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LA STRADA DEL DESTINO
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Claudio Calandra ha voluto e organizzato questo suo ultimo lavoro come un ponte ideale con la sua prima fatica letteraria Do Svidania, dalla cui fine riparte per dare avvio a questa incredibile vicenda che ci riporta ai giorni nostri, alla attualità.
Un percorso che, pur avendo a tratti aspetti leggendari, si sviluppa in una viva realtà, che pare tuttavia delineata e quasi costruita da un fato sorprendente e a volte quasi capriccioso.
I personaggi, sia quelli reali che quelli di fantasia, si muovono quasi guidati da un destino che li sovrasta e che spesso pare prendersi gioco di alcuni, in un continuo vivace contrasto di abbagli e di chiaroscuri...
Lo sfondo principale resta la Carnia ma altre importanti scene si susseguono in un crescendo quasi misterioso tra Mosca, Washington, Napoli, Lienz, Peggetz...
Un romanzo da gustare con curiosità, perchè alla trama di fantasia viene associata una porzione di storia locale mai dimenticata. E se la fantasia nascondesse una storia vera?
Gabriele Burzacchini
ROMANZO E STORIA: LA STRADA DEL DESTINO
DI CLAUDIO CALANDRA
ABSTRACT
People usually follow what life provides consciously or unconsciously. This thought recurs many times throughout the novel by Claudio Calandra, La strada del destino, Reggio Calabria (Falzea Editore) 2018. The story unfolds mainly around painful events experienced by two women: a beautiful Cossack princess, Tamara, and her daughter Filomena who is involved in the spasmodic quest for the identity of her real father. The setting of the novel is the drama experienced by the Cossacks who were the German’s allies and had settled in Carnia which was the land that had been promised to them. However, at the end of the war the English consigned them to the Soviets in Austria, then they were sent to death or in internal exile causing an unspeakable pain to their families.
Sono molto grato alla Prof.ssa Licia Beggi Miani, Presidente della Sezione di Storia Lettere e Arti dell’Accademia, per l’invito rivoltomi a presentare l’ultimo romanzo di Claudio Calandra, La strada del destino. All’autore mi lega una lunga e solida amicizia da ben sessantaquattro anni, da quando, cioè, nel 1955 cominciammo assieme il Ginnasio-Liceo nella vecchia sede del “Muratori” in Via dei Servi. A dispetto delle vicissitudini della vita, che portarono lui a Milano, me a Bologna, Cagliari e infine Parma, siamo sempre riusciti a mantenere buoni contatti, rinsaldati da periodici incontri coi superstiti della nostra ex-III A. Claudio era un compagno modello: sempre gentile, elegante nei modi, rispettoso di tutti, simpaticissimo e arguto nelle impagabili battute sui condiscepoli e sui professori.
Ma parliamo di Calandra scrittore, che riscuote successi e fra l’altro anche, ripetutamente, lusinghieri apprezzamenti da un uomo di cultura come il regista Pupi Avati. Già dirigente d’azienda preposto alle relazioni esterne di importanti società, organizzatore di eventi di rilevanza nazionale in campo scientifico (medico e farmaceutico) e in ambito sociale, Claudio ha sentito il bisogno di comunicare ed esprimersi attraverso la scrittura. Ha dato così prova di sé con un nutrito manipolo di romanzi. I suoi libri non nascono mai dalla pura fantasia, scaturiscono sempre da esperienze di storia vera e di vita vissuta.
Il suo esordio risale al 1993 con Do Svidanija - I Girasoli di Boria (diverse edizioni, prima per Wichtig, poi per Memoria), racconto – con risvolti autobiografici – dell’occupazione del Friuli da parte dei Cosacchi nel 1944, con la toccante storia dell’amicizia sorta tra Claudio bambino e il piccolo cosacco Boria.
Segue Via dei Servi(Marsilio, 1999), libro selezionato al Premio Campiello del 2000: è la vicenda di Alessandro Brusantini, il protagonista, tra due Vie dei Servi, una a Reggio Emilia, da dimenticare, e una a Modena, una strada della borghesia ricca e arrampicatrice.
Libera di vincere(Piemme, 2012) è scritto a quattro mani con Manuela Di Centa, la quale racconta le vicende della sua vita e della sua straordinaria carriera olimpionica.
Bucce d’arancia sul fronte di Nord Est (Falzea, 2008; 2014) è un romanzo che celebra le portatrici carniche, eroine della ‘Grande Guerra’, che sfidavano i cecchini austriaci per portare munizioni, materiali, vettovaglie e conforto ai soldati in trincea; la trama contempla, tra l’altro, la storia d’amore tra la portatrice Sciulin ed il bersagliere siciliano Tano (così da realizzare un’unità d’Italia vera e senza pregiudizi).
L’arroganza del cuore(Falzea, 2010) è la storia anche drammatica delle vicende professionali e sentimentali che coinvolgono una donna chirurgo (Calandra, grazie alla sua pluridecennale attività manageriale, conosce il mondo dei medici come pochi altri).
L’ombrello a sediolino(Falzea, 2014) è un romanzo sul fenomeno della terza età che riscopre la passione amorosa; esso s’incentra sull’avvincente esperienza del generale in pensione Attilio Salievi, che si trova ad affrontare strategie non belliche, ma affettive, sino a poc’anzi per lui impensabili.
Solo cielo e soldati(2016) è una sorta di recherche du temps perdu; non per nulla a p. 6 c’è un’epigrafe a mo’ di motto, che suona: «La ricchezza della vita è fatta di ricordi, dimenticati» (Cesare Pavese). In effetti questo libro non è un romanzo come i precedenti (pur tutti ispirati a vicende esistenziali); piuttosto è quasi un diario, dove la vita vissuta tiene campo dall’inizio alla fine.
Veniamo infine a La strada del destino. La menzione del destino ritorna spesso come un fil rouge nel libro – ne ho contato circa venticinque occorrenze – a partire dalla citazione tratta dal I canto dell’Odissea, nella traduzione di Ippolito Pindemonte, vv. 48-51, posta in epigrafe a p. 10 (sono parole di Zeus): Incolperà l’uom dunque / sempre gli dèi! Quando a se stesso i mali / fabbrica, de’ suoi mali a noi dà carco / e la stoltezza sua chiama destino. La citazione omerica ben s’attaglia alla formazione ‘classica’ di Claudio. Il destino le persone non di rado, consapevolmente o inconsapevolmente, per una sorta di necessità – di ajnavgkh, come dicevano i Greci – lo assecondano. Scrive l’autore a p. 11: «Vero è che il destino cuce assieme il dove, il quando e il perché spesso con l’ago del nostro subconscio, prima ancora che con il filo di una casualità che è quindi il più delle volte solo apparente». Anche questo, come gli altri romanzi di Ca-landra, è tutto sostanziato di humanitas, di sensibilità e di autenticità storica, filtrate attraverso un’intelligenza vivida e perspicace. C’è anche qui lo stile accattivante di Claudio: limpido, diretto, capace di indagare con elegante finezza e semplicità gli stati d’animo più ‘umani’ e più vari, ora nella normale quotidianità, ora nel riflesso di singolari ed eccezionali vicende, e di sviscerare i sentimenti più diversi di quel guazzabuglio che è il cuore umano, con tutte le comprensibili sfumature di commossa sensibilità e di straordinaria delicatezza di Stimmung, nonché di vivace reattività al contatto con gli altri, col resto del mondo, con insospettate nuove esperienze. È un libro affascinante. Romanzo, sì, ma impiantato sullo sfondo di vicende storiche che Claudio conosce profondamente: il dramma dei Cosacchi già alleati dei Tedeschi, stanziatisi dapprima in Carnia nel 1944, poi, a guerra perduta, nel 1945 consegnati in Austria dagli Inglesi ai Sovietici e, se non suicidi nella Drava per sottrarsi alla vendetta dei Russi, da questi ultimi giustiziati illico et immediate se semplici militari, o, se ufficiali, impiccati a Mosca sulla Piazza Rossa, oppure, se popolazione civile, mandata al confino in Siberia a morire di sofferenze e di stenti, uomini, donne e bambini senza distinzione.
La storia attorno a cui si snoda il racconto è principalmente quella delle dolorose vicissitudini di due donne. La prima è una bellissima principessa cosacca, Tamara, figlia del principe Atamano Sergej (un personaggio influente, che vantava l’amicizia dei generali Krassnoff, Vlasov, Sultan) e di mamma Pasha, quest’ultima morta sotto i bombardamenti tedeschi di Parigi. Anche Tamara, già concertista di pianoforte in Francia, poi adibita presso il Comando cosacco in Carnia, all’inizio del romanzo risulta defunta da tempo per una malattia di cuore. A un certo punto della sua odissea, durante una tappa del suo avventuroso viaggio dalla Carnia fino a Napoli, era stata vittima di un feroce stupro di gruppo perpetrato da truppe americane di colore. La seconda donna protagonista è sua figlia Filomena, che, abbandonata a malincuore dalla madre subito dopo la nascita, si impegnerà poi nella spasmodica ricerca dell’identità del suo vero padre: l’indagine si risolverà positivamente negli ultimi capitoli del libro, con colpi di scena avvincenti come in un giallo, fino alla conclusione in una maniera che qui non rivelo, per lasciare un po’ di suspense e invogliare maggiormente a leggere l’intero libro.
Molti personaggi ‘minori’, ma tutti in vario modo rilevanti, compaiono nella narrazione. Cominciamo con gli italiani. Un certo ruolo ha il generoso partigiano Caruso, il figlio di Ciro e della Carletta. Alcuni personaggi sono solamente menzionati o poco più, come l’‘Ostetrica Coraggio’ Liliana Vanino Del Moro; il Dr. Santoro, che era riuscito a guarire Tamara dalla difterite; Suor Filomena; il parroco don Tarcisio; la sartina Almute, che coltiva la perenne memoria del fratello Nello, alpino dell’Armir morto in Russia; Tite da Sutrio, uno dei pochi sopravvissuti dell’Armir; la Mariute, ricordata per il suo stàvolo, una specola idonea ad appagare il voyeurismo di un manipolo di giovanotti ammiratori della Tamara; Lionello il fotografo. Ma i più importanti personaggi italiani sono soprattutto il buon Manlio, non immune da qualche paturnia, e la sagace moglie Gisella, alla cui casa, in Carnia, il comando cosacco aveva assegnato l’alloggio di Tamara; inoltre tutta quanta la loro famiglia: in particolare la madre ultranovantenne di Manlio, e la cugina Mariangela, capace di fare da interprete di lingua tedesca. Manlio e Gisella saranno coinvolti con Filomena fino alla fine nella ricerca dell’identità del vero padre di lei. Ma ci sono altri personaggi notevoli. Uno è un ufficiale della Wermacht, il maggiore Krauleman, che tentò di difendere Tamara dagli stupratori sparando con la pistola, ma venendo da loro ucciso. Altri sono personaggi russi: solo menzionata una danzatrice di nome Joan, protagonista di una romantica storia ambientata a Capri; solo ricordato pure il monaco profeta Avel’ Vasil’ev; ben più importanti, nello sviluppo del racconto, la guida/accompagnatrice russa Sasha, capace di parlare ita-liano soprattutto dotata di begli occhi, al cui fascino Manlio non appariva insensibile; e lo storico Vasilij, professore all’Università di Mosca.
Sia le protagoniste e i protagonisti del romanzo, sia anche le figure secondarie che vi compaiono (alcune realmente esistite), hanno in ogni caso tutto il crisma di un’assoluta verisimiglianza, perché di vicende del genere – si sa – ne sono realmente accadute. E Claudio, nel disegnare i suoi personaggi, riesce a delinearne i tratti più profondi dell’anima, del cuore e della mente, con una immedesimazione che avvolge il lettore e lo rende in qualche modo partecipe.
Molti sono i luoghi implicati nella narrazione. Di Parigi e della Francia già si è accennato. Un ruolo di primo piano compete alla Carnia, il promesso e mancato ‘Kosakenland’; ma poi, anche di passaggio, nel resto d’Italia figurano Firenze, Roma, l’Irpinia, Capri, soprattutto Napoli, occasionalmente anche Torino. In Austria Luggau, col suo Santuario dell’Addolorata; Lienz, dov’era stato il campo di concentramento dei Cosacchi prigionieri degli Inglesi; la Drava, con la sua corrente impetuosa; Peggetz, la sede di un cimitero cosacco; Spittal, il famigerato luogo di una conferenza/trappola, col pretesto della quale gli Inglesi consegnarono gli ufficiali Cosacchi ai Russi; Villach, la cittadina residenza di Emilian e Tatiana. Il viaggio in Russia di Manlio e Gisella – uno snodo nel segno del destino – investe in particolare Mosca; ma anche San Pietroburgo; Suzdal, col suo cimitero dei soldati italiani dell’Armir (visitato dal Presidente Cossiga nel ’92); e qualche altra località come Lomonosov; Peterhof; Vladikavkaz.
Leggendo il libro di Claudio facciamo conoscenza con vocaboli russo/cosacchi, come Atamano, nobile capo o comandante cosacco; cherkesska, l’uniforme cosacca; chotkij, una corda della preghiera (una specie di rosario). Impariamo anche qualche termine carnico, ad es. stàvolo (di palese derivazione dal lat. stabulum), in origine costruzione adibita a stalla o fienile, poi spesso riadattata ad abitazione o locanda.
Come specimen riproduco, per concludere, un breve brano dal libro (pp. 95-97), in cui Filomena, interpellata da Gisella, rievoca una visita compiuta con sua madre a Capri.
«Ma tua madre, Filomena, possibile che non ti abbia mai fatto cenno a quell’amore che tu consideri tanto vero, autentico, da attribuirgli il tuo concepimento? Possibile che non le sia mai sfuggito di bocca un nome, che non abbia mai fatto cenno a luoghi, a circostanze, che so, a una notte di casuali tenerezze, o di follia, di vodka…?»
«No, nessun nome, niente follie e niente vodka: mia madre non beveva! Ma una cosa mi viene in mente, ora che mi ci fai pensare, ed è quello strano discorso che mi fece a Capri una domenica di marzo, poco tempo prima che ci trasferissimo a Parigi.
Eravamo andate a visitare l’Isola, perché era un suo vecchio sogno, legato a quel libro che la madre di Manlio le aveva regalato e che lei aveva letto e riletto, immedesimata come si era nel personaggio di Joan, la danzatrice russa che per ritrovare un amore giovanile attraversa mezzo mondo, fino ad arrivare appunto a Capri. Poi sapete come quella storia va a finire: lui, quello spocchioso, la pianta perché si rende conto, dopo essersi divertito con lei a lungo, di amare un’altra, e lei, povera infelice, torna fra le braccia di quel fidanzato, diciamo così ufficiale, che aveva sempre considerato un ripiego, da tener buono, non si sa mai.
Bene, stavamo scendendo lungo una delle stradine che dalla Piazzetta portano al mare, quando lei si era fermata improvvisamente e indicando una casa se n’era uscita col dire: «Ecco quello doveva essere l’Hotel e quella la camera, il nido d’amore di quei due!» Poi facendosi seria, aveva aggiunto: «Lei lo ha amato alla follia, disposta a tutto, persino a farsi lasciare, purché lui fosse felice!»
«Un po’ come è successo a te con Michele!» mi venne allora da dire.
«Beh, non proprio. Tra noi è finita perché eravamo due caratteri forti, ma solo io disposta a cedere, a sacrificarmi per il bene comune. Poi è successo quello che sai e allora, davanti alla malvagità, non ho potuto fare altro che rispondere come lui meritava, cioè prendendolo a schiaffi! Comunque, quella Joan ha fatto tutto sommato la generosa an-dando sul sicuro, avendo cioè le spalle coperte da quel fidanzato per-bene, mentre io non avevo altre braccia in grado di consolarmi!» Un attimo di silenzio, per poi aggiungere con un sospiro: «Anche se c’è stato chi mi ha amato, e forse come nessun altro, accontentandosi di un attimo di amore, ma non me ne sono resa conto, temevo fosse per lui un capriccio e basta, come per me era stato solo un momento di debolezza. Amavo Michele, avevo nel cuore e nella mente un solo proposito, quello di raggiungerlo, anche in capo al mondo e a qualunque costo, ma poi la strada che ho dovuto percorrere è stata molto più dura del previsto e allora mi è rimasto inevitabilmente il dubbio che quella indicatami dal destino fosse un’altra strada, quella incrociata lassù, in quel paese della Carnia dove ero finita con la mia gente. Dicono che il destino ce lo cuciamo noi stessi addosso, ma evidentemente non sempre lo facciamo con l’ago e il filo giusti!»
Non so dirvi altro, perché mia madre non è più tornata sull’argomento e la nostalgia per Michele, che invece spesso traspariva dai suoi di-scorsi, ha impedito a me di farlo. Quello che per me conta è che il destino ha voluto che io sapessi di avere un padre, un padre vero, e allora non posso fare a meno di cercarlo, di arrivare almeno a conoscerne il nome: voglio svelare l’ultimo segreto della mia travagliata esistenza […]».
RIASSUNTO
Non di rado le persone, consapevolmente o inconsapevolmente, il proprio destino lo assecondano. Questa considerazione ricorre più volte nel corso del romanzo di Claudio Calandra, La strada del destino, Reg-gio Calabria, Falzea Editore, 2018. La storia attorno a cui si snoda il racconto è principalmente quella delle dolorose vicissitudini di due donne: una bellissima principessa cosacca, Tamara, e sua figlia Filomena, impegnata nella spasmodica ricerca dell’identità del suo vero padre. Sullo sfondo sta il dramma dei Cosacchi alleati dei Tedeschi, stanziatisi nel 1944 in Carnia, la terra che era stata loro promessa, poi, a guerra perduta, proditoriamente consegnati in Austria dagli Inglesi ai Sovietici, mandati quindi a morte o al confino con inenarrabili sofferenze per intere famiglie.
Gabriele Burzacchini
Acc. Naz. Sci. Lett. Arti di Modena
Memorie Scientifiche, Giuridiche, Letterarie (a.a. 2019)
Ser. IX, v. III (2019), fasc. unico