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In
viaggio da Zuglio ad Aquilei a
Cronaca
di un indimenticabile pellegrinaggio giubilare
di
Renato Garibaldi
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Non
sono a commentare un fatto di cronaca o di attualità, ma bensì come testimone
di un particolare viaggio ad Aquileia.
Non
sto parlando del viaggio giubilare organizzato dalla forania di Paluzza e Arta,
alla quale ho pur partecipato volentieri e che ha portato 4 allegre corriere di
amici ad Aquileia, né di un altro pellegrinaggio foraniale con destinazione
Roma per celebrare l’anno Santo.
Infatti
l’indulgenza plenaria promessa a tutti i pellegrini che visiteranno Roma e le
quattro basiliche della Cristianità (S. Pietro, S. Paolo oltre le mura, S.
Giovanni Laterano e S. Maria Maggiore) in
occasione dell’anno Giubilare del 2000 non ci convinceva a sufficienza. E se
avete pazienza un attimo vi spiego il perché.
Coloro
che pensano di lavare con un bel tour tutti i peccati accumulati in una vita di
menefreghismo, sono molto più inverosimili dei figli di Allah che credono, ad
esempio, che l’Eclisse di sole sia un colpo di sfiga o dei Testimoni di Geova
quando dicono che l’uomo è apparso sulla terra 6.000 anni fa.
Eppure
il nostro Giubileo rischia proprio di trasformarsi in un giro turistico se resta
di moda l’invisa abitudine di celebrare le feste liturgiche più importanti a
mo’ di grande abbuffata. E non si offendano i buoni cristiani perché il Santo
Natale, giusto per ricordare la prossima importante festività, che dovrebbe
celebrare il “Creatore dell’uomo che
si è fatto uomo” è stato trasformato in una festa del consumismo, un
po’ come tutte le altre ricorrenze della cristianità; quelle poche che ancora
richiamano nell’immaginario collettivo le origini sacre…
Certamente
quando Bonifacio VIII°, il 22 febbraio del 1300, promulgò la Bolla Antiquorum
habet digna fide relatio (La relazione degli antichi ha degna fede)
l’entusiasmo che accompagnò le migliaia di pellegrini (compresi Dante e
Giotto) che visitarono la Caput Mundi era proporzionato alla voglia di
indulgenza esattamente come è accaduto quest’anno con tutti coloro che hanno
raggiunto Roma. A quel tempo le basiliche erano solo due (S. Pietro e Paolo), ma
toccava scarpinare perché metropolitana e treno li hanno inventati solo
600 anni dopo.
Quale
sia stato lo spirito profondo che animava i seguaci di Cristo di quegli anni,
non c’è dato di saperlo. Certamente il fine generale dell’Anno Santo è
avvicinare i cristiani, tutti, al messaggio evangelico; impetrare grazie,
soprattutto per il bene della chiesa e per la riunificazione delle varie
confessioni religiose ed altri fini particolari che vengono promulgati nella
bolla papale.
Come
cristiano aborro questa pratica delle indulgenze che, iniziate con buoni
propositi verso il VI° secolo, incominciarono a trascendere già verso l’XI°;
Urbano II° (fine 1100) concede un assoluzione plenaria ai crociati,
mettendo le basi per il giubileo amnistiale. Infatti pochi anni dopo Bonifacio
IX, allo scopo confessato di ottenere denaro per sostenersi nella lotta contro
il papato francese, decide di elargire l’indulgenza plenaria giubilare non
solo ai cittadini che si recassero a Roma in occasione dell’anno Santo, ma
anche a coloro che avrebbero versato nelle casse della chiesa tanto denaro
quanto ne avrebbero speso per il viaggio. Da lì alla compravendita vera e
propria dell’indulgenza per mano dei banchieri che all’epoca gestivano
l’economia del Vaticano, il passo è breve. Poi gli stessi papi del
Rinascimento, veri mecenati delle arti, ma troppo spendaccioni, che trascinarono
la chiesa fino allo scisma dei protestanti, per nulla d’accordo con questa
allegra confusione tra spirito e portafoglio.
Invito
a ricordare che tutti i propositi legati al Giubileo devono tener conto
di queste parole di S. Paolo: “ Se
distribuissi tutti i miei beni per nutrire i
poveri, se dessi il mio corpo per essere arso, ma non avessi amore, non
mi gioverebbe a niente (Cor.I,13-3)”. Invece le preoccupazioni legate al
Giubileo, almeno a giudicare dai soldi investiti in questi anni, fanno temere
che si procederà con lo stesso metro di sempre: prima i piaceri poi i doveri.
La
nostra voglia di Giubileo partiva piuttosto da S. Paolo. O almeno cercava S.
Paolo. Ma veniamo alla cronaca.
L’idea
del pellegrinaggio verso Aquileia è nata all’interno del numeroso gruppo
mariano che la notte di ogni ultima domenica dei mesi estivi da maggio a
settembre, partendo da Cividale raggiunge il Santuario di Castelmonte in una
significativa veglia pellegrinaggio notturna.
L’obbiettivo
in realtà era più ambizioso: raggiungere Roma per compiere il vero e proprio
giubileo. Poi sotto la pressione di fidanzati/e mogli e mariti, che minacciavano
di andarsene di casa, il gruppetto dei giovani entusiasti ha scelto con
cognizione di causa di limitare il viaggio ad Aquileia.
Ma
la meta non è stata scelta a caso.
Abbiamo
cercato di immaginare l’arrivo di S. Marco ad Aquileia, preceduto certamente
dalla fama di Cristo che, pur senza TG1, 2, 3, 5 ecc., era schizzata in tutto
l’impero romano. Anche tra i rustici abitatori della Carnia qualche cuore deve
aver battuto di curiosità e di interesse per il Messia che, terminata la sua
missione sulla terra, non si poteva più conoscere se non attraverso la parola
dei suoi discepoli o dei loro diretti delegati e ancor meglio degli Evangelisti.
E
pur non ancora lanciato agli onori della cronaca dalla grande città che lo
volle patrono – neppure esisteva – la sua meritata fama per essere amico di
Pietro, Paolo e Barnaba aveva fatto il giro del mondo. Così
chiunque sentisse la chiamata verso questo misterioso Gesù aspirava a
conoscere Marco.
Ci
sembra di vederli i primi pellegrini alla ricerca di Cristo percorrere la via
Julia Augusta per raggiungere la grande metropoli dove era arrivato il famoso
Evangelista. Cercavano la buona novella, anche se non sapevano neppure cosa
fosse.
Partivano
dai nostri paesini con poche cose nella bisaccia percorrendo l’unica strada
sicura di quei tempi: questa scendeva da Zuglio a Tolmezzo passando per Terzo (ad
Tertium, tre miglia dal municipium)
e attraversava il Tagliamento una prima volta dove oggi si trova il bivio per
Verzegnis; proseguiva per Cavazzo, Somplago, Bordano, Venzone, Gemona (Glemona),
Artegna, Magnano Tricesimo (ad Tricesimum,
a 30 miglia – da Aquileia, beninteso), Udine, S. Maria la Longa, Cervignano,
Strassoldo, Terzo di Aquileia ed infine eccoli arrivati alla capitale della Regio X – Venetia.
Abbiamo
immaginato di essere proprio nello spirito di quei pellegrini che andavano ad
Aquileia per conoscere Cristo ed essere con Lui.
Il
Giubileo, infatti, trasformato in un semplice tour per Roma, credendo con questo
e qualche preghiera di lavare tutti i peccati accumulati, non ci convinceva. Ci
voleva qualcosa di più forte, più vero, più sincero, più profondo: spirito
comunitario, preghiera, interiorità, ricerca del Corpo mistico.
E
allora, pausa di riflessione e via
tutto dietro le spalle: lavoro, impegni, scadenze, famiglia, ecc. Un bel
mercoledì di digiuno e di avvicinamento al trasparente, ma purtroppo difficile,
messaggio del Verbo fatto Carne e … in cammino!
La
sera di mercoledì abbiamo preparato lo zaino in fretta e furia, come sempre
succede quando lavori fino all’ultimo minuto.
Si
è dormito poco, per l’emozione e la voglia di andare.
L’arrivo
a S. Pietro è stato un momento di gioia e delusione. Delusione perché il
messaggio portato in tutte le chiese della Carnia dal manifesto d’invito e da
molti parroci durante la messa, era andato inascoltato; nessuno era lì con il
nostro stesso entusiasmo ad aspettare con ansia la partenza.
Gioia
per l’incontro con il fantastico Padre Giordano, fondatore della Comunità
ecumenica interreligiosa della Pouse di
Cougnes.
Il
tavolo preparato per la messa, il suo sorriso radioso
sul volto che è stato il primo momento di comunione del viaggio. Non
occorre parlare, per condividere. Basta essere sulla stessa lunghezza d’onda.
Nei
giorni che hanno preceduto la partenza, le nuvole e la foschia non avevano mai
abbandonato le nostre montagne. Ma appena lasciata la Basilica le nubi si sono
squarciate per lasciar passare il primo sole della settimana quasi a dare il
“buon viaggio” dal cielo.
La
prima sosta per il pranzo al sacco è stata allietata dalla visita di due
caprioli che sono venuti a brucare l’erba a pochi metri da noi. E la natura ci
ha accompagnati tutto il giorno dato che la strada di snoda tra boschi e monti,
costeggiando per un bel tratto il lago di Cavazzo e la riva del Tagliamento.
Soste
obbligate davanti al Duomo di Tolmezzo e a quello di Venzone, con tutto il
fascino della cittadina medioevale.
Era
oramai notte quando abbiamo percorso la strada che da lì ci ha portato a S.
Antonio di Gemona, accolti a braccia aperte dai francescani che guardano
l’antico e venerato Santuario.
Dopo
un rapido esame delle nostre condizioni fisiche abbiamo risolto che non ce
l’avremo mai fatta a ripartire l’indomani. Le gambe infatti erano incapaci
già solo di fare le scale per salire al refettorio. Aiutandoci col corrimano ci
siamo rifocillati con la buona compagnia degli anziani frati che non ricordavano
l’ultima volta che alle loro porte avessero bussato dei pellegrini pedestri.
E’
notorio che un buon libro concilia il sonno ed infatti abbiamo dormito come
sassi nella biblioteca del convento, alquanto preoccupati per il nuovo giorno
che presto si sarebbe presentato a ricordarci l’impegno.
La
mattina la campana suona a buonora e abbiamo deciso di raggiungere un bar per
verificare le nostre residue possibilità motorie.
Al
nostro ritorno la bella sorpresa. Nella chiesa che si preparava alla messa un
bel gruppetto di pellegrini capeggiati da Don Giorgio (per chi non lo conosce
ricordo che è il pastore di Sutrio, Priola, Noiaris, Treppo, Tausia, Ligosullo
– scusate l’elenco…) si
apprestava ad unirsi a noi nel prosieguo del viaggio.
La
messa nel Santuario è stata la prima emozione del viaggio. In chiesa c’era
molta gente per essere una mattina di un giorno feriale. Così quando il frate
celebrante ha spiegato all’assemblea chi erano le facce straniere e dove
andavano, ci siamo sentiti di trasmettere qualcosa a quella gente che, per caso
od abitudine, era lì ci stava
guardando. Lo scopo del pellegrinaggio, in fin dei conti, è condividere. Lì
abbiamo condiviso con dei fratelli in Cristo un’esperienza che non era solo
nostra ma in quel momento, in quel applauso spontaneo, era anche loro.
La
foto di gruppo coi frati e via. Siamo ripartiti caricatissimi.
La
giornata è stata sicuramente più movimentata dalla presenza del sopraggiunto
gruppetto che destava l’attenzione e la curiosità di tutti coloro che ci
vedevano passare; i meno timidi ci chiedevano dove andassimo, dato che le
montagne erano dall’altra parte, e alla risposta sincera che davamo lo sguardo
di curiosità mutava in incredulità e sorriso alla candid
camera.
Bella
la sosta a Madonna missionaria con il pranzo rallegrato dalla compagnia di Don
Maurizio e dalla visita al Castello.
La
partenza per la strada interna verso Reana, Ribis, Rizzolo con le energie che
mancavano mano a mano, ma la forza che cresceva con l’ingresso in città a
notte ormai in procinto di sopravvento.
All’arrivo
alle Dimesse le gambe erano agli ultimi metri di autonomia, ed il resto del
corpo anche. Così la confortevole camera messa a disposizione è sembrata molto
meglio dell’Excelsior. Anche perché al famoso albergo del Lido di Venezia non
vi capiterà mai di pranzare con due decine di simpaticissime suore che lasciano
il piatto per cantarti il benvenuto. Anche i nostri duri cuori di montanari
hanno vacillato dalla commozione.
Dopo
la compieta (ore 21) non ci siamo fatti pregare per entrare nel mondo dei sogni
pregando Dio che ci avesse dato la forza per ripartire l’indomani.
Ma
evidentemente la messa della mattina seguente accompagnata dalle preghiere di
tutto il convento, ha rigenerato fisico e determinazione per proseguire il
viaggio al motto di “Aquileia o morte “.
Uscire
da Udine e da qui proseguire attraverso S. Maria la Longa verso Palmanova è
stata la parte più difficoltosa del viaggio perché la strada non concede
varianti e le macchine disturbano la concentrazione e la preghiera, oltre che
rendere pericoloso il tragitto. Ma la meta si avvicinava e si era sempre più
ben disposti anche verso gli inconvenienti.
Anche
da Palmanova a Cervignano e da lì ad Aquileia, con l’unica variante
rappresentata dal bel borgo medioevale di Strassoldo dove la contessa Lella ci
aspettava per farci da cicerone, la strada si interseca continuamente col
traffico.
Ma
vi assicuro che quando dopo Terzo di Aquileia, alla fine del viale alberato, è
apparsa la cupola medioevale del campanile della Basilica metropolitana, tutta
la fatica, tutto lo smog, tutte le difficoltà, si sono dissolte nel grido di
gioia che è esploso.
Sono
momenti che non si dimenticano.
Arrivati
sul piazzale antistante il campanile, detto del capitolo, ci siamo prima
inginocchiati, poi seduti a meditare il senso del viaggio e la ricerca di Dio.
Il
successore di Teodoro alla Cattedra di Aquileia è don Luigi, un simpatico
parroco che, pur senza la mitra, fa bella figura nel presbiterio della famosa
basilica. Dopo averci dato il benvenuto ci ha accomodati nella “Sala romana”
che è il nome altisonante del cinema-teatro e noi ci siamo sistemati sul palco
sentendoci solo per questo attori protagonisti.
La
fatica dei 120 km pesava a tal punto sugli arti che dubitavamo di essere in
grado di attraversare la piazza l’indomani per raggiungere la chiesa.
Invece,
inaspettatamente, il risveglio ci ha colti perfettamente in forma,
incredibilmente indenni dalla fatica del lungo viaggio. Non so spiegarvi che
strana sensazione è stata alzarsi senza alcuna defaillance.
Difficile da credere, ma è così.
Il
primo pensiero della giornata è stato rivolto a Dio che ci ha dato la forza
d’arrivare, il secondo alla Basilica, la nostra meta. Così appena aperta ci
siamo entrati attraverso il portone principale, non senza emozione.
Tutto
aveva un altro sapore di quando ci arrivi comodamente con la macchina: lo
splendido mosaico con tutta la complessa simbologia catecumenale, gli affreschi,
i bassorilievi dei Martiri Canziani, i Santi, le scene della Passione nella
Cripta, i cavalieri alle Crociate …
L’arrivo
di un gruppetto di amici dalla Carnia ci ha molto rincuorato perché,
soprattutto con la presenza di Luciano, ci siamo riavvicinati al Corpo mistico
del Cristo, scopo infine del nostro viaggio. La messa è stato un vero momento
comunitario, come comunitario è stato l’incontro con i nostri compaesani e
con gli altri ferventi frequentatori della Basilica. Non ci sono stati grandi
discorsi, ma gli occhi si sono incrociati spesso in una reciproca approvazione
che è il sentimento più importante di chi vive la fede come momento di
comunione con gli altri.
Questa
è, molto per sommi capi, la cronaca del viaggio.
Vorremmo
ora riuscire a spiegare il perché, dato che la maggior parte di chi legge
vorrebbe capire il senso di una maratona del genere.
Bene!,
il motivo principale del pellegrinaggio è stato sfruttare
la contingenza dell’anno giubilare per stimolare al massimo l’incontro con
altri pellegrini come noi che, anche non a piedi e su strade diverse, siano alla
ricerca dell’Incontro.
Il
pellegrinaggio, come l’abbiamo vissuto noi, è stato un viaggio di ricerca.
Ricerca
di Dio, e quindi di Cristo. Del suo messaggio, dei suoi momenti, dei suoi
Apostoli, dei suoi Martiri, dei suoi Santi. Per questo Aquileia. Perché
rappresenta bene le origini che cerchiamo. Non che il Verbo Fatto Carne ed il
suo messaggio abbiano perso di attualità. E’ stato come partire alla ricerca
del proprio albero genealogico, del proprio passato.
Inoltre
la Fede è proposta, è esempio. Sapeste quanta gente ci ha fermato, ci ha
chiesto, si è interrogata. Molti hanno guardato con indifferenza, altri con
compassione, altri con derisione, ma qualcuno si è chiesto perché; ha cercato
nei nostri occhi la forza di credere, qualcuno ha detto: “il prossimo anno
vengo anch’io”.
E’
stato come quel seminatore uscito per seminare; nel gettare il seme, parte di
esso cadde lungo la via; vennero gli uccelli e se lo mangiarono. Parte cadde in
un suolo roccioso, dove non c'era molta terra; e così per mancanza di terreno
profondo nacque subito; ma al sorgere del sole rimase bruciato e, non avendo radici,
seccò. Parte cadde fra le spine; ma queste, crescendo, lo soffocarono. Infine,
una parte cadde su terreno buono, tanto da dar frutto dove il cento, dove il
sessanta, dove il trenta. (Matteo 13,3-9). Noi stessi siamo stati un piccolo
seme.
Il
pellegrinaggio, così come l’adorazione, il gruppo di preghiera, la veglia od
il digiuno, è un momento mistico di cui non si riesce a cogliere l’essenza se
non lo pratichi. Possiamo riempire pagine e pagine, ma come la fede non si
conquista con la ragione ma con il cuore,
così queste esperienze dello spirito o le pratichi o non riuscirai mai a
coglierne l’essenza. Così possiamo solo invitarvi a venire con noi nel 2001,
l’ultimo giovedì del mese d’agosto, per riproporre a quanti hanno un seme
nel cuore, la possibilità di raccogliere a breve i frutti.
Temete
di non farcela, di stancarvi?
Ricordiamoci
che il Creatore dell’uomo “Si stancò lungo la strada, per farsi ristoro
degli affaticati”.
Capito?!
Garibaldi
Renato