Alla gentilezza di chi
la raccoglie

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A distanza di tre anni dall'ultima sua opera (2012), Raffaella Cargnelutti ne pubblica oggi (agosto 2015) una nuova (splendidamente realizzata dalla Tipografia Moro di Tolmezzo), nella quale l'autrice propone, in una palpitante veste romanzata, la tragica vicenda del padre Giulio catturato a Tolmezzo il 20 luglio 1944 e internato a Buchenwald...

Il titolo, assai criptico inizialmente, si riferisce alla intestazione sulla busta di una breve lettera che Giulio Cargnelutti riuscì fortunosamente, a Stazione di Carnia, a lanciare dal finestrino di un carro bestiame del treno piombato che, partito da Udine, lo stava portando in Germania e che fu casualmente raccolta da una bambina del luogo e recapitata poi alla famiglia del deportato...
Il protagonista non redasse alcun diario scritto postumo di questa dolorosissima esperienza (che la figlia ha qui ricostruito in punta di cuore solo sulla scorta dei rari racconti ascoltati dal padre) ma riuscì, nella lunga prigionia e non senza grossi rischi, a schizzare in tempo reale un taccuino di disegni a matita (alcuni dei quali sono riprodotti anche nel presente libro), una specie di "diario per immagini" che egli stesso riuscirà poi a salvare e riportare in Italia (insieme alla fede nuziale e ad alcune lettere della famiglia) e che sarà successivamente pubblicato nel 2001 con il titolo "Giulio Cargnelutti, diario di una prigionia per immagini 1944-45"; tale volume (del tutto ignoto alla nostra redazione), oltre a catalogare tutti questi importanti disegni, raccoglie anche scritti di Mario Brandolin, Licio Damiani, Tina Anselmi.

Nel campo di Buchenwald Giulio trascorrerà nove mesi come deportato politico (triangolo rosso con la I di Italia centrale) senza possibilità di ricevere pacchi o corrispondenza da casa. Ma Cargnelutti, in maniera alquanto fortunosa, riesce comunque a dare notizie di sè alla moglie Eugenia con rare cartoline postali (alcune riportate nel libro) e a ricevere notizie da casa (tramite un accondiscendente capotecnico italiano) quando si ritrova a lavorare in una miniera di salgemma, a 400 metri sottoterra, trasformata in fabbrica di alluminio per la costruzione degli aerei... Durante la tragica permanenza nel Lager, egli trova sempre la forza di sopportare la fame ed i dolori fisici e psicologici, cerca di aiutare i compagni di sventura, continua a sperare e pregare, non cede al preciso e allucinante sistema di annientamento nazista che vige nelle baracche dove gli internati sono considerati degli Untermenschen, si adatta ad ogni evenienza, sprona gli amici che si ritrova accanto e che non riusciranno poi a sopravvivere, riesce a fuggire dal barcone sull'Elba ma... anche il ritorno (che in cuor suo credeva di breve durata) si trasformerà in una lunghissima anabasi punteggiata da quarantene, timbri, permessi, soste...

Nel libro, costruito su due scene madri che si alternano e si intrecciano (Tolmezzo e il Lager), si inserisce anche la cronaca dell'arrivo dei cosacchi lumeggiato da fugaci micro-quadretti (come il brevissimo ma intenso contatto tra una bambina carnica ed una cosacca, come ve ne furono di altri in Carnia...).

Anche quest'ultimo lavoro dell'autrice conferma il suo modo di scrivere che appare caratteristico di una personalità letteraria ormai matura che sa accostare sapientemente pagine di soffuso lirismo ("... attorno la giornata cresce odorosa di gemme e sole") a punte di crudo verismo ("... un'alba che si sveglia nell'odore di piscio, merda, morte") e da questi netti contrasti (a me pare) si è andata costruendo questa narrazione che resta nella memoria...

 

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