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Il convegno sui
problemi della montagna
interventi dal
n. 51 al n. 60

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UN CARNICO,
ARCIVESCOVO DI UDINE
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CJARGNE ON LINE PER
LA CARNIA
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CJAVAI DI TROE
CJARGNEI…
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FINIRA'
ANCHE QUESTO CONVEGNO A POLENTE E FRICO?
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UN
TERNO:BROLLO MARTINI TONDO, VINCENTE?
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LA
CHIESA CARNICA HA IL CORAGGIO TEMERARIO DI PROPORRE UN CAMBIAMENTO?
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PRETI
ALPINI ADDIO! ORA VI ASPETTIAMO IN CARNIA
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IN CARNIA CI
SONO DEI DON MILANI
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PROPOSTE CONCRETE
PER LA CARNIA
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DIOCESI
DI ZUGLIO - Obiezioni e replica
UN CARNICO,
ARCIVESCOVO DI UDINE. (int. 51)
E' stata diffusa oggi la notizia ufficiale che nuovo Arcivescovo
di Udine è stato designato S.E. Mons. Pietro Brollo, attuale Vescovo di Belluno
(fino dal 1996) e già titolare di Zuglio quando era Vescovo ausiliare di Udine.
Così il tolmezzino Pietro Brollo, dopo la parentesi bellunese, è tornato in
Friuli con il titolo di Arcivescovo e Metropolita. Questa nomina costituisce un
prestigioso riconoscimento non solo per l'uomo ed il Prete ma anche soprattutto
per il carnico e maggiormente per la Carnia. Mai finora un carnico aveva
raggiunto questo ruolo, né ai tempi dei patriarchi né in quello successivo
degli Arcivescovi: infatti tutta la prima serie di Patriarchi dal 1420 al 1751
era stata occupata dal Patriziato veneziano con Patriarchi che si tramandavano
il titolo da zio a nipote; la seconda serie degli Arcivescovi (iniziata dopo la
soppressione del Patriarcato) aveva visto solo Arcivescovi lombardi e veneti.
Mons. Brollo rompe dunque questa prassi lunga e consolidata nei secoli che oggi
vede per la prima volta un carnico sulla prestigiosa cattedra udinese, coerede
con quella di Gorizia, del millenario Patriarcato di Aquileia. Noi però
nutriamo ancora ulteriori speranze: che la nomina di Pietro Brollo ad
Arcivescovo di Udine non serva a bloccare e a tacitare le giuste istanze della
Carnia ma costituisca il preludio per il riconoscimento a breve della Diocesi di
Zuglio, sulla quale però ancora molti Preti carnici appaiono inspiegabilmente
freddi e indifferenti.
CJARGNE ON LINE PER
LA CARNIA (int. 52)
Ribadisco e integro quanto scritto sul N° 66 di "LA NOSTE
VALADE".
Allora, alcuni dati: nel Friuli Venezia Giulia i Comuni con meno di 1000
abitanti (situati in prevalenza nella fascia montana) sono 42. Quelli da 1000 a
3000 abitanti sono 87. La soglia dei 3000 residenti può essere a ragione
considerata come il minimo per poter reggere una struttura sempre più complessa
(colpa della super burocrazia esistente) e costosa quale quella comunale. Sono
in crescita nella Regione i Comuni che si trovano in condizioni di precarietà,
non riuscendo a fornire alla propria amministrazione il supporto economico
necessario per una corretta ed efficiente gestione. La strada del
"consorzio dei servizi" prima, e dell'unione dei Comuni poi,
intrapresa per primi da Ligosullo e Treppo Carnico è a mio avviso la più
giusta. Personalmente non credo che la Carnia (storica con i suoi 28 paesi)
abbia bisogno di un ente nuovo (Provincia) come panacèa. Certo la Provincia
targata TL potrebbe soddisfare i "cerca sedie" e nulla più. Credo
invece che l'accorpamento dei Comuni - OTTO SAREBBERO PIU' CHE SUFFICIENTI - con
una nuova rappresentanza COSTRUTTIVA assieme a qualche "UOMO DOC" in
più nei Palazzi triestini e udinesi, ma non di facciata, attenzione, assieme a
una Comunità Montana più forte e da filtro (fra Regione, Provincia di Udine e
i NUOVI COMUNI) sia la traccia più sensata per fronteggiare "l'emergenza
montagna".
CJAVAI DI TROE
CJARGNEI… (int. 53)
SADE/ENEL cjaval di Trôe cjargnel
c'an supât la âgas dai nostis rìus
par fâ girâ turbinas e mandâ corint
a Mestre, o plui in jù o plui in lâ
lassant a Cjargne jets suts e secs di rìus cence vite
e la bolete da lûs a preisi plen.
Parason di Tumieç cjaval di Trôe cjargnel
salve vita dal tribunâl e lavôr par vordeans cjargnei
enplade di delincuents forescj
e loge di vilegjature par mafious
cul seguit dal lôr ledan
a sborniçâ chel carûl tal mieç da nostre int.
Comunitât di Mont cjaval di Trôe cjargnel
svenade dai siei podeis pustiçs
tignude inpîs da promessas di autonomie mai dade
piçule fabriche di puescj pai passecjartas
cun facoltât di decidi sui fruçums
ch'ai rive a passâ tal penç tameis dai ents sorestants.
Gleisie di Udin cjaval di Trôe cjargnel
che in barbe a storie no è lade plui in là dal bielas paraulas
no à dât fuarce e autonomie al titul di Giui
no simpri a è stade da bande dai piçui dal Vanseli
lassant dibot bessoi e di sigûr pous
i preidis da mont a scombati cu la lôr int.
Politichis di partît cjaval di Trôe cjargnel
ch'ai an giuât la dople cjarte
di jessi dai nostis
e di poâsi a un partît ch'al conte
par fânus capî che ce che veramenti al conte
al è sentâsi in chês cjadreas.
Agricolture di mont cjaval di Trôe cjargnel
ultime pussibilitât di salvâ il teritori
sascinade da contribûs par maçâ vacjas
e comedâ cjouts e stâi
tramudâts in lôdars e salots, rustics,
ma salots pal fin setemane.
Ma il vêr cjaval di Trôe pa Cjargne sin nou Cjargnei:
cuantche tas cjasas cun mil parons
no rivìn a metisi adacordo e las lassìn colâ;
cuantche nus puartin vie i dirits dai nostis boscs
dai nostis 'usi civici' e i stin cidins;
cuantche, pai vilegjants, nus sascinin las nostas usanças fasinlas encje fûr
di stagjon
e nou, come pupinots, ur tirìn su encje la suste;
cuantche nus scjafòin la noste lenghe in bocje
'perché qualcuno potrebbe non capire' e nou sin plens di rispiet;
cuantche ai balìnin la noste dignitât, la noste identitât, il nosti jessi
par fânus neâ ducj tal grant mâr da omologasion;
cuantche i nostis fîs studiâts, indotorâts, diplomâts, cuntun mistîr sigûr
ai bandonin cheste cjere parcèche noj sint il leam das radîs;
cuantche…
a è ore di meti man al troi;
cjapìn chescj cjavai pa cjavece
e meninju lontans da chi
ai pòdin passonâ encje in àitis cjampeis.
FINIRA'
ANCHE QUESTO CONVEGNO A POLENTE E FRICO? (int. 54)
Di fronte ad una Chiesa che prende sul serio, almeno nelle
posizioni programmatiche, uno dei problemi più gravi della nostra realtà
sociale, culturale, religiosa, cioè il destino della gente che cammina anzi
galoppa verso una fine indegna di una comunità civile, la prima reazione
dovrebbe essere di grande soddisfazione e di speranza.
Anche se la situazione non lascia grandi prospettive viene da pensare che tra il
fare e il non fare è meglio il fare. E' meglio essere attori anche di poche
cose, piuttosto che spettatori impotenti ed indifferenti. Dunque la speranza nel
Convegno ha un suo fondamento psicologico.
Il fatto poi che qualcuno parli di noi montanari, che non interessiamo ad
alcuno, è positivo. Oltre a ciò non posso presumere che in questa Chiesa
udinese non ci siano le buone intenzioni. Tuttavia non si possono tacere alcune
critiche che hanno investito l'impostazione e l'organizzazione di questo
Convegno.
Ne ricordo alcune.
Più di uno sostiene che si tratta della solita passerella di persone
importanti, che arrivano in montagna, sciorinano la loro reazione (spesso fredda
e senza anima) e se ne vanno.
Che a parlare siano poi quasi sempre quelli lì e quasi mai quelli là che sono
a conoscenza dei fatti è un'altra critica. Il fatto che sia nelle lista dei 30
saggi del comitato siano per lo più persone della struttura ecclesiale con
conoscenze probabilmente relative su i problemi della Carnia, e la vivacità
degli interventi, sempre ridotti in termini di tempo, sempre
"accelerati", succeduta alle relazioni ufficiali, dimostra che si
poteva fare meglio anche nello scegliere le persone e del comitato e dei
relatori.
Si è detto di voler dare voce agli ultimi e si finisce per far venire un grande
nome da Roma e uno meno grande, ma adatto a tutte le stagioni, da Udine!
E gli ultimi?
Il parroco che ha passato una vita in Carnia, non faccio nomi volutamente, o il
piccolo artigiano, la casalinga che salva l'economia della famiglia "cu la
gusiele e il vignarûl", naturalmente fuori dal fisco, cioè in nero, dove
li avete lasciati bravi organizzatori del Convegno?
E chi ascolterà il grido muto della povera gente? Le loro proposte, come quella
della Diocesi della Carnia che potrà essere discutibile, ma che nessuno dei
luminari ha preso in considerazione se non altro elencandola fra le proposte
emerse dal popolo?
Speriamo ancora e il bello deve ancora venire, che anche questo Convegno non
finisca a "POLENTE E FRICO" con molta retorica e buona volontà ma
poca giustizia e liberazione.
UN
TERNO:BROLLO MARTINI TONDO, VINCENTE? (int. 55)
Mai
la Carnia è stata come oggi così corposamente rappresentata nei vari livelli
istituzionali e politici. In nessuno dei secoli passati vi è il riscontro di
una simile rappresentatività.
Vediamo:
Presidente del Consiglio Regionale di Trieste è il tolmezzino Antonio Martini
(DC>PPI>CPR); Assessore alla Sanità Regionale è il tolmezzino Renzo
Tondo (PSI>FI); Arcivescovo di Udine è il tolmezzino Pietro Brollo.
Dovremmo
concludere che la Carnia può tranquillamente dormire tra due (pardon:tre)
guanciali.
Ma
così non è, almeno a nostro giudizio. Per i motivi che seguono:
1.
Tutti e TRE, questi
illustri personaggi, per raggiungere la altissima posizione ove si trovano,
hanno certamente dovuto mediare e concordare molti aspetti con il proprio
mandatario di riferimento (un partito o la Curia romana o udinese). Tutti e TRE
hanno certamente quindi assunto dei vincoli ben precisi, al di là dei quali non
potranno mai andare. RISCHIO: non faranno mai QUALSIASI COSA PER LA CARNIA,
qualora ciò dovesse apparire un andare “contro” il proprio mandatario. E
questo è tamente ovvio da non richiedere dimostrazioni!
2.
Tutti e TRE sono tolmezzini doc, nel senso che nessuno di loro proviene
dalle Valli profonde della Carnia, di cui conoscono le problematiche solo
indirettamente. RISCHIO: potrebbero confondere gli interessi di Tolmezzo con
quelli della Carnia (oggi assolutamente divergenti per i molteplici motivi
elencati anche in questo sito – http://www.cjargne.nauta.it
), a tutto sfavore delle Valli, con la prospettiva di una ulteriore
marginalizzazione e spopolamento delle Valli. E questo potrebbe essere ovvio
dopo qualche amichevole riflessione!
3.
Tutti e TRE questi illustri personaggi fanno parte, nel bene e nel male,
della classe politica ed ecclesiastica dirigente che ha già guidato la Carnia
nei decenni precedenti. RISCHIO: potrebbero costituire il tipico prodotto del
gattopardo (cambiare tutto per non cambiare nulla) con la triste prospettiva di
ritrovarci qui tra 10 anni a commentare un altro decennio inutilmente speso a
fare proclami e a delineare progetti. In questo caso l’ovvio è da dimostrare
o da contraddire con quanto emergerà dal convegno della montagna.
Per
valutare l’effettiva azione di questi TRE PERSONAGGI ILLUSTRI
occorrerà dunque attendere qualche tempo: la verifica la faremo non a
Tolmezzo , né a Villa, né
ad Amaro, ma a Ligosullo, a Ravinis, a Forni ecc. laddove cioè è più
difficile organizzare la rinascita, ma
dove sarà più facile constatare progetti e retorica.
Non
potranno dirci (al termine del loro mandato): NON HO POTUTO, NON AVEVO IL
POTERE, ME LO HANNO IMPEDITO...
Esiste
fin d’ora l’istituto delle dimissioni. Chi ha il tempo maggiore a
disposizione è mons. Brollo: 8 anni. Gli altri forse un po’ meno, ma non è
detto.
Questi
TRE PERSONAGGI ILLUSTRI debbono rendersi conto che essi oggi portano una enorme
responsabilità nei confronti della Carnia vera, una responsabilità che deriva
da una serie di fortuite circostanze che mai si ripeteranno in futuro. Se
dovessero fallire questa occasione storica, anzi epocale, la Carnia avrà un
solo destino:
essere
seppellita da una sonora e prolungata risata, condita da un salace commento:
VEIS VUT I
VOSTIS, CE VOLEISO CUMO’?
Il
nostro sito comunque non abbandonerà la Carnia.
http://www.cjargne.nauta.it
Da
CJARGNE ON LINE al Messaggero, Gazzettino, Friuli Settimanale, Vita Cattolica,
Piccolo, Telefriuli, Radio spazio 103.
LA
CHIESA CARNICA HA IL CORAGGIO TEMERARIO DI PROPORRE UN CAMBIAMENTO?
(int. 56)
Chi tornerà a vivere in quei paesi morti? Chi tornerà a far
correre bimbi per le strade e i viottoli. Chi riuscirà a far risedere i vecchi
sulle soglie di casa? Chi tornerà a riaprire finestre, luci, portoni
arrugginiti e adornare di fiori allegri e vivaci, balconi e terrazze? Chi? Lo
Stato? La Chiesa? I Politici?
· Ogni casa carnica è un'arca di tesori rari, di sapienza, di pazienza e di
dolori.
· Ogni casa carnica è una "antologia" di vita, di storie, di
proverbi, di esperienze ammucchiate e, talvolta anche non tramandate.
· Ogni casa carnica testimonia ancora le sofferenze assorbite nei muri delle
case, il pianto continuo e sfibrante dei bimbi affamati e doloranti per il mal
di pancia, il pianto di mogli che hanno appena salutato il marito emigrante.
· Ogni casa carnica vibra dei sospiri e dei sogni, del turbamento dei corpi che
ripetono il rito dell'amplesso eterno che tramanda vita, speranza, dolori,
durante un'illusione di effimero piacere.
· Ogni casa carnica ricorda i vecchi che sono morti, quelli che se ne sono
andati tranquilli e quelli che hanno sofferto e fatto soffrire, magari passando
attraverso la Casa di Riposo.
· Ogni casa carnica è impregnata di imprecazioni, bestemmie, rosari e
invocazioni, testimonianze del "tradiment, il sassinament, il gienocidi, la
distruzion economiche, social cultural operade in progression sistematiche dal
stât talian, de ditature fassiste, dal regim democristian, dai partîz di ogni
color e savôr, de region autonome". Forse tradita anche dalla Chiesa
potente e non a servizio.
Tutto chiuso, sigillato, sepolto, Come quelle tante stalle, quelle
"Banche" di famiglia che annualmente rendevano un loro contributo
esentasse e vitale. Non piangetevi addosso ci consigliano quelli che stanno
lontano, ma non sanno che non abbiamo più lacrime.
In Carnia non ci sono più lacrime, rabbia sì, tanta!
E poi dobbiamo trovare forza e coraggio nel fatto che ancora non riusciamo a
pentirci di essere nati, vissuti, ritornati o legati a questo lembo sperduto in
una Italia che deve crescere ancora molto prima di arrivare a farci sentire
uniti a lei.
Quante pretese, troppe per un convegno nato dall'alto! Troppo poco il
coraggio per chiedere quello che già dovremmo avere: la diocesi della Carnia.
PRETI
ALPINI ADDIO! ORA VI ASPETTIAMO IN CARNIA. (int. 57)
Suscita sempre dibattito e discussione il tema del rapporto tra
Chiesa ed Esercito, in qualunque paese del Mondo. Vi è in effetti una sonora
contraddizione di termini che, oggi più di ieri, non passa più inosservata: il
Vangelo (e quindi la Chiesa) non ha né può avere nulla in comune con la Guerra
(e quindi l'Esercito, soggetto e attore di guerra).
Tuttavia da quasi due millenni tra Chiesa cattolica ed Esercito vi è stata (e
continua ad esserci) una sorta di rapporto ambiguo, reticente e a volte
inconfessabile.
Una breve sintesi storica: l'imperatore Costantino, aderendo al cristianesimo,
introdusse per primo nel suo esercito un vescovo e un corpo di sacerdoti.
Ai nostri giorni, nel 1910, è stato il Cile a creare il primo Ordinariato
Militare (così si chiama la giurisdizione ecclesiastica dell'esercito). In
Italia l'Ordinariato sarà ufficialmente costituito nel 1925. Ma solo con la
nota apostolica "SPIRITUALI MILITUM CURÆ" del 21 aprile 1986,
l'Ordinariato militare italiano assumerà lo stesso diritto giuridico di una
Diocesi.
Questa Diocesi Militare italiana, diffusa a pelle di leopardo in tutto il Paese,
conta oltre un milione di "fedeli". Infatti l'assistenza spirituale
riguarda 500mila persone tra ufficiali, sottufficiali e soldati di leva oltre al
gran numero di familiari e di dipendenti civili.
La Gerarchia di questa diocesi speciale militare è così composta: 250
cappellani militari, 80 sacerdoti collaboratori, diversi diaconi permanenti e
circa 300 suore addette agli ospedali militari. I vertici di questa particolare
Chiesa sono così organizzati: a capo vi è il vescovo castrense o Ordinario
militare, che ricopre il grado di generale di corpo d'armata. Poi vi è un
Vicario Generale (come in una qualsiasi diocesi normale) il quale ha il grado di
maggiore generale; poi ci sono 3 Ispettori (col grado di brigadiere generale), i
quali svolgono funzioni di coordinamento. Vi è infine un Cancelliere segretario
generale ed il corpo degli ufficiali, cioè i cappellani, il cui grado parte
inizialmente da tenente per raggiungere via via i vari gradi superiori fino a
colonnello che corrisponde al grado di 3° cappellano Capo.
A tutti questi sacerdoti spetta il trattamento economico dei rispettivi gradi,
con tutte le indennità relative, eccetto l'indennità militare speciale e di
alloggio. La carriera avviene per scatti di anzianità previa valutazione della
Commissione di avanzamento.
I cappellani sono equamente distribuiti tra tutti i corpi delle FFAA e vengono
inquadrati nei rispettivi ruoli gerarchici. Qualsiasi prete, che non abbia
compiuto i 50 anni, può entrare a fare parte dell'Ordinariato Militare,
impegnandosi a prestare servizio per almeno due anni continuativi. Il servizio
militare è incompatibile con altre mansioni, per cui i cappellani militari
svolgono esclusivamente tale compito. Vi sono almeno 4 preti carnici arruolati
tra i cappellani militari.
Il Vescovo militare lascia il servizio a 65 anni, gli Ispettori a 63 ed i
cappellani a 62. La pensione viene riconosciuta ai cappellani dopo almeno 20
anni di servizio effettivo. Chi ha meno di 20 anni di servizio effettivo ma
almeno 15 di servizio utile, consegue la pensione come se avesse 20 anni di
servizio effettivo. Le pensioni sono ovviamente quelle degli ufficiali
pari-grado. Cioè elevate.
Una breve riflessione:
Solo fino a pochi decenni fa i cappellani militari benedicevano le baionette e
celebravano la messa sugli affusti di cannone prima della battaglia contro altri
soldati le cui baionette erano altrettanto benedette da altri cappellani
militari. Fino a pochissimi anni fa in chiesa entravano truppe militari armate
ed al momento dell'elevazione eucaristica si presentavano addirittura le armi
col presentat-arm!: oggi tutto questo susciterebbe immediata disapprovazione e
sdegno.
La imminente trasformazione professionistica dell' E.I che prevede minor numero
di soldati e maggiore efficienza;
la utilizzazione dell'EI in varie parti del mondo in funzione di gendarme;
la assoluta cronica mancanza di preti nelle parrocchie;
la maggiore consapevolezza dei diritti e dei doveri dell'uomo;
il mutamento del concetto di Patria e l'acquisizione del concetto di Stato e di
Nazione;
dovrebbero stimolare una profonda riflessione circa la funzione del cappellano
militare il quale, a nostro modesto avviso, dovrebbe essere oggi ri-schierato
sul fronte più difficile e più spopolato: quello delle zone montane carenti,
dove ormai il prete appare sempre più come un solitario eroe che tenta di
arginare come può il nuovo nemico dell'uomo moderno: l'indifferenza e il
benessere eccessivo che viaggiano nell'etere televisivo e ci ammorbano l'aria
che respiriamo.
IN CARNIA CI
SONO DEI DON MILANI (int. 58)
Ben venuto Convegno e merito e vita lunga a chi l'ha voluto. Mi
fa piacere che i fari della Diocesi si accendano e illuminino valli, monti,
montanari in eterna penombra.
Che la montagna e i suoi abitanti siano stati abbandonati non solo dallo Stato,
ma anche dalla Chiesa, la prova la storia di questo appena passato!
Una storia poco conosciuta e poco documentata, ma, non per questo, meno vera. Le
vittime non potevano parlare e i principali responsabili non avevano,
naturalmente, alcun interesse a tramandare storie di iniquità ed ingiustizia.
Indifferente alle grandi encicliche sociali, poche in verità, scritte dai Papi
nel corso del ventesimo secolo ed alla reiterata volontà, espressa dal Vescovo
di richiamare l'attenzione preferenziale ai più deboli, la Chiesa udinese ha
considerato la gente della montagna come selvatica, ignorante, ostile, tale da
darle il minimo indispensabile per poterla, comunque tenerla sotto controllo.
Questa assistenza, o controllo , non era, in fondo, che un modo di esercitare il
potere. Ai carnici, o agli slavi delle valli, hanno spedito Preti ritenuti
ultimi.
Grazie a "DIU" questi preti, ritenuti ultimi dalla gerarchia, quanto a
qualità personali, intelligenza, affidabilità, spesso hanno testimoniato e
testimoni
PROPOSTE CONCRETE
PER LA CARNIA (int. 59)
Tolmezzo - Parallelamente alla preparazione del convegno
promosso dalla Chiesa Udinese che si terrà nei giorni 17-18 e 19 Novembre a
Tolmezzo, una riedizione di quello di tredici anni fa e giudicato da molti,
inutile, anche le pagine del sito Cjargne Online ospita da alcune settimane
interventi articolati e pungenti di molti comuni cittadini che hanno a cuore
questo lembo di terra "madre" del Friuli. Oltre che a dibattere il
"problema Carnia", il sito cui è responsabile Giorgio Plazzotta
oriundo di Treppo Carnico ma trapiantato a Cagliari ospita pure alcune proposte
concrete che aiutino a viverci meglio. Si va dalla defiscalizzazione per quanti
intraprendono in Carnia (del tipo, nessuna tassa per tot anni), rimborso spese a
chi va a lavorare fuori zona e rientra in paese, autostrada gratuita per il
tratto Tolmezzo-Udine-Tolmezzo, per i residenti o per quanti hanno la casa nei
28 Comuni, premi fiscali a chi crea posti di lavoro nei paesi (escluso Tolmezzo),
istituire la Provincia della Carnia con uffici dislocati sul territorio: a
Paularo, a Sauris, a Paluzza… E ancora un suggerimento terra-terra che,
potrebbe se non altro fare notizia e forse innescare qualcosa di forte, una
sorta di "pan per focaccia": tutti gli aventi diritto al voto scelgano
il non voto alle prossime consultazioni Politiche. La sensazione che si ricava
è che il vaso sia colmo e si indica come modello la Carinzia.
DIOCESI
DI ZUGLIO - Obiezioni e replica (int. 60)
Una
delle obiezioni che maggiormente ci vengono rivolte per controbattere alla
ipotesi delle diocesi di Zuglio, è la seguente: I PRETI CARNICI SONO TROPPO POCHI. COME FARESTE A GESTIRE UNA
DIOCESI AUTONOMA, SEPPURE PICCOLA ?
A
questa precisa ma fondamentale obiezione (ad altre risponderemo in seguito)
cerchiamo ora di rispondere con le cifre ed i fatti, nel modo che segue:
1.
Attualmente i preti diocesani carnici, viventi ed efficienti, sono in
totale ben 33 (non sono conteggiati i preti in quiescenza). Tutti questi 33
preti carnici (se qualcuno lo desidera, sono disponibili anche i nominativi)
rivestono oggi ruoli attivi: sono PARROCI, CAPPELLANI MILITARI, INSEGNANTI,
FUNZIONARI ECCLESIASTICI ecc. Non sono qui conteggiati però i preti carnici
non-diocesani, appartenenti cioè ad istituti religiosi (Salesiani,
Comboniani ecc.), come don Salon di Paluzza o don Baritussio di Treppo e
altri ancora, che non hanno alcun vincolo con la diocesi.
PRIMA
CONSEGUENZA:
questi 33 preti carnici, se uniti agli 8 salesiani del Collegio operante in
Tolmezzo e agli operatori, rappresentano un numero di partenza sufficiente a
garantire un ministero pastorale adeguato alle parrocchie della Montagna, che
sarebbero però riorganizzate sulla base delle antiche Pievi (come sostiene
anche il Convegno).
2.
Moltissimi di questi preti carnici svolgono attualmente il loro ministero al di
fuori dei confini della ipotetica DIOCESI DI ZUGLIO. Nel contempo moltissimi
preti non-carnici operano invece qui in Carnia, alcuni dei quali si sono
perfettamente integrati nella realtà carnica da alcuni lustri, diventando in
effetti più carnici dei loro confratelli carnici operanti altrove, nel senso
che sentono maggiormente i problemi e le preoccupazioni della montagna, proprio
perchè li vivono quotidianamente sulla propria pelle.
SECONDA
CONSEGUENZA:
chiedere ai preti carnici operanti altrove: VUOI TORNARE IN CARNIA A
RI-EVANGELIZZARE LA TUA TERRA? Poi chiedere ai preti non-carnici operanti qui in
Carnia: VUOI CONTINUARE A RESTARE CON QUESTA GENTE?
Probabilmente in Carnia ci ritroveremmo con meno problemi e più preti di
oggi perchè molti vorrebbero rientrare e pochissimi se ne vorrebbero andare.
3.
Il futuro dei preti non sarà diverso in Carnia dal resto del Friuli. Già il
Seminario Arcivescovile di Udine è stato da anni soppresso e affittato ad altre
scuole pubbliche statali cittadine per mancanza assoluta di vocazioni ed è
stato sostituito dal cosidetto SEMINARIO INTERDIOCESANO REGIONALE a Castellerio
(Pagnacco) dove confluiscono i superstiti seminaristi delle vicine diocesi di
Gorizia, Trieste e di Udine (in tutto una DECINA di seminaristi, moderati da
preti udinesi, goriziani e triestini). Se poi la crisi vocazionale dovesse
prolungarsi (e non si vedono attualmente ragioni che la possano arrestare),
anche le diocesi di UD-GO-TS dovranno presto (tra meno di 10 anni) attingere
alle vocazioni del III e IV mondo.
TERZA
CONSEGUENZA:
i pochi seminaristi (se ci saranno) della futura DIOCESI DI ZUGLIO
convergeranno, come quelli di GO e TS, nel seminario interdiocesano regionale di
Castellerio. In ogni caso il problema della scarsità di preti non potrà
interessare (strumentalmente) solo la Carnia, ma continuerà ad essere per
lunghi decenni un angoscioso problema regionale che dovrà essere ricalibrato su
posizioni assai diverse da quelle odierne (maggiore solidarietà tra chiese
sorelle, maggiore permeabilità di aiuti, maggiore interscambio di preti
ecc...).
COME
SI PU0' DUNQUE NOTARE, LA FUTURA DIOCESI
DI ZUGLIO SI TROVEREBBE IN UNA SITUAZIONE PER NULLA PEGGIORE DI QUELLA
ATTUALE, MA POTREBBE CONTARE SU UNA MAGGIORE RESPONSABILITA' E CONDIVISIONE DEI
PROBLEMI, DERIVANTE DA UNA
AUTONOMIA PASTORALE CHE SAREBBE CERTAMENTE IN GRADO DI IMPRIMERE UNA SVOLTA
DECISIVA ALLA PROFONDA CRISI ATTUALE (religiosa, sociale, politica, economica,
ambientale).
PER
QUANTO RIGUARDA INFINE LA SLAVIA FRIULANA
(le cui gravi problematiche non vanno confuse e "appiccicate" al
problema "Carnia" col rischio di mettere vanamente troppa carne al
fuoco), SOSTENIAMO CHE NON E' POSSIBILE ANCORARLA ALLA DIOCESI DI ZUGLIO (la
storia, la geografia, la lingua, la cultura, la indole non lo consentono).
OCCORRERA' SICURAMENTE ISTITUIRE UN VICARIATO
EPISCOPALE AD HOC (all'interno dell'Arcidiocesi Udinese) con personalità e
teste locali capaci di rivitalizzare un corpo sociale che versa in stato di coma
vigile e che necessita di urgentissime terapie rianimatorie più che di
accademico e vacuo impegno culturale.

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