BORA SCURA
La saga del confine d'Oriente

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CORNICE STORICA fornita dall'Autore
I territori al confine orientale d'Italia comprendevano, prima della Seconda Guerra Mondiale, il Friuli con Udine e la Carnia, Gorizia con l'Isontino, Trieste con il Carso, l'Istria con Fiume e parte della Dalmazia con le isole del Quarnaro.
Durante la guerra l'Esercito Italiano ha occupato la Slovenia e si è costituita la provincia di Lubiana.
Tutti questi territori, dopo l'8 settembre 1943, vengono occupati dalle truppe tedesche. Il III Reich ne assume il pieno controllo, civile e militare, con la costituzione dell'OZAK (Operations Zone Adriatisches Kustenland = Zona di operazioni del Litorale Adriatico). Il nuovo organismo territoriale viene sottratto alla RSI e praticamente annesso, di fatto, al III Reich. Governa l'OZAK il gauleiter Rainer con il capo della polizia e delle SS Globocnik e il comandante militare Gen. Kubler.
In questo territorio si scatena una guerra feroce e spietata che non trova riscontro in altre zone d'Europa. Già partigiani sloveni e croati combattevano il Fascismo che in 20 anni di governo ha tentato senza successo l'assimilazione forzata delle popolazioni slave, adesso scendono in campo anche i partigiani italiani.
Le Brigate Garibaldi, organizzate dal Partito Comunista, sono ideologicamente vicine alle brigate partigiane jugoslave, organizzate nell'Esercito Popolare di Liberazione di Tito. Ma ci sono formazioni badogliane fedeli al Re, le formazioni di Giustizia e Libertà e, in Friuli, la Brigata Osoppo, di ispirazione cattolica, che si oppone all'ideologia comunista delle Brigate Garibaldi e alle mire delle formazioni partigiane slovene che vorrebbero appropriarsi del territorio friulano fino al fiume Tagliamento.
I tedeschi reagiscono a questo stato di cose con la repressione più feroce. In contrapposizione alle formazioni partigiane, considerate bande formate da banditi, percorrono il territorio, oltre alla Wehrmacht, Divisioni Caucasiche, SS italiane, slovene e croate, inquadrate in battaglioni speciali, e le formazioni collaborazioniste slave, cioè Domobranzi, Ustascia e Cetnici.
A quelle tedesche si affiancano truppe italiane della RSI, soprattutto in funzione antipartigiana e anti slava: sono la X Mas, i Battaglioni M, il reggimento alpini “Tagliamento” e, soprattutto in Istria, le Brigate Nere locali.
In Carnia arrivano persino i Cosacchi.
A Trieste la Risiera di San Sabba diventa l'unico campo di sterminio nazista in Italia.
“Bora scura” racconta in forma di romanzo, attraverso le vicissitudini di vari personaggi frutto della fantasia dell'autore, i fatti storici, veramente avvenuti e documentati nel contesto sopra descritto. Un tentativo, si spera riuscito, di fornire all'ipotetico lettore un quadro generale di cosa fu la guerra ai nostri confini orientali nel periodo dal settembre 1943 al maggio 1945 quando a Trieste arrivò l'Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo e, mentre gli Sloveni di città e dintorni inneggiavano alla Liberazione, i Triestini italiani si sentivano vittime di un'altra occupazione, peggiore ancora di quella tedesca.
Da questo momento nasce “l'appendice” che riguarda Trieste e l'Istria, con gli altri suoi drammi, le foibe e l'esodo degli Italiani d'Istria, Fiume e Dalmazia, l'istituzione del Territorio Libero di Trieste sotto Governo Militare Alleato. Situazione che si conclude nel 1954 con la restituzione di Trieste all'Italia.
Una storia drammatica che, a tutt'oggi, è pressocché sconosciuta a gran parte degli Italiani. Se ne discute ancora “in loco” ma gli odi di parte non si sono ancora spenti ed ognuno racconta gli avvenimenti non oggettivamente ma adattandoli alla propria ideologia e al proprio punto di vista.
“Bora scura” è dunque una vera e propria saga che spazia sugli avvenimenti di quel periodo e cerca, al di là delle ideologie, di fornirne un quadro completo, senza pregiudizi e senza ipocrisie, in maniera che l'eventuale lettore, attraverso la conoscenza dei fatti come sono avvenuti, possa costruirsi una sua opinione.
Ovviamente la saga presuppone una narrazione in forma di romanzo in cui, è il caso di ripeterlo, personaggi di fantasia agiscono nel contesto di fatti veramente accaduti e documentati.
La vastità dell'argomento ha richiesto uno sforzo editoriale: “Bora scura” viene presentato in cofanetto di tre volumi indivisibili (euro 29.50) per un totale di pagine 1554 !

 

Osservando innanzitutto la mole cartacea di questo lavoro (in tre volumi), il pensiero è subito volato al grande capolavoro (incompreso) di Eugenio Corti, "Il Cavallo rosso" (in tre volumi, grandioso affresco di un secolo di storia italiana attraverso le vicissitudini di una famiglia brianzola) che, in altra temperie politicamente (s)corretta, avrebbe meritato certamente la nomination per il Nobel per la Letteratura.
Mentre però la "narrazione cattolica" del cattolico Eugenio Corti (molto autobiografica) è sempre lieve e rispettosa della sensibilità dell'ignoto futuro lettore e non usa mai toni aspri o "deteriori" descrivendo con accorta avvedutezza e quasi con dolente distacco anche le scene più raccapriccianti (come gli episodi di cannibalismo avvenuti tra i prigionieri italiani del gulag sovietico), la "narrazione laica"  del laico (e di sinistra?) Leandro Lucchetti (che naturaliter immette certamente i riflessi di una vaga reminiscenza delle ferventi giornate triestine dei primi anni '50) non ha alcun problema ad utilizzare lemmi e gergalitá popolane né a raccontare scene orrende con parole orrende, presentandoci la guerra e soprattutto la guerra civile senza territori d'ombra, senza intendimenti fintamente estetici o preoccupazioni politiche o moraleggianti; Lucchetti descrive  la guerra in tutte le sue perverse sfaccettature (ti ghermisce fin dalla prima pagina e non ti molla più) senza infingimenti e senza remore perché vuole mostrare e dimostrare che la guerra (qualsiasi guerra) è feroce e disumana, non preserva niente e nessuno ed è null'altro che un oscuro inghiottitoio che dolorosissimamente fa sparire maciulla e consuma tutto: valori, affetti, persone, cose...

Il tratto peculiare del narrato di Lucchetti può essere così sintetizzato in tre principali elementi: un (fin troppo) crudo verismo, un (in)consapevole intento demitizzante, una vasta e profonda conoscenza di luoghi, di uomini, di accadimenti.

Questa grande opera altro non è che uno spettacolare ciclo di affreschi dove i colori predominanti sono il rosso (del sangue) ed il nero (della morte) ma anche metaforicamente il rosso del comunismo ed il nero del fascismo. Con questi due fondamentali tinte l' autore dipinge/racconta gli avvenimenti più drammatici che il confine orientale italiano ha vissuto, subìto e poi memorizzato, in una incalzante sequenza che non dà tregua e che avviluppa la narrazione in una rete di rimandi e ritorni che, lungi dal creare confusione e dispersione, danno base e stabilità a un lunghissimo racconto che altrimenti si sarebbe spezzato e frammentato in mille tessere.
Affreschi che, per la loro vivida rappresentazione, appaiono quasi tridimensionali, con una percepita  singolare profondità di campo che esalta e fa emergere a tutto tondo figure secondarie  e personaggi principali, tutti però intimamente tra loro legati da coincidenze e da fatti veri e verosimili che fanno di questa lunghissima narrazione letteraria una sorta di docu-film o (forse) di un documentario di lungometraggio che non stanca mai, non ha cali di tensione, ma che coinvolge il lettore e lo tiene sulla corda continuamente, rendendolo quasi dipendente dalle pagine che viene via via leggendo e che lo trasferiscono da un teatro all'altro, da una scena all'altra, da un interno lugubremente opprimente ad un esterno dilatato ed amplissimo, con continuo mutamento delle quinte storiche di fondo.
Affreschi tridimensionali, dicevo, che acquistano perfino movimento e suono, odore e sapore: la penna/pennello di questo autore è proprio una camera da presa che registra impietosamente (quasi in tempo reale tanto sono nitidi) non solo immagini suoni e rumori ma anche profumi odori sapori che, non so come, vengono riversati in pagina mediante un processo semantico che mi è parso a volte perfino diabolico.
Non mancano indimenticabili spunti poetici; frequenti sono le personali analisi socio-politiche specie dell'ambiente triestino-istriano; sempre adeguati e mai banali appaiono i seppur fugaci sondaggi psicologici dei principali protagonisti e i carotaggi sentimentali di talune protagoniste...

Non potrò dimenticare (tra i tantissimi) alcuni precisi episodi:
le violenze degli alpini della "Pusteria" e della "Tagliamento"... lo sputo del maestro in bocca alla scolara... l'autoaborto di Ljanka... la fine di Ombretta... le spaventose foibe... le gratuite sevizie dei cetnici e degli ustascia... le violenze triestine dei fascisti prima e dei comunisti titini poi... la nera banda Collotti e la rossa banda Staffè... la sanguinolenta esecuzione popolare di nazifascisti ad Avasinis da parte dei paesani inferociti... la moltiplicazione di neo-partigiani a guerra conclusa... lo strazio sulla spiaggia di Pola... il doloroso esodo degli italiani  dall'Istria accolti in Italia con odio e dileggio... la tragica fine della "Lina Campanella"... il dantesco terrificante gulag titino dell'isola Calva e il brutale trattamento di stampo nazista dei cominformisti...

Il genere letterario di questo monumentale lavoro è quello del romanzo storico così configurato:
i fondali sono rigorosamente veri ed ineccepibilmente documentati (vedi la bibliografia) così come i personaggi vissuti nel tempo ai quali l'autore affianca una seconda serie di protagonisti, del tutto immaginari, che tuttavia si muovono sulla scena con fattezze assolutamente verosimili senza inficiare o diminuire assolutamente la storicità generale del racconto (ed in questo caso Lucchetti può essere comparato al nostro Piutti). Questi personaggi di fantasia entrano in scena con naturalezza (si fatica a distinguere quello reale dall'immaginario), vi si inseriscono perfettamente alitando in essa un afflato di realismo e di attualità che altrimenti non avrebbe. Questi personaggi anzi sono altamente evocativi facendo rivivere più da vicino  (attraverso i loro occhi ed il loro cuore) situazioni e drammi, rivitalizzandoli dall'interno e riproponendoli al lettore contemporaneo che ormai, forse di quella tragica storia, nulla più sa o ricorda, imprimendovi anche una singolare caratteristica di "realtà aumentata" proprio nel senso che ci fa vedere particolari che i documenti storici non possono possedere nè quindi tramandare.
L'altra funzione di questi "attori co-protagonisti" è quella di legare e amalgamare questo lunghissimo racconto, a forte rischio dispersivo, collegando l'Istria al Montenegro, la Bosnia alla Croazia, la Sardegna all'Africa alla Unione Sovietica, la Venezia Giulia al Friuli ed alla Carnia, non con voli pindarici ma con un percorso ed un filo logici, intrecciati e scanditi da tappe ben precise e mai in contraddizione tra loro, spesso imprevedibili o sensazionali, dove la fantasia storico-letteraria di Lucchetta è riuscita a dare vita ad un ordito perfetto dal punto di vista del romanzo e rigorosamente vero sul versante storico.

Oltre al rosso ed al nero (colori dominanti, che non hanno alcuna attinenza con Stendhal o con Santoro), un terzo indefinibile colore emerge con prepotenza in alcuni quadri (anche là dove non ti aspetteresti) con lingue di un fuoco improvviso e accecante dal colore giallo/violaceo che vorrebbe vanamente tendere al rosa: le scene erotico/pornografiche. In guerra, in tutte le guerre, hanno sempre convissuto e convivono Amore (Eros) e Morte (Thanatos), Venere che viene sopraffatta da Marte. La guerra è micidiale e orrenda, così anche i rapporti sessuali ne assumono i medesimi contorni. Oscena è la guerra, osceno il sesso. E l'autore non fa altro che rielaborare la guerra orrenda e oscena in chiave erotica per cui anche i rapporti sessuali (quasi tutti e ve ne sono moltissimi) vengono percepiti e descritti crudamente e, pur prevedendo che ciò possa disturbare e infastidire il lettore, Lucchetti non pone autocensure e rievoca terribili e foschi approcci indugiando su particolari "scabrosi", anche quando magari coesistono sentimenti veri e sinceri che però il clima bellico deforma e svilisce. Certe divagazioni estemporanee dal vago sapore (così mi è parso) anticlericale poi (i cenni strettamente personali della gioventù di don Ivano) non giovano nè nulla apportano alla complessiva economia del racconto così come gli insistiti rapporti quasi incestuosi tra Silvia e Franjo. E imbattendomi in queste scene erotico-belliche, non ho potuto non pensare al terribile "Salò" di Pasolini o al depravato "Salon Kitty" di Brass.
Le bestemmie scritte (sparse qua e lá) mostrano pure essere un colore sulfureo, luciferino insopportabile e marcatamente  irritante per la vista, ma nulla aggiungono ad un contesto già fortemente tragico perché si tratta pur sempre di bestemmie di "cristiani" (e quindi scontate), mai di un qualche irrispettoso musulmano (e ve ne sono tantissimi in narrazione) arrabbiato con Allah o con il suo profeta Maometto per tutte le sventure che gli capitano o per la morte consapevolmente imminente (e queste bestemmie sarebbero state davvero inedite ma soprattutto sintomatiche e paradigmatiche di un dramma universale).

La STORIA DELLA CARNIA (che occupa quasi tutto il secondo volume e parti del terzo) è abbastanza conosciuta nelle sue grandi linee dai carnici in genere ma qui, oltre ad essere fedelmente riproposta, è fortemente alimentata e amplificata (come dicevo) dall'artificio letterario dei personaggi immaginati che vi si inseriscono per ingrandire da grandangolo a primo piano o a macro le scene madri più controverse (Promosio, Paluzza, Ovaro, Avasinis...).  
Lucchetta ha consentito però a noi carnici di venire a conoscenza di altre storie ignorate completamente (la politica fascista in Istria... la italianizzazione forzata di quelle terre... la guerra civile interetnica e intraetnica e perfino intrafamiliare... Trieste lacerata da odi e rancori politici... i dissidi tra comunisti triestini e comunisti sloveni...) e di recuperare una memoria storica altrimenti monca e parziale, quella della guerra totale di casa nostra, anche se mi è sembrato che alcuni episodi (lungi dall'integrare la narrazione) abbiano costituito delle improduttive e inutili sospensioni della trama di fondo, ma questo rientra nel progetto di un autore che vuole essere esaustivo nel rievocare la saga di un vasto territorio in una guerra durata 5 anni (ma anche di più: 14 anni per Trieste!), popolato da diverse etnie, diverse religioni, diverse lingue, diverse e contrastanti fedi politiche.

Credo che al termine della lettura (non sempre facile e rilassante, anzi psicologicamente spesso opprimente) di questa poderosa e ponderosa opera del triestino Lucchetti resti uno strano senso di sbigottita impotenza di fronte alla guerra ed ai suoi più truci corollari, che l'autore ha trattato con quasi perfetto equilibrio, notevole equidistanza, assenza di reticenza. 
Mi sento di dover ringraziare l'autore per aver consentito a noi carnici di poter implementare la nostra conoscenza storica che certamente ora apparirà più completa e integrale oltre che più consapevole.
Uno sceneggiato televisivo originato da queste dolorose pagine potrebbe recare anche nella memoria collettiva popolare degli italiani una maggiore consapevolezza di quanto è successo sul confine orientale ed una più esaustiva conoscenza della propria identità nazionale, forse più di quanto non abbia già ottenuto il pregevole ma lacerante e quasi monotematico "Il cuore nel pozzo".

Addendum: 
Il lettore non deve assolutamente restare terrorizzato dalla mole cartacea di questo singolare e prezioso lavoro (tre volumi per un totale di oltre 1500 pagine); anche l'estensore di queste note da principio lo fu, ma poi lesse di getto i tre volumi nei 15 giorni di vacanze estive. Il costo totale dell'opera è di soli euro 29,50 (neppure 10 euro a volume).
Una volta letta la prima pagina del primo volume, il lettore resterà travolto non solo dalla curiosità storica ma anche dal godimento letterario che ne deriva, perché Lucchetta possiede una prosa chiara immediata precisa che rifugge da contorcimenti e nebbiose circonlocuzioni e va a colpire direttamente nel segno: un'aurea concinnitas, di chiara derivazione classica, che matura meglio tardivamente e dà i migliori frutti nella posata e riflessiva senilità.

 

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Leandro Lucchetti
Nato a Trieste nel 1944, da ragazzo nutre due passioni: Emilio Salgari che gli fa sognare viaggi e avventure, e la Fantascienza che lo inizia alla scrittura di racconti per le fanzines specializzate. Più matura, nasce in seguito la passione per il cinema, per colpa di tre maestri: Ingemar Bergman, Akira Kurosawa e John Ford. Parte quindi per Roma, destinazione Cinecittà. Diventa aiuto-regista e sceneggiatore, poi finalmente regista di un’opera prima d’autore, “Maledetta Euridice!” (1982) e di cinque altri non indimenticabili film di genere. Nel 1985 entra in Rai e si specializza nella realizzazione di documentari e programmi culturali che lo portano in giro per il mondo, a volte avventurosamente; non ha mai dimenticato Salgari che lo ha fatto sognare. Una volta in pensione, torna nella natia Trieste e ricominciare a scrivere. Nel 2016 pubblica il suo primo romanzo: «Amorosi sensi» (Fuorilinea Editore), un noir sui generis che narra di Resistenza, di tradimento e disillusione, di amore e vendetta. Nei fatti della Resistenza trova il materiale cui attingere per raccontare storie mai narrate. Con «Bora scura», suo secondo romanzo, compone una saga in cui personaggi di fantasia agiscono nel contesto di fatti storici realmente accaduti e documentati.

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