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Interventi dal n. 1 al n. 10

ELENCO DEGLI INTERVENTI

  1. Latte "CARNIA"?
  2. LATTE: CARNIA, FRIULI, ITALIA
  3. Quanto spende la regione per la sanità in Carnia
  4. CARNIA: ...  E L’ARMATA SE NE VA !
  5. CARNIA - Emigrazione agevolata
  6. CARNIA - “PROGETTO MONTAGNA”  - Il certificato del fallimento
  7. CARNIA… COLONIZZATA
  8. Azienda PromozioneTuristica  CARNIA
  9. La montagna non è Tolmezzo 
  10. L“OBIETTIVO 5B” i beneficiati nel 1998

Latte "Carnia"? (int.1)

Il Consorzio delle Latterie Friulane ha fatto le sue fortune vendendo il “LATTE CARNIA” senza che una sola goccia di questo latte fosse prodotto o lavorato in CARNIA. Tutto questo con il quieto beneplacito della Comunità Montana della Carnia, che dovrebbe, per statuto, tutelare i diritti della Carnia, pretendendo legittimamente quanto meno delle pesanti royalities (cioè i DIRITTI D’AUTORE) da chi sfrutta commercialmente il nome “Carnia”.

Appare gravemente scorretto infatti che un’Azienda privata possa commercialmente utilizzare il nome di un territorio che, non solo non partecipa agli utili  di questa produzione, ma addirittura ne viene penalizzato.

Vediamo un po' come: il Consorzio che produce il latte CARNIA lavora il latte negli stabilimenti di Campoformido (via Zorutti, 98) e di Trieste (strada di Fiume, 86) dopo averlo acquistato in Baviera e in altre Regioni al di fuori del Friuli;  solo una piccola parte viene acquistata  in Friuli; nulla in Carnia.

QUESTO latte però viene tuttora denominato proprio “CARNIA”.

Perchè?  Perchè non invece “CANAL DEL FERRO”  o anche “VAL CANALE” oppure “VALLI DEL NATISONE”?

Per il semplice motivo che SOLO il nome CARNIA evoca nell'immaginario collettivo (e quindi nei potenziali acquirenti) un habitat sano e incontaminato, ricco di pascoli e di abetaie ed una natura a misura d'uomo. Cosa che certamente non avviene, pensando magari alle altre zone ad esempio citate. Possiamo a ragione sostenere quindi che ci hanno rubato perfino il nome, per sfruttarlo a scopo commerciale, senza che nessuno, tranne VTC di Treppo Carnico, muovesse un dito.

Infatti la colpa di tutto questo ricade soprattutto sui nostri rappresentanti politici, i quali non solo non hanno mai fatto nulla per eliminare questo singolare e subdolo sfruttamento, ma si sono quasi defilati su questo versante, preferendo ignorare con misurata disinvoltura.

La zootecnia della Carnia è infatti andata sempre più rarefacendosi ed è pressochè scomparsa,  a causa anche delle " quote latte" che hanno soffocato ulteriormente la piccola produzione carnica, a tutto vantaggio di altre zone della pianura, più tutelate politicamente, socialmente ed economicamente.

Mai si sono preoccupati, i nostri, di chiedere (o di esigere) che il Consorzio delle Latterie Friulane realizzasse in Carnia almeno una catena di produzione, recuperando così qualche posto di lavoro. Nella politica agricola poi sono avvenuti fatti a dir poco sconcertanti che hanno ulteriormente penalizzato la Carnia:

- l'abbattimento dei capi di bestiame pagato dalla CEE,

- la chiusura delle latterie sociali;

- una legislazione iniqua che ha messo in ginocchio la zootecnia con vari     lacciuoli;

- imposta IVA  per chi conferisce il latte nelle latterie,

- regolamenti igienici assurdamente restrittivi per le malghe, distanze improponibili per i letamai ecc. con il risultato aggiunto di un territorio incolto e abbandonato in larghissima e progressiva estensione.

Adesso, per riparare al disastro, consigliano di allevare capre, perchè queste non rientrano  nelle normative CEE. Non c'è che dire!

Ma perchè non si è voluto equilibrare le " quote latte" sull'intero territorio della Regione, stabilendo delle quote che salvassero la montagna? Perchè non si è voluto operare questa distinzione tra pianura e montagna, che avrebbe avuto il pregio di salvare e pianura e montagna? Quali interessi si sono celati o si celano dietro una simile politica contro la Montagna? 

Altro che Convegni sulla Montagna: i responsabili, diretti o indiretti, sfilano in passerella in questi Convegni anziché cospargersi il capo di cenere e battersi il petto in un angolo buio!

Adesso non ci resta che piangere, non sul latte versato (perchè non ce n'è piu) ma sul nome di CARNIA abusivamente e impropriamente usato per vendere un latte che non è nostro. Oltre al danno, le proverbiali beffe.

Auguriamoci che la Comunità Montana della Carnia, in un ultimo sussulto di dignità prima di emettere l’ultimo respiro, metta fine quanto prima a questa beffa, considerando che il danno è ormai irreversibile e non più rimediabile.

LATTE: CARNIA, FRIULI, ITALIA (int. 2)           

Negli ultimi tempi il cruciale problema delle quote latte e delle rispettive mega-multe europee è nuovamente tornato alla ribalta. Vediamo alcuni aspetti del problema. In Europa le quote latte sono state così assegnate:

 

                                            PAESE            ABITANTI      QUOTE LATTE

FRANCIA

58 MILIONI

24.200.000 TONN

INGHILTERRA

57 MILIONI

14.590.000 TONN

OLANDA

15 MILIONI

11.000.000 TONN

ITALIA

58 MILIONI

  9.930.000 TONN

 

Da questo semplice specchietto  si capisce subito che all’Italia, con ben 58 milioni di abitanti, è stata assegnata dalla CEE una quota di produzione ridicola, inferiore perfino a quella dell’Olanda che conta solo 15 milioni di abitanti. Non solo, ma il fabbisogno interno dell’Italia è di gran lunga superiore alle quote latte assegnate, cioè all’Italia è consentito di produrre molto di meno del suo fabbisogno, che si aggira sui 25 milioni di tonnellate. Tutto questo era stato pattuito dal Governo Craxi nel lontano 1983 per ottenere in cambio dalla CEE i contributi per la siderurgia di Taranto e Gioia Tauro.

L’AIMA (Azienda di Stato per i mercati agricoli) ha tagliato nel 1997 alle regioni del Nord una percentuale elevatissima di produzione di latte, a favore di quote latte al Sud, che di mucche ne ha ben poche. Ecco alcuni esempi di tagli delle quote-latte da parte dell’AIMA

 

LOMBARDIA

Meno 47%

PIEMONTE

Meno 39%

VENETO

Meno35%

FRIULI

Meno 27%

 

Il problema  continua a sollevare dubbi e perplessità tra gli allevatori. Il latte è una produzione tipicamente del Nord (dove ci sono le mucche) eppure le  5 aziende che detengono il pacchetto più consistente di quote-latte sono al Sud e precisamente:

                      

AZIENDA                              QUOTE-LATTE  

CIRIO“Via Lattea”spa-CASERTA

230.000 q.li annui

FAGIANERIA spa-CASERTA

115.000 q.li annui

SICILIANA ZOOTECNIA spa-CATANIA

100.000 q.li annui

SOGEA spa- ROMA

  95.000 q.li annui

AGRICOLA VISOCCHI- CASERTA

  82.000 q.li annui

 

Come si può vedere chiaramente, per trovare la prima azienda del Nord, occorre scendere al 6° posto, dove troviamo la Torvis friulana con una quota-latte di 80mila quintali annui. Questi dati appaiono quantomeno sorprendenti se si pensa che al Sud l’allevamento dei bovini è una rarità.   

Nel frattempo la commissione parlamentare d’inchiesta istituita ad hoc, presieduta dal generale della GdF NATALINO LECCA, fece delle clamorose scoperte. Scoprì ad esempio delle stalle sociali fantasma a Roma, proprio dietro la centralissima piazza Navona oppure ubicate presso villette con piscina o mega-attici del centro capitolino. Scoprì quote latte cartacee (cioè presenti solo SULLA CARTA) più a Sud, scoprì importazione illegale di latte in polvere dall’estero, contratti di acquisto in nero e altre truffe tipicamente italiane, a tutto danno dei veri allevatori del Nord, che si videro imputare una eccessiva produzione di latte. Un meccanismo truffaldino dunque che fa ritenere in effetti che il Nord non produca affatto latte in eccesso ma che produca assai di meno delle quote-latte fantasma e cartacee del Centro-Sud.

Intanto la Coldiretti scaricò sul Ministero e sull’AIMA le responsabilità di tutta la vicenda, quasi che localmente non vi fossero delle evidenti corresponsabilità. I COBAS dei produttori invece accusarono le tre confederazioni CGIL-CISL-UIL per non essere state attente e pronte a denunciare le truffe e per essersi accodate al Governo nella difesa del sistema attuale.

E le inattese dimissioni del presidente della Coldiretti, l’ex senatore democristiano friulano Paolo Micolini, gettarono una ulteriore inquietante luce su tutta la vicenda.        

L’on. Michele Pinto, allora ministro delle Risorse Agricole (MINISTERO SOPPRESSO DA UN REFERENDUM POPOLARE E MIRACOLOSAMENTE RISORTO SOTTO ALTRO NOME), aveva annunciato per settembre ’97 agli allevatori del Nord che sarebbero state restituite al 70% le multe da essi pagate a causa delle supposte eccedenze delle quote latte. Tale restituzione, seppure incompleta, si era imposta a seguito delle conclusioni delle indagini del gen. GdF Natalino Lecca, il quale aveva stabilito che una colossale truffa ai danni delle regioni del Nord, vere produttrici di latte, era stata perpetrata con il concorso di vari Enti governativi. Questa conclusione, giunta peraltro assai tempestivamente rispetto ai tempi delle normali procedure italiane, aveva così reso giustizia a coloro che allevano per davvero le mucche e che si erano visti beffati e gravemente danneggiati dalle multe europee. Anche in Friuli e in Carnia la notizia era stata accolta con vivo interesse. Ai primi di novembre ‘97 però il Governo Prodi, ritirò in Parlamento il Decreto sull’AIMA (per  la restituzione delle multe) con il sostegno del POLO, in cambio del ripianamento delle sofferenze della SICILCASSA e così le multe ingiustamente pagate non vennero più restituite ai veri produttori di latte del Nord. Il resto è cronaca di questi giorni, con le immagini delle proteste che filtrano sulle televisioni private e commerciali, tra il generale disinteresse di chi dovrebbe rimediare a tali situazioni. Anche a Udine gli allevatori hanno in questi giorni…versato il latte sulle strade.

QUANTO SPENDE LA REGIONE PER LA SANITA’ IN CARNIA (int. 3)(int. 3) 

E’ stato resa nota la ripartizione delle quote PRO CAPITE che vengono assegnate dall’Assessorato alla Sanità del FVG alle varie aziende socio-sanitarie locali (ASS). Vediamo insieme lo specchietto:

 

spesa pro capite pesata e corretta (in milioni di lire)

AZIENDA S. S.

territorio

farmaceutica

ambulatoriale

Ospedaliera

Totale

1-TRIESTINA

121.165

77.865

37.949

261.559

498.538

2-GORIZIANA

66.827

40.140

20.171

134.645

261.783

3-ALTO FRIULI

40.378

23.427

11.769

78.636

154.210

4-UDINESE

163.477

94.226

47.940

315.400

621.043

5-BASSO FRIULI

50.694

28.770

14.801

95.979

190.244

6-PORDENONESE

130.909

72.572

37.370

243.781

484.632

Totale

573.450

337.000

170.000

1.130.000

2.210.450

 

Come appare in tutta evidenza, l’Azienda Sanitaria di gran lunga più penalizzata per quanto riguarda la spesa sanitaria in Regione è proprio la 3°, quella della Carnia, che comprende Canal del Ferro e Gemonese. In tutte la varie voci di spesa, la Carnia risulta quella che riceve minori finanziamenti PRO CAPITE in assoluto, pur pagando le tasse come triestini e udinesi. Se a questo dato incontrovertibile aggiungiamo la quasi certezza della soppressione dell’ospedale di Gemona, il quadro risulta completo. Nello stato confusionale in cui versa la politica regionale e nazionale, qualcuno è in grado di dare una ragione a questi numeri sopra evidenziati? Se esistesse la DIOCESI DI ZUGLIO, questa anomala situazione si sarebbe davvero verificata?

CARNIA: ...  E L’ARMATA SE NE VA !  (int.4)                                            

Fino all’altro ieri il Friuli era la caserma d’Italia e la Carnia rappresentava l’ estremo avamposto contro lo storico nemico austriaco prima e contro il gigante multicefalo comunista dell’ Est poi. Più’ di 40mila militari in tutta la Regione. 

Dopo il crollo dei regimi comunisti dell’Est e dopo l’ingresso dell’Austria nel Mercato Comune, il nemico a nord-est non esiste più (a meno che non lo diventi Haider, il diavolo in persona creato dalla propaganda di sinistra). Il nuovo nemico è per ora un altro e si trova ad altre latitudini, per cui l’esercito italiano è costretto a rischierarsi altrove. Di conseguenza, delle 180 strutture militari, ben 80 sono state dismesse in Carnia e in  Friuli.

L’armata italiana dunque se n’è andata dalla Carnia e dal Friuli, nonostante le ripetute (e patetiche) proteste di alcuni parlamentari e politici locali della prima repubblica che si ostinavano a considerare la presenza dei militari in Carnia come una fonte di sviluppo economico  e sociale, quando si sa bene invece che una economia locale non può assolutamente basarsi sulle caserme  e sui soldati di leva, proprio per la totale provvisorietà e mobilità che caratterizza l’elemento militare che oggi è necessario qui, domani è indispensabile là, come la storia degli ultimi anni ha chiaramente dimostrato e come sarà ancora più evidente con l’imminente abolizione del servizio di leva, sostituito da un esercito di volontari professionisti.

Dunque l’esercito italiano se n’è andato. Ma, oltre ai vincoli ai divieti ed alle servitù, restano le aree che stanno per essere smilitarizzate e restano  le  caserme e le strutture militari che in Carnia sono dislocate dappertutto: Forni Avoltri, Comeglians, Ampezzo, Socchieve, Villa Santina, Preone, Verzegnis, Tolmezzo, Paularo, Amaro. Solo a Paluzza esistono numerose strutture ormai vuote e da tempo abbandonate: la caserma Plozner-Mentil, la casermetta sul ponte di Sutrio, la strutture del “Tiro a segno”, le casermette-alloggio di via M.Tersadia, e un numero imprecisato di fortificazioni, casematte, posti di sbarramento ecc.. Un enorme patrimonio edilizio dunque che sta andando letteralmente a pezzi e che, tra pochissimi anni, sarà completamente inutilizzabile per ogni tipo di riconversione. E così, quelle servitù militari e quelle strutture che potrebbero positivamente tornare utili alle comunità civili dopo aver rappresentato per decenni un vincolo ed un ostacolo allo sviluppo, restano oggi incomprensibilmente abbandonate a se stesse, cadenti, fatiscenti e pericolanti.

Il Demanio militare (sotto la cui giurisdizione si trovano le caserme) solleva questioni con il Demanio Civile; il Demanio Statale poi a sua volta, non vuole fare entrare nelle caserme in dismissione neppure i carabinieri nè la GdF, per i quali lo Stato è costretto a costruire nuovi e costosi edifici ex novo, come è successo proprio a Paluzza, dove la nuovissima caserma dei CC è costata ben oltre il miliardo. Il Ministero della Difesa in effetti  non pretenderebbe una lira dalla dismissione, mentre quello delle Finanze ritiene di poter raccogliere molti quattrini. Un vero rebus tra Istituzioni dello Stato Centrale che sembrano  antichi feudi medioevali, con proprie truppe e proprie leggi, spesso in concorrenza quando non in contrasto tra loro. Intanto il prezzo di mercato di questi immobili sta scendendo pari pari con il degrado degli stessi.

Nulla si sta muovendo a livello politico locale, nonostante esista un progetto europeo ad hoc, che si chiama CONVER, appositamente predisposto per la conversione delle strutture militari dismesse e che stanzia per il FVG ben 7 miliardi, sui 20 necessari.

La Regione dovrebbe intervenire, in accordo con la Provincia, per snellire le procedure e per sollecitare gli organi centrali dello Stato (gelosamente riottosi) a fare un passo indietro. A nulla è valso poi il critico appello rivolto dal sindaco di Paluzza all’allora Capo dello Stato Scalfaro in visita a Timau il 1° ottobre 1997: Scalfaro rispose che si sarebbe interessato alla vexata quaestio, ma tutto è caduto nell’oblio e le caserme di Paluzza attendono solo la prossima scossa di terremoto per venire giù definitivamente.

Nel totale disinteresse per questo vasto problema da parte dei politici e delle Istituzioni, emergono nel frattempo varie proposte che restano purtroppo solo sulla carta.

Ecco alcuni significativi esempi:

-trasformare la polveriera di Pissebus di Tolmezzo, in un ORTO BOTANICO di livello internazionale; 

-recuperare le varie fortificazioni di Enfretors e di Algers e aprirle ai turisti  dopo averle rese confortevoli, così come, si licet parva componere magnis, è avvenuto con la linea Maginot francese, che attira ogni anno frotte di turisti;   

-cedere la casermetta del Ponte di Sutrio a privati affinchè ne traggano un punto turistico;

-convertire la caserma Plozner-Mentil in una struttura turistica polifunzionale utile per l’intera Valle;

-utilizzare l’area del “tiro a segno” di Casteons per attività ricreative all’ aperto  affidate ad una gestione mista (pubblico-privato);

-adibire e riconvertire le casermette-alloggi di via Tersadia di Paluzza in strutture per il volontariato e la comunità. 

Queste riconversioni edilizie verrebbero così ad integrarsi nel già ricco tessuto storico-turistico della Valle  e ne aumenterebbero l’interesse, diversificandone gli obiettivi.

Auguriamoci dunque che la Carnia, dopo essere stata occupata e vincolata per decenni dall’armata italiana, non venga ora impunemente abbandonata. Non si chiedono certamente compensazioni (che sarebbero pur legittime) ma si esige semplicemente che ciò che all’esercito non serve più, venga messo gratuitamente a disposizione delle comunità che, in questi decenni, hanno maggiormente sopportato (a beneficio dell’intera Italia)  quei vincoli e quelle servitù che possono aver frenato (e sicuramente hanno frenato) un possibile sviluppo economico e sociale.

Diversamente, oltre al danno patito, dovremmo subire anche la beffa di vederci rifiutato ciò che ragionevolmente ci spetterebbe: il giocattolo rotto e inservibile o desueto.

 

CARNIA - Emigrazione agevolata  (int.5)                  

In quest’ultimo decennio la Carnia ha visto nascere crescere e morire, nel breve volgere di pochi anni, una infinità di progetti economico-politici che, sorti con l’obiettivo di fare decollare l’economia carnica, nulla di concretamente benefico hanno poi portato a chi vive in montagna.

Ricordiamoli dunque questi progetti, o perlomeno i principali: PROGETTO MONTAGNA, AREE DI CONFINE, legge sulla MONTAGNA, CONVER, INTERREG, OBIETTIVO 5B, e, buon ultimo, il neonato PROGETTO LEADER.

Si tratta, come tutti sanno, di grandiosi e ambiziosi progetti che, nati in diversi anni e con obiettivi diversi, hanno poi tutti condiviso una fine ingloriosa, sia per l’esiguità dei finanziamenti disponibili sia soprattutto per la miopia politica di chi tali progetti  aveva impostato.

Ricordiamo per brevi cenni il famosissimo PROGETTO MONTAGNA, nato nel 1987 con una disponibilità di 200 miliardi, vissuto al di sopra delle proprie possibilità per pochi anni e miseramente fallito all’inizio di questo decennio. Si trattò di una teorica e surreale applicazione di criteri politico-clientelari alle leggi di mercato le quali, dopo aver inizialmente male sopportato l’ingerenza politica nella sfera economica, espulsero in pochi anni, come un corpo estraneo, quelle realtà produttive che, nate col rassicurante marchio politico, si dimostrarono in effetti assai deboli e fragili dal punto vista strutturale e competitivo. A nulla valsero i pietosi tentativi per arginare e fare fronte alle ferree leggi di mercato mediante sostegni assurdi e millantati crediti. Tutte quelle aziende si trovarono ben presto fallite e a chiudere i battenti, licenziando tutti i dipendenti. Quale fine fecero poi tutti quei miliardi pubblici elargiti così disinvoltamente a destra e a manca, senza sufficienti garanzie bancarie od occupazionali, nessuno oggi lo sa dire.

L’OBIETTIVO 5B è stato l’altro grande progetto degli anni ‘90, di marchio europeo, che dopo aver grandemente illuso gli operatori economici della Montagna, si è risolto in una delusione cocente per coloro che avevano speso tempo e denaro per il disbrigo delle innumerevoli pratiche burocratiche. Che resta del 5 B? Qualcuno lo sa? Vedi altro intervento più avanti.

Ma anche le famose AREE DI CONFINE che avrebbero dovuto sopperire ai maggiori costi di chi vive in montagna, sono state una pia illusione che non si è concretizzata neppure teoricamente in qualche straccio di progetto o programma.

Il CONVER, che avrebbe dovuto agevolare la riconversione delle caserme e delle strutture militari (divenute ormai obsolete dopo il crollo del comunismo dell’est), non è mai concretamente partito e le numerose caserme dismesse ormai fatiscenti stanno lì a dimostrare l’inettitudine di una burocrazia che non sa fare altro che attendere l’inattendibile, nel deserto dei tartari.

Ora dunque, mentre si celebra il mesto funerale dell’OBIETTIVO 5b, ecco che è nato l’ennesimo progetto, denominato LEADER. Un progetto che, alla stregua dei suoi illustri predecessori, è stato ampiamente pubblicizzato come un efficace strumento che contribuirà a far decollare la Carnia. Non ci pare possibile oggi prevedere come finirà questo PROGETTO LEADER, di marca europea. Di certo sappiamo fin d’ora che disponeva di 10 miliardi da investire fino al 2000 a sostegno di varie attività.

Se poi a tutti questi progetti politico-economici, che vagamente ricordano i piani quinquennali del passato, andiamo ad aggiungere: Agemont, APT, BIM, Friulia, ed altre sigle ancora, il panorama si fa davvero più desolante e sconsolato. Non solo per il fatto che tutti questi enti non incidono minimamente sul tessuto economico e sociale della montagna, ma soprattutto perchè tutti questi enti costano assai alle tasche del contribuente. Se pensiamo infatti che ognuna di queste sigle ha un presidente, un vicepresidente ed un consiglio direttivo (che percepiscono precisi stipendi mensili) oltre che uno staff di burocrati e impiegati, allora si può ben comprendere l’insofferenza del cittadino che viene giornalmente spremuto con balzelli di ogni tipo.

Tutta questa frantumazione della azione politico-economica attraverso questi enti e questi progetti non porta altro che confusione, illusione, conflittualità, inadempienze, assenza di collaborazione, sovrapposizione di competenze, esasperazione. Mentre nel privato l’efficienza e la managerialità vengono ampiamente riconosciute e premiate, nel settore pubblico si persiste in una spirale di timbri e certificati che servono solamente a dare legittimazione ad una burocrazia, divenuta esercito, che si autoriproduce e si automantiene per inerzia.

Ma questa frantumazione della gestione pubblica è funzionale anche ad una classe politica che vuole assicurarsi  quanti più  centri di potere per controllare e gestire direttamente questi progetti.

E quando questa  burocrazia pubblica si abbatte su un fragile tessuto socio-economico come quello di Carnia, i danni si moltiplicano vistosamente. Ed uno degli effetti di tale politica socio-economica è il vistoso e squilibrato risparmio bancario, unico bene  rifugio cui si vedono costretti a ricorrere i carnici, delusi dal recente passato e soprattutto sfiduciati e preoccupati per un futuro prossimo che non promette nulla di buono. 

Ciò che davvero servirebbe immediatamente alla Carnia, cioè un nuovo regime fiscale ed una sicura viabilità, i soli in grado di incidere strutturalmente sulla realtà carnica e di invertire questa tendenza all’annientamento delle valli, non viene insipientemente concesso. Nel contempo invece si moltiplicano interventi limitati ed estemporanei  per favorire ora questa ora quella categoria produttiva.

E così, anzichè trattenere i carnici nei propri paesi e nelle proprie valli, viene di fatto agevolata l’emigrazione che, quando va bene, ha come obiettivo i casermoni di Tolmezzo o di Udine.

E quando va male è diretta, come un tempo,  verso altre nazioni o continenti. 

CARNIA - “PROGETTO MONTAGNA”  - Il certificato del fallimento (int. 6)  

 

Sabato 31 gennaio 1987   

Preceduto e accompagnato da gran clamore pubblicitario sui quotidiani locali e teletrasmesso completamente, con oltre 6 ore di spettacolo televisivo diretto, dall’allora TeleAltoFriuli di Ottavio Ermini, ebbe luogo presso l’Auditorium di Tolmezzo, la presentazione del PROGETTO MONTAGNA, approntato dalla Regione FVG. I lavori furono aperti dall’allora presidente della Giunta regionale, Andriano Biasutti, il quale poi trasse anche le conclusioni. Questo PROGETTO MONTAGNA, negli intenti dei promotori, era destinato a risollevare le sorti economiche e sociali di Carnia e della montagna friulana e ad arrestarne il degrado. Intenzioni lodevoli, mezzi ridicoli: e la via all’infero è lastricata di buone intenzioni!

Allora ci interessammo a fondo a questo PROGETTO MONTAGNA, lo studiammo e lo criticammo pubblicamente, evidenziandone i gravi limiti, tra lo sberleffo infastidito dei politici di allora e dei mass-media allineati, che ci tacciarono di disfattisti e di sterili polemisti, capaci solo di criticare e di nulla proporre.

                  

Lunedì 30 marzo 1998

Presso l’Aula Magna della CMC la Regione Autonoma FVG, a distanza di 11 anni, ha organizzato un convengo sui risultati di questo PROGETTO MONTAGNA. In questa adunanza si è assistito, più che a una celebrazione, alla mesta commemorazione di questo anniversario di morte. Dopo una lunga presentazione infarcita di tabelle e cifre, percentuali e andamenti, la conclusione cui sono pervenuti unanimemente tutti è stata questa: il PROGETTO MONTAGNA è fallito appena nato ed è morto definitivamente in tenera età. Le vittime sono sparse un po’ in tutta la Carnia, la più illustre delle quali è stata la LAMPLAZ di Paluzza.   

In fondo alla sala campeggiava polemicamente uno striscione blu, sorretto da alcuni operai, in segno di solidarietà alla SOLARI di Pesariis, in predicato di smantellamento.

Abbiamo letto attentamente la pubblicazione ufficiale che la Regione ha distribuito per l’occasione. Non è possibile dare conto di tutti i dati e le statistiche, che sono tuttavia assai istruttive ed illuminanti. Basti solo ricordare che sui 200 miliardi stanziati, sono stati erogati solo 116 (poco più della metà); I progetti falliti sono già saliti a 6; in Alta Montagna sono stati attuati solo 9 interventi per un totale di soli 4,1 miliardi utilizzati  sui 116 spesi.  

Vi sottoponiamo le CONCLUSIONI cui sono pervenuti i tecnici regionali circa i risultati del PROGETTO MONTAGNA, così come sono chiaramente esposte a pagine 155 del II volume pubblicato.

Ecco dunque cosa scrivono i tecnici della Regione FVG:

1. Le risorse erogate dal PROGETTO MONTAGNA (116 miliardi) sono risultate certamente poco significative rispetto alle previsioni. Uno stanziamento finanziario in sede di bilancio si dimezza al momento di essere effettivamente impegnato dall’Amm.ne Regionale e si dimezza nuovamente al momento della erogazione…”

2. “I tempi della erogazione dei soldi sono risultati mediamente piuttosto lunghi. La procedura di infrazione aperta dalla UNIONE EUROPEA nei confronti del sistema industriale della pianura (che ha beneficiato di un regime di aiuti particolarmente favorevole) è stata pagata paradossalmente e in misura maggiore proprio dalla Montagna che ha visto allungarsi i tempi burocratici di attesa.”

3. “I soggetti beneficiari del PROGETTO MONTAGNA sono una pletora, sia come beneficiari intermedi che finali. Tra i beneficiari intermedi troviamo: le direzioni regionali dei vari assessorati, l’ESA, Promotur, Friulia Lis, Agemont, Congafi, Comuni, Comunità Montane, Consorzi, ecc. Tra i beneficiari finali troviamo: imprese agricole, industriali, artigianali, turistiche, imprenditori. Un progetto quindi con tanti attuatori e tanti beneficiari, per cui alla fine nessuno si assume i meriti o i demeriti per quanto è stato o non è stato fatto.”

4. “La natura settoriale  del PROGETO MONTAGNA non lascia  dubbi: la parte del leone l’ha fatta il settore industriale che ha assorbito oltre il 53% delle risorse. Se poi pensiamo che l’industria è concentrata nella pedemontana e poco nella media montagna, si capisce che la vera Montagna è stata chiaramente emarginata. L’alta Montagna dunque presenta un impatto significativo di risorse  ma ancora  del tutto insufficiente per invertire il processo di degrado.”

 

Questo dunque si legge a pag. 156 della pubblicazione regionale

Volendo infine gettare definitivamente una palata di terra sul defunto PROGETTO MONTAGNA, occorre necessariamente ricordare che altri progetti e programmi si sono poi susseguiti nel tempo. 

I primi di questi progetti, tutti calati dall’alto, sono già miseramente falliti. I più recenti, utilizzando le medesime direttrici attuative, si avviano alla stessa ingloriosa fine.

Nessuno  vuole  capire che le uniche leve per risollevare la Carnia sono solo due: FISCO E VIABILITA’.

TUTTO IL RESTO E’ SOLO “FLATUS VOCIS” (CHIACCHERA) che serve solo a chi la diffonde.

CARNIA… COLONIZZATA (int. 7)    

Numerosi sono stati i tentativi di colonizzare la Carnia nei secoli passati. In questo secolo ve ne sono stati tre, il primo dei quali rappresenta indubbiamente il tentativo più riuscito e più tragicamente concluso. Ma analizziamoli insieme:

1944, KOSAKENLAND IN NORD ITALIEN

Nel settembre 1944 Hitler, in tacito accordo col camerata Mussolini,  trasferisce in Carnia con una lunghissima tradotta ferroviaria che si arresta a Stazione di Carnia, oltre 22.000 tra cosacchi e caucasici, sbrigativamente denominati mongui. Questi cosacchi e caucasici sono alleati dei tedeschi  e avversari dei comunisti di Stalin, il quale ha nel frattempo riconquistato le loro terre sul Don. Questi nuovi venuti dall’Est, si installano in tutti i nostri paesi, con le loro famiglie, i loro armenti e le loro masserizie. I cosacchi occupano la parte meridionale della Carnia, i caucasici si stabiliscono nella fascia settentrionale: per loro si tratta della “terra promessa” loro dai tedeschi: la Kosakenland in Norditalien. Paluzza diventa sede del Comando caucasico e del tribunale popolare. A Treppo si istituisce un ospedale con 35 posti-letto, con un reparto di chirurgia, uno di medicina e uno di malattie infettive; a  Cercivento viene istituito un ricovero per invalidi di guerra;  Sutrio diventa sede di una scuola caucasica in Casa Del Moro, così come Paluzza. Ligosullo addirittura ospita un teatro, mentre a Sutrio viene istituita un’orchestra ed una scuola di ballo. A Paluzza infine si stampa un giornale in caratteri cirillici che esce due volte alla settimana.  Pare insomma che la vita possa riprendere con naturalezza anche in Carnia per questi Caucasici, portatori di altra cultura e di altra religione, che obbligano nel contempo i carnici ad una forzosa convivenza, costellata da atti di violenza e uccisioni. Essi vivono nelle medesime case, spesso usano la medesima cucina e la stessa stalla dei carnici. La guerra però volge al peggio per il Terzo Reich ed i caucasici e i cosacchi , in un  nevoso  maggio del 1945,  risaliranno mestamente il passo di M.Croce, si fermeranno a Linz. Qui, nel timore di essere riconsegnati dagli inglesi alla Armata Rossa, si getteranno, con famiglie e cavalli, nelle gelide acque della Drava, preferendo la morte ad un ritorno nella patria ormai divenuta bolscevica. Di loro a Paluzza resterà solo il macchinario per la stampa che verrà sequestrato dal CLN e successivamente acquistato da Cirillo Cortolezzis che avvierà così la sua tipografia, ancora oggi operante in Paluzza. 

1991,  ALBANESI IN CARNIA

Il 13 marzo 1991 circa 450 albanesi, sbarcati sulle coste pugliesi, vengono trasportati con pullman militari a Paluzza e vengono sistemati nella dismessa caserma M.P.Mentil, riadattata per l’occasione. Il Presidente della Caritas diocesana, don Angelo Zanello, che nel 1998 diverrà poi parroco di Tolmezzo, lancia la proposta di ripopolare la Carnia con gli albanesi, che stanno giungendo a migliaia dall’Albania, dove il comunismo reale è miseramente crollato, lasciando intravedere tutte le sue miserie. Don Zanello vorrebbe sistemarli nelle case rimaste vuote e inventare per loro un qualsiasi lavoro, che non si riesce ad inventare neppure per i locali. La proposta della Caritas  lascia perplessi e molti mugugnano. I preti tacciono. Per i primi 4 mesi questi albanesi vivono oziosi e sfaccendanti, girovagando con la sigaretta in bocca per i paesi, dove spesso trovano ospitalità, comprensione e lavoro. Di questi 450, solo una cinquantina paiono delle persone perbene, che si danno subito da fare per cercare un occupazione onesta. Tutti gli altri (delinquenti comuni, prostitute e nullafacenti) attendono l’ora di poter andare nelle grandi città per dare inizio alla loro criminosa attività, così come oggi appare in tutta la sua drammatica evidenza. A Paluzza, nell’autunno 1991, restano solo poche decine di albanesi, che vengono sistemati in alcune case disabitate. Alcuni trovano un lavoro, altri continuano a bighellonare per i paesi, molti se ne vanno. Di quest’ultimi, alcuni ritornano alla guida di potenti Mercedes e con una sinistra fama, altri non ritornano, lasciando le case che li avevano ospitati in condizioni miserevoli. Accadono zuffe in paese,  ferimenti; subentrano successivamente  problemi di tipo sentimentale con alcune donne del luogo, che daranno origine a  spiacevoli fatti e a crisi familiari. Devono passare ancora alcuni mesi perché anche l’ultimo albanese disoccupato lasci Paluzza. Con la loro partenza, il paese  torna finalmente alla sua primitiva tranquillità ed ai suoi problemi di sempre. Oggi a Paluzza e dintorni “albanese” è diventato sinonimo di sfaccendato e ingrato; ma anche di peggio. 

1999,  KOSSOVARI IN CARNIA

Gli ultimi mesi del 1998 ed i primi del 1999 sono caratterizzati dalla riesplosione del conflitto etnico tra i serbi e gli albanesi del Kossovo, una delle regioni della disciolta Jugoslavia comunista. Nello stesso Kossovo convivono due etnie, per religione per lingua e per cultura diverse . I serbi sono cristiano-ortodossi di lingua slava, mentre gli albanesi sono di religione islamica e di lingua albanese. Atrocità si registrano in entrambi i campi.  Nessuna delle due etnie vuole cedere e la guerra di prospetta lunga e durissima. Molti kossovari fuggono e attraversano l’Adriatico sbarcando sulle coste italiane. A centinaia continuano a passare attraverso il confine a Nord-Est di Gorizia, senza che si appronti un benchè minimo efficace controllo. La mafia locale agevola questi sbarchi ed anzi li organizza a prezzi elevati, con fornitura di biglietti ferroviari. Dove sistemare tutti questi kossovari per lo più di religione mussulmana, che arrivano in Italia ?  Ecco la risposta che giunge il 18 marzo 1999: NEMO GONANO propone che vengano inviati in Carnia per ripopolare questo territorio e per essere adibiti in quelle mansioni che i carnici non vorrebbero più seguire. Ma chi è NEMO GONANO? Nemo Gonano non è un signor “nessuno” anche se invero il suo “nome proprio” in latino significa esattamente questo.  NEMO GONANO è un carnico di Prato Carnico, che ha fatto il Direttore Didattico. Non solo, ma NEMO GONANO, quando era socialdemocratico del PSDI, è stato Presidente del Consiglio Regionale dal 1998 al 1993, ai tempi di Biasutti e Turello, ed ha quindi rivestito ruoli di responsabilità politica di primo livello. Attualmente NEMO GONANO, è, tra l’altro, presidente di ERMI (Ente regionale Migranti) ed in questa veste ha lanciato la sua singolare proposta. 

La Carnia oggi chiede solo di essere salvaguardata nella sua sopravvivenza come popolo, mediante leggi regionali e statali adeguate, in grado di garantire una minima permanenza della gente nelle valli, tenendo ben presente che Tolmezzo non è “le valli”. Se ciò non è possibile o non è nei programmi di chi ci governa, si abbia almeno la decenza di lasciare che la Carnia muoia lentamente, da sola, senza alcun tipo di eutanasia esterna. Di questi fraterni aiuti la Carnia vera, quella delle valli, vorrebbe sinceramente farne a meno.

AziendaPromozioneTuristica  CARNIA (int. 8)

COMPONENTE        RUOLO            PAESE D’ORIGINE 

Alessandro PLOZNER

PRESIDENTE

PAULARO

Bruno GIORGESSI

DIRETTORE GENERALE

RAVASCLETTO

Patrizia BORTOLOTTI

CONSIGLIERE

TOLMEZZO

Gianni CORADAZZI

CONSIGLIERE

FORNI DI SOPRA

Piergiacomo DE INFANTI

CONSIGLIERE

RAVASCLETTO

Daniele PETRIS

CONSIGLIERE

SAURIS

Michele CIPRIANI

CONSIGLIERE

CGIL-CISL-UIL

Sergio DE INFANTI

CONSIGLIERE

RAVASCLETTO

Ermes DE CRIGNIS

CONSIGLIERE

RAVASCLETTO

Erminio POLO

CONSIGLIERE

FORNI DI SOTTO

 

La montagna non è Tolmezzo  (int. 9)

Sono ormai parecchi anni che sosteniamo inutilmente che la Carnia non è Tolmezzo, anche se a Tolmezzo è attualmente ammassato 1\5 dei carnici, molti dei quali hanno definitivamente scelto il capoluogo a scapito dei propri paesi d’origine. Con questa affermazione apodittica intendevamo specificare che la montagna non può essere considerata globalmente uguale. Infatti  tra Ligosullo e Tolmezzo vi sono delle significative differenze (o NO?), come esistono certamente tra Timau e Cavazzo o tra Forni Avoltri e Amaro. Voler considerare tutta la Carnia meritevole delle medesime attenzioni e cure, ci pareva oltremodo ingiusto e dannoso proprio per quei comuni più emarginati e disagiati. La vicenda poi della BENZINA AGEVOLATA aveva finito col dare il classico sberleffo proprio a quei comuni più svantaggiati ed economicamente fragili, dove la benzina costa paradossalmente più che a fondovalle (ma questo è un altro problema, certamente ininfluente ai fini del nostro discorso). Abbiamo fatto questa lunga premessa per dirvi che siamo stati eccezionalmente sorpresi leggendo il II volume recentemente edito dalla Regione FVG nel 1998 e pubblicato in occasione del 10° anniversario del famoso e fallito PROGETTO MONTAGNA. Bene, a pag. 26 di questa pubblicazione apprendiamo con estremo favore che la nostra Regione ha finalmente recepito (non si sa come) le legittime istanze circa una ridefinizione delle fasce montane ai fini di una futura defiscalizzazione o di futuri benefici. Vediamo succintamente come sono stati redistribuiti i comuni di Carnia, secondo un criterio socio-economico e geografico.

·        La PRIMA ZONA, denominata PEDEMONTANA, comprende i comuni che molti osservatori ritengono ormai di dover escludere dai territori montani, proprio perché già raggiunti dai processi di sviluppo e dalle grandi vie di comunicazione. Tra questi comuni della PEDEMONTANA vi è per ora incluso solo Tolmezzo, ma i tecnici regionali sono favorevoli ad includervi anche Amaro, Villa Santina e Cavazzo (attualmente collocati nella seconda zona), i quali dunque, pur facendo sempre parte della Carnia, non verrebbero più considerati fiscalmente ed economicamente montani.

·       La SECONDA ZONA denominata MEDIA MONTAGNA comprenderebbe: Arta Terme, Enemonzo, Ovaro, Raveo, Sutrio, Amaro, Cavazzo, Villa Santina e Zuglio.

·       La TERZA ZONA denominata  ALTA MONTAGNA, comprenderebbe tutti i restanti comuni di Carnia e cioè: Ampezzo, Cercivento, Forni Avoltri, Forni di Sopra, Forni di Sotto, Lauco, Ligosullo, Paluzza, Paularo, Prato Carnico, Preone, Ravascletto, Rigolato, Sauris, Socchieve, Treppo Carnico, Verzegnis 

Questa nuova ridefinizione delle zone della Carnia, pur se sucettibile di limitate variazioni, prefigura finalmente quale dovrebbe essere il prossimo impegno regionale e le relative risorse finanziarie, da indirizzare esclusivamente verso quei comuni compresi nella TERZA ZONA, ossia verso quei comuni più deboli ed emarginati che il defunto PROGETTO MONTAGNA ha solo lambito con l’irrisoria cifra di 4,1 miliardi in totale sui 116 effettivamente spesi nelle altre zone. Qualcuno potrà forse criticare questa nuova impostazione operativa regionale, bollandola con il triste marchio del DIVIDE ET IMPERA, tuttavia a noi pare che questa impostazione, se mai verrà concretamente applicata, gioverà certamente a quelle zone finora tragicamente trascurate da ogni serio processo di sviluppo organico. Sono però già passati quasi TRE ANNI dalla pubblicazione di questo volume ma NULLA SI E’ ANCORA CONCRETIZZATO. Solo e sempre parole (parlate o scritte) ma nulla più.

   


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