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TE LO GIURO SUL CIELO
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Contrariamente a quanto afferma il sottotitolo, "romanzo", questo lungo e articolato ultimo lavoro letterario di Gigi Maieron è a tutti gli effetti una autentica sofferta e ragionata autobiografia che cresce e si svolge attorcigliandosi e compenetrandosi intimamente alla incredibile biografia di mamma Cecilia Boschetti, la cui "vita spericolata" sprigiona accecanti bagliori, libera assordanti tuoni, snuda sottili e taglientissime lame che vanno dritte al cuore del lettore.
Un sottotitolo adeguato avrebbe potuto essere "il romanzo di due vite" che ben si sarebbe adattato al suo contenuto. Mi è difficile, al termine di questa lunga lettura, peraltro brillantemente coinvolgente, riassumere in poche righe i tanti svariati temi che vi si trovano, ma la prima vera impressione è stata quella di trovarmi di fronte ad un lavoro multi tematico in cui la piccola (grande) cronaca domestica si intreccia con placidi affreschi paesaggistici; dove acute considerazioni sociali si mescolano a inattesi carotaggi psicologici; dove ricorrenti riverberi nostalgici vanno in risonanza con dolenti asprezze anamnestiche; dove improvvisi scoppi di sonore risate si alternano a prolungati istanti di sommesso trattenuto pianto.
Sinteticamente si potrebbe anche dire che in questo libro del 2018, Maieron riprende e sviluppa maggiormente i temi già toccati nel 2004 nella sua prima opera, "La neve di Anna", con una speciale anatomizzazione però sul versante materno che allora era stato solo lievemente sfiorato mentre qui viene sviscerato e analizzato in profondità.
Sicuramente non conoscevo affatto alcuni aspetti della complessa personalità di Cecilia, genio e sregolatezza (non saprei in quale proporzione) per parafrasare il Giuanin Brera; certamente un profilo, quello di Cecilia, che risulta di ardua interpretazione. Una interpretazione che si arrende e si arresta comunque sempre davanti alla sua inesauribile sete di libertà che la spinge a volte verso comportamenti spesso assurdi e incomprensibili, che la condiziona costantemente in ogni decisione, che la fa apparire ribelle insofferente e impermeabile a critiche e consigli.
Ma per ogni decisione errata, per ogni scelta azzardata, Cecilia è sempre disposta a pagare di persona perché è perfettamente consapevole che, essendo sola, solo lei è la responsabile delle sue azioni, non altri.
E questa sua solitudine interiore è la sua forza (perché lei sa di essere sola e deve reagire) ma anche la sua debolezza (perché non ha e non si attende aiuti). Da questa solitudine originano tutte le sue avventurose performances, tutte le sue incendiarie esaltazioni e tutte le sue dolorose sbandate. Sempre marchiate però da una orgogliosa dignità che mai viene meno ma che conosce perfino inattese punte di violente reazioni sia verbali che fisiche, in grado di trasformare Cecilia in un improvviso incontenibile ciclone.
Questa solitudine materna è stata fisiologicamente trasmessa al figlio Gigi che "ha avuto due padri senza averne uno", che ha avuto "come madre una figlia troppo giovane", che ha avuto "un fratello gemello mai conosciuto ma solo percepito", che ha avuto "nonni e bisnonni" ma non ha avuto una infanzia, una fanciullezza, una adolescenza adeguate alla sua vulnerabile acutissima sensibilità. Questo solipsismo se da un lato lo tormenterà a lungo, dall'altro costituirà la intima forza levatrice di un diuturno impegno musicale e letterario che dura nel tempo e che si è andato affinando e nobilitando negli ultimissimi anni massimamente sotto il poderoso maglio del dolore che con tempismo assoluto sa sferrare colpi micidiali che tolgono il respiro e il battito.
Il tema della famiglia mi è parso uno degli orditi portanti di questa avvincente trama: una famiglia che non c'è, che è stata spesso sostituita da obbligati succedanei, che comunque non è mai stata una famiglia "normale", ma che è sempre stata, forse non del tutto inconsciamente, desiderata invocata cercata.
Non a caso il figlio Gigi ne vuole una tutta sua e a soli 19 anni sposa Alessandra, che in questo lungo racconto mi è parsa come la stella polare che si è improvvisamente accesa nel firmamento oscuro di Gigi, illuminando una vita che era ancora alla angosciante ricerca del suo ubi consistam.
La Carnia, con il suo ineludibile seppur lento mutare postbellico, fa da fondale costante a tutte le scene in cui i personaggi si muovono con destrezza montanara e perfetta noncuranza, che non mi sono mai parse romanzate o di maniera, avendo il sottoscritto conosciuto moltissime delle persone qui amabilmente descritte e più amabilmente rievocate.
I formidabili anni Sessanta/Settanta riemergono in queste pagine con tutto il loro esplosivo potere seduttivo e ricollocano fatti esperienze sensazioni in una rinnovata memoria sia soggettiva che collettiva che fa assaporare il tempo passato con altre papille gustative, che generano un retrogusto di appena accennato fugacissimo rimpianto.
Una personale considerazione mi fa dire che il finale mi ha lievemente deluso perché aver eluso la malattia e gli ultimi anni di Cecilia, i suoi tormenti e le sue ansie ultime, credo abbia reso monco e incompleto un pur ottimo reportage della memoria, a meno che questa ultima parte di sua vita non costituisca già la traccia e la base del prossimo libro di Gigi.
La copertina non rende giustizia del vasto e diverso contenuto (sociale, storico e psicologico) pur appesantito a tratti da ricorrenti prolungati e pleonastici argomenti.
La finta sorridente coppia rappresentata in copertina, racconta infatti tutt'altra storia, una storia oleografica e patinata sembrerebbe, che in queste vissute pagine però non si ritrova affatto.
Ottimo sarebbe stato restare alla realtà, ponendo in copertina proprio la ultima foto interna che riassume e sintetizza emblematicamente l'intero racconto.
Chi ha operato questa scelta infelice, ha notevolmente danneggiato questo lavoro con un biglietto di presentazione spurio.