Il convegno sui problemi della montagna interventi dal
n. 61 al n. 75 clicca qui per tornare alla pagina principale del convegno
SMETTIAMOLA
DI PIANGERCI ADDOSSO (Int. 61) Sono capitato per caso sul Vs. sito
e, considerato che tutto quanto parli della Carnia mi interessa e mi fa piacere,
mi sono permesso di esprimere alcune, se pur modeste, considerazioni personali,
anche alla luce del "Convegno sui problemi della Montagna". TRE PROPOSTE CONCRETE (int. 62)
IL TELEGRAMMA DEL CLERO FRIULANO (int. 63) Siamo venuti in possesso del testo del telegramma che il Clero
friulano aveva inviato in Vaticano nel mese di ottobre, per sollecitare la
nomina del nuovo Arcivescovo. Eccolo: UN GEJ E UNE CROUS PAR Mons. BROLLO (int. 64) I preidis furlans (di ogni sete), contentons pa sielte dal nuf
vescul, ai an spesseat a invia a mrs. Brollo a Belun doi biei regai di valor: Bolla papale “DISJUNCTA NOBIS” (int. 65) “…OMISSIS.
Propter enim huius amatissimae ac dilectissimae nostrae Utinensis Archidioecesis
conditionem, omnibus ad resolvendas quaestiones frustra experitis
periclitationibus, …OMISSIS…extinguimus ac abrogamus in perpetuum
episcopalem sedem, dignitatem, titulum, nomen ed omne jus metropolitanum ac
dioecesanum relatum, capitulum, ac omnia munera Archidioecesis Utinensis. Hac
ratione divisum sit territorium eius in partes tres, quarum unam incolunt
forojulienses, aliam slavi, tertiam qui ipsorum lingua carni, nostra autem
paucifideles seu oligopìstoi appellantur. Etenim partem primam, quae posita est
apud Tilamentum flumen usque ad Adriaticum mare, dioecesis Concordiensis
accipiat; secundam, quae ad fines slavorum pertinet, archidioecesis Goritiensis
auferat; tertia autem, quae est proxima germanorum agro et montibus imperviis
constituta, renovetur in dioecesi, cui Julii Carnorum antiquum titulum benigne
concedimus.
Data Romae…omissis…anno…omissis
10 BUONE RAGIONI PER PARLARE DELLA PROVINCIA DELLA CARNIA (int. 66) 1. Un problema, per essere risolto, DEVE essere visibile e
interpretabile A questo punto arriva la solita obiezione pretesca: NON CI SI
PUO' DIVIDERE perché le divisioni alimentano risentimento, avvantaggiano gli
avversari e soprattutto non favoriscono la solidarietà verso i più deboli (in
questo la tapina Carnia) che si troverebbero costretti ad affrontare da soli
nuovi e gravosi problemi. Sai cosa ti rispondo? torna al punto 1. PROVINCIA
DA NON SPARTIRE (int. 67)
Sappiamo
che operano, in Carnia, per
lo più a Tolmezzo, diversi Enti, Comunità Montana, Carnia Leader, Bacino
Imbrifero Montano, iaber ex iacpi,ecc. ecc. con relativi presidenti e
consiglieri di amministrazione, quasi tutti di “emanazione” politica. Un
paio di domande. 1) Questi enti come hanno operato? 2)
Chi li può giudicare? 3)
Alla gente interessano? 2
– Possono essere giudicati solo dagli Enti che li hanno emanati. Non saranno
mai sconfessati. Al massimo si dirà “potevano fare qualche cosa di più, ma
con i mezzi a disposizione, hanno fatto il meglio”. 3
– Trovatemi alcuni Carnici, diciamo un 10%, mi basta un 8% che sappia fini ed
intenti degli Enti di cui sopra! Scoprirete che a moltissimi non interessa nulla
di questi Enti. La
Carnia potrebbe se riuscisse ad individuarsi in uno specifico territorio ( con
redditi inferiori al Friuli) e quindi la Provincia è importante in questo
senso. Questa individuazione, se non certa, ci fa perdere opportunità legate a
certe leggi europee che concedono investimenti per lo sviluppo di zone depresse
solo se queste sono ben individuate. Alcuni
singoli hanno buona volontà! Se
lasciamo in mano ai politici la spartizione di posizioni importanti saranno loro
a decidere anche su di noi. Siccome rappresentiamo pochi voti, che poi
diminuiscono con l’astensionismo, faranno di tutto per impedirci di fare una
Provincia, anche sperimentale. Loro continueranno a voler decidere il Pres.
della montagna, di Carnia Leader, del bacino Imbrifero ecc, e posizionare i loro
…assistenti portaborse
ove gli pare. E
NOU COME AL SOLIT A TASIN, PROTESTANT SOT VOUS, CAL’E’ COME NUIE. Sono
stufo di parole, di piangerci addosso, di lamentarsi e di elencazioni di
progetti già fatti. Io voglio e esigo nuovi progetti
e non venite ed imbonirci con lavori su internet. Se questa forma
fosse davvero una soluzione, io mi iscrivo subito in quella lista di
collocamento, ed invito tutti i Friulani disoccupati ad affrettarsi verso la
Carnia: il nuovo Eldorado del lavoro telematico! Non
dimenticatevi di ringraziare anticipatamente il prof. Tellia, il Mons.
Arcivescovo e il suo Vicario per la cultura
Mons. Corgnali, nonché i 30 componenti il Comitato del Convegno che ci
hanno prospettato questa opportunità. A
noi carnici ci basta il lavoro! GRAZIE "GAZZETTINO" PER AVER SENTITO IL NOSTRO FLEBILE GRIDO (int. 68) Cari amici di Cjargne Online, Da
circa 10 giorni è in distribuzione
nelle edicole e librerie del Friuli l’edizione 2001 di “Stele di Nadâl”
(a L. 14.000), bruttissima copia della edizione 2000 (a mi displâs, pre Toni
Beline, ma a è propit cussì: confronte e po’ tu jodarâs). Ebbene, a pagina
220 vi è un articolo a firma di F. Dal Mas, intitolato “La Montagna non è
una riserva indiana”. In questo articolo si parla del Convegno prossimo come
fosse già archiviato. Sentite
“…con il Convegno diocesano a Tolmezzo
dal 17 al 19 novembre 2000,…omissis,…la Chiesa friulana ha voluto ribadire
ancora una volta che la comunità che vive nelle terre alte o nei fondovalle …
E queste ultime non hanno mancato di far sentire la loro solidarietà ecc…Ma
il convegno diocesano voluto da mons. Battisti ha fatto compiere un decisivo
passo avanti: basta con le lamentazioni, le analisi disponibili sono più che
sufficienti, si ritrovi il coraggio per dare gambe alla speranza…”
Qui
viene da ridere per davvero, ma più avanti si legge: “…Tra queste iniziative non è assolutamente secondaria quella intrapresa
da alcune realtà dell’Alto Friuli che hanno dato vita all’Osservatorio
socio-politico delle comunità cristiane per dare voce al crescente protagonismo
delle popolazioni locali…”
E
per finire “ … si è materializzato un
forte e vivace dibattito sull’ esigenza sempre più avvertita di una maggiore
autonomia politico-amministrativa della montagna da tradurre nell’istituzione
di una “provincia regionale” che, libera da tutti gli orpelli burocratici
delle provincie (prefettura, questura, uffici statali), sia dotata dei poteri
essenziali per gestire in proprio lo sviluppo del territorio”.
Vi
è infine una preziosissima perla che illumina questo articolo e questa “Stele
di Nadâl 2001”: “…la Carnia in 50 anni ha perso 78.000 abitanti…”
, quando tutti sanno che nel 1951 in Carnia c'erano 61.230 abitanti mentre oggi
siamo rimasti in 40.200!
Va bè che ci vorrebbero tutti morti, ma arrivare a tanto mi pare davvero
di cattivo gusto oltre che macabro. Se
tutte queste cose non fossero scritte su “STELE DI NADÂL 2001” ,
meriterebbero puntuali e inesorabili risposte: siccome sono comparse su STELE DI
NADÂL 2001, facciamo finta che siano delle barzellette. Che
non fanno ridere. Ma piangere. I
convegnisti di venerdì e sabato prossimi sono avvisati: è già tutto deciso e
stampato con largo anticipo!!!!
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Mons.
Brollo è stato nominato
Arcivescovo di Udine il 28 ottobre u.s., -
Questa
notizia non compare in “Stele di Nadâl”, ma quelle relative alla
conclusione del Convegno, ancora da svolgersi, (siamo al 15.11.00) sì! -
“Questo
Convegno - si scrive - ha fatto compiere un decisivo passo avanti… anzi ha
dato gambe alla speranza…”.
CHIESA
COMUNISMO CAPITALISMO in Carnia (int.
70) Poi la storia è finita come tutti sanno ed oggi Chiesa e Comunismo,
senza aver rinunciato a nessuna delle proprie prerogative, si occhieggiano a
vicenda e spesso giungono a veri propri patti di non belligeranza quando non ad
autentiche alleanze. A volte addirittura pare che giungano ad una unione
operativa strabiliante, avendo come padrino e testimone il Capitalismo,
rappresentato dalla imprenditoria italiana. L’ultimo esempio è la questione degli extracomunitari (clandestini e
non). Tutti e tre questi soggetti (CHIESA COMUNISMO E CAPITALISMO) si trovano
oggi d’accordo sul libero ingresso, spesso indiscriminato, degli
extracomunitari. Ognuno lo fa con ragioni diverse. Vediamo. LA CHIESA
vuole fare entrare tutti i poveri del mondo con una motivazione prettamente evangelica, ma poco riflette sulle reali possibilità dell’Italia (che ha sempre un debito pubblico di 2,5 milioni di miliardi) e della Carnia in particolare, di poter ospitare e dare lavoro a questa massa di diseredati mondiali. Accogliere tutti senza dare un dignitoso lavoro (quando ne hanno voglia) non risponde ad alcun requisito di ragionevolezza evangelica ed appare in stridente contrasto con l’enorme patrimonio mobiliare ed immobiliare della Chiesa Cattolica italiana, di cui solo una piccolissima parte viene dedicata ad opere esclusivamente caritative: il vasto Seminario di Udine, vuoto da alcuni decenni, è stato affittato a equo canone a scuole cittadine anziché essere adibito ad esempio all’accoglienza gratuita degli extracomunitari; le moltissime canoniche rimaste vuote nei vari paesi non sono utilizzate che in minima parte ecc. Se poi la Chiesa spera di potere un giorno riempire i seminari vuoti con cattolici extracomunitari africani o indiani, significa che ha assai poca fiducia nella Provvidenza. IL COMUNISMO
vuole fare entrare tutti i poveri del mondo per ragioni apparentemente umanitarie e filantropiche, ma il vero scopo inconfessato è un’assicurazione elettorale: quando (tra breve) verrà concesso il voto agli extracomunitari, il maggior beneficiario di questo voto sarà il comunismo, oggi a corto di consenso nella società italiana, sia tra gli operai apparentemente super-tutelati sia tra i disoccupati senza tutela alcuna. Solo gli immigrati riusciranno forse ad arrestare il forte e costante declino del comunismo italiano, unico sopravvissuto tra i fratelli europei occidentali. GLI IMPRENDITORI
vogliono gli extracomunitari con lo scopo annunciato di impiegarli nei lavori oggi non più richiesti dagli italiani. In realtà il motivo vero è che essi vogliono usarli come un CALMIERE SALARIALE e continuare ancora a sottopagare l’operaio italiano (e carnico); se poi questo operaio è del terzo mondo e quindi poco difeso sindacalmente, tanto meglio. In effetti il mercato capitalista avrebbe una sua legge ben precisa che dice: SE VI E’ ESUBERO DI MANODOPERA E POCO LAVORO, IL SALARIO CALA. SE PERO’ VI E’ TANTO LAVORO E POCA MANODOPERA, IL SALARIO DEVE AUMENTARE, proprio per attirare manodopera. Ora i capitalisti italiani (e carnici, buoni discepoli) anziché obbedire a questa legge economica e naturale, preferiscono perseguire il proprio tornaconto personale: tenere bassi i salari, richiamando gli extracomunitari (autentico calmiere delle paghe), anziché aumentare ai lavoratori italiani i salari, che oggi in Italia sono da terzo mondo, quando nel medesimo tempo invece le tasse sono di livello europeo (cioè salatissime). Proprio così: salari da terzo mondo e tasse europee, questa è la ricetta della sinistra italiana che ci governa da 5 anni per la quale il vero miracolo italiano è quello di importare povertà ed esportare ricchezza, a spese però del lavoratore italiano. Ma tutto ciò è funzionale anche al capitalismo che continua a ingrassare sulla pelle DEI LAVORATORI ITALIANI E DEGLI EXTRACOMUNITARI. A nessuno oggi infatti sfugge che
l’operaio italiano guadagna mediamente metà o un terzo di quello europeo e
che un adeguamento dei salari risolverebbe il problema della scarsità di
manodopera interna. Oggi un giovane non trova alcuno stimolo ad andare a
lavorare e sgobbare per 40 ore settimanali a unmilioneeduecentomila al mese
(vera manna per l’extracomunitario!); preferisce arrangiarsi in altri modi,
spesso pericolosi. Se invece il suo salario fosse di 3 milioni (come il suo
collega tedesco) accetterebbe anche il lavoro più ingrato e alienante, che oggi
per una paga da terzo mondo non intende giustamente fare! A tal proposito viene a pennello la recentissima vicenda di una
famosissima azienda veneta che ha aperto (con immaginabili agevolazioni) una
succursale ad Ampezzo: ebbene nei primi 6 mesi di attività quasi 40 operai
(moltissimi dei quali proprio di Ampezzo) hanno abbandonato questa azienda (e
sono stati sostituiti da altri disoccupati in un incredibile turn-over) a causa
della paga (sindacale!) che percepivano. Questa stessa azienda viene tra
l’altro considerata in Veneto come l’ultima spiaggia occupazionale per i
giovani, prima di aderire ad occupazioni più infime, proprio per la esiguità
dei salari e la eccessiva richiesta di prestazioni per l’operaio. Trapiantare
qui in Carnia queste realtà (come ad esempio le tanto declamate occhialerie,
vero fiasco totale: se lo ricordino i nostri sindaci!) significa volere
equiparare la Carnia all’Est europeo o al III Mondo, dove gli operai accettano
qualsiasi lavoro a qualsiasi salario, pur di sopravvivere. Ma questo non è dignitoso né politicamente corretto! Se a questi aspetti, aggiungiamo le ULTERIORI TASSE LOCALI INDIRETTE:
sul freddo (gasolio), sul pendolarismo (benzina), sull’ambiente (degrado), sul
territorio (rischio idrogeologico), sull’identità (spopolamento), La Carnia
si appresta davvero a regredire in una piccola parola da coltivare (alla pari di
altri sentimenti e ricordi) tra le mura domestiche della città. Modesto appello finale: Il problema della immigrazione, così complesso ma anche così ovvio, è
oggi in grado di costituire una tenace mastice tra CHIESA COMUNISMO E
CAPITALISMO, tre soggetti che in altri tempi erano spesso su posizioni diverse e
portatori di soluzioni e di modelli di società diametralmente opposti. Oggi,
come abbiamo visto, navigano insieme verso la realizzazione di una SOCIETA’
MULTIETNICA E MULTIRAZZIALE dalla quale essi ritengono di trarre, ognuno
individualmente, prossimi e stabili benefici. Suggeriamo umilmente tuttavia: 1, alla CHIESA di impegnarsi anche
per GARANTIRE LA GIUSTA MERCEDE AGLI OPERAI (carnici compresi), come da
Catechismo. 2, al COMUNISMO, di impegnarsi
anche per GLI
OPERAI SFRUTTATI E SOTTOPAGATI (carnici compresi) come da Manifesto di Marx. 3, agli IMPRENDITORI, di
impegnarsi a RISPETTARE LA LEGGEO STATO GENERALE DEL CLERO IN ITALIA - 1997 (int. 71)Nel 1997 la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) ha provveduto al sostentamento di 36.864 sacerdoti che hanno prestato servizio a tempo pieno nelle parrocchie, ed al sostentamento di altri 3.228 sacerdoti inabili a prestare servizio a tempo pieno a favore delle diocesi. I sacerdoti ABILI (cioè quelli che hanno prestato servizio a tempo pieno) sono stati retribuiti con una mensilità che varia da un minimo di L. 1.512.000 ad un massimo di L. 2.664.900 mensili, pari ad una retribuzione annua variate tra un minimo di 18.144.000 ad un massimo di 31.978.800 di lire nette. I preti INABILI invece sono stati retribuiti con L. 2.065.100 nette mensili per una retribuzione annua di L. 24.781.200 nette. I vescovi pensionati, denominati EMERITI, hanno percepito una retribuzione mensile di L. 2.509.000, pari ad uno stipendio annuo di L. 30.108.000 nette. I sacerdoti che percepiscono stipendio per insegnamento o altro titolo o pensione per lo stesso motivo, non hanno diritto allo stipendio mensile elargito dall’Istituto Centrale di Sostentamento del Clero, ma solo ad una integrazione qualora non raggiungano la cifra spettante. In quest’ottica la intera remunerazione è stata assegnata solo a 112 sacerdoti, mentre hanno ottenuto una integrazione dello stipendio 36.619 preti. Non è stata elargita alcuna integrazione a 3.361 preti, poiché erano finanziariamente autosufficienti. La cifra totale per il mantenimento dei preti italiani ammonta dunque a 467 miliardi. In questo calcolo non sono però conteggiate le offerte delle Messe che sono percepite direttamente dai preti che le celebrano ma che non figurano nello stipendio mensile ufficiale, essendo una spettanza personale del singolo sacerdote. A tale spesa vanno aggiunti per il 1997, L. 92 miliardi di ritenute fiscali e 34 miliardi di contributi previdenziali e assistenziali complessivamente per tutti i 40.092 sacerdoti italiani. La
CEI inoltre ha speso nel 1997 altri 633
miliardi così suddivisi: 120
miliardi per la costruzione di nuove chiese,
229 miliardi per le attività
di culto; 45 miliardi per interventi
nazionali
non meglio precisati; 30
miliardi per case canoniche nel Mezzogiorno;
9,3 miliardi per l’assistenza domestica dei preti; 100
miliardi per i beni culturali ecclesiastici; 100
miliardi per la catechesi. La CEI ha infine speso ulteriori 282 miliardi per interventi caritativi così suddivisi: 142 miliardi a favore delle esigenze italiane; 140 miliardi a favore del Terzo Mondo. Anche in ambito nazionale dunque, appare chiaro come la quota per opere caritative sia assai esigua rispetto alle altre voci in USCITA. Il totale delle USCITE della Chiesta Cattolica Italiana si aggira quindi sui 1.508 miliardi per il 1997, una cifra certamente ragguardevole. Prima di andare a verificare le ENTRATE, apriamo però una breve parentesi analizzando per esempio come vengono distribuiti i 229 miliardi per le attività di culto alle varie diocesi italiane che sono ben 227 (ricordiamo che le provincie italiane sono solo 100). Ogni diocesi italiana riceve per questo specifico settore, INDIPENDENTEMENTE dal numero degli abitanti, una quota FISSA di mezzo miliardo all’anno. Quindi la diocesi di Milano e quella di Tricarico ad esempio, ricevono la medesima cifra annuale. A questa QUOTA FISSA però si aggiunge una quota VARIABILE che è di L. 1.965 per ogni abitante della Diocesi. Peraltro le DIOCESI CON MENO DI 20.000 abitanti, hanno una QUOTA FISSA di soli 171 milioni, anziché di mezzo miliardo. Questo passo è interessante perché ci dice tre cose: 1° esistono diocesi con meno di 20mila abitanti (e queste sono tutte al Sud). 2° la QUOTA FISSA distribuisce maggiori finanziamenti al Sud dove ci sono più diocesi. 3° Se la diocesi di Zuglio fosse già effettiva, potrebbe disporre di discreti finanziamenti annuali garantiti dalla CEI sia nel settore caritativo che in quello gestionale e conservativo dei beni artistici e culturali. Chiudiamo questa piccola parentesi e occupiamoci ora delle ENTRATE della Chiesa Cattolica Italiana. Purtroppo anche in questo caso, come abbiamo avuto modo di vedere per la Diocesi di Udine, le voci di ENTRATA rese pubbliche sono solo due e cioè: 1. le EROGAZIONI LIBERALI private, pervenute all’Istituto Centrale per il Sostentamento del Clero e che, da parte del cittadino, sono deducibili con le tasse fino ad un massimo di 2 milioni. 2. Il cosiddetto OTTO PER MILLE che viene sottoscritto dai contribuenti sul modello 740 della denuncia dei redditi. E’ utile ricordare a tal proposito che il 65% delle tasse italiane viene raccolto al Nord del Paese. Le cifre relative a queste due voci di ENTRATA sono queste. Le EROGAZIONI LIBERALI dei privati hanno fruttato 42.368.877.582 nel 1997. I cattolici che hanno contribuito a tale offerta sono stati 159.420 in tutta Italia: un numero certamente esiguo. Lo Stato Italiano, tramite l’8 PER MILLE dei mod. 740, ha versato alla Chiesa Cattolica la cifra di 1.384 miliardi e 269milioni nel 1997. Il totale delle ENTRATE, secondo la CEI, ammonterebbe quindi a poco più di 1400 miliardi per il 1997, una cifra ragguardevole dunque, ma certamente inferiore alle ENTRATE TOTALI EFFETTIVE. Infatti
a queste DUE VOCI DI ENTRATA mancano
tutte le rendite mobiliari e immobiliari della Chiesa,
tutte le offerte ordinarie e straordinarie dei fedeli ed i lasciti dei
defunti, tutti i dividendi delle varie partecipate ecc. In
sintesi: SACERDOTI
DIOCESANI ITALIANI 1997
RETRIBUZIONE
SACERDOTI DIOCESANI
SPESA
TOTALE MANTENIMENTO CLERO 467
MILIARDI annui
TASSE
1997 (Versate
dai 40.092 SACERDOTI) Ritenute
fiscali 92.010.669.259 Contributi assist.-prev. 34.014.576.860
SPESE
VARIE CHIESA ITALIANA
TOTALE
633 MILIARDI INTERVENTI
CARITATIVI
TOTALE
282 MILIARDI USCITE
1997 CHIESA ITALIANA Mantenimento
clero 467 mld Tasse
e previdenza 126 mld Spese
varie 633 mld Interventi
caritativi 282
mld TOTALE
1.508 MILIARDI DIOCESI
ITALIANE: 227 (Provincie
italiane: 100) Quota
fissa per Diocesi L. 514.947.526 Quota variabile per abitante L. 1.965 ENTRATE
1997 CHIESA ITALIANA Dalle
Erogazioni liberali di
159.420 offerenti: Lire
42.368.877.582 Dall’
8 per 1000 (Mod. 740): Lire 1.384.269.005.565
LA
SCOMPARSA DEL PARTITO-STATO
FA CRESCERE LE AUTONOMIE (anche in
Carnia)
int.
72
In questi ultimissimi anni si sono verificati in Carnia alcuni fatti, prima d’ora impensabili. Alcuni di questi li citiamo soltanto: la benzina agevolata, lo sconto- gasolio, lo sconto- legna. Tutti questi avvenimenti che, a primo acchito, possono apparire futili o di secondaria importanza, nascondono invece una valenza politica enorme. Infatti, prima di queste - chiamiamole- “provvidenze”, il cittadino di Ligosullo era considerato alla stessa stregua di quello di Napoli o di Milano e su di esso incombevano le stesse tariffe di ogni altro cittadino italiano. Ora invece, con questi benefici rivolti ai cittadini di una determinata zona, viene indirettamente riconosciuta una peculiarità, che può essere identificata con diversi criteri: il clima, l’emarginazione, l’altitudine ecc. Caratteri questi che sono patrimonio di un ben identificato gruppo sociale e non di un altro. In altre parole: si viene a riconoscere una situazione particolare a Paularo o a Cercivento rispetto a Trapani. Questo minimo e banale riconoscimento costituisce però una assoluta novità non solo per la Carnia o il Friuli, ma per lo stesso stato italiano. Su questo filone si deve leggere anche la recente approvazione, avvenuta definitivamente al Senato il 25 novembre 1999, della legge che riconosce la lingua friulana. A molti è parso un fatto esclusivamente culturale e accademico, di scarsissima rilevanza politica e sociale. Non è così. E l’ha capito bene il segretario di AN Gianfranco FINI, che, essendo statalista e difensore d’ufficio dello stato centralista, ostinatamente ha votato contro, assieme a tutto il POLO (una piccola parentesi: al Senato il voto di ASTENSIONE equivale ad un voto CONTRARIO). Questo sofferto riconoscimento della lingua friulana implica in effetti che lo Stato Italiano comincia a cedere delle prerogative ed a rinunciare ad un centralismo ottocentesco che si rivela sempre più astruso e inadeguato oltre che ingiusto e ingiustificato.. La lingua friulana, assieme ad altre 11 lingue riconosciute nella stessa legge, assume così un significato del tutto particolare, un significato politico che rappresenta la chiave di lettura dei prossimi avvenimenti socio-politici che potranno accadere nella nostra Regione e in Carnia in particolare. Ma perché solo ora è stata ufficialmente riconosciuta la lingua friulana, nonostante la nostra Costituzione, vecchia di oltre 50 anni, reciti all’art. 6 :”LA REPUBBLICA TUTELA CON APPOSITE NORME LE MINORANZE LINGUISTICHE” ? Perché finora non è mai stato compiuto questo passo? Certamente la Lega Nord ha avuto il suo peso, ma non basta. Certamente la Chiesa Friulana, l’Università Friulana, gli Industriali Friulani, hanno avuto il loro peso, ma non basta. Anche le sinistre hanno avuto un peso non indifferente, ma non basta a spiegare ciò che è avvenuto. Perché dunque solo ora? A noi pare che la spiegazione più logica vada ricercata nella scomparsa del PARTITO-STATO, che per un 50ennio, era riuscito a tenere e a contenere le spinte centrifughe. La Democrazia Cristiana, pur vantando un consenso elettorale tra il 30 ed il 40%, deteneva tutto il potere politico. La Democrazia Cristiana dunque, avendo tutto il potere, si identificava essa stessa con lo Stato e lo Stato italiano con essa. Un intreccio di interessi e di convergenze che fece si che ogni azione, ritenuta dannosa per lo Stato centralista, fosse ritenuta dannosa per la stessa Democrazia Cristiana ed ogni azione, ritenuta dannosa per la Democrazia Cristiana, doveva ritenersi pregiudizievole anche per lo Stato. In questo modo, per 50 anni, è stato disatteso l’art. 6 della Costituzione, perché giudicato pericoloso per la unità dello Stato e perciò dannoso per la Democrazia Cristiana. Tant’è vero che i democristiani che, numerosissimi, sono stati sempre eletti in Friuli, mai hanno concretamente agito a favore della lingua friulana: si comportavano come dei muri di gomma, tentennavano, rinviavano, glissavano, ignoravano, pur avendo il potere di decidere di qualsiasi legge. Eppure erano friulani e carnici, eppure erano gente della nostra gente. Ma prima di tutto erano democristiani e cioè si sentivano investiti di una missione particolare, quasi divina: fare quadrato attorno allo Stato, di cui essi ritenevano di avere la tutela ed il monopolio e nel quale si identificavano totalmente. Stato e Democrazia Cristiana fu un tutt’uno, spesso inscindibile, spesso ambiguo, quando non misterioso. Ecco perché nel 50ennio democristiano, mai sono stati riconosciuti i diritti delle minoranze, neppure quelli tutelati dalla stessa Costituzione. Tant’è che Giulio Andreotti, democristianissimo per eccellenza, in un estremo tentativo di bloccare la legge sul riconoscimento della lingua friulana, il 25 novembre 1999 avrebbe voluto ancora una volta rinviarne l’approvazione, affermando testualmente che “voleva ancora studiare il problema”, quasi che 50 anni non gli fossero bastati! Ora la Democrazia Cristiana, come PARTITO MONOLITICO e PARTITO-STATO, è scomparso dalla scena politica italiana, anche se gli ex democristiani hanno riparato un po’ ovunque, sotto altre insegne, equamente distribuite tra destra, sinistra e centro da dove tessono ancora le loro trame. Non esistendo più il
PARTITO-STATO, stanno venendo meno le remore e gli ostacoli, i lacci e le
furbizie, anche se tuttora i democristiani in spe continuano imperterriti a
frapporre ostacoli ad ogni tentativo di qualsiasi AUTONOMIA e ad arginare quanto
più possibile ogni fuga ritenuta centrifuga, come sta accadendo in questi tempi
per LA PROVINCIA DELLA MONTAGNA, per la quale sorgono ogni altro giorno problemi
e distinguo, dubbi e perplessità, progetti e piani a volte in contrasto tra
loro, in un estremo e inconscio tentativo da parte degli ex-dc di bloccare
questa naturale e fin troppo tardiva autonomia! Solo questa è infatti la chiave
di lettura della cosiddetta provincia regionale, che viene sbandierata dalla
attuale classe politica carnica, composta in prevalenza da ex-dc (ed ex-psi). Oggi però le richieste di autonomia stanno lentamente emergendo, seppure entro limiti ancora angusti e per certi aspetti fors’anche marginali. Ma ormai la via è stata aperta e lo Stato, vedovo della DC, è costretto a delegare le proprie prerogative ad altri soggetti, verso un federalismo ed una sussidiarietà sempre più possibili, ancorchè lontani e dai contorni ancora sfumati. Resta un solo sinistro pericolo: che alla Democrazia Cristiana
si sostituisca, quale PARTITO-STATO, un altro partito: il PCI-PDS-DS, ostile per
ora ad ogni vero federalismo ed autonomia.
BILANCIO
1999 DIOCESI ITALIANE (CEI)
(int. 73) ANTICIPO
PER L’ANNO 1999 L. 1.043.582.
097.452 CONGUAGLIO
PER L’ANNO 1996 L. 92.990.878.267 TERZA
TRANCHE DEI CONGUAGLI RATEIZZATI L.
272.536.675.000 CONGUAGLIO
DEFINITIVO PER L’ANNO 1994 L.
41.456.000.000 CONGUAGLIO
DEFINITO PER L’ANNO 1995 L.
11.112.000.000 T
o t a l e lire 1.462 MILIARDI Ecco come la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) ha ripartito questi 1.462 miliardi derivati dall’OTTO PER MILLE: ESIGENZE
DI CULTO DELLA POPOLAZIONE
INTERVENTI
CARITATIVI
SOSTENTAMENTO
DEL CLERO
Queste cifre, come già sottolineato, si riferiscono solamente all’OTTO PER MILLE che i cittadini italiani versano tramite il modello 740 alla Chiesa Cattolica Italiana (non al Vaticano, il cui bilancio e la cui struttura sono altra cosa). Queste però non sono TUTTE le ENTRATE DELLA Chiesa cattolica italiana, ma solo quelle derivanti dall’ otto per mille che la Chiesa per legge deve rendere pubbliche. Vediamo ora come le varie regioni scelgono la Chiesa Cattolica tra le varie opzioni cui destinare l’8 per mille:
Contribuenti che scelgono la
Chiesa cattolica
( Fonte: Ministero Finanze 1999) Questa tabella si presta a varie interpretazioni. Balza subito all’occhio come al Sud vi sia una percentuale maggiore di coloro che scelgono la Chiesa Cattolica per l’OTTO PER MILLE, con percentuali quasi plebiscitarie. Il Friuli invece compare tra gli ultimi, assieme alle regioni tradizionalmente rosse, anzi potrebbe considerarsi proprio una regione comunista. Vi è però una seconda e più importante considerazione da fare: la denuncia dei redditi (sulla quale si basa poi il cosiddetto OTTO PER MILLE) generalmente al Sud è assai bassa, spesso inesistente, per cui queste percentuali, che si riferiscono solo a coloro che effettuano la denuncia dei redditi, sono in effetti artificiose, in quanto non fanno emergere la grande evasione o elusione fiscale che invece esiste. La Chiesa cattolica dunque, ha potuto
contare nel 1999 su 1462 miliardi che i cittadini italiani le hanno versato
tramite l’8 per mille. Contribuenti carnici compresi.
CONVEGNO MONTAGNA - NON CI ANDRO’ (int. 74) Io
non so se vado contro corrente e cosa dico ,
perché sono abbastanza fuori testa.
Il mio quadro fisso è puntato ad una copertina gialla “Problemi socio
economici della montagna 1987”. Da
quella volta a oggi non ho trovato grandi cambiamenti. Da oggi a fra tredici
anni cosa avremo? Un altro convegno? Ho
provato a seguire un po’ quei
Workshop che hanno fatto in giro; hanno giovato a confusionarmi ancora di più
le idee. Molte proposte. Ma se qualche carnico alzava la voce per dire che la
strada è a “remengo” dicevano
che ci piangevamo addosso, se qualcunaltro diceva che abbiamo
bisogno di più rappresentanze in regione, subito la risposta, che
“quando avevate due non avevate niente, adesso
che avete 5 rappresentanti, con il Presidente del Consiglio Regionale, più il
Vescovo Brollo…” ora potete tacere! Mi
sono domandato fino a che punto è
una scelta, vivere in montagna. Cioè, se ci dessero una possibilità, a noi che
viviamo in montagna, di trasferirci giù, avere un lavoro ed il resto,
quanti di noi resterebbero in
montagna? E’
una scelta dettata da un obbligo, perché non c’è una alternativa? O
perché noi siamo legati al territorio? Sono
domande cui anche io avrei
difficoltà a rispondere. Ritengo
che per vivere in montagna non ci voglia molto se non una passione,
una crescita di identità, di autocoscienza. A
vivere in montagna a me lo ha insegnato mio padre.
Il seme che è stato piantato e mi ha costretto ad essere attaccato a
questa terra, è ancora vivo. Ma cosa ci si presenta oggi? La televisione e i mass media fino a che punto possono condizionare la nostra gente? Perché dobbiamo fare sacrifici
per vivere in montagna quando potremmo vivere
ugualmente e meglio a
Tolmezzo o a Udine? E
allora io, nel mio piccolo, dico
che al di là di tanti Convegni e di progetti
basterebbe, per far rimanere, in
montagna quelli che vivono in montagna, si
inventasse in qualche maniera un modo per
compensare quel gradino che li
differenzia da quelli che stanno meglio, giù in basso! Che
può essere un livellamento economico, ma non solo quello, dovrebbe essere un
riconoscimento, prima di tutto, della dignità di quelli che vivono in montagna.
“Tu stai lassù
e ti meriti di più”. La
mia dignità non deve essere minore
di quella che hanno quanti vivono
in città. La dignità deve tener conto anche del fatto che io per mandare mio figlio all’università a Udine spendo più soldi. Per mandarlo a scuola anche a Tolmezzo è un tot di soldi che si spendono in più. Per non parlare della viabilità. Allora, “l’è dibant” che inventiamo progetti quando a questa gente non si dà la possibilità di vivere dignitosamente. Solo
quando noi avremo pari dignità, allora potremo incominciare a dire che la
fabbrica può essere anche in un altro posto.
Se a me danno la possibilità di vivere a Giviane e il disagio per
andare a Rigolato, dove ho
il posto di lavoro, mi viene coperto in qualche maniera, fiscale od economica e
con una moderna viabilità, io vivo anche volentieri a Giviane, perché sono
legato a quel paese, come a Treppo o a Ligosullo,a Paularo. Allora
“l’è inutil” che ci vengano a raccontare “sflocjes” di ogni sorte
e non risolvono i problemi primari e torniamo a dire che bambini non
nascono e i giovani non restano più nel paese. Gli
specchi che ci vengono da fuori, sono
specchi che attirano anche i giovani e quindi
uno che vive in montagna, anche un giovane, è coraggioso!
C’è
poi l’abbandono del
territorio. Le piogge di questi giorni hanno dimostrato come siamo subito in
croce, in montagna. Un abbandono che è stato voluto, da quelli che hanno il
potere in mano, perché io
ad esempio ho un fratello che vuole fare l’agricoltore e vive in
montagna, a Cercivento, e vuol
vivere con quella terra perché ha quella passione, ma tra la burocrazia e tutto
quello che c’è dietro, mi viene da dire che solo un matto può sperare in un
lavoro del genere! L’agricoltura,
in montagna, una volta voleva dire vivere in simbiosi stretta con il territorio.
Era un dare e un ricevere che era unico! Tolto questo scambio naturale quando
hanno dato i soldi per abbattere le
mucche, la simbiosi è finita! Ormai vediamo che i cespugli arrivano fino avanti
alla porta di casa! Pensiamo
ai nostri boschi.
Una volta la gente andava in “plovit”, dicevano da noi, quando
venivano tagliati i boschi del Comune, uno per famiglia andava a sistemare
“las peces”, a fare le cataste (i pass). Doveva andare uno per famiglia.
Facevano tutti i lavori assieme, facevano “las tasses”
delle legna e dopo, il “uardean”, che aveva i numeri, li metteva nel
cappello e a sorteggio assegnava
“une tasse o che ate”. Quella
era una manutenzione del territorio che era dettata quasi per legge, perché ogni famiglia doveva partecipare. “Prove
cumo?” Oggi sarebbe indubbiamente improponibile.
Ma allora il territorio chi lo
mantiene, se l’IRFOP di Paluzza
é chiusa, chi insegna a governare i boschi? Chi fa turismo
in Carnia o in montagna se la scuola alberghiera di Arta è chiusa? Se si
pensa un po’ su queste ci
ritroviamo “fur di plomb”, probabilmente. Ci
sono, però, le caserme vuote di proprietà del Demanio! Arriviamo alla cultura.
Cultura in Carnia c’è. Ci
sono circa 28 Circoli culturali in Carnia che ogni anno producono pregevoli
opere. Ci sono libri che vengono stampati e questi Circoli si danno da fare.
Abbiamo a Treppo una Televisione locale, VTC che fa roba nostra, di livello,
anche se gratuitamente. Non
possiamo dire che non c’è cultura in
Carnia! Forse non ci sarà cultura di scienziati! Ma saper
“insedà” una pianta, non è cultura anche quella?
Ho
l’impressione che abbiamo sballato i valori. Non solo noi ma anche quelli che
dovrebbero dare attenzione a questi
valori, ed allora facciamo un Convegno! Mi
hanno messo in nota per una parrocchia. Non
so se ci andrò a questo Convegno, perché non ho capito dove vuole arrivare. Ho
come l’impressione di non contare nulla anche se ho tante cose da dire. Non mi
sapranno ascoltare e io non andrò a parlare a sordi. Vadano
lì i professori, quelli di Roma…quelli sì che sanno cosa vuol dire vivere in
montagna! DIOCESI DI ZUGLIO - Altre due obiezioni (int. 75) Sono
pervenute altre due obiezioni riguardo alla ipotesi della diocesi di Zuglio: 1.
OBIEZIONE: Se si concede la diocesi di Zuglio, si apre una rincorsa per
altre richieste come Gemona, Cividale ecc. RISPOSTA: a.
Zuglio,
assieme ad Aquileja, Concordia (e più tardi Trieste), è divenuta sede
vescovile nei primi tempi della storia del Cristianesimo (vedi anche precedenti
interventi in questo sito) ed ha mantenuto il vescovo residente almeno fino al
744, in qualità di suffraganeo di Aquileia. Gemona
non è mai stata sede vescovile; Cividale
è stata solo residenza temporanea dei patriarchi aquileiesi (mai sede
episcopale autonoma). b.
La
diocesi di Aquileia (ed anche il
patriarcato) è stata soppressa “in perpetuum” nel 1751 (vedi altri
interventi in questo sito) e non è stata più ricostituita. Concordia, sorta nel IV secolo come suffraganea di Aquileia, è
rimasta diocesi uninominale fino al 12 gennaio 1971, quando le è stata aggiunta
la denominazione di “-Pordenone”: è tuttora esistente sotto la duplice
denominazione e fa parte della provincia ecclesiastica veneta, essendo soggetta
a Venezia. Trieste, sorta nel VI
secolo come suffraganea di Aquileia, fu unita a Koper-Capodistria il 30 giugno
1828 e fu di nuovo separata il 17 ottobre 1977; attualmente è diocesi
uninominale, soggetta a Gorizia. c.
L’arcidiocesi di Udine è stata
istituita solamente il 6 luglio 1751 sulle ceneri del patriarcato di Aquileia;
fu ridotta a sede vescovile il 1 maggio 1818 e fu nuovamente elevata a
metropolitana il 14 marzo 1847; attualmente è direttamente soggetta alla S.Sede
e non ha alcuna diocesi suffraganea, pur essendo nominalmente
“metropolitana”. d.
L’arcidiocesi di Gorizia è stata
istituita solamente il 6 luglio 1751 sulle ceneri del patriarcato di Aquileia;
dopo una unione temporanea con Gradisca, è attualmente metropolitana della
provincia ecclesiastica di Gorizia che comprende anche la diocesi di Trieste,
attualmente suffraganea di Gorizia. In
sintesi: La
ripristinata Diocesi di Zuglio, oltre a giustificare le varie motivazioni più
volte espresse, darebbe pieno significato anche al titolo (attualmente solo
virtuale) di “metropolita” di Udine, di cui ovviamente diverrebbe
suffraganea. 2.
OBIEZIONE: Non sunt moltiplicanda entia sine necessitate (cioè non si
debbono istituire altri Enti senza necessità). RISPOSTA: a.
Tutti sono d’accordo su questo punto, qualora si intendano come “enti”
tutti quei carrozzoni inutili e farraginosi aggregati all’Istituto che si
vorrebbe creare. b.
A pag. 221 di “Stele di Nadal 2001”, F. Dal Mas a proposito della “provincia
regionale” scrive che la vuole “…libera
di tutti gli orpelli burocratici delle provincie (prefettura, questura, uffici
statali), sia dotata dei poteri essenziali per gestire in proprio lo sviluppo
del territorio”. Trasferiamo ora questo legittimo desiderio di Dal Mas
alla “diocesi regionale” e
vedrete che la soluzione si troverà. Basta solo onestà intellettuale e volontà
politica (pardon: pastorale) e la parola-tabù “diocesidizuglio” potrà
essere finalmente scritta e pronunciata anche dal settimanale diocesano e
dall’establishment curiale (in foto a pag 13 della Vita Cattolica di sabato 18
novembre 2000).
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