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La neve di Anna
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Martedì
1° giugno 2004, in una sala del Municipio di Cercivento, è stato presentato il
racconto autobiografico di Gigi Maieron, poliedrico autodidatta cantautore che
ha al suo attivo alcuni CD ed una precedente raccolta di poesie. Questo libro
viene pubblicato dalla Edizioni Biblioteca dell’Immagine di Pordenone (euro
12), nella Collana Chaos, che raccoglie una lunga serie di autori contemporanei
friulani legati a varie tematiche locali.
Questo lavoro di Maieron, che si legge molto volentieri per la
sua limpida scorrevolezza, può essere assimilato ad un grande e variopinto
mosaico, le cui tessere multicolori, rimangono adese e incollate sul fondo
mediante un singolare collante che, originando dalla spessa cornice che
lo circoscrive, scende e si insinua in ogni breccia, in ogni spazio, in ogni
fessura, fino a saldarle tenacemente tra loro.
Questo magico collante è la MUSICA, o meglio il mondo
imprevedibile e fascinoso della musica carnica la quale, prendendo le mosse
dalla tradizione folclorica secolare, viene dapprima a contatto con le nuove
espressioni moderne del rock degli anni ‘60, ne viene contagiata, poi
plasmata, poi quasi trasformata in un genere nuovo, di cui i vecchi musicanti
diffidano mentre i nuovi interpreti ne vanno fieri e ne sperimentano le
molteplici possibilità.
I MUSICANTI sono i vari attori di questa autobiografia,
attori che si presentano sul palco del racconto in diverse riprese, alcuni per
tutto il tempo della rappresentazione, altri solo per una esibizione, altri per
una fugacissima apparizione… Tutti sono animati e stregati dalla musica, per
la quale rinunciano a cose anche care, anche essenziali perchè tutti si sentono
pervasi da questa Musa che li soggioga e li fa muovere a suo piacimento.
Su tutti, spiccano le figure del nonno Pio, grande
suonatore di liron, e soprattutto della madre Cecilia, (Cicci per Luigi)
gran suonatrice di fisarmonica in Carnia, in Friuli e altrove.
Una Cecilia che, come la madre di Lucio Dalla, “compiva 16
anni quel giorno…” in cui ebbe Luigi e che con lui “giocava alla
madonna con un figlio da fasciare…”
anche se in realtà furono poi i nonni a badare al piccolo Luigi fin
dalla nascita e negli anni più cruciali dell’adolescenza, perché la madre
era ancora figlia e aveva spesso altro cui badare.
L’assenza del padre inizialmente ed un padre provvisoriamente
acquisito in seguito, segneranno per sempre il carattere di Luigi, che troverà
solo nella MUSICA il miracoloso unguento per la sua anima sensibile, resa
inconsapevolmente ancor più solitaria dalla perdita del fratello gemello mai
nato, mai conosciuto ma solo dolorosamente percepito in epoca successiva.
Le tessere più brillanti di questo policromo
mosaico restano a mio avviso
proprio quelle che propongono le note autobiografiche più intime, meno
conosciute, e per questo più vere e più capaci di toccare le corde più
recondite dei sentimenti del lettore.
Tra queste tessere del cuore, credo meritino un rilievo
particolare quella che descrive Claudio F., amico e interlocutore
privilegiato dell’autore adolescente, che non riuscirà a sopravvivere alla
sua Musa; quella di Peter, altro compagno di musica, che troverà poi la
morte in circostanze tragiche; quella di PBD che, pur nella sua
stringatezza, evoca una pagina da libro Cuore; quella del fratello Daniele
che in pochi cenni pennella i contrastanti, profondissimi e talvolta
incomprensibili legami tra fratelli; quella di Anna che si reca a piedi
in Austria per sorprendere il marito emigrante e fedifrago e se ne torna
colpevolizzata. Anche altri personaggi (pre Beline, Pakai, Gustavo di Prun,
Gjenesio, Matteo di Priola…) affiorano in queste gustose pagine di memorie e
di ricordi, che si accavallano e si alleggeriscono spesso con quadri anche
divertenti (come quello della casa di tolleranza abusiva organizzata a
Cercivento da un emigrante in Lussemburgo) oppure diventano lievemente seriose
per alcune considerazioni filosofiche sulla vita e sull’animo umano, che non
appesantiscono affatto il filo del racconto, specie se si valuta che la saggezza
dei vons viene tramandata oralmente di generazione in generazione.
Per chi ha vissuto quei favolosi anni ’60-’70, questo
libro autobiografico riaccende i riflettori su un’epoca storica
indimenticabile e unica, perché sviluppatasi in un periodo particolare in cui
la secolare indigenza carnica veniva a contatto col progresso tecnologico
americano che penetrava lento e inesorabile anche nelle nostre valli, creando un
cortocircuito inevitabile tra mondo antico e mondo nuovo, da cui
prendevano vita e legittimazione nuovi comportamenti e nuovi atteggiamenti, fino
ad allora estranei e inimmaginabili nel villaggio chiamato Carnia…
Nelle pagine finali l’autore si rammarica di un fatto curioso:
attualmente in famiglia (egli dice) dopo tre generazioni di musicanti, non c’è
più nessuno votato a questa Musa.
Maieron se ne duole ma non fa drammi. Lascia che sia il Fato a
progettare il futuro, come ha sempre fatto per il passato, dove Gigi
ha saputo, incredibilmente, ritagliarsi uno spazio tutto suo, sicuramente
aiutato e sorretto in questo da un amore (conosciuto a 19 anni) e da
una famiglia (splendida), che nel libro compaiono solo di striscio.
Ma forse questa sarà un’altra storia…