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TOLMEZZO
il Settecento
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Dopo il primo grande lavoro sulla Storia di Tolmezzo, del 1996 (lire 48.000) che raccontava le vicende dalle origini al secolo XVII, Claudio Puppini intese proseguire le sue ricerche per la storia del XVIII secolo; a questo scopo si era speso in ulteriori pellegrinaggi archivistici fino al gennaio 1998, quando fu sorpreso da una tristissima improvvisa e intransigente malattia (SLA), che lo condusse a precoce morte il 13 giugno 1999, a 58 anni.
Il materiale storico accumulato restò così inutilizzato ed in parte incompleto fino a che due colleghi suoi pari, Giorgio Ferigo e Claudio Lorenzini, non lo raccolsero per una revisione, ripulitura e definitiva stesura, realizzata nell'auspicato/auspicabile pieno rispetto dello stile e della visione storico-letteraria dell'autore.
Così il nuovo lavoro dell'architetto Claudio Puppini vede la luce nel 2001, a distanza di oltre 2 anni dalla morte del suo autore, avendo come santui il Ferigo e il Lorenzini.
Il caldo, breve e premuroso ricordo inizialmente tracciato da Tiziano Dalla Marta, a pag. 9, offre un chiaro succinto e vivace ritratto di Claudio Puppini non solo come uomo, architetto e scrittore ma anche con politico impegnato nella guida del PCI consiliare comunale degli anni '70, di cui Dalla Marta ricorda con affetto un sorprendente memorabile ed ininterrotto intervento oratorio durato ben quattro ore (dicesi quattro!).
La lunga premessa (ben 35 pagine) che precede il testo, non è, a mio modesto avviso, ciò che di meglio abbia finora scritto Ferigo (sua è la mano) per la verbosità, la prolissità, la contorsione, la pesantezza di un discorso spesso volutamente ed eccessivamente estetizzante, ricercato ("ferula...") e capzioso ("malcerto...") che anzichè spiegare e chiarire, a volte complica e disturba grandemente perfino un lettore ben disposto il quale, dopo queste 35 pagine, ritrova finalmente solo a pagina 51 la prosa più terrena e comprensibile di Puppini. In questa estenuante premessa, alcuni aspetti o vicende sono si chiariti, ma per il resto si ha l'impressione di leggere un altro libro o perlomeno "altre" storie (che poi non compaiono neppure nel discorso di Puppini), storie lette (e poi scritte) con gli occhiali dell'ideologia e del pregiudizio, essendo sempre teso ad evidenziare, Ferigo, da ateo-anticlericale quale egli si professa, gli aspetti più negativi o deleteri degli ecclesiastici ("canaglia pretesca", "monacazione"...) e ad enucleare, in maniera sferzante o irridente, quanto è più funzionale alla sua precostituita tesi o opinione politica o visione storiografica, limite questo di troppi intellettuali di sinistra "impegnati". E le frasi finali di pag 48 (richiamando l'incipit iniziale di pag. 14) tradiscono proprio la sua visione ed interpretazione marxiana della storia, quando dice che alla fine del Settecento il "terzo stato" tolmezzino, la borghesia, ha avuto la meglio su nobiltà e clero (!). La conosciuta prosa brillante di Ferigo cede qui a volte il passo ad una sorta di autocelebrazione od onanismo intellettuale che a tratti può irritare il lettore. Con Ferigo sono però totalmente d'accordo quando scrive a pagina 47: "...come i peggiori nemici dell'autonomia della Carnia siano, in ogni tempo, i carnici stessi".
Gli argomenti affrontati da Puppini nella sua opera "postuma" sono sostanzialmente quelli caratterizzanti il periodo preso in considerazione ed in particolare:
- i foresti, per i quali a Tolmezzo nel Settecento, furono approvati diversi provvedimenti per rallentarne l'arrivo mediante atti e deliberazioni che non sempre trovarono pratica applicazione. Si badi che a Tolmezzo ai primi del '700 aveva circa mille abitanti! Le solite liti tra originari (vicini) e foresti (adventici) riemergono in queste pagine e l'esosità delle quote di ingresso in comunità per questi ultimi stupisce ancora oggi...
- le tasse, con cui sopravviveva la Comunità tolmezzina, derivavano principalmente dal dazio sul vino che fin da epoca remota era tassato ben due volte.
L'elenco dei vari osti del paese e perfino la quantità di vino conservato nelle rispettive cantine offrono la misura esatta sia della meticolosa ricerca dell'autore sia soprattutto del fatto che anche nel Settecento a Tolmezzo si beveva, eccome !, al punto che il "bere" era diventata la prima fonte di cespite per le casse comunali (un pò come oggi con la benzina per la regione o lo stato).
- Il capitolo riguardante la scuola presenta le sue due tipologie (quella bassa, tenuta da un maestro di gioventù, che insegnava a leggere, scrivere e far di conto; quella superiore, retta da un precettore, che avviava gli scolari agli studi belli, umanistici); queste erano presenti in Tolmezzo dove tuttavia coesistevano i precettori privati, solitamente religiosi, assunti dalle famiglie più facoltose.
- la sofferta costruzione del ponte di legno sul Bût verso Caneva (di cui non si hanno alcun disegno nè tanto meno fotografie) che generò diatribe a non finire sui pedaggi;
- la costruzione del duomo di S. Martino, che impiegò tempo, manodopera e tantissimo denaro (e che venne definitivamente concluso nella sua attuale facciata solo nel 1930!);
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l'idea balzana di creare nientemeno che un Capitolo di canonici nella chiesa arcidiaconale tolmezzina pur considerando che già ve n'era uno a S. Pietro di Zuglio (soppresso poi da Napoleone, con buona pace dei tolmezzini);
- le continue diatribe e querimonie tra Arengo (assemblea dei capifamiglia) e Consiglio (ristretto gruppo di 20 ricchi aristocratici soci presieduta dal gastaldo di nomina luogotenenziale, dietro esborso di cospicua somma) che animarono la vita pubblica tumiecine dal 1770 al 1774;
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gli ultimi pievani del Settecento (con le altalenanti elezioni in giuspatronato e le contrapposizioni tra Terra di Tolmezzo e Curia);
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il catastrofico terremoto del 20 ottobre 1788 (27 morti, 46 case crollate, 173 disastrate, 247 emigrati su 1200 abitanti; danni per 85.000 ducati quando le entrate di un anno ammontavano a circa 1200 ducati che non sempre riuscivano a coprire le spese correnti; Venezia contribuì solo con 25.000 ducati suddivisi però in 10 rate annuali);
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il crollo della Serenissima e l'arrivo di Napoleone squassano dalle fondamenta la pacifica esistenza autonoma di Tolmezzo che diverrà terra di passaggio e di predazione di tutti gli eserciti in lotta...
Di questo affresco settecentesco di Tolmezzo, realizzato da Claudio Puppini e curato poi e messo in cornice da Ferigo e Lorenzini, mi sentirei di affermare che si tratta di una opera policroma che avrebbe voluto puntare in alto per dare una visione panoramica del secolo XVIII il più possibile ampia e esauriente; mi è parso però che una eccessiva presenza di microstorie, che si insinuano pervasivamente nella cronaca generale, a tratti richiami alla mente più le pagine locali del messaggeroveneto o del gazzettino, tanto sono pregne di minuzie e di fatterelli che, con la loro asfissiante presenza, rischiano di velare il grande corso della storia che a fatica si intravede sullo sfondo e che solo nel capitolo finale riemerge di nuovo con prepotenza. Ma probabilmente non si poteva fare diversamente perchè a Tolmezzo la vita era tale ed in questo libro si tratta comunque più di cronaca che di storia, la cronaca tolmezzina del Settecento appunto.
A volte una visione troppo ideologica porta anche Puppini a illazioni personali non suffragate da significative prove (per. es. nelle elezioni dei pievani, sulla scuola...). A volte non viene spiegato a sufficienza il significato di una parola o di una istituzione, dando per scontato che il lettore "generico" sia in grado di comprendere...
Tutto sommato questo secondo volume della storia di Tolmezzo di Claudio Puppini appare meno esaltante e meno convincente del primo volume, per tutti i motivi sopraelencati.