Elezioni
regionali e coalizioni partitiche in Friuli-Venezia
Giulia dal 1964 al 2001 Sommario:
-
Introduzione -
1963-1992, l'era del
centro-sinistra: governo di partito e stabilità politica. -
1993-1998, Tangentopoli e la crisi
del sistema partitico regionale. -
1998: l'impatto della riforma elettorale sulle elezioni del 1998. -
TABELLE Introduzione Tra
le Regioni a Statuto speciale, il Friuli-Venezia Giulia è quella di più
recente costituzione. Il
suo Statuto è stato approvato, con legge costituzionale, soltanto agli inizi
del 1963, a più di quindici anni di distanza dall'istituzione delle altre
quattro Regioni speciali. La Carta statutaria è diventata operativa, sotto il
profilo istituzionale, dopo le votazioni regionali del 10 maggio 1964,
con l'elezione dei primi consiglieri regionali e con il conseguente
insediamento della prima Giunta Berzanti (DC). Le istituzioni portanti della
politica regionale del Friuli-Venezia Giulia hanno così cominciato a
funzionare solo dalla metà degli anni sessanta. Durante
i suoi primi trent'anni di esistenza, la Regione ha goduto di una stabilità
politico-istituzionale per certi versi straordinaria. Dal 1964 al 1993, vi
sono stati solo quattro uomini politici - tutti esponenti di rilievo
della Dc regionale -, ad occupare la carica di Presidente della Giunta.
Tale stabilità dei vertici istituzionali della Regione, che si è manifestata
nel lungo periodo anche a livello di molte cariche assessorili è stata
certamente favorita dalla continuità nella formula coalizionale di governo.
Difatti, per quasi tutto l'arco dei trent'anni, si sono succedute coalizioni
di centro-sinistra, guidate dalla Dc e sostenute prevalentemente da
Psi, Psdi e Pri. Netto
è invece il contrasto con il periodo immediatamente successivo al 1993. A
partire da tale data, difatti, si possono riscontrare mutamenti di grande
rilievo sia a livello di stabilità/continuità dei vertici istituzionali, sia
sul piano della politica coalizionale dei partiti presenti nel Consiglio
regionale. Con l'inizio della settima legislatura regionale prende il via una
fase di instabilità che non ha precedenti nella storia della Regione. In
soli cinque anni, dal 1993 al 1998, si sono succedute ben 6 giunte
regionali, ognuna delle quali è stata guidata da leaders politici che non
hanno mai ricoperto, prima del loro insediamento, la carica di Presidente
della Regione. Altrettanto variegate sono state poi le coalizioni partitiche
che hanno sostenuto le singole giunte. Tra i membri dei diversi governi
regionali troviamo, in effetti, esponenti di spicco di quasi tutti i partiti
rilevanti, sia di destra che di sinistra, ad esclusione di Rifondazione
comunista. Assistiamo
così ad una politica di coalizione che vede come protagonisti principali
quasi tutti i partiti che si collocano sull'asse destra-sinistra. Non si è più
in presenza di quelle modalità limitate
e periferiche di avvicendamento e
di ricambio al potere regionale - rispondenti per di più alle contingenti
richieste di riequilibrio spartitorio provenienti dai singoli partiti
che sostengono le giunte regionali -, tipiche del periodo pre-1993. Ciò
è sicuramente dovuto in gran parte al venir meno di un partito egemonico
e pivotale come
la Dc, che, collocatosi stabilmente al centro dello spazio
politico, aveva dimensioni tali da rendere impossibile la formazione di una
maggioranza alternativa da parte dei partiti che si trovavano alla sua destra
o alla sua sinistra. L'era
del centro-sinistra: governo di partito e stabilità politica. Particolare
è la partecipazione politica dell'elettorato friulgiuliano, e la
specificità del sistema partitico regionale ed i rapporti
istituzionali tra Giunta e Consiglio regionali. Innanzi
tutto, se analizziamo in prospettiva storica i dati sulla partecipazione
elettorale, notiamo che la percentuale del non-voto (astensionismo +
schede bianche + schede nulle) nelle regionali del Friuli-Venezia Giulia
risulta sempre superiore rispetto a quella delle elezioni nazionali.
Sicuramente ci troviamo in presenza di una quota di voto non espresso che, pur
mantenendosi su tassi inferiori a quelli di molte altre Regioni italiane, è
legato in qualche modo alla percezione che le elezioni regionali sono
sempre meno importanti di quelle nazionali. In linea di massima, se il non
voto per le elezioni nazionali, almeno fino al 1978, supera raramente la
soglia del 10%, nel caso delle elezioni regionali esso si avvicina invece
continuamente al 15% (vedi tab.1). Dalle elezioni del 1983 in poi, tali
valori percentuali crescono ulteriormente fino ad assestarsi attorno al 20%,
nel caso delle elezioni regionali del 1988, e del 13 %, nel caso di quelle
politiche del 1987. Veniamo
adesso ai principali partiti che dominano il proscenio regionale dal 1964 al
1992. Il sistema elettorale della Regione ha previsto, almeno fino alla
riforma del 1998, l'elezione con riparto proporzionale dei consiglieri
regionali sulla base di liste concorrenti e con recupero dei voti residui
in un collegio unico regionale. Si è votato, quindi, per tutto il
trentennio con un sistema proporzionale praticamente puro. Orbene, se
guardiamo agli andamenti elettorali dei principali partiti, prodotti
dall'applicazione di tale legge elettorale, riscontriamo come la Democrazia
cristiana si afferma subito come il principale partito della regione.
Tuttavia, la sua evoluzione conosce, nel tempo, una significativa erosione.
La Dc passa infatti dal 45% dei voti totalizzati nel 1968 al 34 % del 1983.
Solo nel 1987 recupera tre punti percentuali, raggiungendo il 37%. In termini
di seggi consiliari, la Dc rimane, per tutto il trentennio, il partito di
maggioranza relativa, godendo nel contempo di un considerevole vantaggio -
sia di seguito elettorale che di seggi consiliari - sul principale partito di
opposizione, il Pci. Nel
caso dei voti raccolti dal partito comunista,
vediamo come essi non subiscono fluttuazioni degne di nota nell'arco di
tempo qui considerato. Dal 1964 al 1988 essi oscillano intorno al 20 %
dei voti validamente espressi. Anche nel caso del Psi, il principale
alleato al governo regionale della Dc, non si riscontrano grandi variazioni
nella propria base elettorale. Durante le votazioni per i primi quattro
consigli regionali, il voto Psi raccoglie tra il 9 e l'11% dei voti
validi. Solo con le elezioni del 1988, il Psi compie un balzo in avanti
di 6 punti percentuali, raggiungendo quasi il 18 %. Il Psi conquista 12
seggi in Consiglio regionale e diventa il secondo partito regionale,
davanti al Pci che riesce a conquistarne solo 11. Ad
ogni modo, sul lungo periodo, non si può quindi rilevare una forte volatilità
delle fortune elettorali dei singoli partiti rilevanti da una tornata
all'altra. A parte l'affermazione, per certi versi repentina, del Movimento
Friuli nel 1968 e della Lista per Trieste nel 1978 e qualche exploit
- temporalmente circoscritto - dei partiti minori della coalizione (Psdi,
Pli e Pri), l'evoluzione del quadro partitico regionale si assesta su comportamenti
elettorali abbastanza lineari e prevedibili (visto che il trend
elettorale delle regionali rispecchia sovente i cambiamenti che avvengono a
livello delle elezioni al parlamento nazionale). Il sistema elettorale di
stampo proporzionalistico, pur favorendo con il passare degli anni una certa
frammentazione del quadro partitico - dai 9 partiti
rappresentati in Consiglio nel 1964, si passa ai 13 della sesta
legislatura (si veda tab.2) -, non sembra, nel contempo, ostacolare una forte
stabilità del personale politico della Regione. E`stata proprio tale stabilità
che ha favorito una crescita continua di outputs
delle politiche regionali che sono state positivamente percepite dai cittadini
della regione. Ciò vale soprattutto per il periodo che fa seguito al terremoto
del 1976 e, poi, per tutta la fase della ricostruzione e di ordinaria
amministrazione della politica regionale fino alla metà degli anni ottanta.
D'altronde alcuni sondaggi effettuati all'epoca tra la popolazione del
Friuli-Venezia Giulia hanno rilevato un suo forte attaccamento alle
istituzioni regionali. Nel
Friuli-Venezia Giulia si consolida, proprio in quegli anni, una forma di party
government regionale che tenta di rispondere, per
metà, a rivendicazioni di tipo spartitorio provenienti dai singoli
partiti e, per l'altra metà, a richieste di innovazione
politico-programmatica, presentati soprattutto dai principali gruppi
d'interesse regionali. Si tratta di un sistema di governo dove, all'alta
frammentazione del sistema partitico, si associa una marcata continuità a
livello di titolarità delle cariche politico-amministrative più importanti.
Le frequenti crisi di governo degli anni ottanta non debbono pertanto
trarci in inganno. Si tratta sovente di crisi relativamente brevi, durante le
quali assistiamo, a livello di assessorati, ad alcuni rimpasti marginali, in
funzione delle contingenti ragioni di potere dei singoli partiti. Le
coalizioni partitiche che sostengono la grande maggioranza delle giunte
friulgiuliane, prima del 1993, sono quasi tutte di tipo sovradimensionato.
Coalizioni del tipo "minimo vincente" non sono apparse sufficienti a
garantire la stabilità di governo. In tale prospettiva è stato proprio il
carattere sovradimensionato delle coalizioni a rafforzare, nel tempo, la
centralità del partito democristiano. La Dc ha avuto una particolare
convenienza in tale formula coalizionale, visto che, includendo nelle
maggioranze delle singole giunte i suoi potenziali alleati minori di
centro-sinistra, si è garantita semplicemente il ruolo di baricentro della
coalizione. Così si capisce perché la Dc abbia detenuto tutte
le cariche di Presidente della Regione e sempre più della metà degli
assessorati in giunta dal 1964 fino al 1993. La crisi del sistema partitico: l'impatto delle elezioni regionali del 1993. La
transizione avviatasi dopo le elezioni regionali del 1993 ha introdotto
cambiamenti di grande rilievo nella politica del Friuli-Venezia Giulia. Essi
si sono manifestati su diversi piani. Per quel che concerne la partecipazione
elettorale dei cittadini della regione, non si può fare a meno di notare un
incremento significativo del non voto: si passa dal 21% delle
elezioni del 1988 al 25 % del 1993. Ma
i dati più interessanti sono quelli che emergono da un'attenta analisi della
distribuzione dei voti tra i singoli partiti. I risultati elettorali non
lasciano, come vedremo tra poco, ombre di dubbio: si assiste ad una profonda
ristrutturazione del sistema partitico della Regione. Intendiamoci però:
quando gli elettori della regione si recano alle urne nel giugno del 1993 essi
non si trovano di fronte ad un insieme di liste partitiche del tutto
irriconoscibili. Le novità di maggior rilievo risiedono
prevalentemente nelle candidature presentate dalla Lega Nord, dalla
Lega autonomista friulana, dal Pds e da Rc. Per il resto,
ritroviamo ancora i vecchi partiti: Dc, Psi, Pri e Pli. Pertanto i cambiamenti
più significativi non vanno ricercati dal lato dell'offerta partitica, ma
piuttosto nell'esito della consultazione elettorale, cioè a livello della
distribuzione dei seggi in Consiglio regionale. Per
iniziare, bisogna sottolineare che non
si assiste, al momento dell'insediamento della settima Assemblea regionale, ad
un'ulteriore frammentazione del quadro partitico consiliare. Al contrario: il
numero dei partiti eletti in Consiglio scende da 13 a 11. Le liste che
invece si sono presentate alle elezioni sono state 15. Come tale, il sistema
elettorale di tipo proporzionale non può essere di certo accusato di aver
assecondato una rinnovata frammentazione partitica al momento
dell'insediamento del nuovo Consiglio. Risulta pertanto difficile stabilire un
legame di causazione diretta tra tipo di sistema elettorale e instabilità
delle giunte regionali. In realtà, l'accelerazione delle instabilità degli
esecutivi regionali può essere imputata ad una pluralità di cause. Le più
importanti, tuttavia, risiedono primariamente nei rapporti interpartitici che
si sono instaurati in seno all'Assemblea regionale ad elezioni già
avvenute. Alcuni
dei risultati più eclatanti delle elezioni del 1993 paiono singolari. Balza
subito agli occhi la prorompente affermazione elettorale della Lega Nord.
Il movimento capeggiato da Bossi diventa il primo partito della Regione,
conquistando il 26,7 % dei suffragi. Nel contempo assistiamo alla
bruciante sconfitta del partito democristiano (che passa dal 37
al 22%) e del Psi (che crolla dal 18 al 5 %). Si
registra poi la sostanziale tenuta (anche se con una lieve flessione)
dei partiti appartenenti all'ex-area del Pci, Pds e Rc. Come ben
sappiamo, tale esito delle votazioni è stato in gran parte dovuto all'impatto
esercitato dagli scandali di Tangentopoli sull'opinione pubblica della
Regione. Lo scrutinio regionale d'altronde non fa altro che confermare i
profondi cambiamenti che si sono manifestati nei grandi orientamenti di voto
durante le elezioni nazionali del 1992. Da questo momento in poi gran parte
della politica regionale (per ciò che attiene soprattutto alle strategie
coalizionali dei singoli partiti e alle varie ricomposizioni dei gruppi
consiliari) diventerà particolarmente sensibile
alle vicende politiche nazionali. Finisce
così quella fase di marcata stabilità che, per alcuni suoi aspetti, aveva
fatto della Regione Friuli-Venezia Giulia un unicum
nel panorama delle Regioni italiane. Inizia invece una fase di instabilità e
di crisi che presenterà marcate affinità con gli avvenimenti partitici
nazionali. La
novità di maggior rilievo può essere individuata nel venire meno di un
partito egemonico in seno al Consiglio. Ridimensionato il peso partitico della
Dc, i rapporti di forza interni al Consiglio diventano, in funzione anche
della dispersione della forza elettorale dei vecchi partiti, più equilibrati
e per questo anche più conflittuali. La Ln, con i suoi 18 seggi ad inizio
legislatura[1],
possiede solo tre seggi in più della Dc. Saranno questi due gruppi consiliari
che tenteranno di occupare a più riprese il centro dello scacchiere partitico
regionale. E questo anche in seguito alle scomposizioni avvenute in seno ai
vari gruppi consiliari, dall'inizio del 1994 in poi. Dopo tale fase di
continue trasmigrazioni da uno schieramento all'altro, nel 1997, la Ln, con il
suo gruppo di 12 consiglieri, continua ad essere il partito di maggioranza
relativa. Il gruppo consiliare del Ppi (erede di quello democristiano) rimane
sempre secondo, con undici consiglieri. Ma
il dato di fatto più significativo risiede soprattutto nel sorgere di nuovi
gruppi consiliari che riescono a dotarsi di forti potenziali di coalizione
e di ricatto nei confronti dei partiti maggiori che aspirano al governo
regionale. Il numero effettivo dei gruppi consiliari, cioè il numero dei
gruppi che diventano rilevanti dal punto di vista della formazione delle nuove
giunte, si avvicina, dopo il 1996, alla decina. Vi sono infatti ben sette
gruppi che, pur annoverando tra le proprie fila solo 3 consiglieri, riescono
in qualche modo ad influenzare la politica coalizionale in vista della
formazione delle singole giunte. Molti riescono a difendere efficacemente i
propri interessi di partito durante le singole crisi di governo. Assistiamo
così, nel corso della legislatura, ad un livellamento dei numeri relativi
alla membership di ogni singolo
gruppo. Le differenze numeriche tra i membri di ogni singolo gruppo non
lasciano più intravedere l'esistenza di uno o di più partiti predominanti.
Ve ne sono diversi che possiedono praticamente lo stesso peso politico: un
fatto, questo, che, come possiamo ben immaginare, avrà notevoli ripercussioni
sulla tenuta delle singole giunte. Per
la prima volta nella storia del sistema politico regionale si può osservare
la nascita di coalizioni di governo di tipo minoritario
(cioè che non dispongono di una maggioranza consiliare). Ve ne
saranno tre nel corso della settima legislatura. Le prime due, quelle
guidate dal leghista Fontanini e dal pidiessino Travanut, saranno in assoluto
quelle di più breve durata: rispettivamente 142 e 170 giorni. La giunta
presieduta da Cruder dal 1996 al 1998 rimarrà invece in carica per 556
giorni: una durata, questa, che ricorda quelle delle giunte degli anni
ottanta.
Dopo la formazione della giunta Fontanini (appoggiata da Ln, Pri
e Pli) aumenta anche il numero dei partiti che sostengono l'esecutivo
regionale. Sei sono i partiti che compongono le giunte Travanut e Cruder,
cinque quelli che sostengono la Giunta Cecotti. Si tratta di partiti che, di
volta in volta, vengono raggruppati sotto il tetto comune di alleanze di
governo che tentano di imitare le formule coalizionali (prevalentemente di
centro-destra o di centro-sinistra) impostesi a livello nazionale. Le
diverse forze in campo, nel giustificare le proprie scelte coalizionali, si
ispirano più o meno direttamente alle strategie e alle tattiche di coalizione
che orientano, nel corso degli anni, l'azione politica delle rispettive
segreterie nazionali. La Giunta di centro-sinistra di Travanut si
insedia in seguito ai successi elettorali dei progressisti alle
elezioni amministrative del ‘93, l'esecutivo di centro-destra guidato dalla Guerra
nasce dopo il successo del Polo del 1994, la giunta di Cecotti,
appoggiata da Ln, Ppi, Pds, Verdi e Si, sorge in seguito all'uscita della Lega
dall'alleanza con Berlusconi e, infine, la giunta di centro-sinistra di Cruder
segue di qualche mese la vittoria dell'Ulivo alle elezioni del 1996.
L'ottava
legislatura: l'impatto della riforma elettorale sulle elezioni del 1998. In
vista delle elezioni del giugno 1998, il Consiglio regionale del
Friuli-Venezia Giulia, dopo tre anni di accesi dibattiti, approva una nuova
legge elettorale che conferma, sostanzialmente, l'impianto proporzionale della
precedente. Tra le lievi modificazioni apportate troviamo l'introduzione di
una soglia di sbarramento del 4,5 % da applicare in sede di riparto nel
collegio unico regionale. Si tratta, come possiamo vedere, di una riforma di basso
profilo, adottata più che altro per mascherare i profondi contrasti
esistenti tra i singoli partiti regionali sul tema della riforma elettorale.
Tuttavia, come vedremo tra poco, tale normativa, almeno per ciò che riguarda
la sua capacità disrappresentativa in sede di traduzione dei voti in seggi,
si è rivelata capace di ridurre, anche se non in maniera particolarmente
incisiva, la frammentazione partitica. Il
dato primario, che colpisce subito, è la fortissima crescita del non-voto.
I voti non espressi nelle elezioni regionali del 1998 sfiorano quasi il
40 %. Si tratta sicuramente del dato più macroscopico di questa tornata
elettorale. Tale crescita - quasi esponenziale - può essere considerata sia
come una ulteriore prova della crescente disaffezione dei cittadini
della regione verso la politica, sia come una testimonianza della accresciuta
incapacità dei partiti regionali di mobilitare gli elettori.
Per
quanto attiene agli effetti della recente riforma elettorale sul sistema
partitico regionale, notiamo in primo luogo che il numero dei partiti
presenti in Consiglio scende da 11 a 8. Dal 1993 al 1998 vi è stato
d'altronde anche un leggero calo dal lato dell'offerta partitica: si è
passati da 15 a 13 liste che si sono presentate alle elezioni. Resta da capire
se tale diminuzione del numero dei partiti sia dovuta alla nuova legge
elettorale o, semplicemente, alla stabilizzazione del quadro partitico a
livello nazionale dopo la crisi generale degli anni 1992-1996. Due
sono le nuove formazioni partitiche che si presentano per la prima volta al
giudizio degli elettori durante le votazioni regionali. Troviamo, in primo
luogo, Forza Italia che, con la conquista del 21% dei suffragi,
diventa il primo partito della regione. Il Centro popolare riformatore
(CPR), la formazione neo-centrista creata da alcuni esponenti del mondo
cattolico regionale, ottiene l'11% dei voti. Trattandosi in gran parte
di una formazione verso la quale sono confluiti gli elettori del Ppi
regionale, riscontriamo, nel suo caso, la perdita di un seggio. La Lega
Nord passa dal 27 al 17 %, mantenendo però intatta la sua base
consiliare detenuta, in seguito a varie defezioni, alla fine della settima
legislatura. Il numero dei consiglieri leghisti resta fisso a quota 12. In
forte crescita invece risultano i Ds (con il 15%) e An,
che supera quota 13 %. L'esito
delle votazioni ci consegna una Regione Friuli-Venezia Giulia che si è
lievemente spostata a destra. A fine luglio, ottiene la fiducia una
giunta di centro-destra presieduta da Antonione, uno dei leader
regionali di Fi. La coalizione minoritaria che sostiene il nuovo
esecutivo, che è composta da Fi, An e Uf, è rimasta al potere fino al giugno
2001 grazie all'appoggio esterno della LN. Si tratta di un esecutivo anomalo,
almeno nel quadro della politica regionale, visto che la sua permanenza -
relativamente lunga – è stata costruita sia sull'astensione 'benevola'
della Lega Nord in occasione del dibattito sulla fiducia del 1998, sia sul
suo appoggio diretto e mirato su singoli provvedimenti legislativi durante il
1999 e i primi mesi del 2000. Tra
i due poli, quello di centro-destra e quello di centro-sinistra, la posizione
occupata dalla Lega, che ha tentato più volte di scardinare tale struttura
bipolare con una politica neo-centrista da "terzo polo",
si è rivelata il vero ago della bilancia per la tenuta della giunta
Antonione. Tant'è che ancora oggi rimane aperta la questione sul tipo di
competizione interpartitica in atto nella regione, ovvero se sia opportuna
considerarla come di natura tendenzialmente bipolare
o tripolare. Ovviamente, il
problema nasce dalla valutazione che si dà al ruolo della Ln. Numerose
sono state le pressioni esercitate sulla Lega da parte dei vertici del Polo,
soprattutto dopo la loro alleanza per le elezioni regionali dell'aprile 2000,
affinché il partito di Bossi entrasse, a pieno titolo, nell'esecutivo
regionale, cosa che è poi avvenuta nel giugno 2001, con la elezione di
Tondo (FI) presidente della Giunta e la Guerra (LN)
vicepresidente. In
conclusione, come possiamo notare, la nuova legge elettorale non ha
semplificato, de facto,
il sistema partitico regionale. In effetti, non è emersa dalle
votazioni un'alleanza politica vincente, capace di raccogliere la maggioranza
dei seggi per la creazione di un esecutivo stabile. La dispersione della forza
elettorale, tra i singoli partiti rilevanti, è rimasta ancora molto marcata.
Il sistema partitico del Friuli-Venezia Giulia rimane proprio per questo in balìa
di precari equilibri politici, che favoriscono sia l'incertezza che la
conflittualità.
Nell'ambito
dei progetti per la Grande
Riforma dello statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia,
presentati negli ultimi dieci anni, le proposte che mirano a modificare sia il
sistema elettorale, sia le norme istituzionali che regolano i rapporti tra
Consiglio e Giunta regionale, sono state molto numerose. Ma nessuna di esse
è stata capace, sinora, di raccogliere un ampio consenso. Pertanto, il
cammino verso la tanta auspicata revisione dello Statuto, almeno per ciò che
concerne le riforme istituzionali rilevanti per garantire una maggiore
stabilità delle giunte, si prospetta ancora come molto lungo. Neppure
l’ultima proposta dell’attuale maggioranza di centro-destra è riuscita a
coagulare un sufficiente consenso tra l’opposizione. TABELLE Tab
1.a
Consiglio Regionale del Friuli-Venezia Giulia Percentuale
dei votanti e dei voti validi sul totale degli elettori; percentuale dei voti
ottenuti dai partiti sul totale dei voti validi (1964-1998).
· Psiup-Dp-Pdup-Prc. · Dati Ufficiosi. ** 1968: Psi + Psdi
Unificati con la sigla Psu Nella circoscrizione di Udine non
venne presentata la Lista. *** Psdi + Verdi. Tab 2. Consiglio Regionale del Friuli-Venezia Giulia. Numero dei seggi ottenuti dai partiti (1970-2000).
· Psiup-Dp-Pdup-Prc *1968:
Psi + Psdi unificati sotto la sigla Psu. Nella circoscrizione di Udine non
venne presentata la Lista. Tab 3. Presidenza del Consiglio Regionale del Friuli-Venezia Giulia (1970-2000).
· Se più di uno. · 2 Avvicendamenti tra i vicepresidenti sotto presidenza Colli 1978-83 ( Dc-Psdi Psdi-Dc). ** Avvicendamento secondo vicepresidente Psdi Pri. Tab
4.
Composizione
partitica e durata delle Giunte regionali del Friuli-Venezia Giulia.
(1970-2000).
· Sono indicati più partiti se i Vice-presidenti sono più di uno. – (2) Nel computo sono considerati sia gli Assessori sia il Presidente e i Vicepresidenti. – (3) Per durata effetiva si intende l’arco temporale (espresso in numero di giorni) che separa la data delle entrata in carica della Giunta dalla data di presentazione delle dimissioni. – (4) Per durata della crisi si intende l’arco temporale (espresso in numero di giorni) che separa la data della presentazione delle dismissioni da parte della Giunta a cui si riferisce la riga e l’entrata in carica della Giunta successiva. ·
5.4.1966:
La Giunta venne integrata di 3 Assessori secondo la Legge Reg. 4.4.1966 n. 4. Modifiche
e aggiornamenti a cura di Alfio
Englaro [1]) Un numero che, dopo vari defezioni da parte di alcuni consiglieri eletti tra le file della Ln, scenderà a dodici.
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