ALLA RICERCA DEL FIGLIO

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Neppure per questo libro di Igino Piutti è semplice allestire una recensione adeguata ed esaustiva perchè gli stimoli che sorgono dalla sua lettura sono molteplici, perchè i sottotemi affrontati sono molteplici, perchè le fonti di approvigionamento sono molteplici.
Lo sviluppo appare inizialmente semplice e chiaro: si tratta di un figlio che annuncia alla madre (vedova) di volere farsi prete e da questo inatteso e imprevisto annuncio, per ella sconvolgente, prende avvio, da parte della madre, un percorso di rilettura "laica" del Vangelo (per riuscire a comprendere alla radice la decisone del figlio), le cui tappe vengono diligentemente segnate su una specie di diario dell'anima, in cui, alle considerazioni materne, si alternano lunghe ed articolate risposte da parte del figlio avviato al sacerdozio. Si assiste insomma ad una specie di dialogo epistolare serrato e minuziosamente motivato, che si svolge tra una madre (direi: agnostica) ed un figlio (votato alla sequela di Cristo nell'ambito della Chiesa cattolica).
Come si può facilmente intuire, si tratta in realtà di un lavoro che ha per tema non solo la ricerca di Dio, ma anche la ricerca dell'uomo, in una parola: la ricerca di se stesso. Questo mi è apparso il nocciolo duro che emerge con forza e si materializza pagina dopo pagina, riga dopo riga.
Ma c'è di più: l'autore, pur utilizzando l'artificio letterario del dialogo tra due protagonisti immaginari, è egli stesso ad incarnare in realtà due diverse posizioni filosofico-esistenziali. A me sembra infatti che il figlio altro non sia che il "fanciullo" che è ancora in Piutti o meglio: è il Piutti adolescente che si entusiasma del Cristo proposto e propugnato dalla Chiesa cattolica, mentre la madre rappresenta e incarna il Piutti adulto e contemporaneo, disilluso ma ricco di un vasto bagaglio culturale, affinato negli anni con diversissimi apporti filosofici e storici derivanti da intense letture e costante applicazione di studio.
Entrambi i Piutti però (il giovane e il vecchio) propongono punti di vista e valutazioni plausibili e condivisibili, al punto che il lettore stesso si può sentire vicino alternativamente all'uno o all'altro, proprio perchè le argomentazioni, pur essendo sempre opinabili, appaiono sempre stringenti e quindi ragionevoli e pertanto accettabili.
Tra il Piutti giovane (rappresentato dal figlio quasi prete) e il Piutti adulto (rappresentato dalla madre) vi è una continua osmosi di proposizioni, di riferimenti precisi, di rimandi, di brillanti intuizioni e di originalissime interpretazioni che lasciano davvero stupiti e a volte impressionati per la loro apparente semplicità e grande ragionevolezza.
Queste due autobiografie (o meglio: due autoconfessioni) apparentemente contrapposte, ad una più attenta lettura non appaiono più schizofreniche ma complementari al punto che si può ben dire che in Piutti coesistono e convivono due personalità che non si elidono a vicenda, nè una prevarica sull'altra ma insieme "collaborano" a fare crescere una singola personalità, ancora inappagata e complessa, continuamente alla ricerca di un approdo sicuro, ragionevolmente sicuro, per quanto riguarda l'avvincente tema dell'esistenza di Dio e del destino dell'uomo.

 

Tra le cose che mi sono parse notevoli registrerei:
- la spiccata capacità dell'autore di inserire con appropriatezza e tempestività nella sua "ricerca di Dio" contributi diversi e tutti ben documentati: Platone (con il suo mito della caverna); Seneca (che appare fin troppo vicino alla visione cristiana della vita e della morte se si pensa, ad esempio, al prefazio della vecchia Messa da Requiem "...tuis enim fidelibus Domine, vita mutatur non tollitur, et, dissoluta terrestris huius incolatus domo, aeterna in coelis habitatio comparatur..."); Pitagora (del cui famoso teorema si serve per altre applicazioni); Toynbee (originalissimo nel suo "Il racconto dell'Uomo"); Tolstoj (per la sua ricerca della fede); Boultmann (per le sue interpretazioni neotestamentarie)...
- la persistente fascinazione sull'autore del Vangelo di Giovanni (il cui incipit è quasi diventato un'ossessione per Piutti).
- le pervasiva e diffusa concezione dell'essere figli di Dio, attorno alla quale Piutti costruisce un suo logico ragionamento.
- la pacata o pungente ironia che serpeggia spesso nella ri-valutazione di alcune parabole evangeliche.
- la concezione delle varie modalità del pregare.
- la mai spenta (a volte ingenerosa) sottile polemica contro la Chiesa istituzione gerarchizzata.
- i ricorrenti guizzi di poesia che si insinuano spesso in un racconto non sempre facile, che magari a volte richiede anche maggior concentrazione.
- la suggestiva ambientazione nella Carnia della fede.

Il finale di questo (a tratti) impegnativo libro, dopo aver sfiorato il dramma che ricorda da vicino quello che il Pascoli descrive nella poesia "La voce", non offre alcuna certa soluzione ma lascia quasi enigmaticamente al lettore l'onere di un ulteriore passo e di una ulteriore ricerca personali...

Un libro dunque importante (certamente tra i più riusciti di Piutti) che richiede costante attenzione e concentrazione, di estrema utilità non solo per i catechisti laici e gli insegnanti di religione, ma in genere per chi si sente coinvolto in una ricerca esistenziale non superficiale e non pre-indirizzata.

Sarebbe di scorrevole e gradevolissima lettura, se i soliti maledettissimi refusi tipografici (ormai caratteristica usuale della autoproduzione letteraria piuttiana: vedi addirittura il punto nel titolo di copertina) non venissero a sfregiare queste chiare pagine e ad irritare il lettore.

 

 

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