mette in luce tutta la tattica disinformativa dei personaggi chiave della vicenda. A ribadire le tesi pro Provincia ci pensano da soli i promotori del “no” i quali, nella foga della vittoria, si dimenticano di sragionare fino in fondo. Strassoldo, che ha mantenuto i suoi feudi, ora chiede più competenze alla Regione per la Provincia di Udine al fine di risolvere i problemi della montagna. Qui si vede che non ha ancora capito un cosa: la Regione non potrà dare queste competenze perché purtroppo solo le Comunità Montane possono essere destinatarie di competenze che riguardino specificamente la montagna. Strassoldo e i suoi scagnozzi insisteranno, ma da soli si troveranno esattamente al punto in cui già qualche anno fa era arrivato il comitato promotore del referendum: l’ente intermedio che dovrebbe avere tutte le competenze è sicuramente la Provincia, le Comunità dovrebbero essere soppresse e le competenze passate ad essa, altrimenti si avrebbero due carrozzoni assurdi che si sovrappongono nelle funzioni con costi elevati e poca operatività, come ora insomma. Il comitato proponeva semplicemente che questa Provincia fosse quella dell’Alto Friuli, quindi ente eletto dai cittadini dell’Alto Friuli e con le competenze, previste per legge, anche delle comunità montane. A problemi omogenei un ente per cui questi sarebbero stati interessi di portata generale con un presidente, una giunta e un consiglio di gente di montagna che ci lavorasse a tempo pieno. Peccato, è statobello pensare un Alto Friuli unito nello sforzo di risolvere i suoi problemi, nella speranza di un maggiore sviluppo. Peccato anche perché l’Alto Friuli non sarà più unito, o forse qualcuno di noi – soprattutto del gruppo dei giovani – si era illuso che l’Alto Friuli in qualche misura fosse già unito quando in realtà il dato referendario ha dimostrato una nettissima spaccatura tra Carnia e “resto del mondo”. Ci arrabbiavamo quando sentivamo che i furbi del “no” parlavano di “provincia di Tolmezzo” o “Provincia della Carnia” perché in tutta sincerità ci sembrava un insulto nei confronti delle altre zone del territorio che Carnia non sono. Rispetto profondamente coloro i quali hanno scelto di esprimersi nel senso di rimanere uniti alla Provincia di Udine. Lo scenario che si prospetta ora però non è proprio così limpido come lo dipinge il conte di Strassoldo. La Carnia di fatto si è espressa un maniera diversa e la vittoria del “si” è inequivocabile. Questo è significativo anche sul piano politico perché testimonia come in realtà il senso di autonomia politicamente trasversale espresso a suo tempo dai sindaci e dai consigli comunali sia sostanzialmente aderente al sentire della gente. Il fondamentale principio di autodeterminazione dei popoli e la forte richiesta di autonomia non possono essere messi in discussione e nemmeno ignorati. La Carnia ha dimostrato per l’ennesima volta di avere un’anima che propende per l’autonomia, amministrativa naturalmente, del proprio territorio. La Carnia ha dimostrato di essere forte e orgogliosa, così forte che purtroppo ha spaventato tanto i vicini Tarvisiani quanto i Gemonesi che hanno votato di conseguenza. Una cosa è certa: col referendum non è finito nulla, comincia ora la lotta per quello che è giusto per questa terra, solo che ora lo faremo da carnici per i carnici e sapendo con certezza che la gente lo vuole. Marco Pedrazzoli
Riflessione
post referendum di Giovanni Canciani (int.
25) “Passata
la festa gabbato lu santo”, così recita il popolare proverbio partenopeo. Le
prammatiche dichiarazioni del Presidente della Regione e del Presidente della
Provincia sul ritorno alla normalità dopo l’avventura del referendum, hanno
lo stesso sapore delle parole del cardinale Gaetani che dopo la morte di papa
Giovanni XXIII, sognando la restaurazione aveva chiamato “Santa pazzia” lo
spirito riformatore del grande papa. La “festa” in Carnia è tutt’altro che passata, e la “Santa Pazzia” è appena ai suoi inizi. Le retoriche e a volte sarcastiche conclusioni di alcuni articolisti, hanno fatto un brutto conto senza l’oste. La solidale dimostrazione del SI’ della Carnia e l’unità dei suoi sindaci, ha dato uno splendido esempio di civismo e di dignità come mai non si era verificato in passato e un chiaro monito a chi sotto, sotto, sopporta la montagna come un peso o un molesto parassita. Riguardo poi la “spaccatura” che fa tanto chiasso, chi l’ha creata se la tenga sulla coscienza, perché adesso la Carnia si sente tradita e vive nel rancore e nella diffidenza sia verso i Canalini che i Gemonesi. La costante tiritera dei politici del No sui disastri economici in cui sarebbe incorsa la nuova provincia, ha finito per calpestare i sentimenti e le aspettative di un’etnia che al di sopra del pur necessario pane quotidiano, cerca nel ricordo del suo passato quella storia di coraggio, di costumi e di cultura che i suoi padri, poveri di mezzi materiali ma ricchi di fede crearono, generando quei personaggi che sotto il nome di Jacopo Linussio, Nicolò Grassi, Federico Pustetto, Nicolò Craighero, Michele Gortani e Pio Paschini, resero illustre il Friuli in tutta l’Europa. In poche parole “l’esse est reminisci” tanto caro ai filosofi fa parte della Carnia, perché veramente “ il ricordo” è la più bella delle esperienze umane. Esistere significa ricordare, questa la traduzione dell’esse est reminisci latino, ed i carnici insieme al passato, ricordano anche i torti del presente e si sono “segnati dietro l’orecchio”, i nomi e cognomi di quei politici che con la discordia hanno originato l’insuccesso, aggiungendo al trionfalismo anche l’ironia. Ma c’è un “redde rationem” per tutti, e i colpi di coda alle consultazioni elettorali, sia amministrative che politiche saranno imprevedibili, a cominciare da quelle dietro l’angolo. La possibile nuova provincia cassata dagli adoratori delle regole economiche, alquanto frettolosi e di poca fantasia, poteva essere uno straordinario e nuovo esperimento di gestione del territorio, dove l’integrazione tra uomo ed ambiente, supportata dalle scuole dialettiche della fantasia (liceo classico, artistico, musicale e facoltà universitarie inerenti) avrebbe portato a un diversa valutazione ed atteggiamento sia delle risorse intellettive economiche e sociali che dell’ambiente. Il Grassi e lo Zanon identificarono l’integratore “ homo novus “del 700’ in Jacopo Linussio, il genio dell’industria che si era fatto da sé. E parlando di lui nelle sue memorie il Grassi lo addita così alle generazioni future: “ Ma se poi è vero, com’è incontestabile, che le arti sono quelle che rendono le Nazioni ricche e colte e che dilatano la loro potenza, chi mai rese più cospicua detta terra di Tolmezzo quanto Giacomo Linussio,..Egli fu che in pochi anni stabilì la più grande manifatture di tele, che si sia in Europa..” Pochi anni per creare un’impresa con 30 mila dipendenti, inventare l’indotto, una moneta interna e una sorta di spaccio a prezzi agevolati (che oggi chiameremmo supermercato) per spenderla, e quella straordinaria rete commerciale che toccava l’Europa, la Russia, l’Egitto e l’America. Anche se i tempi sono cambiati, l’attualità del personaggio resta indiscussa per la capacità che ha di riproporsi come modello di intelligenza colta, mecenatismo, intraprendenza e laboriosità, pari al suo elegante e dignitoso senso pratico di moderno imprenditore che rifiutava la nobiltà offerta dal doge,in cambio dell’esenzione tasse e del libero mercato dei suoi prodotti in tutto il territorio della Serenissima. Paradossalmente parafrasando l’homo novus con una Carnia Nuova o meglio con una Montagna Nuova, qualsiasi tentativo di integrazione esterna per impedirne il declino farà naufragio come tutti i provvedimenti e le leggi sulla montagna. Solo le istituzioni sul posto, surrogate dalla tenacia e dalla fiducia che i Carnici hanno da sempre, potranno far rinascere quel substratum culturale che è premessa indispensabile allo sviluppo della fantasia, della creatività e della volontà intesa come misura di tutte le cose, nel “divenire” appunto, di una nuova positiva primavera del popolo della montagna. Una primavera che desidererei anche per la Val del Torre e del Natisone che ridotte dallo Stato a dimenticate periferie montane prima, e trascurate poi dalla Regione e dalla Provincia, vivono con la Carnia il degrado del territorio e l’esodo dei suoi abitanti. Rivolgendo poi l’attenzione al fronte del no, desta meraviglia che Gemona, l’Assisi del Friuli, in passato centro di spiritualità di tutto il nostro arco alpino, abbia dato un “ ostrakon” così deciso alla causa dell’autonomia della montagna. E’ proprio vero che i tempi sono cambiati! Se anche fosse ritornato Sant’Antonio a parlare ai sindaci del gemonese al posto di Disetti, il Santo sarebbe finito sulle rive del Tagliamento a predicare ai pesci, come fece a Rimini. La “ Perfetta Letizia “, tanto cara al francescanesimo, trasferita dalla sfera trascendente a quella immanente dai predicatori del no, risiede ora nelle promesse del benessere materiale e nei teoremi dell’economia, che funzionando bene dovrebbe aprire la strada all’eden della felicità. E’ nel calo generale dei valori etici ,spirituali e religiosi di questi tempi che la tranquillità economica trascendendo anche l’aspetto sociale della solidarietà, sta trasformando in carne di porco ogni cosa, finalizzata com’è all’edonismo egoistico di parte da sempre nemico della libertà e da ogni forma di affrancamento. Ai “Canalini” poi del Tarvisiano e della val del Fella che hanno detto no, nella speranza che le cose migliorino rimanendo attaccati alla mammella di Udine, ricordo che il verbo “promitto“ vuole l’infinito futuro e che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Le illusioni alle volte alimentate dalla speranza possono aiutare a sopravvivere, poiché come scrive il De Mestre, per l’illuso diventa vero tutto ciò in cui vuole credere. Le disillusioni al contrario rappresentando il crollo delle certezze, portano la disperazione, ossia la perdita della speranza, l’ultima dea alla quale si aggrappa chi sta per morire. Piani ,progetti e promesse molte volte hanno il sapore dei debiti che sono facili da fare ma così lunghi da estinguere. Mi auguro che i “ Canalini” abbiano visto giusto e che gli anfitrioni ispiratori di questa scelta non vengano meno ai loro propositi perché come scrive Publilio Siro nelle sue “ sententiae “, la fiducia è come l’anima che ahimè, quando se n’è andata non torna più! Esaminando poi la vicenda referendum dal punto di vista politico, non si può fare a meno di constatare al riguardo, lo sbiadito atteggiamento dei partiti sia quelli del pro che quelli del contro. Scontato che Alleanza Nazionale abbia obbedito “more aciei” agli ordini ricevuti dall’alto, non si capisce il silenzio di quei partiti che da sempre si sono battuti per le minoranze etniche, le ingiustizie sociali, i degradi ambientali ed il regionalismo. Segno questo di stantio, di decadenza di una politica friulana obsoleta e incolta che vestito il saio del mendicante è succube di una politica nazionale altrettanto vuota e priva di ideali. Il piccolo fatto di cronaca del referendum vittorioso in Carnia, dovrebbe far riflettere, poiché la Carnia tenendo accesa la fiaccola della sua identità manda un messaggio a quel Friuli che la sta perdendo e a quei politici che non sanno che anche la politica è un’arte, e che quando è arte la prima cosa di cui si occupa è proprio dell’anima del popolo che amministra, del suo sentire, del, suo modo di intendere la vita ed il significato della medesima nella ricerca del bene, del bello, del trascendente e delle molteplici forme della felicità. Questo l’ha capito Illy e non l’hanno capito i partiti e l’Amministrazione Provinciale di Udine. Il sottovalutare da parte della Provincia, almeno per quanto riguarda la Carnia, l’aspetto etnico-affettivo delle sue rivendicazioni è stato un maldestro passo politico, perché la Carnia non aveva mai pensato la nuova provincia come secessione da un Friuli che ama e di cui si sente parte, ma piuttosto come un’istituzione in cui affermare la propria capacità creativa e gestionale su un territorio che per funzionare ha bisogno del coinvolgimento di tutta la popolazione che lo abita, quel popolo della montagna abituato a guardare i problemi dall’alto delle sue vette e non dal basso verso l’alto. Caduta col NO del referendum, la provincia istituzionale dell’Alto Friuli, La Carnia applicando il proverbio “meglio soli che male accompagnati” ha dato il via alla “provincia ideale”, che risiedendo nell’intelletto dei cittadini che la desiderano nella sua astrattezza diventa quella fortezza inespugnabile che è il mondo delle idee. In concreto però sta già prendendo forma e corpo anche il movimento giovanile carnico per la riscoperta e divulgazione di quei diritti e privilegi che la Carnia dell’autonomia ha esercitato e goduto dall’anno 1100 all’avvento di Napoleone. Nel programma del movimento oltre il lavoro di sensibilizzazione verso la provincia ideale, sono previsti a livello dei cinque canali che costituivano la provincia storica del passato, corsi di cultura riguardanti la storia, la scienza del territorio e l’imprenditorialità. Simbolo e bandiera araldica del nuovo sodalizio faranno riferimento all’insegna araldica del Patriarcato d’Aquileja, della Serenissima e di S: Ilario, patrono della Carnia mentre il 21 marzo, giorno del referendum sarà celebrato ogni anno come l’ INDIPENDENCE DAY della Nuova Provincia.
Giovanni
Canciani
Provincia della Carnia Sabato 25 settembre 2004,
in Sala S. Giacomo a Paluzza, si è ritrovato oltre un centinaio di persone
provenienti da tutta la Carnia. Uomini e donne di ogni sponda politica e
sociale, uniti e compattati da un unico scopo: riaffermare l’autonomia della
Carnia, richiedendone l’istituzione della Provincia. Tutto questo a distanza di
sei mesi dal referendum del marzo scorso, che, nonostante la sconfitta
numerica in termini assoluti, aveva evidenziato un aspetto inedito e
importantissimo: il 73 % dei carnici vuole l’autonomia amministrativa,
suggellata dal SI di 27 comuni carnici su 28 (unica eccezione Rigolato). Partendo
da questo ORGOGLIO DEL POPOLO DEL 73%, il coordinatore Claudio Pittin
ha aperto l’incontro, auspicando una ricalibratura ed una ri-partenza del
progetto proprio da questo 73% che segna un punto di avvio storico. Il
vicesindaco di Paluzza Mario Flora ha fatto gli onori di casa, leggendo
un breve intervento scritto inviato da Marino Plazzotta, coordinatore per
la Valle del But ed impossibilitato ad intervenire, in cui si auspica nuovo
entusiasmo e nuova determinazione per questo nuovo progetto. Pre
Titta Del Negro, parroco di Paularo ed unico sacerdote di Carnia presente
all’incontro, ha tracciato un breve excursus degli avvenimenti degli ultimi 4
anni, partendo dal Convegno diocesano sui problemi della Montagna tenutosi a
Tolmezzo nel novembre 2000; ha avuto parole di biasimo per i carnici
“traditori” (quelli cioè che si espressero “contro” la provincia) e non
ha risparmiato critiche al comportamento incoerente della Chiesa che pretendeva
da altri l’ autonomia per la Carnia quando essa stessa non la concedeva (e non
la concede). Franceschino Barazzutti di Cavazzo ha esordito con un deciso attacco al
governatore del FVG Illy per la sua scarsa perspicacia politica non avendo egli
tenuto nel debito conto la volontà del 73% dei carnici; ha poi proseguito
esortando il Comitato a porsi “davanti” alle istituzioni, a stimolarle, a
pungolarle, a trainarle verso la richiesta della provincia della Carnia, non
potendosi attendere nulla di positivo dai partiti e dagli apparati di governo. Giorgio Ferigo di Comeglians ha svolto un breve flash storico
incentrato sulla critica della eventuale nuova bandiera della Carnia appena
presentata: non si può (ha sostenuto Ferigo) chiedere un’ autonomia
amministrativa e poi identificarsi con i simboli della passata sottomissione (il
riferimento era per il leone di S. Marco, per l’aquila asburgica e per il logo
del Linussio presenti sulla bozza dello stendardo carnico). Neppure il motto
CARNIA FIDELIS va più accettato, dice Ferigo e aggiunge: Fedeli a chi? Occorre
invece un simbolo che identifichi immediatamente la Carnia odierna, abbandonando
gli orpelli del passato e individuando invece una simbologia coerente ed
culturalmente efficace. Bruno Cosano di Enemonzo ha lamentato la quasi totale assenza dei
sindaci carnici presenti (solo 4 su 28) affermando che questo fatto è indice
della grave indifferenza di quelle istituzioni maggiormente vicine ai cittadini.
Occorre invece rafforzare ulteriormente quel 73% affinchè si rafforzi tra i
carnici la consapevolezza della propria identità e delle proprie legittime
richieste. Lino Not,
nuovo e applaudito presidente della Comunità Montana della Carnia e tra i
maggiori sostenitori nel precedente Comitato per la provincia, ha focalizzato
l’attenzione dei presenti sul suo progetto in fieri: quello della elezione
popolare diretta dei componenti della CMC in modo da giungere ad una Istituzione
elettiva di I grado, tappa assolutamente ineludibile per raggiungere poi altri
risultati (provincia regionale). Ha
suscitato molta meraviglia e curiosità l’intervento del signor Frezza,
sindaco di Tavagnacco (comune alle porte di Udine e quindi non in Carnia) il
quale ha giustificato la sua presenza all’assemblea con il fatto di essere il
sindaco del secondo comune della Carnia per popolazione, quello di Tavagnacco
appunto, che conta ben 4.500 carnici colà residenti; anche Frezza, dopo
aver raccontato alcuni aneddoti personali circa la sua carnicità, ha invitato a
tenere duro e a resistere e soprattutto a non vergognarsi di essere cjargnei. Selenati di
Sutrio ha esortato ad agire in ogni direzione e a non mollare mai la presa,
specie se questa presa appare giusta e legittima; altri interventi interessanti
si sono susseguiti nella serata fino alla conclusione che è stata sunteggiata
da Mario Gollino, presidente del nuovo Comitato per la Provincia della
Carnia, che proprio a Paluzza ha tenuto il suo battesimo e la sua
presentazione pubblica. Gollino,
dopo aver citato il prof. Daniel Spizzo della Università di TS per la
sua attenta ricerca socio-politologica incentrata sulla autonomia e identità
della Carnia, ha delineato i percorsi futuri del Comitato, auspicando la
costante collaborazione di ogni cjargnel fino al raggiungimento del scopo
finale: la PROVINCIA DELLA CARNIA, la cui realizzazione non è certamente dietro
l’angolo, considerando soprattutto la impossibilità attuale di modificare
favorevolmente la legge regionale sulle autonomie. Il
finale ha visto l’approvazione unanime del progetto politico di richiesta
della PROVINCIA DELLA CARNIA ed un tributo di applausi è stato infine
indirizzato al maestro Giovanni Canciani, autore dell’inno della Carnia
Carnorum Regio. 2° tappa verso la Provincia della Carnia (int. 27) Sabato 30 ottobre 2004,
presso il Centro Culturale di Ovaro, si è svolto il 2° incontro (dopo
quello di Paluzza) del nuovo Comitato per la Provincia della Carnia con la
popolazione della Val Degano e Val Pesarina. Ad
ascoltare i relatori vi erano oltre 120 di persone. L’incontro è stato
presentato da Renzo Micoli, membro del Comitato, che, dopo aver
illustrato i fini di queste serate, ha dato la parola al sindaco di Ovaro e
Presidente della nuova CMC, Lino Not, il quale ha nuovamente ribadito che
attualmente è difficile pensare di ottenere una CMC ad elezione diretta
(incostituzionale?) e che è preferibile contrattare con la Regione FVG i
termini della futura autonomia, proprio ora che si va discutendo in Consiglio
regionale il Nuovo Statuto delle Autonomie Locali; “E i tempi- ha detto Not-
potrebbero essere lunghi”. Ha
preso poi la parola il relatore ufficiale, il prof. Daniel Spizzo,
dell’Università di Trieste, il quale ha presentato un suo lavoro-ricerca
intitolato QUALE AUTONOMIA PER LA CARNIA? (che verrà presto messo a
disposizione di tutti su questo sito, da dove potrà essere scaricato). Spizzo
ha tracciato un breve ritratto della identità carnica degli ultimi 60 anni,
affermando che il referendum del 73% ha dato forte impulso a tale
percezione identitaria e che di questo occorre tenere conto, “travasando”
questa identità ritrovata nel nuovo statuto della CMC; assumendo come strumento
metodologico il tipo di lavoro del precedente comitato; riallacciando il dialogo
con la Provincia di Udine; sostenendo e preparando le nuove leve
politico-amministrative carniche con adeguata e costante formazione culturale;
recuperando i sindaci che, dopo essersi impegnati a fondo nel referendum,
si sono poi clamorosamente defilati senza motivo (ed erano del tutto assenti a
questo incontro, tranne il sindaco di Prato e il vicesindaco di Paluzza). Dopo
Spizzo ha preso la parola Mario Gollino, anima del Comitato, che ha
ricalibrato le posizioni rispetto alle richieste che si andranno a fare in
Regione. Sono infine intervenuti alcuni del pubblico presente in sala. Ha
iniziato Gianni Gardel di Arta (albergatore) criticando l’assoluta
assenza di coordinamento in ambito turistico ed auspicando una maggiore tensione
nelle richieste alla Regione FVG. E’
stata poi la volta di Franceschino Barazzuti (esponente di spicco della
vecchia sinistra, per 18 anni sindaco di Cavazzo e tra i padri fondatori del
carrozzone CMC del 1972), il quale, con la solita verve oratoria tribunizia ma
efficace, ha dapprima criticato le incertezze e le titubanze di Not ed alcune
“dimenticanze” di Spizzo ed ha poi puntualizzato diversi aspetti già
esposti a Paluzza: il Comitato deve porsi al traino delle Istituzioni, il
Comitato deve chiedere alla Regione FVg l’autonomia e la modifica della legge
regionale istitutiva delle province proprio ora che si sta discutendo il nuovo
statuto delle Autonomie, il tempo lavora contro la provincia della Carnia,
occorre più determinazione e meno incertezze perché l’autorità degli eletti
viene dal basso e non si deve fare affidamento sugli uomini istituzionali,
seppure carnici, sia di destra che di sinistra, proprio perché essi fanno parte
del sistema… Sandro Cosano di Enemonzo ha invitato tutti a rimboccarsi le
maniche e ad essere apostoli di queste nuove proposte di autonomia tra la
gente. Aurelia Bubisutti di Tolmezzo ha nuovamente ribadito la necessità
della elezione diretta del nuovo Istituto che andrà a nascere. Alfarè di
Prato ha suggerito un maggiore coordinamento con altre realtà
territoriali della Regione per muovere tutti uniti verso lo scopo di modificare
la legge regionale sulle province, che potrebbe tornare utile anche ad altre
realtà regionali. Pittin ha
nuovamente sottolineato l’importanza di quel 73% di SI espressi dalla
Carnia nel referendum, sul quale occorre costruire le prossime azioni di
pressione e di propaganda. A tutti hanno poi risposto Not, Spizzo e Gollino, il
quale ha comunicato di aver già pronto l’emendamento per la modifica della
legge regionale sulle province, ma che occorre trovare i 2/3 del
consiglio regionale pronto a votarlo. All’unanimità
è stato approvato il lavoro del Comitato, al quale è stato affidato il mandato
di sondare tutte le possibilità per giungere ad un risultato positivo nel più
breve tempo possibile perché TEMPUS INESORABILE FUGIT. AMPEZZO- Terzo incontro di sensibilizzazione (int. 28)Sabato 18 dicembre
2004, alle ore 17, ad Ampezzo, in una sala del “Palazzo Unfer”, storica sede
della “Libera Repubblica della Carnia 1944”, si è svolta la terza
assemblea di sensibilizzazione e riflessione, organizzata dal
Comitato per la Provincia della Carnia: erano interessati gli abitanti della
valle del Tagliamento; la partecipazione è risultata inferiore ai precedenti
incontri. Le
prolusioni iniziali sono state tenute da: Romano Lepre (figlio del
senatore Bruno) il quale ha incentrato il suo intervento sulla possibilità di
riuscire a mutare le coordinate istituzionali della attuale CMC, con la introduzione
del suffragio diretto; tale modifica permetterebbe automaticamente anche
l’acquisizione di maggiore peso specifico sia politico che istituzionale.
Successivamente Daniel Spizzo ha illustrato la contraddizione della
Carnia che, vista dall’esterno, appare fortemente unita e determinata
nella difesa della propria identità, mentre invece, internamente, risulta assai
divisa tra paesi e vallate, spesso contrapposte e FRATERNAMENTE ostili; ha poi
lumeggiato i limiti-difetti maggiori dei carnici, costituenti essi stessi spesso
un grosso ostacolo al risorgimento generale di Carnia; ha infine auspicato una
progettualità a breve ed a lungo termine (specie sul piano culturale) in grado
di invertire questo trend negativo. Mario Gollino ha fotografato
l’attuale situazione politica regionale, caratterizzata da una stagione
determinante dal punto di vista legislativo, in quanto è in fase di definitiva
elaborazione il nuovo statuto regionale, avente valenza costituzionale, che
andrà a definire le nuove AUTONOMIE LOCALI. “Occorre fare presto dunque
– ha ribadito Gollino- perché i prossimi 6 mesi saranno cruciali per
la sopravvivenza della nostra idea di Provincia della Carnia”. Tra
i presenti hanno successivamente preso la parola: Agostinis, De Prato,
Nassivera, Spangaro, Cosano, D’Orlando, Pittini, Not ed altri ancora. I
motivi maggiormente emersi sono stati i seguenti: -
occorre fare pressing sulle istituzioni locali (CMC e Regione) affinchè
escano dall’equivoco e si impegnino seriamente a favore di questa Carnia
del 73%. -
occorre presentare alla Regione FVG una serio e articolato progetto di
autonomia per la Carnia, che recepisca tutte le istanze che, in queste
periodiche assemblee, emergono con sempre maggiore evidenza. -
Alcuni hanno chiaramente accusato i consiglieri regionali carnici
(Martini, Petris, Della Pietra, Marsilio; ndr) che non solo non partecipano mai
a questi incontri politicamente trasversali, ma neppure si impegnano attivamente
in consiglio regionale per portarvi le istanze della popolazione carnica. -
Alcuni hanno stigmatizzato la totale assenza dei sindaci di Carnia (27 su
28, si erano fortemente impegnati sul referendum), per i quali, non sussistendo
ora un diretto interesse elettorale, hanno abbandonato il treno dell’autonomia
della Carnia (per risalirvi magari in tempi utilitaristicamente migliori). Al
termine dell’incontro, sono stati presentati 4 modelli di BANDIERA DELLA
CARNIA (vedi la foto) che sono stati messi ai voti. E’ alla fine risuonato
l’inno della Carnia, il Carnorum Regio di Giovanni Canciani, che ha concluso
la serata, coronata dalle (pochine) libere offerte (in euro) dei partecipanti. CI VUOLE UN FOGLIO (int. 29) Mentre proseguono
(stancamente) gli appuntamenti periodici di sensibilizzazione nelle varie
vallate di Carnia riguardo al tema della PROVINCIA, dove si ritrovano sempre
quelli a fare la solita tautologia, si va sempre più avvertendo la
indilazionabile necessità di dover disporre di un FOGLIO in proprio per
DIFFONDERE CAPILLARMENTE gli argomenti e le tematiche che in queste riunioni
si vanno dibattendo. Questa necessità è maggiormente acuita dal fatto che la
stampa quotidiana locale, ancorché eludere o snobbare il problema, spesso lo
manipola nei titoli o gli concede spazi di periferia, sottraendolo praticamente
alla fruizione dei lettori. In questo modo, tutti gli sforzi che vengono
incessantemente compiuti per ampliare la platea dei possibili fruitori, il
tema della Provincia di Carnia resta sempre ghettizzato in una cerchia di
volenterosi carbonari o poco più, tarantolati dal quel 73% referendario. Da
qui dunque la assoluta necessità di dare vita ad un foglio (quindicinale,
mensile?) che sappia coagulare tutte le posizioni e le problematiche sul tappeto.
IL costo potrebbe essere sopportato con la pubblicità delle aziende
carniche più sensibili al problema, la diffusione sarebbe affidata ai volontari
ed ai sindaci (che finora se ne sono stati fin troppo defilati e
colpevolmente assenti o coperti). Insomma: dopo ALPE CARNICA, CARNIA DOMANI e
NORT (testate che qualificarono dei ben precisi e stimolanti periodi storici
di Carnia: vedi “Gotes di Cjargne”), nulla è più germogliato nel
campicello mass-mediatico carnico, per cui è ora di rimboccarsi le maniche e
darsi da fare per fare nascere una nuova pianta che tragga origine da quelle
illustri testate antenate… Tanto più che le pochissime televisioni
private locali carniche, dopo essersi indissolubilmente legate all’attuale
amministrazione provinciale di Udine (il cui pensiero a tal proposito è fin
troppo noto a tutti), non costituiscono più (purtroppo!) il veicolo ideale e
adeguato per diffondere il verbo della AUTONOMIA e del RISCATTO DELLA CARNIA,
che affonda impercettibilmente e inesorabilmente nelle sabbie mobili della
grande provincia di Udine che tutto inghiotte e tutto omologa nelle sue ricche
fauci. 21 marzo 2005 ANNIVERSARIO DEL REFERENDUM (int.
30) In occasione del I anniversario del
referendum indetto (e perso) per la costituzione della Provincia della Montagna,
il COMITÂT PE PROVINCIE DA CJARGNE, dopo i vari appuntamenti di
sensibilizzazione che si sono via via svolti nella vallate di Carnia, ha
convocato una conferenza stampa a Tolmezzo per ribadire la volontà di andare
avanti a tutti i costi con il progetto autonomistico, insieme alle le forze
politiche che si sentono solidali con questa idea e a tutti coloro (Enti e
privati, cittadini ed eletti) che percepiscono l’autonomia amministrativa
della Carnia come l’unico strumento per avviare il decollo di questa nostra
Terra. Il Comitato ha nel frattempo fatto
affiggere in tutti i borghi carnici un grande MANIFESTO (vedi sotto)
che focalizza il tema autonomistico come mai prima d’ora era avvenuto,
presentando per la prima volta in pubblico la bandiera della Carnia. Nel contempo a Comeglians è sorto
il MOVIMENT MONT che raccoglie il disagio e la voglia di reagire di un
manipolo di volenterosi che intendono dare vita ad un laboratorio di discussione
e di proposta a tutela della Carnia: hanno già diffuso capillarmente il volantino
del 73% (vedi a fianco) che esplica assai bene gli intendimenti
autonomistici del gruppo. Come si vede, in Carnia,
finalmente comincia a muoversi qualcosa di concreto e di positivo, nonostante
alcuni opportunisti cerchino in tutti i modi di frenare questo neonato movimento
popolare, che già lo scorso anno si espresse in quel mitico 73% a favore della
autonomia della Carnia. Auguriamoci che le Cassandre
domestiche, nella strenua difesa del proprio particulare, non arrechino
eccessivo danno a questa nuova e impensabile presa di coscienza della Gente di
Carnia…
21 maj
2005 PRIN CONGRES “Ce autonomie per Cjargne” (int. 31) Intune sale dal Hotel
GARDEL di Dimplan, metude a disposizion dal amî Gjanni, a si è tegnût il PRIN
CONGRES inmaneât dal Cumitât pa Provincie da Cjargne su diun argoment cetant
atuâl: Ce autonomie pa Cjargne. Dopo il falimentâr risultât dal
referendum dal 2004 (che in Cjargne però al à vût il 73% di favorevui)
tancj a sji erin dismenteâts dal dut il probleme da autonomie da noste Tiere, autonomie
ch’a ven di lontan: das fares e arimannies Longobardes, podopo dal Stât
Patriarcjn, passant par Vignesie, dulà che simpri las notes Comunitâts as
veve mantegnût une autonomie e une libertât uniches, troncades dal dut tal
Votcent prin da Napoleon e dopo dal Regno talian dai Savoia e dopo incjemò, tal
Nufcent, da Repubbliche Taliane. Cumò la Cjargne a sji cjate intune situazion di
sotanance a podeis masse lontans e masse pouc interessâts ai nostis
problemas. Par chest, tancj vuei (il 73% dai cjargnei) ai cjatin just
e onest reclamâ une AUTONOMIE par podei cirî di risolvi una aretratece e
un marum ch’ai stan montant simpri di plui. La
semlèe a è stade vierte dal salût dal sindic di Darte ch’al ere miôr
s’al stave cidin; nencje il President da atuâl CMC no mi à masse cunvint né
me né tancj atris. Splendide invezit la relazion dal president Mario Gollino
ch’al à fat un articulât esamp da situazione cjargnele passade e dal dì di
vuei, metint in clâr il lavôr ch’al è stât fat dal Cumitât in chest an
passât, ricuardant las tapes di un lavôr lunc, impegnatîf e dispes stracadiç.
Al à pontât i aspiets plui critics da situazion odierne e al à ufiert una
pusibile soluzion: l’AUTONOMIE MINISTRATIVE. Gollino al à ricevût il paluso
da ducj i presints ch’ai si sono riconossûts in tas sôs peraules. Dopo ai an
cjacarât: Bubisutti, Pascolat, Pedronetto, Marra e tancj atris incjemò. L’intervent
plui savorît però a mi è parût chel dal sindic di Tomieç, Cuzzi,
ch’al si è gjavât plui di cualchi claput das scarpes, otignint un coro di
consens da bande di ducj. Al è
stât aprovat infin il document finâl che Gollino al à comedât, tignint cont
das oservazions vignudes fûr da discussion. Tra i
politics, a erin presints nome doi conseirs regjonâi, Guerra (LN) e Della
Pietra (DS), e qualchi sindic cà e là (poucje ruobe insome…). Nissun
parlamentâr (and’è doi nome a Darte!), nissun provinciâl (vevino poure a
presentâsi?), nissun preidi (biade gleisie cjargnele) … Il
pinsîr ch’a mi è restât inclaudât intal cjâf al è stât chest: né
chei di Çampe (Illy e C.) né chei di Drete (Strassoldo e C.) ai vulin dânus
la AUTONOMIE: scuegnarin rangjâsji di bessoi, contratant miôr ch’a si podarà
cui parons dal vapôr ragjonâl e provinciâl, cuant ch’al sarà il moment:
sot elezions! Giorgio
Ferigo intant al
dave fûr un volantin dulà ch’al presentave criticamenti la problematiche das
aghes di mont, che as vegnaran gjavades a int di mont par iessi
“gestite” dai forescj (biele encje cheste, no?). In
code a la semblèe, a si è votât pai components dal nûf Comitât
ch’al vegnarà uficialmenti a sostituì chel vecjo, aromai scjadût, e ch’al
scuegnarà prontâ las tratatives pal 2006 cui candidâts provinciâi e politics
par otegni cheste benedete AUTONOMIE. Biele
encje l’iniziative di tirâ sot cualchi palanche, distribuint une tessarute
ch’a riprodûsj la bandiere da Cjargne e il test dal so Inno, chel di Giovanni
Canciani (come chi iodeis, Cjargne Online al à simpri vût bieles e buines idèes). In tal
tinel da sale, un brâf giovin di Paulâr, al ufrive biele roube fate in len,
ven a stai gadgets, a ricuart di chest MOMENT STORIC pa Cjargne: il Prin
Congres pa sô autonomie! Iò crout che cheste biele zonarde a resti une tape fondamentâl pa Cjargne ch’a cîr e ch’a vûl otegni la sô antighe autonomie, scliçade e soterade da masse timp e da masse int. a.e.
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