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IL PARTIGIANO GIANNI
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Si tratta di un romanzo storico di ampio respiro, pubblicato nell'ottobre 2012, in cui confluiscono elementi autentici di cronaca ed elementi di immaginazione, sempre comunque coerenti e verosimili nel contesto storico in cui sono inseriti, che aiutano anzi, senza deformarli, a meglio comprendere gli accadimenti narrati.
Questa del resto è la cifra ormai consolidata di Igino Piutti, che altrove ho già definito il “filosofo della storia” proprio per questo suo innato modo di maneggiarla, sicchè nelle sue mani acquista vita vivacità e palpitazione.
Davvero direi che Piutti, con il suo soffio poetico e immaginifico di autentico demiurgo, plasma modella e fa rivivere la storia, che altrimenti resterebbe fredda e asettica documentazione da maneggiare solo con guanti di lattice e mascherina…
Il periodo temporale in cui il romanzo si svolge è costituito da quell’ aggrovigliato triennio 1943-45, in cui accadde una molteplicità di avvenimenti in Carnia, che andarono via via configurando uno scenario continuamente mutevole e oltremodo complesso per la multifattorialità degli accadimenti e per le gravi conseguenze che ricaddero maggiormente sulla popolazione civile inerme, che si trovò suo malgrado in mezzo ad una lotta senza regole e senza quartiere tra partigiani da un lato e tedeschi, fascisti (e infine cosacchi) dall’altro.
Chi sopportò i maggiori danni e subì le più violente vessazioni fu proprio la gente comune che pagò sempre in prima battuta ogni azione (diretta o indiretta) dei due schieramenti contrapposti in campo.
Nelle file del movimento partigiano, oltre a persone di sicura fede patriottica e di cristallina onestà intellettuale (vedi Magrini), si annidarono anche personaggi loschi e ambigui, dediti più all’interesse personale che alla causa, come del resto capita sempre in simili frangenti.
E a volte sono proprio questi elementi negativi a occupare la scena, spesso in maniera deteriore o brutale, la quale poi viene magari ampliata e magnificata da altri, con il risultato finale di mettere in ombra (o addirittura di elidere) gli aspetti positivi e più nobili della lotta partigiana.
Probabilmente questo è avvenuto anche in Carnia e Piutti, inventando il partigiano Gianni (che a guerra ormai finita, roso dal rimorso e incapace di un percorso di autopurificazione, si impiccherà all’albero di casa), forse vuole rappresentare il paradigma di questa tipologia di partigiano anomalo che, pur non risultando aggregato ad alcun gruppo costituito, si autoregola a seconda delle necessità e spesso partecipa alle azioni di guerriglia assieme ai partigiani “regolari”, con una funzione a volte equivoca o chiaramente provocatoria che lascia davvero stupefatti e perplessi.
Piutti carica su Gianni, come su un capro espiatorio (con il preciso significato letterale che si dà a questa figura emblematica), tutte le vicende oblique note e meno note legate al movimento resistenziale e opera così una sorta di salvifica redenzione nei confronti del movimento stesso che, da questo romanzo, esce esaltato e quasi purificato da ogni scoria e da ogni errore, eventualmente commessi da alcuni propri affiliati. Non così accade per la parte avversa (i tedeschi ed i fascisti) la cui violenza e brutalità restano interamente a loro carico...
Il protagonista Gianni si muove con una personalità certamente fuori dal comune e va ad incarnare questa tipologia di partigiano, che opera e si muove tra i monti di Carnia, con una singolare conoscenza del territorio ed un contrastante e contrastato rapporto con la gente di paese, la quale rimane spesso equidistante tra le due fazioni di questa lotta che si trasformerà lentamente in guerra civile.
Le vicissitudini del movimento partigiano vengono qui rivissute attraverso le azioni, non sempre limpide, di questo protagonista atipico, che a tratti appare odioso, a tratti comprensivo; a volte generoso, spesso violento in una successione di scene che spesso lasciano senza fiato per la crudezza che si compie davanti agli occhi del lettore, il quale (ri)vede fatti noti (in una luce diversa e a volte accecante) e accadimenti ignoti (da un’angolazione privilegiata), perché Piutti riesce mirabilmente a proiettare un film avvincente e realistico (a volte fin troppo realistico) disponendo solo di un’arida serie di avvenimenti di cronaca che egli sa rivitalizzare con una capacità evocativa ormai affinata che fornisce sempre ottimi risultati quando, come in questo caso, egli sa rimanere entro la cornice storica considerata.
I dettagli di questo palpitante romanzo saranno scoperti dal lettore attento e curioso, che troverà in essi molti punti di riferimento per una messa fuoco di questo tragico periodo, su cui non è ancora sceso definitivamente il timbro della storia, la quale esige ancora molti accurati approfondimenti e precise ricerche documentali omnidirette, prima di apporre il proprio sigillo di autenticità.
Le note autobiografiche finali (tipiche ormai di questo autore) sono ottime e contribuiscono a imprimere una caratteristica di ulteriore veridicità all’impianto romanzato di questo libro, che ha il pregio di raccontare la lotta partigiana, nei suoi vari aspetti, con un approccio nuovo e coinvolgente, adattissimo alle nuove generazioni che (forse) non conoscono questa storia e (forse) non sanno o non vogliono più leggere (neppure la storia?), essendo ormai irreversibilmente catturate dalla tecnologia multimediale, ricchissima di pirotecniche e ammalianti novità ma poverissima (o addirittura priva) di contenuti.
Nota
Chi, negli anni Settanta del secolo scorso, lesse il romanzo di Beppe Fenoglio "Il partigiano Johnny" pubblicato postumo nel 1968 (edizione critica definitiva nel 1978), non può non fare un immediato confronto con questo romanzo di Piutti che, anche nel titolo, si richiama a quello. Grandissima fu la fortuna di quel romanzo sia per la la novità rappresentata nel suo genere (un partigiano, atipico per la comune vulgata, che incarna la Resistenza piemontese), sia per le lunghe diatribe sorte tra gli uomini di cultura circa l'attendibilità dei fatti storici narrati e mescolati con fatti immaginati, di cui giornali e riviste specializzate si fecero tramite. Forse Piutti, adottando lo stesso titolo, ha voluto riprendere il genere letterario di Fenoglio per adattarlo (e ci è riuscito perfettamente) alla situazione della Carnia.