I contadini

di Elio Craighero

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Partivano di mattina presto e nell’oscurita`, i contadini, per arrivare al posto di lavoro in contemporanea con l’arrivo del giorno. Il sole non aveva asciugato ancora la rugiada e l’erba cadeva piu` facilmente, si rendeva di piu` e con meno fatica.

Indossavano pantalonacci di fustagno, gli uomini, una camicia pesante, aperta sul petto, maniche arrotolate fin sopra i gomiti e lasciavano vedere braccia color del rame per il tanto sole preso, un cappellaccio in testa, fazzoletto rosso attorno al collo, scarponi chiodati ai piedi. Le donne con la gonna arrotolata, un grembiule davanti e appeso alla cintola il codar. Se quel mestiere era pesante per gli uomini, tanto piu` era faticoso per le donne. Coloro che se ne intendono, se esiste ancora qualcuno che lo abbia fatto, sanno che questa era la fatica maggiore dell’antica agricoltura.

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Ma erano sempre di buon umore, non mancavano le battute spiritose e le risate tra loro. Si prendeva il passo l’uno dietro all’altro e lo si cedeva man mano che il primo arrivava al limitare del prato. Ogni tanto uno si fermava, si raddrizzava, sollevava la falce dall’erba: con una mano teneva salda la lama lucente, con l’altra dal basso in alto e dall’alto in basso con la pietra l’affilava per tornare poi a tirarla nell’erba che tremante piegava il capo e cadeva. Oh Dio! Come risento ancora quel suono tanto caro ai miei anni di bambino! Una musica che ha sempre mantenuta salda in me la passione di ripeterla con amore nella mia vita.

Con il sole gia` alto arrivava la proprietaria del prato con qualche altra lavorante a ore. Toglieva dalla gerla una bottiglia di vino, risaliva fino a dove si trovavano loro e sporgendola diceva: "Prendete, su, inumiditevi la bocca, anche se si sara` scaldato con questo sole!" "meglio vino caldo che acqua fresca!" rispondevano appoggiando per un momento la falce e asciugandosi il sudore. Si passavano l’un l’altro la bottiglia e bevevano a garganella buttando all’indietro la testa perche` dicevano che faceva piu` bene! Tornavano a lavorare guardando dal basso in alto tutto quel prato che sembrava toccare il cielo, calcolando quante ore ci sarebbero volute per arrivare in cima. Era ormai basso il sole quando potevano dire di essere a buon punto. Un setor misura 2.420 metri quadri e ci si puo` ben immaginare quanto bisognava tirare la falce prima di poter avere la meglio su uan tale quantita` d’erba.

Si sedevano un momento per riprendere fiato, se era rimasto un goccio di vino lo bevevano, battevano quindi la falce perche` fosse gia` pronta per il giorno successivo e ricominciare cosi` la solfa.

Anche le altre lavoranti erano arrivate in cima. Avevano tolto da sotto la sterpaglia e dall’ombra tutta l’erba, l’avevano allargata bene al sole, che avrebbe provveduto a seccarla per poi poterla raccogliere in un fascio. Tutti contenti quindi prendevano la strada del ritorno mentre il sole tramontava.

Tutti i lavori riservano, se fatti volentieri e con animo sereno, delle grandi gioie, ma cio` vale soprattutto per il lavoro del contadino. Il contadino, pur faticando molto spesso duramente e forse anche con poco tornaconto, gode di una grande liberta`, di una serenita` di condizione fisica, di soddisfazioni che sono sconosciute a chi lavora in citta`. Gioie serene, queste, e limpide come il cielo del mese di luglio.

 tratto dal Bollettino Parrocchiale "La nôste valade"

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