Giacomo Cappellari

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Negli anni ’80 del secolo scorso, l’ing. Elio Cappellari, a seguito di un colloquio con Cirillo Cortolezzis, tipografo in Paluzza, e su successiva amichevole sollecitazione dell'allora arciprete di quel paese, mons. Elio Monaco, espletò alcune ricerche sulla figura dello zio don Giacomo Cappellari (Sjiôr Barba), che raccolse poi in questo sobrio, quasi artigianale, volumetto di “Appunti” di 156 pagine, che fu stampato nel 1990 da Arti Grafiche Treu di Tolmezzo..Giacomo Cappellari nasce a Pesariis il 18.9.1864 da Osvaldo e Solari Maria. Entra in seminario e diviene sacerdote il 27.7.1890, non prima di aver mostrato eccellenti qualità di architetto e capomastro nella progettazione e costruzione di un altare ex novo nella chiesa del proprio paese d’origine. La famiglia Cappellari vanta già illustri precedenti nell’ambito ecclesiastico come don Giuseppe Cappellari (1772-1860), divenuto poi vescovo di Vicenza (e grande amico del Casato carnico Lupieri-Magrini), e don Mauro Cappellari (1765-1846), frate camaldolese, figlio di pesarini emigrati a Belluno (divenuto poi papa col nome di Gregorio XVI dal 1831 al 1846, predecessore del ben più famoso Pio IX).
La prima sede di missione di don Giacomo è Dordolla dove arriva come cappellano nel 1890. Qui in pochi mesi, quasi in preda ad sacro fuoco di attivismo pastorale, ripristina la chiesa parrocchiale dotandola di statue di santi di sua creazione, ricostruendo il campanile, abbellendo il luogo sacro con altre suppellettili, pitture e decorazioni realizzate personalmente. Successivamente viene designato a Vinaio di Lauco, ma una supplica dei parrocchiani riesce momentaneamente ed evitare una tale destinazione.
Nel 1896 però viene inviato a Rivalpo-Valle, dove fonda subito una “Società cattolica di Assicurazione del bestiame bovino e per lo sviluppo agricolo pastorizio”; poco tempo dopo fonda anche una “Società Cattolica di Mutuo Soccorso e Panificio Cooperativo in Rivalpo-Valle” e infine anche una “Latteria sociale di Rivalpo” che inizia anche a dirigere personalmente. Sa con passione ed intelligenza coniugare l’aspetto pastorale a quello sociale e solidaristico, che nei primi anni del ‘900 si diffonde in Carnia in maniera virtuosa e capillare sia nella sua espressione cattolica che in quella socialista.

 

Nel 1909 don Giacomo è destinato a Paluzza dove il suo attivismo trova un ambiente adatto e ricettivo. Infatti nel 1909 sorge la “Cooperativa di Lavoro di S. Giuseppe”, sollecitata dal nuovo parroco. La prima cosa che immediatamente egli realizza è la nuova cella campanaria e la guglia del campanile (pericolosamente cadenti) della chiesa di S. Daniele, di cui ristruttura anche il tetto. Ma pensa già a ben altro: la vecchia “chiesuola” (così egli la chiama) di S. Maria in Paluzza Superiore è fatiscente e indecorosa ed architettonicamente appare asimmetrica e goffa a causa delle varie aggiunte murarie arbitrarie avvenute nei secoli precedenti che hanno contribuito a renderla esteticamente deforme. La chiesa di S. Giacomo è troppo piccola ormai per il paese (in dì di voi a sares inveze masse grande par che int ch’a va a messe!) e si pensa davvero alla costruzione di una chiesa nuova, più ampia a funzionale. Tre sono le locazioni individuate per la nuova chiesa: in Centa (località S. Giacomo), in piazza Fontana e a S. Maria. Dopo attente valutazione e discussioni con i capifamiglia, si opta per la sede centrica ed elevata di S. Maria, per molteplici motivi. Don Giacomo si mette immediatamente al lavoro, studia e individua la planimetria edificabile e in breve tempo (6 marzo 1912) appronta un progetto minuzioso per il nuovo Duomo, volendolo realizzare in stile gotico a tre navate; descrive minuziosamente tutti i vari elementi architettonici che lo compongono; ne stila il preventivo di spesa voce per voce (che occupa pagine e pagine); compie una analisi dettagliata dei prezzi (che occupa pagine e pagine): insomma si muove come un perfetto architetto che conosce benissimo anche i fondamentali dell’ingegneria civile. Esegue anche il disegno del nuovo duomo in tutte le sue prospettive e addirittura costruisce un modello di legno in scala alto un metro, perfetto in ogni dettaglio che rappresenta sia la parte esterna che interna del nuovo edificio, poiché il modello è sezionato longitudinalmente. Resta aperto il problema della “chiesuola” di S. Maria esistente, sulla cui area dovrebbe sorgere in nuovo duomo: che farne? Don Giacomo intende demolire i tre quarti della “chiesuola” di S. Maria (quella priva di qualsivoglia interesse storico-artistico) risparmiando solo l’abside trecentesca affrescata che vorrebbe però spostare di alcuni metri per inglobarla in una cappella laterale del nuovo tempio gotico o nel coro: a tal proposito sviluppa anche un modello in scala sulla tecnica necessaria per tale spostamento. Ma la Sovrintendenza ai Monumenti di Venezia boccia questo progetto ritenuto costoso e di difficile realizzazione e ordina di lasciare in situ la trecentesca cappella di S. Maria. Don Giacomo, dopo vari ricorsi, si arrende e, molto amareggiato, medita di andarsene da Paluzza che abbandonerà effettivamente nel 1914. Il nuovo duomo verrà quindi riprogettato dall’ing. Ongaro (della stessa Sovrintendenza di Venezia) il quale lo svolgerà in linea romanica, inglobando la cappella trecentesca nella lusinghiera maniera in cui la possiamo ancora oggi ammirare. In questi stessi anni paluzzani, don Giacomo è alle prese anche con il progetto di ristrutturazione della antica chiesa di S. Antonio di  Mione (Ovaro) e il 15.11 1910 consegna al committente il progetto completo dell’edificio in ogni suo dettaglio. L’altro grande impegno di don Giacomo appena giunto a Paluzza è rappresentato dalla fondazione della SECAB. Il 25 giugno 2011 questa cooperativa sociale, in occasione del 100° di fondazione, pubblica tra gli altri, anche il volume "La Società Elettrica” di Andrea Cafarelli in cui viene ampiamente citato questo sacerdote.
Don Giacomo, negli anni in cui vive isolato tra i monti, si dedica attivamente ad una delle sue passioni preferite, l’erboristeria, raccogliendo e studiando una quantità enorme di erbe e piante medicinali con le quali prepara decotti e pozioni, di cui lascia una cospicua quantità di ricette manoscritte.
Non basta: oltre a grandi opere di architettura, don Cappellari si distinse anche nella catechesi: pubblicò infatti, sotto lo pseudonimo di pre Mino Taina, un volumetto intitolato “Brevi Lezioni Scolastiche” desunte dal compendio della dottrina cristiana cattolica, “esposta in forma popolare, ragionata, persuasiva e pratica ad uso dei figli d’Italia residenti all’estero e loro Circolo Giovanili” come si legge sul frontespizio dell’opera.
Quando poi fu trasferito all’Abbazia di Rosazzo, si applicò alla ricerca storica archivistica e documentaristica di questa vetusta sede cultuale friulana e scrisse un “Breve storia dell’abbazia di Rosazzo” per il XV centenario della morte di S. Agostino. In questa residenza visse la tragedia di Caporetto e l’invasione austro-ungarica; fu anche arrestato dai gendarmi austriaci per sospetto spionaggio. A Rosazzo visse come un eremita “leggendo gli antichi documenti, prendendo appunti, immergendosi in quei secoli lontani” come scrisse il suo amico vescovo Emilio Pizzoni.
Nel 1932 don Cappellari chiede di ritirarsi in un eremo camaldolese ma, a motivo dell’età avanzata, questo vivo desiderio non viene esaudito dal vescovo. Allora egli si rifugia a Pesariis, presso il fratello Tita, dove gli viene concesso di allestire una piccola cappella vicino alla camera da letto. Dice messa tutte le mattine, servito dai nipoti Luigi di 12 anni ed Elio di 8 (futuro ingegnere-direttore SEIMA e suo futuro biografo). Insorgono diffusi dolori articolari, specie alla gamba destra, che non lo abbandonano mai; nonostante ciò, due volte ogni notte, si reca nella cappelletta a pregare. Trascorre gli ultimi mesi leggendo libri, conversando con i paesani che vengono a trovarlo, distribuendo elemosine ai poveri, curando i piccoli malanni della gente con le sue ricette erboristiche. Nel 1935 accetta infine, a 71 anni, di andare a fare il cappellano nel Ricovero di Cividale, dove ha modo di diventare anche benefattore di quell’istituto; viene per questo nominato canonico onorario del Capitolo della città ducale. Sottoposto ad un intervento chirurgico urgente nell’Ospedale di Udine, don Giacomo muore il giorno 8 gennaio 1941. Viene dapprima tumulato nella tomba della sorella Regina a Pesariis e poi, nel 1957, trasferito definitivamente in quella del fratello Gio Batta.
Un libro modesto dal punto di vista tipografico ma molto corposo e interessante per le innumerevoli notizie che vi si trovano. Unico neo: resta introvabile.

 

Nota di Luigi Carlevaris:
Il 1° aprile 1989 l'ing. Capellari, che aveva condotto la SEIMA nei suoi primi vent'anni di vita, passava la mano al dott. Turi Scioratto. Ebbe così il tempo di dedicarsi ai ricordi del suo zio prete
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