|
QUESTA LIBERTA' |
|
Se questo è un romanzo... mi verrebbe da dire (parafrasando un famoso titolo) dopo aver letto, con tristissimo affanno, la 172esima pagina di questo libro.
No, non è affatto un romanzo come comunemente si intende. Questo è, roncallianamente, il DIARIO DELL'ANIMA di un giovane uomo di 46 anni, che da esatti 30 anni convive in compenetrante simbiosi con il dolore.
Dolore fisico, dolore psicologico, dolore (forse anche) sentimentale, dolore sociale, dolore morale, dolore inteso in ogni sua immaginabile esternazione ed estrinsecazione.
Una osmosi totale con esso, al punto che PIERLUIGI CAPPELLO è lo sfavillante emblema del DOLORE; di un dolore consapevole (non sedato), di un dolore pubblico (non privato), di un dolore universale (non più personale). Ogni volta che penso a Cappello immoto sulla sua sedia a ruote, lo percepisco e lo sento come l'ambasciatore del Dolore, con la D maiuscola, quasi che il Dolore sia uno Stato (mentre è solo e sempre il suo stato).
Chi ha avuto dunque la pessima idea di sottotitolare "romanzo" questo libro, ha gravemente peccato di ignorante presunzione.
Dopo aver sgomberato il campo da questa ambiguità, riesce comunque difficile commentare adeguatamente queste faticose (per il lettore) pagine, che continuamente inducono al pianto ed all'ammirazione, alla commiserazione e alla esaltazione, in un saliscendi di sensazioni che a tratti (per il lettore) si fanno "insopportabili" o incredibili...
Mi addentro dunque in questa scrittura dell'anima, tentando di enucleare gli aspetti che maggiormente mi sono parsi più emergenti.
Cappello è, è nato poeta, non è prosatore. Tutti i grandi poeti sono degli scarsi prosatori
(si pensi solo, si licet, a Dante, Petrarca, Leopardi...) e viceversa: i grandi prosatori non sono affatto poeti (si pensi al Boccaccio, per dirne uno, ma anche ai grandi romanzieri russi o francesi dell'Ottocento; lo stesso Manzoni è più prosatore che poeta...).
Non credo che Cappello faccia eccezione a questa aurea regola: egli è poeta che si è fatto trascinare (da Rossi e Trevisani) nella prosa; da centometrista si è improvvisato fondista! (pag. 173).
Ma la sua prosa (questa sua prima prosa) sembra prosa ma, per lunghi tratti, non lo è: è vera raffinata poesia, ricercata poesia, una poesia che appare continuamente levigata, corretta, accarezzata, millimetrata: non faceva così anche il Petrarca che si portava appresso, ovunque andasse, il suo prezioso Canzoniere, che veniva continuamente e giornalmente ritoccato fino alla stesura definitiva finale? E quanti anni ci vollero?
Mi rendo conto che il paragone sembra azzardato, ma ho voluto
intenzionalmente utilizzarlo proprio per delineare la personalità letteraria di Cappello, un poeta che ama visceralmente la parola, la conosce e la soppesa come nessuno, ne gusta ogni sfumatura, ne assapora ogni anelito (pag. 27). E questo mi è parso il tratto peculiare di questa prosa poetica (ossimoro? neo-realtà?).
La letteratura e l'aviazione hanno rappresentato fin dai primi anni di scuola la invisibile calamita che misteriosamente aveva attratto Pierluigi...
Il sogno aviatorio si interruppe bruscamente il 10 settembre 1983.
Il sogno letterario spiccò il volo proprio il 10 settembre 1983! E non si arrestò più ma salì sempre più in alto, sopra le montagne e i fiumi, sopra gli uomini e sopra gli animali, sopra le piante, sopra le passioni e i sentimenti...
Per giungere a tali altezze però era indispensabile e necessario un assetto di volo perfetto e adeguato,
in grado di contrastare correnti ascensionali e bufere in quota, capace di stabilizzare l'ala e di tenere il timone, soprattutto di garantire adeguata pressurizzazione interna e apporto continuo di ossigeno...
Pierluigi scoprì subito che il suo ottimale assetto di volo era (ed è) uno solo: si chiama dolore.
Senza questo particolare assetto di volo Pierluigi sarebbe precipitato sfracellandosi dopo pochi minuti; con questo assetto di volo, riesce a compiere prodezze inaudite e impossibili agli umani comuni.
Fuor di metafora: senza questo dolore, continuo recidivante incombente minaccioso, Pierluigi non sarebbe assolutamente diventato il sensibile e raffinato poeta quale oggi egli è; non avrebbe raggiunto quella perfezione stilistica e tematica che gli sono proprie; non sarebbe stato in grado di far vibrare il cuore di una sempre più vasta platea di lettori/trici e ammiratori/trici; in una parola: sarebbe altro dal poeta che oggi conosciamo. Solo il torchio del dolore riesce a distillare poesia pura e questo già lo scrissi in altra precedente occasione.
In questo modo Cappello ha trovato nella letteratura la sua àncora di salvezza e nel dolore la insostituibile fune che lo lega ad essa!
Senza l'àncora, la fune sarebbe inutile incomprensibile e inservibile; senza la fune, l'àncora sarebbe una pleonastica zavorra in fondo a un mare in tempesta; Pierluigi ha saputo (faber est suæ quisque fortunæ) ancorarsi alla letteratura attraverso il dolore, mi vien da dire: per crucem ad lucem!
Questo DIARIO DELL'ANIMA non credo possa e debba finire qui; questa è solo la prima parte, forse la più comprensibile perchè immediata e chiara e chiaramente delineata nelle sue tappe fondamentali, che non ho voluto palesare per non rapinare il lettore di sensazioni vive e forti emozioni.
Ritengo che la SECONDA PARTE che verrà (e dovrà venire) ci mostrerà le ulteriori e pesantissime staffilate del Dolore che si accanirà ancora sulla carne viva di questo poeta, perfetta reincarnazione di un ancor più angustiato Leopardi nel XXI secolo.
Auspichiamo, anche da questa postazione culturale, che la Legge Bacchelli, da tanti illustri personaggi inutilmente invocata a suo favore, possa finalmente trovare adeguata applicazione. Non basta e non è sufficiente una Laurea ad Honorem: Pierluigi deve poter vivere con dignità, non sopravvivere con eccessiva e imposta austerità.