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L'enigma delle 775
Sante Messe |
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Un tempo era prassi consolidata nella Chiesa cattolica che i sacerdoti più fortunati che vivevano nelle zone più ricche del Paese, aiutassero i confratelli in difficoltà economiche "cedendo" loro le intenzioni di alcune messe, con i relativi proventi. Si deve dire che fino ad alcuni decenni fa, un parroco viveva precipuamente delle offerte delle messe (ed anche dei funerali, matrimoni, battesimi...) e che tali offerte erano davvero consistenti (oggi ormai solo pochissimi fedeli fanno celebrare messe per i propri defunti o per altre occasioni, così che questo cespite economico può dirsi ormai del tutto inconsistente per il sacerdote moderno, che però è diversamente indipendente dal punto di vista economico soprattutto mediante la congrua "pensione" dello Stato).
Nell'800 dunque avvenne che un prete buono, don Leonardo Morassi, parroco di Amaro (gran cultore di botanica), trovandosi a vivere una situazione discretamente florida nel paesello carnico, decise di "cedere" ben 775 messe a favore di alcuni preti poveri ...
Si trattava, come ben si può immaginare, di una decisione di grande solidarietà, approvata dalla zelante Fabbriceria della parrocchia di Amaro. Ma: a chi "passare" queste messe con le relative offerte? E soprattutto: come farle giungere a destinazione? Ecco l'enigma che l'autrice tenta di spiegare, mediante accurate ricerche in loco, deduzioni, ipotesi e argomentazioni appropriate.
A chi?
Siccome don Morassi era anche un grande botanico che soleva raccogliere numerossime specie vegetali nel suo orto ed aveva contatti frequenti (sia epistolari che per interposta persona)
con vari sacerdoti della costa dalmata che gli facevano pervenire esemplari di rare specie botaniche marittime e montane del luogo, ecco trovati i destinatari della sua solidarietà, afflitti da una situazione economica cronicamente precaria e spesso al limite della sussistenza.
Come fare arrivare a destinazione le offerte?
Don Morassi, che fu in precedenza anche cappellano a Prato carnico, conosceva assai bene la "dinastia" dei fratelli Solari orologiai in Pesariis, perchè con alcuni di essi aveva avviato e poi mantenuto nel tempo tratti di consuetudine e familiarità. Orbene la ditta Solari, in quei fortunati decenni, era attivissima anche in Istria, Dalmazia
e Montenegro dove aveva installato numerosissimi orologi da torre in tantissimi paesi e città sia costieri che dell'entroterra. Ecco dunque a chi affidare le offerte da portare ai preti della Dalmazia affinchè celebrassero le relative messe quotidiane. Ecco dunque gli orologiai Solari viaggiare verso le coste dalmate e montenegrine portando seco orologi da torre e offerte per la celebrazione delle messe (a lire 1,15 cadauna) assolutamente senza alcuna intenzione simoniaca nè tantomeno tangentizia lubrificante (diremmo oggi).
Qui fa la sua comparsa l'autrice Maria Grazia Menegon, medico di origini carniche, che, stimolata dal papà Firmino (già sindaco di Amaro), dopo 150 dagli avvenimenti descritti, si mette in viaggio alla ricerca dei riscontri cartacei di queste allora preziose offerte carniche devolute a favore dei preti dalmati.
E' scrupolosa la Menegon, ostinata nelle sue ricerche, perseverante nella sua costanza: gira in lungo e in largo in Dalmazia e Montenegro, toccando paesi e città, raccogliendo documentazione precisa che conferma esattamente quanto nell'archivio parrocchiale di Amaro aveva già scoperto.
Ogni prete beneficiato dalla solidarietà di don Morassi, aveva infatti scrupolosamente annotato nel proprio archivio parrocchiale quanto aveva ricevuto e come aveva ripagato tale generosa offerta celebrando le messe pattuite. Un riscontro dunque meraviglioso che attesta la grandissima onestà di questi preti dalmati e la grandissima generosità della fabbriceria di Amaro e del suo parroco.
Ma la Menegon
va oltre la pura annotazione documentale: descrive i vari paesetti toccati, fa considerazioni a tratti poetiche a tratti sociologiche, tratteggia le figure di preti moderni incontrati, evoca quelli del passato, pennella paesaggi incantevoli... insomma è capace di trasformare una ricerca archivistica freddamente asettica in un viaggio dai toni lirici e nostalgici che si intrecciano con quelli seri e compassati della ricercatrice storica locale, dando così origine ad un' opera lieve ed estremamente godibile.
Si tratta dunque di un lavoro assai riuscito e ben congegnato che, nonostante la venialissima ripetitività di alcuni tratti nel racconto, rivela le doti letterarie di quest'autrice al suo esordio e il suo grande amore per il paese di origine, Amaro in Carnia e la sua propaggine... mediterranea della Dalmazia.