LA PLACIUTE
di Alfio Englaro

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Non tanti anni fa tutti siamo stati bambini e quasi ce lo siamo dimenticati anche se, di tanto in tanto, si presentano alla nostra memoria alcuni ricordi di quegli spensierati momenti, quando gai e giulivi, si viveva di ingenue ed infantili fantasie e dinanzi a noi "si stendeva un prato smaltato di fiori". Alfio Englaro dopo aver scritto la Cronistoria breve di Paluzza, densa di date ed informazioni storiche, e "Nos Patriae fines et dulcia linquimus arva", lettere paluzzane dal fronte greco-albanese, si presenta con questo nuovo libro che vi sorprenderà per i ricordi che riesce ad evocare con una scrittura semplice ed efficace.
Alle precise descrizioni di personaggi e luoghi noti a tutti i Paluzzani, si aggiungono ad ogni capitolo dei disegni che rivelano la versatilità di Alfio, inseguitore di ricordi ed acuto osservatore cui non sfugge alcun particolare.
Parola dopo parola tutti potranno ritrovare in questo libro una comunità con un cuore che batte ancora, il cuore di molti che vivono a Paluzza o vi ritornano periodicamente, quasi per ritrovare i colori, i pochi rumori, i noti odori che , un tempo si sentivano e di cui era impregnata la Placiute.
Oggi percepiamo la labilità, l'effimero, la vaghezza delle nostre vite. Spesso ci sentiamo spaesati ed abbiamo la sensazione di girare a vuoto, di non capire verso dove stiamo andando. Ciò non è evidente solo nei giovani, ma anche negli adulti, diciamo in noi stessi. Il ricordo del nostro passato, cioè di quello che eravamo può stimolarci ed infonderci forza per rinviare la rassegnazione.
Il fatto di appartenere ancora ad una comunità è importante. E' come trovarsi con delle radici, quando si pensava di essere ormai sradicati da ogni tradizione e legame.
Identificarsi con una comunità è una esigenza fondamentale, vitale. Non c'è nulla di peggio, infatti, che sentirsi di non appartenere ad alcun gruppo, a nessun territorio, ad un qualsiasi paese.
Il libro di Alfio racconta quello che è successo prima dal "destin", prima di "lâ coscriz", quando ancora alle cinque del pomeriggio si andava in canonica a vedere la TV dei ragazzi, c'erano i gianduiotti con le figurine per la raccolta degli animali e si andava "a cirî bores la di Cincin". Non è come precisa nella prefazione, una cronaca o una ricerca storica, ma un ricordo di quegli anni affascinanti. E' un tuffo nel passato per rivivere con un po' di nostalgia, forse con giustificato rimpianto un tempo, quello della nostra fanciullezza, non per recriminare sul fatto che non si ripeterà più, ma per ritrovare certe sensazioni, certi valori semplici ed immediati che ancora oggi potrebbero essere validi. I suoi personaggi sono come molti di noi insignificanti per la storia, ma indispensabili per la comunità. Sicuramente i Palucans di Somavile sarebbero oggi diversi senza Centovento che aveva un fratello frate e vendeva "pivetis, sunetis, baretis di Bartali e di Coppi, senza Bubale, che vestiva sempre con dignitosa sobrietà, pur vivendo miseramente (ve lo immaginate oggi uno che vesta come Bubale?) , o del pittore , Macor, pieno di tosse e di un carattere mito e remissivo, sempre " alla ricerca di un approdo", senza Garibaldi con il suo fido cane spuzar, Jacum di Cristof lettore accanito e fedele dell'Unità e poi Gjani dal Germelin che assieme a Tonin di Ficje girava cu la siê circolâr. Quasi tutti con una arsure, sete , quasi patologica, di vino plebeo. Poi ci sono ancora: Nelut da Muinie , sicuro di andare in paradiso "parce che no ai vut nue de vite", Etore di Anate, Severino Galassi, il misterioso Gustavo di Prun che sapeva vivere con poco e non beveva vino, Zenz vuarp cal insegnave a cjanta e suna, Tranquillo che aveva la passione della meccanica e dei motori intuendo dove si stava indirizzando il mercato: la motorizzazione di massa. Fanno la loro comparsa anche molte donne: Teresine di Gaetan, le ferventi Gisele e Clementine di Von, Pina de Sira, La Eme, Catin, Sulin, Pierinute, Dine e Catinute, la Nela aiutante tuttofare di Turo, il casaro, la Catin di Vij che stava ta cort dal Sat, la Meline di Tobie che cucinava la minestra nel retrobottega e poi la Melie, la Clelie, la Rosute, Nenute e Polonie.
Allora ricopriva un ruolo importante Ugo, il figlio di agne Catin e di barbe Linçut. Per un periodo abbastanza lungo, Ugo è stato il capo indiscusso della banda di Somavile che si era dotata di una divisa ricavata dalle tende dismesse del panificio.
La sua soffitta era un'armeria, con pugnali, spade scudi, che esaltava la fantasia infantile . Aveva pure in un tinello un piccolo altarino, dove si celebravano messe propiziatorie contro quelli di Cente. Allora i ragazzi Salon e Carpenedo quando osavano salire fino a Somavile venivano investiti da epiteti variopinti il più elegante di questi era: "tornait ju in Cente scioraz".
Somavile aveva fama di essere un covo di comunisti!
Questo non è un diario che uno scrive per se stesso. E' un libro di ricordi che Alfio ha scritto per tutti noi e vi farà meglio di qualsiasi medicina.

(Tutto il ricavato sarà speso per le attività culturali di Somavile)
MARINO PLAZZOTTA
BUTTRIO 20.12.01.

 


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