FIORE DI ROCCIA

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Un ottimo e originale romanzo storico edito da Longanesi nel 2020. Importante per la Carnia.

Ottimo
dal punto di vista letterario perché esibisce una prosa asciutta e a tratti nervosa, fatta di frasi corte e taglienti, ricca di una brillante (a volte sofisticata) gamma di colori, raffinata e quasi volutamente ricercata nella precisa scelta delle parole (che a tratti però sconfina in compiacente capziosità), dotata di descrizioni ambientali suggestive, creativa per ricorrenti immagini evocative (anche se ogni tanto forzate), capace di alternare toni epici e drammatici a scene di crudo verismo. Una prosa dove non mancano tratti di pura poesia (intrecciare i tendini del rimorso per farne gabbie... pag 132;  fuoco azzurro che arde in strali di cristallo... pag. 154), impreziosita da puntuali reminiscenze letterarie che rivelano (forse con lieve autocompiacimento) il substrato culturale dell'autrice.

Originale
perché, pur riprendendo una tematica già brillantemente svolta da altri autori come Claudio Calandra, questo romanzo pare andare oltre, in quanto costruisce una struttura narrativa che, magari complessa o contorta inizialmente (e che richiede massima concentrazione e spesso una immediata rilettura), va poi aprendosi coralmente seguendo due avventure parallele sul medesimo teatro scenico che solo alla fine il Destino (e il lettore)  farà incontrare per un epilogo inaspettato e prima letterariamente mai sperimentato. Ed in questo sviluppo si inseriscono fatti e personaggi che vivificano e rendono palpitante un racconto che si tinge anche di (tenue) giallo quando sa suscitare attesa e sospensione... Non mancano particolari curiosi (il rame delle pallottole, i canarini nelle trincee...) che denotano la accurata ricerca storico-bibliografica dell'autrice che, prima dell' abbrivio, ha voluto anche andare in sopralluogo sull'intero teatro del racconto, confrontandosi con le persone competenti dei luoghi (per averne corretti riscontri) e con i luoghi stessi.

 

Un romanzo storico dunque imperniato sulle vicende delle portatrici Carniche della Prima Guerra mondiale, delle quali canta un lungo drammatico epinicio, ma anche un  romanzo in cui confluiscono altri essenziali elementi che danno spessore e varietà ad un racconto che non conosce cali di intensità: l'affondo psicologico dei principali protagonisti, il senso religioso e la opposta visione laica, i valori della famiglia, l'amicizia e l'amore nelle sue svariate sfumature, l'onore militare, la solidarietà, il microcosmo del paese, lo stupore riconoscente per la grandiosità dell'ambiente naturale circostante...

La trama del romanzo non può ovviamente essere svelata!
Ma Agata Primus (che racconta la sua storia in prima persona), Ismar (col suo parallelo racconto), cap Colman, dott Janes, don Nereo, Viola, Maria, Caterina sono i personaggi principali che si muovono con carnica naturalezza nella alta valle del But, tra Pal Piccolo e Freikofel, tra Timau Cleulis e Paluzza, incarnando il ruolo di altri personaggi veri, vissuti cento anni fa, alcuni dei quali furono ignoti attori in altre situazioni del Fronte Carnia ma che qui, sotto altro nome e con preciso espediente letterario, vengono riuniti in un più limitato spazio geografico e temporale (segnalato peraltro anche dall'autrice) per condensare nelle pagine di un unico romanzo gli accadimenti più singolari e significativi di quel periodo bellico sulle nostre montagne.

Si rilevano veniali incongruenze (di tipo storico e geografico) che nulla tolgono tuttavia alla economia del romanzo (è un romanzo) in quanto, venendo forse notate solo da chi vive qui e conosce bene l'ambiente carnico, appaiono pur sempre dettagli ininfluenti e secondari rispetto al grande affresco letterario che racconta il grande dramma (spesso sconosciuto) della violenta guerra di trincea e di quelle donne che, ormai oltre un secolo fa, ne furono insostituibile apporto.

 

 

 


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