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Notizie storiche
della Provincia della Carnia
di Niccolo Grassi
(1782)
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«Creatività nella continuità».
Piccoli testi antichi messi in luce
da Don Floriano Pellegrini
Notizie storiche della Provincia
della Carnia Raccolte dal Reverendiss.
Niccolò Grassi di Formeaso,
Parroco di Cercivento, e Canonico
della Collegiata di S. Pietro in Carnia.
E dedicate a S. E. Reverendiss.
Mons. Gian-Girolamo Gradenico
Arcivescovo di Udine ec. ec.
Di: Niccolò GRASSI. Del: 1782.
In Udine MDCCCLXXXII. Per li Fratelli Gallici alla Fontana.
Con Licenza de’ Superiori.
Ristampa anastatica a c. di Arnoldo Forni Editore
(Sala Bolognese [Bologna] ), aprile 1998.
[p. I frontespizio e p. II in bianco]
[pp. III-VIII dedica]
Eccellenza Reverendissima.
La Benignità, con cui Vostra Eccellenza Reverendissima, ha accolta altra mia Operetta, anni sono, data alle stampe, fa che con più coraggio io le rassegni queste mie Notizie Storiche, che versano intorno la Provincia della Carnia. E’ porzione questa di quella vasta Diocesi, in cui Dio ha dato a Vostra Eccellenza Reverendissima il presiedere sì per la felicità della sua Chiesa, che con vera pietà, zelo Pastorale, e saviezza Ell’adorna, coltiva, ed edifica; quanto per accrescimento della Repubblica Letteraria, in cui per le molte, celebri, ed erudite Opere dall’Eccellenza Vostra Reverendissima date alla luce ha già ottenuto il nome di Uomo dottissimo. Cotesto mio tributo però essendo troppo sproporzionato all’alto di Lei merito, so che diviene ardimento: ma pure essendomi io, non senza ragionevole motivo, a scrivere tal opera accinto, buscando qualche ora vacua alle occupazioni mie Parrocchiali, senza timore d’incorrere taccia di troppo ardito a Vostra Eccellenza Reverendissima la presento.
Desiderò il Santo Cardinal Borromeo di averne qualche informazione intorno al sito e alla natura, e condizione de popoli della Carnia, avendo egli sopra una parte de’ medesimi Giurisdizione Spirituale, come Abate di Moggio; ed ebbe il merito di renderlo in qualche maniera informato il Sig. Giacomo Valvasone di Maniaco l’anno 1565. Emulo della Pastorale sollecitudine di quel Santo Porporato Vostra Eccellenza Reverendissima dimostronne un simile desiderio, allorché mi diede l’eccitamento di compire la raccolta delle mie Notizie Storiche di quella stessa Provincia, di cui Ella ne ha un pieno Dominio Spirituale. Di essa io le ne dò quel distinto dettaglio, che mi è sembrato più convenevole di rendere noto al Pubblico, e massime all’Eccellenza Vostra Reverendissima come a nostro veneratissimo Prelato, cui noi suoi Parrochi in particolare tutto dobbiamo. Accolga pertanto la Benignità Vostra, e riguardi con occhio di clemenza questa mia dimostrazione d’ossequio, mentre desiderandole lunga serie di anni pel vantaggio del suo amato Gregge, e per l’aumento di gloria, ch’Ella si va meritando, colla maggior sommessione mi prostro, e dichiaro.
Di V. E. R.
U.mo Oss.mo Di.mo Serv.
Niccolò Grassi
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[pp. 1-46]
DELLA PROVINCIA
DELLA CARNIA IN GENERALE.
Origine, e stato antico de’ Carni.
La Carnia, di cui or a scrivere imprendo, è quel tratto di Provincia Veneta, che dai fiumi Tagliamento, e Fella in sù estendesi verso Settentrione fino alle sommità delle Alpi, che altissime innalzandosi tra le fonti del Dravo, e della Piave dan confine all’ltalia. Anticamente i di lei confini abbracciavano ancora le Provincie della Carintia, del Carso e della Carniola. I suoi primi abitatori furono i Popoli Carni, che traendo la lor origine dalla Celtica della nobil Provincia di Chartres, vennero ad abitar le nostre Alpi, siccome fra gli altri ben osservò un moderno erudito Scrittore, ai tempi di Tarquinio Prisco l'anno di Roma 156. Sotto la condotta di Sigoveso nipote di Ambigato Re de' Celti. La moltitudine di costoro sopprabbondava nella Gallia Trasalpina, e scarseggiava di viveri; perciò un esercito composto di dodici mille armati s'incaminò verso la Selva Ercinia, si fermò in vicinanza di lei, indi occupò la Pannonia, che secondo i più accreditati Geografi, stendevasi anche a queste nostre parti, e confinava colle Alpi Noriche, che Carniche poscia si dissero. In quell'incontro le nostre Alpi furono abitate dai Popoli Carni.
Sono presi di mira dai Romani.
Eran costoro gente bellicosa e di gran cuore, e seppero fra questi monti mantenersi intatta la libertà per poco men di cinque cento anni. Allora fu che, come Barbari, furon presi di mira dai Romani, e per loro motivo, al dir del precitato Scrittore, intrapresa fu la fondazione di Aquileja. La Colonia Aquilejese fu condotta l'anno di Roma 572. mentre i Popoli delle montagne, Carni, Japidi, ed Istri si stavano spensierati nel comun periglio. Pochi anni dopo incominciarono cotesti popoli a sentirne gli effetti; e benché la detta nuova Colonia scarsa ancor fosse di abitatori, né ben fornita di opere, e di munizioni dovettero nondimeno i medesimi soggiacere a soffrir una fierissima scorreria. Rinforzata poi che fu la nuova Città d'Aquileja, ed essendo toccato a Marco Claudio Marcello il vincere i Galli Alpini, l'anno 587. il trionfo di Marcello comprese particolarmente i popoli Carni. Ciocché si fosse di un tal trionfo, i Carni dovettero bensì restar soccombenti, ma non soggiogati, appartenendo ad altri tempi il trionfar davvero di questo popolo feroce, e accostumato alla originale sua libertà.
Oppressione della Nazione Carnica intrapresa dai Romani, e perché?
Si aveano i Romani a poco a poco rese obbedienti fin da gran tempo le Alpi Ligustiche, e l’anno 610. erano giunti a superare anche quelle de' Salassi, mettendosi in possesso a quella parte delle Chiuse del Piemonte tanto importanti per la sicurezza d'Italia. Porte d' Italia niente meno importanti, e gelose erano queste delle nostre Alpi: e per tale forte motivo è da credersi che da' Romani s'intraprendesse l'oppressione della Nazion Carnica. Sotto dunque il Console Cato, e gli auspicj di Marco Emilio Scauro, che fu l'anno di Roma 638. entrarono i Romani in possesso delle nostre Alpi, e poterono gloriarsi, colla depressione de' Carni, di esser giunti a questo lato a debellar tutta l'Italia. Per monumento di ciò v'è un frammento di Fasti trionfali dissoterrato in Roma l’anno 1563. a piè del monte Esquilino, e riportato dal Sig. Fistulario, in cui leggesi.
M. AEMILIVS. M. F. M. N.
SCAVRVS. COS.
DE. GALLEIS. KARNEIS.
Battaglia de’ Romani contro i Cimbri nella Carnia.
Due anni dopo che furon depressi i Carni, Gneo Papirio Carbone fu il primo de' Romani, che si valse della opportunità di un tal posto, e alle Chiuse delle nostre Alpi fece fronte a una inondazione di Cimbri, gente barbara, e fino a quel tempo sconosciuta negli Annali di Roma. Carbone batté i Cimbri, e se non ne fece esterminio, fu per cagion di un turbine con dirotta pioggia, da cui restarono separati i combattenti, e talmente dispersi i Romani, che appena si riunirono dopo tre giorni. La battaglia secondo alcuni seguì al fiume Lisonzo sopra il luogo, dove ora è Gorizia; ma per detto di Strabone, citato dal Sig. Fistulario, essa ſu appresso il nostro fiume Tagliamento.
Passagg. di Giulio Cesare per la nostra Carnia.
Dopo tale impresa, secondo la maggior parte de' nostri Scrittori, C. Giulio Cesare passò per la nostra Carnia, quando per costà marciò contro gli antichi Svizzeri; poiché avendo esso udita la solevazione di questi, siccome egli medesimo attesta nel suo primo Libro della guerra Gallica, arrolò due Legioni in Italia, e tre altre, che svernavano ne' contorni d'Aquileja, ne tirò fuori de' Quartieri d'inverno: e perché il cammino più corto per andar nella Gallia ulteriore era per le nostre Alpi, con quelle cinque Legioni s'incamminò per l'Alpe del monte di Croce, situato ai confini del Canale di S. Pietro, stanteché gli Svizzeri l'altro passo delle Alpi avean occupato, e munito con forte presidio, acciocché per colà il Proconsole Romano condur fuori non potesse l'esercito. Il Sig. Paolo Fistulario però prova molto bene col testo di Livio, ch'egli allora tenne la strada de' Salassi, e che per quella parte si precipitò sopra i suoi nemici colle Legioni, che avevano svernato nei contorni d'Aquileja. Con tutto ciò fuor di questo tempo nel detto monte di Croce la strada, che innanzi era difficile a transitare per testimonianza di Aurelio Vitore Giulio Cesare procurò di render transitabile. In prova, e memoria di ciò abbiamo alcune Iscrizioni state scoperte in varij siti di esso monte.
Quando, e da chi fu resa praticabile la via del monte di Croce.
La prima apertura di tal varco si attribuisce a quei dodici mila Galli Transalpini, che sulla relazione di T. Livio l'anno di Roma 567. per saltus ignotae anteà viae in Italiam transgressi, oppidum in Agno, qui nunc Aquilejensis est, aedificabant; poiché per verità a niuna delle strade, che ora della Germania conducono nel territorio d'Aquileja, è meglio addattata la descrizione, quanto a questa del monte Croce. E già ben lo disse Palladio nel lib. 2. pag. 23 con queste parole: Ingens igitur in unum multitudo (parla de' suddetti Galli, che partirono dal loro paese ) haec Rhaenum emensa per eam luliarum Alpium viam, quam non multo post C. Julij Caesaris opera complanatam, atque nobilitatam posteritas accepit, in Forumjulium tendit. Poi soggiunse: Haec prima Barbarorum in Provinciam expeditio, quam eo admirabiliorem quis existimaverit, si locorum iniquitates, per quas signa intulerint, animadvertet. Quindi comunque siasi del sito, in cui quei popoli Galli tentarono di fondare quella Città, si computa, che allora fu la prima volta aperta la strada per il nostro monte di Croce.
Qui però vuol avertirsi, che per ascendere dalla nostra parte alla sommità di esso monte, si devono riconoscere due strade, una carreggiabile, l'altra pedestre. Quella conducendo per le pendici del monte Collina ascendea per quella di Collinetta (ambe montagne del N. U. Co. Mario Savorgnano) alla cima del monte di Croce; questa commoda in oggi anche per cavalcare, senza staccarsi dal monte stesso passava per il piano, su cui tenevasi tra Tedeschi, ed Italiani annualmente un famoso mercato, chiamato perciò ancor oggidì in lingua Alemanna Alta March, cioè mercato vecchio; ma poi quale delle due strade sia la più antica, non si può additare.
La prima, di cui si veggono anche di presente in più sassi alcune un gran palmo profonde carreggiate, vanta indubitatamente aver sortita la sua spianazione da Giulio Cesare. Ne fa fede Sesto Rufo scrivendo: Sub Julio, & Octaviano Caesaribus per Alpes Julias iter factum est. In oltre certi ci fanno le seguenti Iscrizioni scoperte in più luoghi del monte di Croce.
Varie Iscrizioni Romane sopra il monte di Croce.
In un pezzo di rupe di esso, come leggiamo dall'Originale Manoscritto di Quintiliano Ermagora, Scrittore del Secolo XV., si vedeano incise certe lettere, che così dicevano.
C. JVL. CAES.
VIAM. HANC. ROT. F.
Segnava qui Cesare un monumento alla posterità per farle vedere, che avea potuto costruire una nuova strada per dove non era mai stata strada da carri.
Il Chiarissimo nostro Morocutti l'anno 1727., come accenna in sua lettera scritta al Sig. Abate Fontanini, scuoprì alle radici del monte di Croce alcune iscrizioni.
Un degno Sacerdote di mia Parrocchia, che mancato a vivi l'anno 1752. lasciò molte sue memorie inedite intorno le antichità della Carnia, ora passate in altra letterata mano, trascrisse la seguente imperfetta Iscrizione, incisa in un quadro scavato a lato sinistro della suddetta via carreggiabile fatta per il monte di Collinetta.
- ICES FECIT - - - - L - - -
- - - - IIIVIROS
GALLI - - - LIBER SERVI - -
- - - - - - - - - - - - - - - - - - -
- - - REN
BENEFICEN - - - -
PERICLITAN - - - -
VIAM STABI - - - -
Nella sommità di detto monte, che Venanzio Fortunato da questo transito di Giulio Cesare nominò Alpe Giulia, non lungi dal confine Imperiale alquanto sopra la strada verso Settentrione io stesso in compagnia di due altri dilettanti di antichità ho letto le due seguenti Iscrizioni incise nella erta, e naturalmente liscia Rupe.
I.
MVNIFICENTIA. D. D. AVGGQVE
N. N. IN. HOC. PERVIO. HOMINESET
ANIMALIA. CVM. PERICVULO
- - TRANSIBANT. APERTVM EST
CVRAM HABENT - - - PROCRANT - -
- - MATTO. CVR. R. P. - - IV - - R - - P - -
D. D. N. N. VALENTINIANO
ET. VALENTE. AVGG. III. COS.
II.
- - - - - - - - M - - - - - - - - -
- - - - - - - - XIX - - - - - - - -
- - - - - I - - - S. CETERISQVE DIB
MEMORIAM. ET. SOLLEMNE. VOTVM. DI
HERMIA. SVSCEPTOR. OPERIS. AETERNI
TITVLVM IMMANEM MONTEM ALPIN.um
INGENTEM. LITTERIS. INSCRIPSIT. QVOT. saepe
..IVIVUM COMME ANTIVM PERICLIT ANTE
POPVLO. AD. PONTEM. TRANSITVM NON
PLACVIT CVRA - - ET ATTIO BRAETTIANO
QEORVM VIRO ORNATO VIAM NOVAM
DEMOSTRANTE. HERMIA. MVLTA. NI
MIS. FIDES. OPERISQUE. PARATVS. VNA
NIMES. OMNES. HANC. VIAM. EXPLICVIT
Si parla in queste due Iscrizioni della ristorazione di una più antica strada, che per queste Alpi passava, intrapresa da un certo Ermia per suggerimento di Azzio Brezziano l'anno di Cristo 370.
Dall’epoca poi, in cui per ordine di Giulio Cesare fu resa ruotabile la via del monte di Croce, è da credersi che per comando del medesimo sia stato fatto, e fortificato il Castello, e la Città del nostro Giulio Carnico, di cui a suo luogo parleremo: è da credersi che per ordine suo sia stato fatto, sì affinché potesse egli avere un libero regresso, e forte presidio, se la necessità lo respingesse dalla Gallia, ove andava, non restando domato il nemico; come altresì perché, se i Barbari tentato avessero di penetrare nel piano della Provincia de' Carni, potesse lor opporsi qual forte difesa quel Castello fondato alle radici delle Alpi.
Memorie de’ Carni dopo la lor depressione.
Per altro da che i Carni furono soggiogati da Emilio Scauro, guerre Alpine non ne scorgiamo fra essi da quel tempo fin dopo la morte di Giulio Cesare. Queste genti in que' tempi occupavano non solo le Alpi, o sieno le montagne alpestri o selvagge, ma i colli ancora o tutti, o in buona parte, che alle radici di esse intorno intorno s’innalzano. La maggior parte dei luoghi di colline, sebben facili a coltivarsi, massime però verso la sommità era incolta ed- inſruttuosa a cagione della inerzia di quegli abitanti, e dell’asprezza della terra. Soleano però essi per la scarsezza del vitto, e delle altre cose ricorrere agli abitatori del piano per aver chi somministrasse loro il bisognevole, retribuendo all'incontro resina, pece, fiaccole di legno, cera, mele [= miele], e formaggio, abbondando eglino di sì fatti prodotti.
Entrano nella sollevazione contro i Romani, e loro esito infelice.
Ne' tempi poi di Ottaviano Cesare l'anno 738. fu una sollevazione generale delle Alpi contro i Romani, e in questa vi entrarono anche i nostri Carni. Io quì succintamente riferirò il fatto storico, come ce lo descrive il Sig. Fistulario, fondato sull'autorità de' più accreditati antichi Scrittori.
Augusto con magnanima impresa poté sedare per mezzo de' suoi figliastri Druso, e Tiberio nel breve corso di una campagna un così vasto, e pericoloso tumulto. Druso assalì la Rezia, e la Vindelizia, e batté i Breuni, e i Genauni più volte, atterrando molte Casella de' nemici poste alle sommità delle Alpi: e Tiberio spedito da Augusto in soccorso del fratello attaccò immantinente una gran battaglia, e diede ai feroci Reti, oggi Grisoni fortunatamente la rotta. Atterriti, e dispersi con frequenti, incommode, e nojose scaramucce i più forti, e coraggiosi della lega, non fu difficile ai Romani il superare anche i più deboli, quali erano i nostri Carni, e sottometterli.
Sono costretti ad abitare il piano.
Tale fu l'esito, e il fine memorando della sollevazion generale delle genti nostre Alpine. Erano bensì feroci coteste genti, ben situate, e terribili per numero, ma molto più formidabile certamente era la Romana potenza. Ma per appunto perché annidata questa moltitudine di Carni ne' dirupi, e fra montagne inaccessibili, non lasciava senza il suo pericolo neppur la grande, e immortal Repubblica di Roma, non bastò ad Augusto di averli soggiogati, ma ordinò a Druso, e a Tiberio, che impoverissero digente queste contrade, estraendo dalle medesime il miglior nerbo, e la massima parte della più robusta, e più fiorita gioventù. La storia poi non ci descrive la scena tragica de' Carni in quest'incontro, il numero delle genti trasferite, la resistenza loro in quell'amara giornata, il trattamento lor fatto dalla mano de' vincitori, e tante altre particolarità. Ad ogni modo però sappiamo essere stato questo il tempo che i Carni si dilatarono, e che il fiore della gioventù Carnica fu levato dalle nostre Alpi, e condotto da Tiberio, e da Druso ad abitar tutto quell'piano sopra Aquileja ch'è di quà dal Tagliamento. E quì fuor di proposito si lagna con amarezza qualche Critico, perché il Sig. Fistulario abbia scritto che i nostri Carni tirati giù da' monti, e posti in punizione al piano, si castigassero coll'assegnar loro grande copia di terreno. Fu sempre pena l'essere costretti ad abbandonare la dolce, ed amabil sua patria; e naturalmente parlando, il rincrescimento, che provasi in lasciare le patrie sedi, ed insieme valli, monti, colli, piani non inſruttiferi, in cangiare vario clima, altri alimenti, consuetudine di vita dall'antica assai diversa, compensato abbastanza essere non può col trasferirsi nelle più ubertose, e basse pianure del Friuli, e coll'essere quivi assegnata a nuovi Coloni copia bastante di terreno.
Antica Provincia de’ Carni qual ne fosse al tempo d’Augusto.
Allora poi fu che la Provincia de' Carni chiamossi tutto quel tratto di paese, che dalle Alpi nostre superiori si stende fino al Golfo Adriatico tra il Formione, e il Tagliamento; e tale nome sortì da Cesare Augusto, allorché condotta giù da' nostri monti per opera sua quella numerosa Colonia di genti Carniche a popolare il piano, per nobilitare un tal fatto, e perpetuarlo nella memoria degli uomini, fu il primo nella celebre sua divisione della Italia in undici Regioni a separare dalla rimanente antica Venezia quella pianura, e col nome proprio, e particolare di Carni a farla registrare geograficamente nella Region Decima. Col tratto poi del tempo Friuli cominciò a dirsi dall'antico Forogiulio tutto quel tratto di Provincia, che dai fiumi Fella, e Tagliamento estendesi sino al mare, e i suoi popoli Friulani incominciaron a nominarsi. Gli altri popoli che fra detti fiumi abitano le Alpi, conservano anche al dì d'oggi l'antica sua nazione, e l'antico nome di Carni.
Descrizione della Carnia.
Di questa Provincia pertanto, che verso l'Alpi Giulie s'estende; ed i cui Abitanti ritengono il comun nome di Carni, ora trattiamo. Conta essa in larghezza miglia 25. in longhezza 44., e in giro circa cento. All'Oriente guarda i Norici, a mezzodì la Patria del Friuli, verso Settentrione i popoli della Zeglia , detta da Plinio Celia, ed a ponente i Cadorini. Tutta questa Provincia va divisa in quattro parti, che con comune vocabolo Quartieri, e Canali si chiamano. Il primo piegandosi al Levante, è Incarojo, ed ha il torrente Cherisone, volgarmente detto Chiarsò, che gli scorre per mezzo, e ch'entrando nel fiume Bute, ambidue accrescono le acque del Tagliamento. Quello poi che si estende all'occidente è il Quartier di Socchieve, nella cui sommità nasce il nobil fiume Tagliamento. Convicino a questo vedesi il Quartiere di Gorto, al qual confina il Quartier di San Pietro verso oriente il nome sortendo dall'antichissima Chiesa Collegiata dedicata al Principe degli Apostoli. Scorre per il Canale di S. Pietro il rapidissimo fiume Bute; per quello di Gorto il Decano, ed ambidue per diverse vie sboccano nel Tagliamento.
Sorgente del fiume Piave.
In vicinanza al Quartiere di Gorto trae la sua sorgente la Piave fiume assai celebre.Scaturisce questa da certa montagna chiamata Lezia, e di là per la valle di Sappada passando, per varii circuiti de' monti Cadorini, e per ripe silvestri precipitoso scorre per rupi, finché arrivato al Territorio di Belluno, e passando per quello con alveo più quieto fino a portar pesanti navili, a frammischiarsi se ne va all'Adriatico mare.
Lago di Cavazzo.
Oltre i predetti fiumi v'è un lago, detto di Cavazzo, il qual estendendosi in lunghezza più di un miglio, in larghezza mezzo miglio, non solo nudrisce Trotte di perfetto gusto, che pesano fin libre 15., ma ancor Anguille quasi di simile grandezza, e non altrove pari: parimenti Luccii, e Tinche che simili non se ne trovano. Questo lago non è fangoso , ma viene formato di acque limpide, e profonde, che scaturiscono da due vicini altissimi monti.
Villaggi della Carnia.
Contiene tutta questa Provincia Ville 142. che dividonsi in Pievi, e cure; e le Chiese di queste per la maggior parte erette sono nel sito stesso, ove per antico esistevano le sue Castella, su le cui rovine furono poi costrutte dette Chiese. Per la scarsezza delle sue campagne, e per la rapacità de' fiumi, e torrenti, che con incredibil impeto cadono da' monti al piano, e in niun alveo rinserrati, seco traggono via grandi mucchi di terra, e di sassi, e dappertutto rovinano le campagne, la Provincia è sì mancante in grano che non può somministrare le biade necessarie al vitto, e mantenimento degli abitanti, se non per mesi tre, o poco più all'anno, facendo il suo calcolo político. Servonsi essi perciò per la maggior parte delle biade, e de' vini che trasportano dal Friuli, conducendo all'incontro ai Friulani panni grossi di lana, o sian mezzelane, tele, vitelli, butiri, e formaggi, di che ne fanno gran copia. Hanno pascoli, e montagne atte a nudrire il lor bestiame: ed innoltre ricavano un considerabile profitto da' molti boschi, che possedono, qualor i direttori Capi delle ville esercitino nei respettìvi Comuni una fedele economia de’ medesimi.
Boschi della Carnia.
Vanno ripieni cotesti boschi di alti alberi di Albeo, di Pino, e di Larice, che servono per uso delle navi, e delle fabbriche: però vengono spediti per il Friuli, per Venezia, per la Marca d'Ancona, e per altri paesi più lontani, conducendoli per il Tagliamento, e per la Piave. In particolare le tavole di albeo, e di Larice, che si ritraggono da' boschi della Carnia, comperate dai Mercanti vengono in gran copia condotte in Venezia, ed a Sinigaglia, ed indi trasportate per mare in varie parti del mondo. E' antico appresso i nostri Carni tal negozio di legname atto alle fabbriche, ed era solito farsi da essi coi Romani, de' quali provedevano anche l’Arsenale di Ravenna. Osserva il chiarissimo storico Sig. Valvasone, che questi legni già commendati da Vitruvio conservarono la loro stima ſin al tempo di Paolo Ill., il quale facendo erigere il Palazzo Farnese in Roma, diede commissione a Beltrame Susanna gentiluomo di Udine di provedergli de' Larici della Carnia; e che questi ne fece tagliare nei aspri monti di Lezzis, pertinenze di Sappada, Larici 20. di sì smisurata grandezza ch'erano di passi 19., e di 21., e grossi piedi 4. per diametro. Fra i suddetti boschi ve ne sono 47. in Carnia riservati al beneficio dell’Arsenale di Venezia.
Miniere in Carnia.
Non va priva questa Provincia di Miniere. Nel monte Primosio in vicinanza alla Villa di Timavo, come ancor in Agrons, Villa del Canale di Gorto, si veggon oggidì i bucchi delle cave, ond’estraevansi i minerali d'argento. Nelle pertinenze altresì di Cercivento in un bosco detto d'Agalt, già anni sono, fu scoperta una miniera d'argento, di cui ne pigliò la investitura un Signor del Friuli; ma o per non rendere forsi quel lucro, che speravasi, o per altro a me ignoto motivo restò trascurata. Parimenti nel contorno di Forno Avoltri già due secoli si estraevano miniere, che purgate davano diversi metalli, ed avea di esse la investiturra un Nobile Molin Patrizio Veneto: vcdesi tuttora una parte di edifizio diroccato, ove chiamasi Cà Molin. Vi si trovano anche marmi di un bel mischio in molti luoghi della Carnia, de' quali se ne fanno varj usi, siccome servir possono alle fabbriche al pari di molti altri d'Italia. Nel Canale di S. Pietro in vicinanza al Villaggio di Rivalpo v'è una miniera di pietra viva di color piombino, la qual è molto atta per le fabbriche del paese. Viene scavata, indi in varie guise colà lavorata da que' Rivalpesi, artefici assai pratici in tal mestiere.
Acque pudie, e loro proprietà.
Innoltre dal monte di S. Pietro scaturiscono certe acque, chiamate in nostra lingua Pudie, calde d'inverno, e fredde d'estate, e che conservano colore, ed odore sulfureo. Fisicamente esaminate da' Medici Professori di Padova, dove di esse ne fu portato qualche vaso, furono scoperte acque alluminose sulfuree, ma in maggior quantità di allume gentile, e in minor assai quantità di solfo volatile. Proficue le reputano pei calcolosi, e per la guarigione di altri mali.
Prodotti della Carnia.
Nel contorno di Tolmezzo, come pure nei Villaggi esistenti sotto, e sopra Tolmezzo vi nascono Uve di cui fanno del Vino, il qual sebbene in tempo d'inverno sia di dura digestione, nella estate però resosi di qualità più mite non tanto offende, ma estingue a meraviglia la sete. Le carni altresì d'ogni genere, e i latticinii sono de' :migliori che ritrovar si possano: in particolare il' Formaggio Asíno cotanto apprezzato fresco, e che tale si denomina per essere da uomini pratici di Asio nelle nostre montagne formato.
Tratti dall’esempio de' convicini Friulani, ed eccitati molto più da' memorabili Decreti, questi anni addietro dal benefico nostro Principe emanati in favore dell'Agricoltura nazionale, con dolce soddisfazione de’ più sensati uomini si veggono accrescere dai Carni nuove piantaggioni di alberi li più utili in codesta Provincia, quali sono li Gelsi, o sia Mori. Avendo questi Nazionali appresa la maniera di nodrire, e governare i Bachi da seta, l'esperienza comprova che la seta di Carnia riesce la più perfetta, e la più ricercata, e stimata, e vendesi perciò a più caro prezzo d'ogn’altra.
Abbonda in selvaggiume.
La situazione stessa della Carnia in oltre sembra di sua natura adattata per le caccie de' Quadrupedi, e Volatili Selvatici, de' quali abbonda in più spezie. Vi stanno in queste montagne Orsi, Gattopardi, Lupi, Cervieri, Volpi, Daini, Cavrivoli, o sia Camozze; e talvolta veggonsi Cervi che inseguiti dai Cacciatori Tedeschi travalicano le nostre Alpi. In riva a' fiumi si veggono delle Lontrie, e nelle Caverne Martori, Faine, e Tassi. Lepri se ne trovano in gran numero, molti de' quali in tempo d'inverno sono bianchi niente meno della neve. Le pelli di queste sono al dì d'oggi molto stimate per la invenzione trovata di fare con esse certo filo, che ridotto in guanti, ovvero in calze, dicesi che abbia virtù di preservare dalle buganze, e dalla podagra.
La caccia de' Cavrivoli è la più utile, e la più ordinaria che si faccia nelle nostre Alpi; ma quella delle Capre selvatiche è altresì la più pericolosa; perché a' Cacciatori conviene perseguitar questi animali attraverso le rupi, e i precipicj. I luoghi, dove d'ordinario si trovano questi animali, sono certe rocche di pietra viva, salata, ed arenosa, di cui molto si compiacciono leccandola, e frcgandovi la lingua, sia per agguzzarsi l’appetito, sia per ajutare la digestione, sia per nettarsi la lingua, sbarazzandola così dal viscidume. Questa sorta di Capre marciano quasi sempre in truppa, e con ordine: una di esse fa la guida, e un'altra la sentinella, quando le altre pascolano, e al primo movimento che vede, o al primo romore che sente, fa un grido, ovvero un fischio chiaro, ed acuto, che serve alle altre per salvarsi con la fuga. Quando poi anche la guida pascola, sempre qualche altra Camozza fa la sentinella con la testa in alto, e con le orecchie tese.
Si trovano ancora nelle Alpi Carniche Pernici, Cotorni, Francolini di due specie, Pollanche, Galli d'India, Galli di Macchia, Beccaccie, Anitre ne' marassi, e laghi delle montagne, e varie altre spezie di uccelli meno rimarchevoli, e altrove incogniti.
Castelli antichi nella Carnia.
Oltre l'antichissima, e nobile Città di Giulio Carnico v'erano anticamente in codesta Provinciaventitre Castelli eretti sopra diversi monti, e colli del paese, î nomi de' quali sono Tolmezzo, S. Lorenzo, Fusea, Verzegnis, Invillino, Socchieve, Nonta, Luincis, Sezza, Sutri, Durone, Siajo, Illegio, Cavazzo, Des Dumblans, Ampezzo, Forni, Feltrone, Agrons, Raveo, Monajo, Fratta, e Cesclans. Di questi Castelli poi parleremo in particolare a suo luogo, almen de' principali.
Gesmanie della Carnia, e loro privilegi.
Si veggon oggidì pochi vestigj di questi Castelli, poiché le Chiese delle Pievi per la maggior parte erette sono, dove esistevano i medesimi. I Desmans o Gesmani della nostra Carnia diconsi aver avuto origine dai detti Castelli. Certo è che la costituzione di questi Gesmani nella Carnia è antichissima, mentre sussistevano prima dell'ingrandimento della Terra di Tolmezzo. Sono investiti de' Feudi, come appare in tutte le antiche Rate, e Roli della Patria, coll'obbligo di contribuire per vassallaggio in tempo di guerra al Principe tre uomini armati a Cavallo separatamente dalla Comunità di Tolmezzo. Si conservano col proprio Capitanio indipendentemente dagli altri de' Quartieri, ed i Feudi da essi posseduti, in tutti i tempi li riconoscono dalla Carica dei Luogotenenti di Udine, dai quali con più deliberazioni restano eguagliati agli altri Nobili Feudatarj della Patria, liberi, ed esenti di ogni fazion personale, e con altri privilegj, siccome appare dalle antiche loro investiture approvate, e confermate ſin dai primi Luogotenenti Generali del Friuli.
Se da prima però a tutte le ſamiglie di quelli, che or portano il nome di Gesmani nella Carnia, fosse data nobiltà Feudataria, lascio il vedersi appresso gli Scrittori Feudisti, fra' quali il Sigonio citato dal Sig. Liruti.
Governo di questa Provincia.
La giurisdizione della Provincia della Carnia dopo la distruzione de' suoi Castelli fu da' Patriarchi d'Aquileja conferita alla Comunità di Tolmezzo, e tuttora dopo la volontaria, e fortunata dedzione alla Serenissima Veneta Repubblica dell' anno 1420. l'autorità risiede appresso la medesima. In questa Provincia però vengono considerati tre corpi economici: Comunità di Tolmezzo, quattro Quartieri, e Gesmani Feudatarj.
La Comunità di Tolmezzo è composta de' Cittadini di quella Terra, i quali in numero di ventuno formano quel Consiglio. Sono padroni di que' Dazj, e rendono ragione nel Civile, e nel Criminale, sì della Terra stessa, che di tutte le Ville della Carnia. Questa facoltativa però giurisdizionale viene unicamente esercitata col mezzo di un Gastaldo che rappresenta Sua Serenità, e di tre Giudici che annualmente vengono eletti da quel Consiglio. Nel Criminale pure è funzione del
Sig. Paulo Fistulario nella sua Geografia antica del Friuli pag. 112.
Karmeis nel testo del Grassi [N.d.R.].
Geografia antica del Friuli cap. 10.
P. Gio: Battista Giacinto de Rivo.
Geografia antica del Friuli Cap. II.
Not. del Friul. E. 4. p. 133., e seg.
solo Gastaldo, e Giudici di formar i processi, deputare i medesimi, e poi portare la lettura ai Consiglieri, i quali tutti ballotano le parti che vengono dal Gastaldo, e Giudici suddetti mandate alii Rei. Le sentenze però, tanto Civili, che Criminali, passano sotto la censura de' Luogotenenti della Patria. Il Gastaldo pro tempore usa di prendere ad affitto ogni triennio dal Reggimento di Udine le pubbliche rendite provenienti o dalle mude, o dagli affitti, e censi Feudali esistenti in questa Provincia, e di quelli egli solo rilascia le investiture.
I quattro Quartieri nominati S. Pietro, Gorto, Socchieve, e Tolmezzo, vengono composti da 139. Villaggi, a riserva di sei, cioè Sauris, Sappada, Forno d'Avoltri, Timau, Cleulis, ed Alesso, le quali si chiamano Ville separate per esser annesse alla Comunità di Tolmezzo, colla quale concorrono nelle contribuzioni de' pubblici Dazj, ed altri aggravj che riguardano l'universale della Provincia. Queste sei Ville sono poste nei confini della Gastaldia di Tolmezzo.
Cadauno di detti Quartieri è ſormato di un numero quasi uguale di villaggi: ogni villaggio ha il suo Meriga, ed ogni Quartiere il suo Capitanio; cosicché ogni villaggio viene rappresentato da un Meriga, ogni Quartiere da un Capitanio, e la università dalli quattro Capitanj pro tempore, a riserva del Quartiero di S. Pietro, in cui vi sono due Capitani, l'uno detto sopra Randice, l`altro sotto Randice; i quali facendo separatamente le loro riduzioni, formano però una sola voce nelle generali adunanze. Ad essi Capitanj viene appoggiata la osservanza de' loro privilegi, e delle Leggi in volume raccolte, e pubblicate dal Signor Dottore Agostino Spinotti, allora Nunzio in Venezia per la Provincia della Carnia. Di più sono ministri di esecuzione de' loro rispettivi Quartieri, colle incombenze di esigere le pubbliche rendìte, e le colte che si pagano in ragion di estimo, comandare le convocazioni, custodire i Boschi riservati per l’Arsenale di Venezia, tener in acconcio le strade, ponti, argiari, ed in somma contribuiscono nell'economico indipendentemente dalla Comunità di Tolmezzo a tutto ciò che riguarda il miglior governo, e sussistenza de' popoli.
Ma le Ville soggette al Quartiero di Tol-mezzo non hanno alcuna delle soprariferite facoltà; cosicché possono dirsi senza capo, mentre il Capitanio del loro Qaartiero viene eletto uno de' Consiglieri della Comunità di Tolmezzo, esclusa ogni voce delle Ville che formano il Quartiero suddetto. Occorrendo perciò di trattarsi materie che riguardino l'interesse universale delli quattro Quartieri, si uniscono i tre primi Capitanj col Capitanio della Terra di Tolmezzo, che rappresenta il quarto Quartiero, e vengono deliberate colla pluralità de' voti, a norma però di quanto fu preso ne' rispettivi Consigli de' Quartieri; nel che sono i Capitanj semplicemente esecutori, a differenza del Capitanio di Tolmezzo, ìl cui voto dipende dalla propria volontà. Se accade poi qualche litigio tra i quattro Quartieri, e la Comunità di Tolmezzo, sogliono le Ville soggette al Quartier di Tolmezzo constituire un Procuratore coll’assenso, e voto della maggior parte de’ Comuni, non convenendo al Capitanio di Tolmezzo, come membro della Comunità, avere alcuna ingerenza. Si uniscono anche col Capitanio di Tolmezzo i detti tre Capitanj con due Sindici per Quartiero, ed i loro rispettivi Cancellieri fra la settimana del Santo Natale per fare i conti generali di tutte le spese occorse nell'anno alla preſenza delli Proveditori di quella Comunità, ai quali spetta la giudicatura sopra ogni differenza che per occasione di detti conti insorgesse, coll’appellazione alla Superiorità del Luogotenente della Patria. Il comparto viene steso dal Cancelliere della Comunità, assegnando ad ogni Quartiero la sua giusta quota, la quale poi viene con proporzione distribuita in ragion di estimo sotto tutti gli abitanti che lo compongono.
In quanto ai Gismani della Carnia, fanno essi corpo separato. L'anno 1393. naque contesa fra essi Gismani, ed i Capitanj di codesta Provincia: perciò fatto ricorso al Patriarca Giovanni, ottennero i Gesmani una lettera diretta al Gastaldo di Tolmezzo, ordinandogli che impedir dovesse le pretensioni de’ Capitani, mentre dichiarava i Gesmani abitanti nella Carnia esenti da tutte le sentinelle, esplorazioni, strade, custodie de’ passi, gravezze di guerra, di milizia personale, e di altre ſimili servitù: esenti in oltre dalla obbedienza de' Capitanj della Provincia, per l'obbligo della milizia equestre, ch'erano tenuti prestare per la difesa, ed onore della S. Chiesa, e Sede d'Aquileja.
Nei quattro Canali, o Quartieri della Carnia si mantiene per ordine Supremo una compagnia di Cernide, che forma un battaglione di 500. soldati archibusieri; e questi hanno obbligo di custodire nelle occorrenze a spese di que' sudditi tredici importantissimi passi, tutti confinanti coll’Alemagna.
Costumi, e carattere de' popoli della Carnia.
Sono gli abitanti di questo paese industriosi nelle arti mecaniche, e pratici in ogni genere di mercatura, con cui fanno traffico non solo in Italia, e in Germania, ma quasi in tutte le parti della Europa per procacciare a sé ed a' suoi il necessario vitto. Si fa però torto ai Carni riputandoli malforniti di spirito: la esperienza dimostra non esser essi goffi, e stupidi di natura, come falsamente alcuni pensarono, ma piuttosto di assai accorto, e sagace talento. Tengono del continuo esercitato l'animo, ed il corpo, ed altra idea essi sortirono dalla natura che per ordinario hanno gli altri Villici. Resistono alla intemperie del caldo, e del freddo per provederſi coll’arte, e colla industria il bisognevole per la loro vecchiezza. Né si pensi aver eglino in trascuranza l'agricoltura; poiché al venir dell'estate ciascun anno fanno ritorno alle lor case per raccoglier le biade, e i fiení, e compìto il restante tempo della stagione estiva in assestare i domestici affari, e in seminare i campi, se ne ritornano tosto agli ommessi negozj. Così né l'agricoltura, che lor serve di divertimento, e di riposo, né i lunghi viaggi, e fatiche verun' fastidio ad essi arrecano, allettati dalla speranza del guadagno.
Uno de' più dotti, e benemeriti Accademici di Udine chiama la nostra Carnia gemella, ed in qualche modo nutrice del Friuli. Non basta ch'essa provveda il Friuli di alcune cose di seconda necessità che mancangli, ma compera innoltre i grani, ed i vini che soprabbondano ad esso: e molti de' Carni vanno in giro gran parte della lor vita per la Germania, Ungheria, e Transilvania, vendendo le manifatture del Friuli.
Si trova in Carnia un numero ben grande di tessitori, che lavorando tele, canevi, e fustagni, disposti sarebbero, ed abili anche al lavoro delle manifatture di seta: anzi pare che la natura gli abbia formati tali per essere giovevoli alla Patria ancor in. questo. Alla loro antichissima abilità nel tessere fa un elogio il chiarissimo Storico Giacomo Valvasone di Maniaco nella informazione che diede l'anno 1565. Al Santo Cardinale Carlo Borromeo Abate commendarario di Moggio, intorno al sito, ed alla natura, e condizione de' popoli delle Carnia. Ed il prelodato Accademico Udinese non lascia di chiamarli popoli moderati, frugaIi, mansueti. Sono molti secoli, scriv'egli, che vivono nella Città.di Udine, e per tutta la Provincia col solo mestiere del tessere, molte famiglie, le quali sonosi conservate sempre nella innocenza de' loro costumi: mai alcuno di essi non diede il menomo scandalo: non si accomunarono mai col rimanente del popolo, vivendo in perpetuo ritiro nelle loro officine, e chiusi nelle loro case anco nei giorni festivi dopo di aver udita la Santa Messa, ed assistito agli Ufficj Divini; non si vedono mai vagare per le strade in nessun'ora, né frequentare le osterie, conservando perpetuamente la loro mansuetudine, ed una somma lodevolissima frugalità.
Giovanni Candido ne' suoi commen. Aquil. lib. I. asserisce che a' popoli della Carnia si ènfia il gozzo stranamente. Ma io credo che il diligente scrittore abbia quì preso sbaglio. Rari sono in codesta Provincia quelli che di tal male patiscono, ma v'è una valle, o sia canale confinante a questo paese, che in latino alcuni dissero Valis Julia: con errore però, confondendo la nostra Valle Giulia, ora chiamata canal di S. Pietro, con quella Valle di Carintia.
Quella Valle che noi chiamiamo Zeglia, e che da Paolo Diacono fu chiamata Zelia da' Tedeschi si denomina col nome composto di Geilthal: thal in lingua Alemana significa Valle, ed i latini chiamano Gila il fiume che bagna la Valle medesima, e che da' Tedeschi parimenti viene nominato Geil. In questo dunque presero sbaglio Giovanni Candido, ed altri.
Gli Abitanti per verità della Zeglia, massime nel canale chiamato Lissacco, gran parte degli uomini a cagione dell'acqua di cui si servono, com'essì asseriscono, patiscono gonfiamento di gozzo: né solamente hanno tale deformità di corpo, ma molti ancor provano una certa stolidità di mente per cui sono privi ancor della favella. E’ questo Canale nelle parti dell'Alemagna: laonde certi Principi Tedeschi, siccome sono ricchi, e potenti, aveano per il passato questi uomini per giuoco nei loro trastulli e conviti, e colle loro inezie si eccitavano a non picciol riso. Pia cosa però, e cristiana sarebbe stata il compassionare alla costoro infelicità, e miseria anzi, che dilettarsi delle loro stoltezze.
Fede Cristiana quando fosse predicata ai nostri Carni.
Ma assai più felice è a dirsi la nostra Provincia per la ſede, che a tempo abbracciò. Gran ventura fu della nostra Carnia che sin dal primo secolo della nativìtà di Cristo le nascesse tra le folte tenebre della Idolatria la luce della vera fede, e pietà. I suoi primi crepuscoli si ascrivono allo zelo dell'Evangelista S. Marco. Essendo questi portato circa l'anno 46. del nato Redentore in Aquileja, ed avendo ivi predicata la parola della salute, ed affermato coll'Apostolo che questi è Cristo, scrisse di propria mano l’Evangelio, che un tempo mostravasi nella Chiesa d'Aquileja, e spacciavasi per originale, ma che da moderni non si crede più che copia del V. secolo. Così primo predicatore in questa famosissima Città ſu S. Marco Evangelista il quale dopo di avere colla sua predicazione convertiti alla fede Cristiana infiniti popoli, e di avere già fondata quella Chiesa, desiderando di rivedere la faccia di S. Pietro, e di andare a Roma, tentava di lasciarvi occultamente quel popolo: ma per volontà di Dio vociferando il popolo, e dimandando un Pastore, a piene voci S. Ermagora fu eletto in Pastore del gregge del Signore. Allora S. Ermagora mettendosi in viaggio con S. Marco pervenne a Roma, e ricevendo da S. Pietro il bastone del Pontificato, e il sacro velo, venne ordinato Vescovo. Indi restítuitosi alla Città d'Aquileja, con mirabil ordine reggendo la sua Chiesa, ordinò Seniori, e Leviti, i quali poi mandava per le contrade inculte d’Italia.
Tutto questo abbiamo da un'antica cronica della Chiesa Aquilejese che ritrovasi nell'archivio de' Canonici di Cividale: e da ciò abbiam fondamento di asserire, che almen dal tempo del glorioso S. Ermagora il Vangelo di Cristo sia stato predicato nella nostra Provincia. Perché se esso Santo ordinava Seniori, e Levíti, cioè Preti, e Diaconi, i quali poi mandava per le Città d'Italia, certamente il nostro Giulio Carnico, che era una delle più celebri Città d'Italia, siccome di lui scrissero Tolomeo, e Plinio, è a dire, che ricevesse al bel principio la santa fede. Il che ci fa credere la predetta cronica seguendo a parlare degli atti di S. Ermagora con queste parole: Dopo di cíò mandò alla città di Trieste un Prete, ed un Diacono; ed il simile faceva per le altre Città.
Ci giova quì allegare l'autorità deI chiarissimo nostro Floriano Morocutti, alla cui erudizione confessa esser molto debitore l'Ughelli nella sua prefazione alla Italia Sacra. Riferisce dunque egli che dai primi Prelati d'Aquileja, o sia da San Marco, o sia come a molti piace da Santo Ermagora fu mandato un certo Prete chiamato Lorenzo ad annunziare il Vangelo di Cristo ai Norici, Unni , o Avari, Giepidi, Marcomanni, e ad altri confinanti popoli Trasdanubiani. Or la nostra Carnia è situata ai confini del Norico; e per andare nei paesi Norici non v'era allor via più comoda o più spedita, che la nostra via Giulia, resa carreggiabile da Giulio Cesare. Quindi è da credersi che la nostra Provincia della Carnia sia stata delle prime a ricevere il seme della Divina parola sparso da quel ministro Evangelico nominato Lorenzo statovi mandato da S. Ermagora; e che le sue prime sacre Missioni sieno state fatte nella Città del nostro Giulio Carnico.
***
[pp. 47-129]
DELLA PROVINCIA DELLA CARNIA
IN PARTICOLARE DEL CANALE DI S. PIETRO.
Chiamavasi Valle Giulia.
La Carnia, come dissi, dividesi in quattro parti, che Quartieri, e Canali si chiamano. Tra questi tiene il primo luogo il Canale di S. Pietro, che confinanti a levante ha il Canale d’Incarojo, a ponente quel di Gorto, a mezzodì il Quartier di Tolmezzo, ed a Settentrìone il monte di Croce, ove terminano le Alpi Giulie verso la Zelia. Chiamavasi questo Canale ne' tempi più remoti Valle Giulia, o sia perché estendevasi per questa la via Giulia, per ove passò col suo esercito Giulio Cesare in tempo, che portavasi dalla Gallia citeriore nella ulteriore: o sia perché in essa valle era situato Giulio Carnico in quel tempo stesso da Cesare fondato, e dove anche è verosimile, aver lui svernato per accudire all'ingrandimento di esso. La Collegiata Chiesa di S. Pietro indi diede il nome a tutto il Canale.
Città di Giulio Carnico.
Oltre dunque di Aquileja, Concordia, e Forogiulio eravi altresì una Città assai riguardevole in codesta nostra Provincia, chiamata Giulia Carnico. Era questa nel Canal di S. Pietro, ove di presente è il piccìol villaggio nominato Zuglio. Di essa fassi espressa menzione nell'Itinerario di Antonino, ove descrivendo la strada militare da Aquileja a Val di Denna in Germania, dice che da Aquileja a Tricesimo si contano miglia 30; da Tricesimo a Giulio Carnico altre 30; la qual dimensione trovandosi corrispondere anche oggi alla distanza che v'è tra Aquileja, e Tricesimo, e tra Tricesimo, e il detto Villaggio di Zuglio, ci siamo argomentati di credere, che il Giulio Carnico dell'Itinerario sia appunto dove ora è Zuglio, detto in latino Julium. Paolo Diacono ne parla anche egli di questa Città, e dice ch'ebbe ab antiquo i suoi Vescovi, i quali poi al tempo de' Longobardi vennero a stare in Cividale.
Sebbene diversamente di Giulio Carnico ne abbiano parlato gli storici, unanimi però attribuiscono la sua origine a Giulio Cesare, che senza dubbio lo edificò in tempo che ſu Governatore della Gallia Cisalpina, e dell'Illirico. Dal suo fondatore ricevé Giulio Carnico coll'essere anche il nome, chiamandolo perciò i Romani Julium: Antonino, e Tolomeo lo chiamano Julium Carnicum, e Paolo Diacono Castrum Juliense cioè Castello di Giulio. Carnico fu nominato dai popoli Carni, fra i quali fu eretto, e che ad onta di tutta quella barbarie, che innondò la Italia a tal segno che col nome potea cangiar anche il sito ai popoli, conservano tuttor, con parte dell'antico sito, intiero ancor l'antico nome di Giulio.
Lapide Romana trovata in Zuglio.
Indizio ben chiaro della sua primiera celebrità sono le lapide Romane, ed altre memorie antiche, che quivi di tempo in tempo si sono dissotterrate, e delle quali ora passo a parlare.
Una lapida colla iscrizione tutta intiera fu trovata circa il fine del passato secolo in un campo vicino a Zuglio. Giacque lungo tempo nella Casa Morocutti; ma volendo i muratori riparar il portico che minacciava rovina, fu da essi collocata per base alla colona di mezzo di detto portico, ed ora se nericavono le seguenti parole.
APINIA. TERTIA. MARCI. FILIA
EX. TESTAM. FIERI. JVSSIT.
M. APINIVS. FIDE-
LlS - - - - - - - - - - - - FECIT.
Erodiano citato dal Morocutti afferma, che Marco Aurelio Imperatore abbia avute molte figlie: però facilmente questa Apinia sarà stata una di esse. Ancor Lampridio nella vita di Marco Aurelio ci dà motivo di credere, che Marco stesso possa essere stato in Giulio Carnico, dicendo che lasciato il fratello Vero in Aquileja egli ascese le Alpi in tempo di guerra contra i Germani. Intanto essa Apinia sia figlia di chi esser si voglia, io m'immagino, che sarà stata moglie di M. Apinio nominato nella predetta Iscrizione, e che forse allora era Prefetto di Giulio Carnico.
Un'altra lapida fatta a cornice, posta nel muro del cortile di detta Casa Morocutti di Zuglio verso la strada comune vedesi con questa, benché guasta, Iscrizione.
M. BAEBIO M. F.
VEL. VRBINIANO
FILIO.
Era questo Marco Bebio figliuolo di altro Marco della Romana Famiglia de' Bebj allor abitatrice, e Cittadina di Giulio Carnico ascritta alla Tribù Velina. E da questa possiamo altresì sapere col Sig. Liruti che dopo che Cesare diede la Cittadinanza Romana col voto a tutta la Gallia Traspadana, Giulio Carnico fu posto a votare in Roma nella Tribù Velina, nella quale votava parimenti Aquileja.
Un'altra Iscrizione leggesi in altra pietra di marmo, posta nella facciata di detta casa verso il cortile, in questa maniera.
S. S. SA.
PECVNIA. REFECERE. ET.
INAVRATA. IN. FASTIGIO. V.
ET SIGNA. DVO. DEDERE.
NIO. P. L. PRINCIPE.
OTTICIO SEX L. ARGENTILLO.
MAG. VIC.
Una consimile lapida per detto di Q. Ermagora fu trasportata da Zuglio in Venezia, la quale così dice.
SEX. Erbonius Sex. Sex. L. Fron…
Regontius Primi & Gentil. L. Jucun…
Sex. Votticius Argentil. L. Amo….
…Potitius. T. L. Philemon….
Sex. Erbonius Sex. L. Philogen…..
Gavius Philemonís L. Hilari….
Egontius LL Stephanus
…Mulvius Ditionis Latinae Senecio
Gavius LL Gratus
…Larus Vetti . T. Ser.
…Agistri aedem HERCVLIVS D. S. P.
Sex. Erbonio Sex. L. Diphilo
..X. Quinctillo M. L. Donato..
Mag. Vici.
Ambidue queste lapide contengono memorie di restauri, e abbellimenti di due Templi fatte a proprie spese da due corpi, Collegj, o adunanza di divoti alle due Deità, che quivi adoravano. Una di queste, di cui espressa menzione non si fa nella prima lapida, vuole il precitato Liruti, che fosse Beleno, Idolo particolare della regione Aquilejeie, e sulla facciata del suo Tempio poste aveano diverse statue, e scudi indorati. L'altra Deità era Ercole Dio della robustezza, a cui con particolarità dedicato aveano un Tempio, poscia restaurato, ed abbellito. Hanno inoltre esse lapide segnato l'anno della loro posizione col porvi i nomi del Magistrato che presiedeva annualmente al loro Borgo o Sestiero, che in latino dicevasi Vico. Il rinomato nostro Morocutti poi per le lettere P. L. poste nella prima di queste lapide avanti la parola Principe pensa, si possa leggere Publio Licinio Principe; il qual Publio Licinio, chiamato ancor Publio Licinio Valeriano, mentre ritrovavasi nel Norico, e così nelle nostre Alpi, venne dal esereìto creato Imperatore Augusto. Non v'ha più di un anno, che in casa Pascoli di Zuglio abbiamo scoperta la seguente Lapidaria Iscrizione; ed in questa si fa parimenti menzione di P. Licinio allora Console.
M. 0RBICI
L. M. L. NICE TONS.
TRESQ. P. LICI. COS.
Due frammenti di marmo attaccati in una muraglia di essa Villa di Zuglio veggonsi con queste intercette parole.
IENI
CORN
QUINC
X. ERBO
DECV
AN.
M. ADDVXE
NOC. VITOR.
Da questo primo frammento apparisce, che la nostra Città di Giulio Carnico avea il suo pubblico Consiglio, che Senato, ovvero Collegio di Decurioni chiamavasi; e fra questi erano Cornelio, Quintilio, e Sesto Erbonio.
In un angolo della Chiesa della Pieve di Tolmezzo fu asportata da Zuglio, ed ivi riposta una Lapida colle seguenti parole.
M. IVVENTIVS
M. F. CLA
OCLATVS
OCLATVS VET.
COH. VIII. PRAEF.
T. F. I. SIBI.
Quì pure abbiamo la Colonia Latina, di cui erano M. Juvenzio Capitan veterano di una compagnia di Soldati Romani.
In Tolmezzo parimente nella casa del Sig. Pietro Gismano lacotti dal medesimo luogo v'è trasportata un'altra lapida, in cui leggesi.
L. Cominius L. M. L.
Nativa
L. L. L. Philostratus
V. F. Sibi & suis
L. L. L. Cilo
L. L. L. Rectus
L. L. L. Princips
Cominia L. L. Vrbana
L L. L. Galata.
Cesare Augusto presidiò le Colonie confinanti coll'lllirico in tempo della guerra Dalmatica con soldati Liberti. E di questi saranno stati i descritti nella riferta Lapida.
Molti altri Epitaffij Romani furono trovati in marmi del paese nel nostro Giulio Carnico, i quali furon poi trasportati parte in Tolmezzo, e parte nella Patria del Friuli. Di questi afferma il Sig: Giacomo Valvasone d'averne veduti due nel Castello di Colloredo e tre in Udine. Da detti Epitaffij ancor egli scuoprì essere stato in Giulio Carnico, dominato allor dal Paganesimo, un Tempio di Ercole tenuto in venerazione dai Sacerdotti detti Potizij. Tra le Iscrizioni Lapidarie altrove trasportate da colà egli riporta le seguenti.
Sex. Erbonius Sex L. Tertiu…
C. Rotenius C. L. Severus.
Gn. Cornelius Cn. L. Rufio
Q. Portius Q. L. Optatus
Sex. Erbontus Sex L. Adjuto.
M. Quinctilius M. L. Secundus
Sex Erbonius Sex L. Princeps
Sex. Erbonius Sex. L. Gallio
Q. Marius Q. L. Myro
- - - S. G. F. Cato.
- - - VS. M. F. Tertius
- - - S. C. F. Priscus
- - - VS M. F. Marcellu…
- - - VS L. F. Aquilo..
- - - VS C. F. Rufus
- - - Vcius C. F. Castel..
- - - - - T. F. Niger
- - - - - T. F. Priscus
C. F. H. VlR. T. F. I.
RETINACIA L. F. SECVNDA VXOR
RETlNACIA L. F. GAIA
L. RETINACIVS L. F. CRISPVS.
Altre antiche memorie che si trovano in Zuglio.
L’anno 1752. fu trovata in Gîulio Carnico un'Urna Cineraria di pietra grezzamente lavorata, e di forma quasi ovale, alta piedi tre, ed avea di fuori nel suo convesso le quattro sigle qui poste L. AB. L. Fu trovata detta Urna con un'ago di Faretra d'oro, lungo una quarta. Quasi nello stesso tempo furon disotterrati due idoli di pietra rara, uno de' quali da chi lo scavò di notte tempo, per vano improviso timore fu gettato in mile tocchi: l'altro scavatosi di giorno fu per la sua rara scoltura portato in Venezia.
Di più Arche sepolcrali vi sono in quel contorno scoperte. Nello scorso secolo ne fu scoperta una di queste in marmo pario d'un solo pezzo, e col segno della Croce impresso ne' quattro angoli dell'Arca; ma essendo stata trovata senza coperchio, non si sa chi dentro vi fosse stato rinchiuso: solo congetturare si può, ch'essendovi impressa la Croce, possa essere stato un Vescovo di detto luogo. Ora essa Arca serve per alveo alla fontana di Arta, Villaggio circa mile passi lontano da Zuglio. Anche a' miei giorni fu colà disotterrata un'Arca sepolcrale con ossa umane, ed armatura, la quale fu poi trasportata in casa de' Signori Pittoni d'lmponzo, e serve per alveo della fontana di essa casa. Avvi un tratto di campagna contigua al Borgo di Zuglio, dove sono state scoperte le predette Arche. Quivi dai lavoratori di quella terra, quando la vogliono profondare un po’ più del solito, disotterrano in grande copia pietre, che servirono ai sepolcri di quei antichi Cittadini. Era proibito per Legge ai Romani l'aver sepolture nelle Città; la qual Legge s'estese eziandio in tutte le Città del Romano Impero.
Furono ancor gli anni addietro scoperti in Zuglio alcuni avanzi di acquidotti di bronzo, che inservivano per introdurre l'acqua a beneficio della Città: oppure avran servito per condurre in qualche pubblica Terma le acque sulfuree, da noi chiamate pudie, per uso de’ bagni, di cui molto si dilettavano i Romani. Il Ch. nostro Morocutti riporta la seguente Iscrizione citata dal Grutero pag. 1090. num. 21. nella quale si fa menzione di C. Appio Prefetto di Giulio Carnico, il qual rifece le terme Giuliesi.
C. Appio C. F. Vel
Flavo
Praefecto Juliensium. Trib.
Militum Leg. XXI. Rapacis.
Praef. Alae Thracum Herculaniae.
Praefect. Ripae Fluminis Eufratis
Qui H. S. Xll Reipublicae Juliensium
Quod ad H. S. XXXX. Usuries
- - - - - - - - Sic perduceretur
Testamento reliquit. Idem
H. S. L. ad porticum ante
THERMAS. Marmoríbus ornandas
legavit
A’ nostri giorni fu scoperta una fontana sotterranea in un'orto contiguo alla casa del Sig. Venturini, la quale per acquedotti di pietra da remota, ed a noi recondita sorgente tuttor tramanda le sue limpide acque, freschissime l'estate, e calde l'inverno.
Veggonsi in Zuglio al dì d'oggi pezzi di Mosaiche scolture, frammenti di finissimi marmi, di colonne, di cornici, e di altre simili cose. Quì vi sono trovate medaglie di rame, di bronzo, e d'argento in grande copia coll’impronto di varj Imperatori Romani, ed alcune d'oro. L'anno 1752. fu trovato un soldo d'oro del peso di un mezzo Zecchino colla effigie di Giustìniano Imperator d'Oriente. Fu questa moneta data in dono alla q. Signora Anna Linussi. Monete persino furon trovate dai dotti Antiquarj riconosciute aspettanti all'antica Gallia, come per attestato del Sig. Liruti furon quelle cinque ultimamente ritrovate presso detto luogo, e le possiede il N. H. Sua Eccellenza Marchese Antonio Conte di Savorgnan nel suo copioso sceltissimo Museo. Pochi anni sono, quivi si trovarono pezzi di catenelle d'oro, testoline di bronzo; e quel che più è rimarchevole l'anno 1778. si trovò un conio di acciajo, bello e intiero, alto 4. pollici, e di proporzionata grossezza, colla effigie di Tiberio Cesare, e colla soprascrizione seguente.
TI. CAESAR. DIVI AVG. F.
AVGVSTVS. IMP. VII. P. M.
Da ciò prendiamo un forte argomento, che in Giulio Carnico fosse stata Zecca, tanto più che nel sito circonvicino, ove fu disotterrato esso conio trovati furono molti frammenti di crogivoli, che inservito avranno per fondere ogni sorte di metallo: né si sà, che a que’ tempi in Italia altra Città fosse Roma, ed Aquileja eccettuate, che moneta battesse. Ora si può vedere detto conio fra le antichità, che si conservano nella Biblioteca Arcivescovile di Udine, essendo il medesimo da me stato rassegnato in dono all’eruditissimo Monsignor Gian-Girolamo Gradenigo a nome delli Canonici di S. Pietro di Carnia.
Molti anni prima fu trovato in Giulio Carnico un'altro conio di modulo minore colla effigie di Augusto ancor giovane, ed in giro vi sono queste parole: CAESAR. DIVI. F. COS. II. Sopra di che v'è una Lettera dell'erudito Padre D. Angelo Maria Cortenovis al chiarissimo Sig. Spiridione Minotto, e sopra altre antichità Romane stampata in Udine del 1780. In questa l'erudito Autore descrive ambidue detti conii; e con forti, ed incontrastabili ragioni fa vedere, ch'essi appartengono alla Città di Giulio Carnico, stata Colonia Romana, e dov'era la Zecca col privilegio di coniare tali monete.
Molti altri avvanzi di Romana antichità si veggono nel nostro Giulio Carnico, e molti altri perirono, o divorati dal tempo, o per negligenza degli abitanti altrove trasportati. Tuttavia si vanno ancora disotterrando di quando in quando segni della sua antica magnificenza, benché considerato il sito dove era eretta quella Città, non potea essere di vasta estensione, senonché estendevasi lunge la riva del fiume Bute, sopra cui in quel sito dove s'incontrano i due canali di S. Pietro, e d'lncaroj, eravi un ponte di sasso quadrato con due archi formato.
Prerogative di Giulio Carnico.
Dal detto sin quì, tutto appoggiato alla verità di Romane antichità impresse in marmi letterati, e di altri antichi monumenti scavati dalla terra nella situazione di Zuglio, siamo fatti certi, che ivi fu al tempo degl’Imperatori Romani una Città considerabile con popolazione, e con non ordinarie prerogative, e particolarmente col chiaro onore della Cittadinanza Romana, e col voto nella Tribù Velina. Per li motivi che abbiamo recati, fu essa Città fatta eriggere, allorché aperta fu da lui quella strada militare, che da Aquileja conduceva per le nostre Alpi Giulie oltre monti nella Gallia con tanto vantaggio di questa Provincia pel commercio, e della stess'Aquileia non solo, ma della Romana Repubblica ancora, per la pronta, e facile spedizione delle sue legioni occorrenti oltre monti. Ma siccome né cotesta via militare, né la stessa Città potean avere sussistenza, né sicurezza in sì lungo tratto di paese spopolato; perciò Cesare pensò di procurarvi popolazione, la quale formata fosse con gente Romana , o di altre Provincie non lontane molto da Roma, e particolarmente traendo coloni dal Lazio. Ciò comprovasi dalle lapide Romane da noi riportate, donde siamo fatti certi, che di Giulio Carnico abitatrici, e Cittadine sono state le Romane famiglie degli Apinj, Erbonj, Porcj, Cominj, Mari, Quintilj, Rutinj, Bebj, Iuvenzj, Potizj, Cornelj, Regonzj, Gavj, Ratinacij &c.
Questo rendesi ancor più manifesto dai nomi delle Ville, che sono tanto, sopra che sotto il luogo, ov'era la Città di Giulio Carnico, e le quali conservano ancor al presente nomi che furono, e sono del Lazio, e di quel tratto; come Formeasa da Formia, Imponza da Pontianum, Sezza, Cabia da Gabio, Arta da Ardea, Chiusini Borgo di Piano da Chiusi, Notariis da Nocera, Sutri e Circevento da Circe. Tutti questi luoghi sono nel Lazio, e nella Etruria; ed io con meraviglia gli osservo situati nel canale di S. Pietro: chiaro argomento esser essi stati Colonie tratte dal Lazio, e dalle Provincie a Roma vicine; ed è verisimile altresì, che Cesare stesso sia stato il condottiere di esse, e che se collocò in questi Villaggi le genti de' luoghi minori, sudditi dei Romani, avrà poi collocato in Giulio Carnico, a cui volle dare il proprio nome, Cittadini Romani, dovendo egli di venire Capo di tutta la Provincia dopo Aquileja.
Giulio Carnico stato Colonia Romana.
Ora per non sembrare troppo parziale alla mia Patria, lascerò, che un moderno erudito Scrittore si avvanzi a dire, che il nostro Giulio Carnico può alzar la fronte dalle sue rovine, e contendere a Cividal del Friuli l'onore d'essere stato Colonia Romana. Eccone le sode ragioni che in prova di sua asserzione allega.
Tolomeo antico Geografo dire, che Forogiulio era nei Carni, non già ne' Veneti, anzi nelle parti più interne dei Carni stessi: ln Mediterraneis Carnorum Forum Julium. E' vero bensì, che Tolomeo nella sua Geografia altre il Forogiulio nomina Giulio Carnico: ma è da credersi, che quella fosse una giunta posta in margine, dopo che Cividale avea acquistato il nome di Forogiulio. Che sia il vero, che dove Tolomeo parla di Forogiulio intenda parlare di Giulio Carnico, oltre al dirsi ch'è nei Mediterranei dei Carni, (e ciò avrebbe dovuto conceder anche il Sig. Liruti, il qual non volle acconsentire, che i Carni abbiano mai passate le Alpi per occupare il piano, ora detto del Friuli) si ritrae dal numero dei gradi di longitudine, coi quali divisa talmente la sua situazione, che non ne resta più luogo a dubitare. Egli assegna gli stessi gradi, e minuti di longitudine a Forogiulio, ed a Concordia: e Zuglio, e Concordia sono quasi sotto lo stesso meridiano; laddove Cividale è assai più orientale di Concordia. Questo dunque è un testimonio decisivo, che il Forogiulio di Tolomeo sia stato il nostro Giulio Carnico.
Veramente Paolo Diacono indica, che Forogiulio era, dove adesso è Cividale, quando al cap. 14. del II. Libro della Storia de' Longobardi così parla: Venetiae Aquilejae Civitas extitis caput, pro qua nunc Forumjulii ita dictum, quod Julius Caesar negotiationis forum ibi statuerit. E nel cap. 23. del Lib. V. lo distingue espressamente da Giulio Carnico così dicendo: Adveniens anteriore tempore Fidentius Episcopm de Castro Julimsi cum voluntate Superiorum Ducum intra Phoro Juliani Castri muros habitavit, ibique Episcopatus Sedem statuit. Ma quì Paolo Diacono parla di Cividale dopo ch'era venuto in mano de' Longobardi, e dopo che per la Sede ivi fissata dal Duca Gisulfo, e da' tuoi successori, era divenuta la capitale di tutta la Provincia. A quel tempo si chiamava col nome di Forogiulio tutto questo paese; onde non è da stupirsi, se la sua capitale si chiamasse Civitas Foro Juliana, o Castrum Forumjulianorum, ed anche Forum Julii: specialmente che Giulio Carnico era scaduto dalla sua grandezza, e non solo da' suoi Cittadini, ma persino da' suoi Vescovi era stato abbandonato. I Vescovi, i Magistrati, e le primarie Case di di Giulio Carnico portarono seco, dove andarono ad abitare, cioè in Cividale, anche il nome di Forogiulio: e così fecero quei di Oderzo, così quei Veneti, che si ricoverarono nelle Isolette del mare vicino; e così i Vescovi dell'antica Emona trasferitesi a Città-nuova diedero a questa il nome di Emona. Certo che per sentenza di gravi scrittori Cividale acquistò un nuovo splendore per la Sede Giuliese ivi trasferita, e maggior lustro poi, quando il Patriarca Calisto, cacciato il Vescovo Giuliese, vi fissò la sua Sede.
Anticamente in Cividale non vi erano Vescovi, bensì in Giulio Carnico: e questo mi pare pur un forte argomento, onde provare, che Giulio Carnico foss la Colonia Forogiuliese; sapendosi che i Vescovi de' primi secoli posero le loro Sedi nelle Città, in cui risiedevano i Magistrati, e i Capi del Governo politico. Onde se in Cividale non v'erano Vescovi, non vi saranno stati né Duumviri, né Seviri, né Collegj, né Tribunali; perciò non vi sarà stata neppure Colonia Romana.
Quegli però, che non solo mette in dubbio, ma toglie assolutamente questo pregio a Cividale, e lo dà al nostro Giulio Carnico, egli è il celebre Poeta S. Venanzio Fortunato Vescovo di Poitiers, ch'era nativo di questo paese, e si partì di quà per andare in Francia qualche anno innanzi, che i Longobardi vi entrassero. Indicando egli ad un suo libro il viaggio, che dovea fare per venire dalla Francia in Italia, valicate le Alpi Giulie, lo fa passare per Giulio Carnico, ch'ei nomina Farogiulio. Ecco i suoi versi.
Hinc pete, rapte vias ubi Julia tenditur Alpes,
Altius assurgens, & mons in nubila pegit,
Inde Forojulii de nomine principis exi
Per rupes, Osoppe, tuas, quà labitur undis,
Et super instat aquis Reunia Tiliaventi.
Parmi chiaro questo passo di Venanzio Fortunato. Ei mette il Forogiulio de' suoi tempi tra le Alpi Giulie, e Osoppo. Era dunque la sua situazione in Giulio Carnico, e non in Cividale.
Giulio Carnico stato Sede di Vescovi.
Quello che vieppiù ci fa conoscere la nobiltà, ed antichità del nostro Giulio Carnico, è l’essere stato Sede de' Vescovi. Siccome ella fu Città ragguardevole nella costituzione civile dell'Imperio Romano; così, illuminata la Provincia colla Santa Fede di Cristo, ebbe questa Città quel posto ragguardevole, che aver potea un'altra Città di conto nell'ordine Ecclesiastico, avendo anch'essa il suo Vescovo. Il nome di tre Vescovi ci è rìmaso, cioè di Massenzio, di Fidenzio, e di Amatore, di quali non v'ha più dubbio essere stati Vescovi di Giulio Carnico. Di Massenzio sappiamo, che con altri Vescovi Suffiaganei della Metropolitana Chiesa d’Aquileja intervenne al Concilio di Grado, e si sottoscrisse Maxentius Juliensis, quando il Patriarca Elia l'anno 579. coll’assenso del Pontefice Pelagio II. stabilì in quel Concilio la Traslazione della Sede Aquilejeſe in Grado. Ancor Paolo Diacono Cittadino di Cividal del Friuli ci fa conoscere, essere stato detto Masserizio Vescovo di Giulio Carnico nel fine del sesto secolo della Chiesa, mentre nel lib. Ill. cap. 25.,parlando egli dello Scisma di Severo Patriarca di Aquileia, e de' Vescovi, che tale Scisma non approvarono, così scrive: Nomina verà Episcoparum, qui ab hoc Schismate cohibuerunt, sunt Petrus de Altino…. Maxentius Juliensis &c. Ma poi ci fa sapere che ancor Massenzio, forse sedotto da' falsi consiglieri, approvò un tale Scisma; poiché congregatosi un Sinodo in Marano, ora Fortezza sul lido dell'Adriatico, di dieci Vescovi per cagione del Patriarca Severo, il che fu l'anno 588. a questi vi aggiunse il Diacono Massenzio Giuliese, ed Adriano di Pola, ch'erano parimenti del partito Scismatico. Il loro Scisma però, come alcuni dissero, da altro non veniva, che da ignoranza, e da un mal fondato timore di contravveníre al Concilio di Calcedonia. Altresì nella supplica all'Imperatore Maurizio fatta dai Vescovi Aquilejesi, recata dal Cardinale Baronio all'anno 586., ed all'anno 590., e dal Cardinal Noris de quinta Synodo, dove scrivono dello strepitoso Scisma Aquilejese, ci si fa sapere, che in esso era involto coll’ostinato suo Patriarca Severo anche il detto Vescovo Massenzio.
Fidenzio non trovandosi sicuro nella sua residenza dalle scorrerie degli Avati, e degli Slavi, ottenne licenza dai precedenti Duchi del Friuli di poter fissare la sua abitazione in Cividal del Friuli. Venne a morte il Vescovo Fidenzio, e in suo luogo fu eletto Amatore, che seguitò a tenere la sua residenza in quella Città. Nella Cronica de' Patriarchi di Aquileja, pubblicata colle stampe del chiarissimo Muratori si legge, che a Fidenzio succedette Federigo, e a Federigo Amatore. Distrutta Aquileja, e soggetta alle scorrerie dei sudditi Imperiali, dimoranti nell’Istria, in Ravenna, ed altri luoghi littorali, avea da gran tempo costretti i Patriarchi a ritirarsi in Cormons, picciola Terra della lor Diocesi. Il Patriarca Calisto mal sofferiva, che un Vescovo suffraganeo si fosse sabilito nella Diocesi sua, e abitasse in quella Città, godendo la compagnia del Duca, e della Nobiltà, mentre egli era costretto di menar sua vita come in Villa fra il vulgo, e la plebe. Sopportò finché visse Fidenzio; ma vedendo continuarvi anche Amatore, venne un dì a Cividal di Friuli con molto seguito di persone, e cacciato da quella Città il nuovo Vescovo, si pose in cuore di dover quivi piantare la sua Sede. Ma recatosi a onta questo fatto Pemmone, si unì con molti Nobili Longobardi, e preso il Patriarca lo condusse al Castello Ponzio, o Nozio, vicino al mare, dove a poco si tenne, che nol precipitasse. Ritenutosi, non so come, contentossi di chiuderlo in una dura prigione, dove per qualche tempo si nudrì col pane della tribolazione. Portato al Re Luitprando l'avviso di questa sacrilega violenza, montò egli in ira, e privò del Ducato Pemmone; e Calisto amico di lui fissò l'anno 727. nella casa del nostro Vescovo Amatore la sua residenza, che poi fu dai Patriarchi successori per più secoli continuata. Quì la la storia ci abbandona, né ci somministra più notizia alcuna né dei Vescovi di Giulio Carnico, né del Vescovato. Ciò che tuttavìa ci rimane, si è una porzione di quel Capitolo antichissimo, che nella Chiesa di S. Pietro ancor sussiste con una conveniente Prepositura, e con otto Canonici. Gran parte delle rendite, che traeva dalla Carniola, sono passate a Brixen, Città Vescovile nel Tirolo. Ma di questa Collegiata tornerà discorso.
Io non avrei difficoltà a credere, che appena convertiti i Carni situati tra coteste Alpi, fosse lor dato un Vescovo in Giulio Carnico, e soggettato al Metropolitano di Aquileja. Tre altri piccioli Vescovati del Norico vi si contavano come suffraganei della Metropoli Aquilejese, cioè l’Augustano, il Brennense, e il Tiburniense. Teodebaldo Re d'Austrasia essendosi impadronito del paese, gl'Arcivescovi delle Gallie invasero i confini della Metropoli Aquilejese, e rapite le tre Chiese, vi preposero de’ lor Sacerdoti, e Vescovi. Oltre i tre mentovati Vescovi Massenzio, Fidenzio, ed Amatore, i quali di certo sappiamo avere occupata la Sede Giuliese, abbiamo forte probabilità, che nel quarto secolo della Chiesa sia stato Vescovo di essa Sede un Amanzío; poiché nel Concilio d’Aquileja, che fu dell'anno 381. vi è sottoscritto Amantius Niciensis, o più tosto Juliensis, come pensa un erudito moderno. A questo Amanzio si crede che appartenga la bellissima Iscrizione trovata pochi anni sono alla Belligna. Dicesi in essa, che Amanzio era stato Vescovo per quaranta anni, successivamente però, in due diverse Chiese, e che venne a morte nel 423. Vi sono buone congetture, che questo istesso Amanzio dopo di essere stato per anni Venti Vescovo di Giulio Carnico passasse ad essere Vescovo di Como, e rinunziato il Vescovato a Santo Abbondio, venisse poi a morire in Patria, e fosse sepellito alla Belligna. L'accennata Iscrizione è questa, e i versi si credono di S. Paolino Vescovo di Nola.
Egregiur fidei Sanctus, mitisque Sacerdos,
Dignus quem cuperet pleba aliena suum.
Dignus ita geminis ducibus consortia sacra
Participare fidei, consilio regere,
Hoc jacet in tumulo; proprium cui nomen Amantii
Venturi meriti praescia causa dedit.
Bis denis binis populis praesedit in annis.
Si non migrasset, laus erat ista minor.
Deposits V. id. april. Indict. VII.
Mariniano & Asclepiodoto W. CC. Consul.
Giulio Carnico più volte è stato distrutto, e riedificato.
Qui si fa da' nostri Storici questione, se cotesta Città di Giulio Carnico, di cui or appena ci rimane vestigio sia stata ruinata o per l'oppressione di monti caduti, o per desolazione di guerre sterminatrici. Io asserisco, che per l’una, e per l'altra cagione essa Città ebbe l'infausta sorte d'essere ruinata; avendo corsa l’istessa disgrazia con le altre Città della Patria, coll'essere stata più volte distrutta, e riedificata.
Regnando Valentiniano III. Imperatore sin all'Imperio di Giustino minore fu l'Italia da sì grandi e frequenti incursioni de' Barbari travagliata, che pareva quasi ridotta all'estremo; poiché ognuno costretto vedeasi miseramente a servire fiere nazioni, d'origine e di costumi cotanto diverse. I nostri Carni provarono la stessa sorte, che gli alti popoli d'Italia, sennonché forse più gravosa: imperocché mentre quasi tutte le irruzioni nell'Italia si faceano da' Barbari per il Norico, e per quel paese, che ora chiamasi Carintia, i Carni si vedeano i primi esposti a saziar la ingorda sete, che quei Barbari dimostravano dell'Italico sangue. Così l'anno di Cristo 452. Attila Re degli Unni, conducendo seco una innumerabil falange di Barbari, di Unni, di Ostrogoti, scese per le Alpi Giulie in Italia, non avendole queste Aezio Generale de' Romani provedute di buone guarnigioni; e la Città di Giulio Carnico fu delle prime a provare il flagello, restando da Attila saccheggiata, ed incendiata. Morto essendo Attila, gli Ostrogoti l'anno 493., sotto la condotta di Teodorico entrati nel Friuli vinsero in battaglia Odoacre Re d'Italia in vicinanza alle rovine di Aquileja; e sparsisi finalmente per tutto l'aggiacente paese, e per tutta l'Italia aggiunsero dappertuto stragi, e ruine. Fu seguito questi da Totila Re de' Goti l'anno 542. in tempo di Giustiniano Imperatore, il qual entrato nel Friuli tutta la Patria, e la Italia travagliò, e diede il sacco alla stessa Roma. Perfine Alboino Re de' Longobardi l'anno 568, imperando Giustino minore, determinò di lasciare la Pannonia, e di condurre i Longobardi in Italia, aggiungendo alle innumerabili sue truppe tre mila Sassoni, e per quella porta, che come sopra abbiam detto, fu sempre aperta all'ingresso d'Italia, fècesi strada. lmperocché dalla Ungheria venendo in Austria, indi per il Norico, e per le Alpi Giulie arrivò nella Provincia de' Carni, e tutto il paese sì superiore, che inferiore sottomise al suo comando. Avendo poi lasciato Gisolfo suo nipote al governo di questo paese, si mise ad oppugnare le altre Città d'Italia, siccome di fatto non andò guari, che soggiogò la maggior parte di esse.
In tempo ancora che Gisolfo reggea col titolo di Duca cotesta Provincia, gli Unni, e gli Avari dal Norico venuti in Italia invasero il Friuli. Ciò avvenne gli ultimi anni dell’Imperio di Foca, sedendo Bonifacio Pontefice Massimo. Contro costoro dunque già penetrati fin nell'interno di questa Provincia armossi il Duca Gisolfo con tutti quei Provinciali, che a portar armi eran capaci; e dato il segno della battaglia, fortemente dall'una, e dall'altra parte si venne a combattere. Nella pugna morì Gisolfo per le molte ferite ricevute, e con lui morti rimasero molte migliaja di soldati Longobardi. L'Avaro vincitore indi saccheggiò con rapine, ed incendj quasi tutta la Provincia, e presi per assalto, o per capitolazione tutt'i Castelli di quel contorno, cioè Cormons, Artenia, Gemona, e Osoppo, portossi coll'esercito alle parti superiori de' Carni; perché avea saputo, che in quell'allor ben fortificata Città di Giulio Carnico, posta all'ingresso delle Alpi, Romilda moglie, di Gisolfo, confidata nella situazione del luogo, insieme colle altre spose de' primati Longobardi avea già trasportate tutte le sue ricchezze.
Giulio Carnico è assediato, e preso da’ Barbari; e fine tragico della Duchessa Romilda.
Posero dunque gli Avari l’assedio alla Città, e di essa con nuovo genere di tradimento l'anno 611. s'impadronirono in poco tempo. Romilda essendo rimasta vedova di Gisolfo suo marito, ed avendo rimirato Cacano il Re degli Avari, ornato di bella chioma, e di vago aspetto, che cavalcava intorno le mura della Citta, tosto
presa fu dal di lui amore, e non ebbe difficoltà a dare se stessa, e la Città in di lui porere; con condizione però di averselo per isposo. Il Re Avaro, avuto ch'ebbe in suo dominio la Città, benché barbaro, avendo in orrore di esser marito di una traditrice, in vece dell'Imeneo sperato condannolla ad essere pubblicamente, come rea di tradimento, impalata, dicendo: Questo è marito ben degno di una sua pari. Ci è ancor oggidì un prato sovrastante alla riva del fiume Bute dirimpetto al luogo, ove esisteva la Città di Giulio Carnico, ed ove ora è il Borgo di Zuglio; il qual prato chiamasi da quegli abitanti il prato della Regina; ed hanno per tradizione, che ivi succedette il tragico fine della misera Principessa Romilda.
Il Il Re Avaro poi, cacciata ch'ebbe fuori la plebe, ed asportata dalla Città la ricca preda, la incendiò, e distrusse a segno tale, che appena poche vestigia dopo potean vedersi. Fra le rovine di quella Città, dove ora è Zuglio, si trovano ancora un passo circa sotto terra de' carboni in ogni parte, contrassegno chiaro di essere quella per incendio stata distrutta. Essendo preso in tal guisa Giulio Carnico, e dalle fondamenta distrutto per la libîdine, e cagione di Romilda, gli Avari trasportaron seco grande bottino, e numero grande di prigioni, tra' quali furon presi Cacone, Tusone figli maggiori, Rodoaldo, e Grimoaldo figli minori del fu Duca Gisolfo. Furono anche fatte prigioni le due loro sorelle chiamate una Pappa, e l'altra Gaila.
Le figlie di Romilda come sanno conservare la lor onestà, e scampo de’ lor fratelli.
Erano queste due onestissime figlie, e affatto diverse dalla madre Romilda. Gelose di guardare la loro onestà dagl'insulti de’ Barbari fecero cosa forse non più pratica da quel sesso d’allora. Ciò fu nascondersi nel seno sotto le vesti, carne morta di Polli; la quale dal calore putrefatta mandava fuori un'orrendo fetore. Quindi appressatesi ad esse quei Barbari, al sentir quell'alito pestilente, e però credendo esser le femine del nostro paese guaste e mal affette, le lasciarono intatte, facendole solamente prigioniere. Queste due sorelle, state così ingegnose, e forti a difesa della onestà, n'ebbero poi da Dio larga mercede anche in questo, mondo, perché furono prese per mogli da due grandi Principi Allemanni. I di loro fratelli poi Cacone, Tusone, Rodoaldo, e Grimoaldo, si liberarono da que' Barbari con un’anticipata fuga; e Grimoaldo in particolare con uno stupendo avvenimento. S'erano dati su buoni cavalli alla fuga i due primi maggiori di età, ed alla fuga si metteva appunto il terzogenito Rodoaldo, quando egli pensando, che il giovinetto Grimoaldo non potesse resistere di stare sul cavallo nel corso, avea deliberato di ucciderlo piuttosto che restasse prigione; del che avvisatosi Grimoaldo, disse che non l’uccidesse, essendo anch'esso buono di stare sul cavallo nel corso. Il perché ajutato dal fratello salì sul dorso nudo di un cavallo, e fuggivano. Avvedutisi i Barbari di questo scampo, loro tennero dietro; ma non poterono arrivare i tre primi, e un solo di coloro raggiunse il giovinetto Grimoaldo, e lo prese; ma mentre colui seco per la briglia del cavallo lo conduceva lieto per la nobilissima preda senz'alcun riguardo, sſoderata Grimoaldola picciola sua spada, diede con essa un tal colpo sulla testa al barbaro, che lo stordì; e voltato il cavallo, corse verso i fratelli, e ritrovatili raccontò loro con allegrezza il successo.
Non mancano alcuni, fra i quali è il Candido nel lib. 4. de' suoi Coment. d'Aquileja, ed altri storici del Friuli, e tra gli stranieri il chiarissimo Muratori negli annali d'Italia all'anno 611., i quali scrissero, ciò essere avvenuto in quel luogo ove di presente è Cividal del Friuli; ma tale opinione è improbabile. Noi a moltissimi argomenti appoggiati affermiamo esser accaduta questa distruzione per mano degli Avari, o sia Unni, nella Città di Giulio, che nobililissima essere stata una volta nella Carnia non v'ha dubbio; e fu in quel luogo, dove ancor esiste la Villa di Zuglio.
ll Biondo nella Decade I. lib. 9. (apud Quint. Herm.) scrive, che la suddetta Giulio è stata situata alla imboccarura de’ monti; e lo stesso afferma il Giustiniani nella sua Storia Veneta lib. 7, lo che per verità non può in verun modo dirsi del sito, dove è posta Cividal del Friuli; mentre questa esiste in luogo piano, ed aperto. A ognuno perciò esser deve più probabile, che i Duchi Longobardi, ed altri primati di quella nazione avessero trasportate le mogli, e i lor tesori nel Castello di Giulio tra' Carni situato; poiché quello stava nella imboccatura dei monti, e nel medesimo oltre l’altre di sua natura ben munito, con picciol presidio di soldati per certo più agevolmente si potea difendere, che in un Castello piano, ed esposto alle irruzioni nemiche, siccome è il sito del mentovato Cividal del Friuli.
Consta innoltre essere stata l'antedetto Giulio dagli Avati affatto distrutto, come chiaramente dimostrano le parole del Biondo, che così scrive: Asportato dal Castello il bottino, misero fuoco gli Avari alle case, né di là prima si partì il Re, che vide il fortissimo, e ricchissimo Castello affatto atterrato. Il Sabellico parimenti nel lib. 4. delle antichità di Aquileja dopo aver descritta la distinzione di Giulio soggiunse. Che se la cosa fosse così, Paolo Diacono che la descrive, vegga in qual modo quel Castello, che egli chiama Città, essere poté Forogiulio, le cui vestigia non solo non si perdettero, ma anzi esso luogo è fra i Castelli della Patria il più frequentato.
A questo si aggiunge il chiarissimo, e per Nobiltà, e per Dottrina Bernardo Giustiniani. Avendo egli nella sua Storia Veneta lib. 7. prima descritta la distruzione del Castello di Giulio, così dice: Quello gli Avari sin dalle radici atterrarono a tal segno, che non solo si è mai ristaurato, ma neppur consta da alcuni più certi contrasssegni, o monumenti, dove sia stato situato; sennonché mentre in quella Provincia fummo noi personalmente conferiti, ed ammiravamo essere di quel Castello nobile le vestigia perite, e da' quei abitantí ciò rintracciavamo, ritrovossi il luogo nell’ingresso delle Alpi alquanto sopra Tolmezzo. V'ha ancor un Villaggio con una nobil Chiesa, ove si veggono i pavimenti di opra Mosaico costrutti, e pietre appresso il Tempio, incise con lettere majuscule antiche. Avendo noi ricercato il nome di quel luogo, e risposto avendo essi essere Zuglio, agevolmente intendessimo essere il luogo da noi ricercato, e Zuglio con corretto nome appellarsi.
Strage fatta di Giulio Carnico dai Schiavi della Carintia.
Tuttavia non fu questa l'ultima distruzione della nostra Giulio Carnico, avendo essa corsa l’istessa sorte con le altre Città della Patria, con essere stata più volte distrutta, e riedificara. Altra grande devastazione nel principio del secolo ottavo soffrì quella Città per mano degli Schiavi, o Slavi della Carintia, allorché costoro fecero quella orrida strage de' Carni, e Friulani, riportando sopra di essi quella segnalara vittoria che ci descrisse Paolo Diacono. Narra egli che morto Aldo Duca del Friuli, gli succedette nel Ducato Ferdulfo, uomo borioso, e vano, che mentre affettava la lode di valoroso, e distinto Capitano, e ne andava cercando, e proccurando le occasioni di fare una tale comparsa, tirò addosso a questo paese una memorabile galamità. Essendo gli Schiavi abitatori della Carintia confinanti nelle nostre Alpi a questo Ducato, di spesso lo tenevano in armi, sebbene per lo più con loro discapito, essendo i Friulani entrati in dominio della Zeglia. Mandò Ferdulfo regali ai capi di costoro, acciocché gli eccitassero ad imprendere contro i Carni, e Friulani le solite ostilità, depredazione, e saccheggi. Lo fecero i Barbari; ma stante questi inviti con molta cautela, e avvedutezza, tenendosi in siti alpestri, e montuosi, e di facile ritirata, e difesa. Cominciarono le ostilità nei monti con loro confinanti della nostra Alpina Provincia; che conſiderati i passi, per cui allor entrarono nella Carnia, la più esposta alle rapine di quegli Schiavi, non potean essere, che i monti del Canal d'Incaroj, e specialmente il monte detto Cason di Lancia. Quando ne fu informato il Governatore di questa regione, detto in lingua Longobarda Sculdasi, di nome Argait, uomo nobile, e di valore non ordinario in guerra, e che avea la sua ordinaria residenza in Giulio Carnico, come Città capitale di questo paese, tosto con la sua gente vi accorse per reprimerli, e per levar loro la preda; ma avvisatisi coloro della sua venuta, si diedero alla fuga, e colla preda scapparono. Ritornato perciò imperoso lo Sculdasi alla Città, si abbatté nel Duca, che lo dimandò del successo: al che egli rispose, ch' erano innanzi al suo arrivo fuggiri. Ed allora replicò il Duca con uno sprezzante sorriso: come potevi tu portarti da uomo forte, se porti il nome di Arga, che significa codardo, poltrone? Al che così punto lo Sculdasi soggiunse: Dio voglia, Duca, che tu, ed io non esciamo di questa vita prima, che gli uomini conoscano chi di noi due sia più Arga. Né passarono molti giorni che gli Schiavi in quel luogo ritornarono, e si accamparono su di un alto rapidissimo monte. Tosto colà si portarono il Duca, e lo Sculdasi coll'esercito, e colla maggior parte della Nobiltà Carnica, e Friulana; ma vedendo Ferdulfo la difficilissima situazione, ed accesso ai nemici, andava osservando, se da qualche parte vi fosse strada di accostarvisi meno scabrosa, e meno difficile, quando Argait se gli presentò, e disse: ricordati, Duca, che mi chiamasti codardo, ed Arga: ora venga l'ira di Dio sopra quello di noi due che sarà secondo ad accostarsi a questi Schiavi. Ciò detto, spronò il cavallo per l'erto del monte contro di essi, e Ferdulfo con tutto l'esercito lo seguirò. Il che vedutosi dagli Schiavi, si posero alla difesa con sassi, e con accette, ajutati dal sito: e perché tutti si arrischiarono ad andarvi, tutti restarono da quei barbari uccisi insieme col Duca Ferdulfo; né altri fortunatamente si salvò de' Longobardi se non il solo Munichi che fu padre di Pietro Duca del Friuli, e di Orso Duca di Ceneda; e questo in tal guisa. Era egli caduto in que' dirupi col cavallo, e venutogli addosso uno di coloro prestamente lo legò, e seco prigione lo conduceva, quando, sebben legato, con uno sforzo levò Munichi allo Schiavo la lancia, e con essa l'uccise; e quindi così legato si sdrucciolò per l’'erto del monte, e campò la vita. Dopo una sì compiuta vittoria liberi da qualunque timore, perché senz'alcun nemico, si può credere, che fuggiti, e salvatisi chi quà, chi là per quelle selve, quegli abitanti, abbandonate le lor Ville non solo, ma ancor la Città di Giulio Carnico, abbiano que' barbari crudelmente infierito contro quelle mura col ferro, e col fuoco, e fatta quella ruina, e desolazione, che simile forse non fecero altri barbari ne' trascorsi secoli. In questa deplorabile congiontura, che secondo il Sigonio avvenne circa l'anno di Cristo 705., Fidenzio Vescovo di quella Città, per sottrarsi alla morte, ed a quella orrida ruina con la fuga, si andò a ricoverare in Cividale, ed ivi fissò la sua Sede. In faccia a Zuglio, di là dal fiume Bute vi è un luogo nominato Cedargis. Chi sà che non sia così detto, quasi Caedes Argais.
Giulio Carnico è distrutta ancora per le inondazioni.
Ma non furono le sole guerre, che sterminarono la Città del nostro Giulio Carnico: le inondazioni altresì, che sono un assiduo flagello della Carnia, le apportarono l'ultima caduta mediante il fiume Bute, che dalla Valle superiore precipitoso scendendo nella inferiore, lo ha quì sepolto sotto profonda arena. Del Lago di Soandri. Non molto lungi da Giulio Carnico nel secolo undecimo staccossi una montagna, detta di Cucco, le cui rovine formarono gli Alzari di Piano: inoltre rovesciandosi sopra il fiume Bute, che da vicino gli scorre, serò il corso all’acqua in modo tale, che non potendo questa aver libero il corso, ritornata addietro formò unLago ch'ebbe lunga durata. Del Lago di Soandri. Chiamavasi Lago di Soandri per la vicinità del colle Soandri. Ma poi col tempo infuriando l'acqua, ruppe l’opposto argine, innondò tutta l'aggiacente Valle, e quasi tutta sommerse la Città del nostro Giulio.
Allor per la grande innondazione seguita l'anno 1692. in questa nostra Provincia, si tien per certo, che il fiume Bute scuopri in Zuglio alcune muraglie, quali sembravano di grand'edifizio; e non lungi da questo videsi a rotolare una grande campana, la quale poi fra poco insieme con detto edifizio fu ricoperta dalla copia d'arena, e de' sassi, che conduceva la furia dell'acqua, siccome fu osservato dagli abitanti di Arta, e di Zuglio, che alla riva del fiume stavano mirando i suoi cavalloni. Ciò mi fa sovvenire il surriferito magnifico Tempio descritto dal Giustiniani. Oggidì pure chiamasi dagli abitanti di Zuglio la Basilica un certo luogo di essa Villa, ove hanno per tradizione esservi stato il Tempio Vescovile della Cittá; ed ivi ritrovansi in non poca copia pietruccie quadre, rimasugli ancor di quel suo pavimento fatto alla Musaica.
Castelli antichi nel Canal di S. Pietro.
Dopo la distruzione di Giulio Carnico molti potenti, e per la Nobiltà, e per le ricchezze non tralasciarono di abitate questa Provincia della Carnia. Avendo i figli di Gisolfo, Tasso, e Cacco, ricuperato il Principato paterno, permisero a chiunque era loro benemerito il poter edificare Castelli, i vestigí de' quali ancor vi sono nella Carnia, e diedero ad essi con liberalità la giurisdizione delle. Ville aggiacenti, la qual giurisdizione essi poi possedettero lungo tempo. Così furon eretti nel Canale di S. Pietro i Castelli di Sezza, di Sutri, di Siajo, e e di Dunone; e così que’ degli altri Canali, di cui a suo luogo diremo.
Castello di Sezza.
Il Castello di Sezza era situato vicino al Villaggio assai antico di Sezza. Gregorio di Montelongo Patriarca di Aquileja, allorché l'anno t244. volle portarsi nella Carnia, dopo di aver dato a Roberto di Socchieve a titolo di feudo vero, e legale il Castello di Saccheve, o Soclevo, il confermò in tutti i ſeudi, che allor dicevansi Armannie, aspettanti al detto Castello di Sezza. Ebbe poi quest'Armannia Arrigo di Mels.
Di Sutrio.
Il Castello di Sutrio giaceva sul colle, dove di presente è la Parrochial Chiesa di tutt'i Santi. Per certo dovea questo essere di veduta assai dilettevole, poiché soprastava al vicino lago, e guardava la via Giulia, che d'appresso estendevasi. Quegli abitanti di Sutrio, già due secoli scavarono in quel sito pezzi di pavimenti di un lavoro fatto a scacchi, ed infrante colonne di marmo: urne parimenti vi trovarono, dentro cui gli antichi riponevano le ceneri de' lor morti; e molti sepolcri in certi grandi sassi intagliati. Vicino al suddetto colle fu anche trovata, anni sono una medaglia di rame col nome, ed effigie di Massiminiano Erculeo Cesare. L'entrate di esso Castello furono devolute, parte al Capitolo d'Aquileja per donazione fattagli dalla Contessa Priola patrona di esso Castello, e parte alla Nobil Casa Savorgnana di Osoppo. Il Capitolo di Udine, e quella Nobil Casa esiggono ancor di presente censi in questo Canale, e possegono monti, ed altri beni non pochi.
Antichi feudatari nel Canale di S. Pietro.
Il Patriarca Volchero diede al suo Capitolo d'Aquileja l'anno 1208. investiture sopra le Ville di Fielis, Priola, e Nojariis, e sopra il monte di Tenchia aspettante a' Comuni di Cercivento; e di presente il Capitolo di Udine ritrae annui censi da essi Villaggi. Rodolfo Signor di Mels l'anno 1275. avea in ſeudo dal Patriarca Raimondo della Torre le Armannie di Sutrio, e di Rivo con molti altri feudi esistenti in questo Canale. Artico Signor di Castello l'anno 1281. possedeva due Mansi nella Villa di Tausia, i quali poi rassegnò al detto Patriarca Raimondo. Corrado Signor di Sacile l'anno 1299. un Manso. Ermano con altri Consorti di Nonta l'anno 1340. avea in feudo le Arimannie di Cercivento, le quali poi rinunziò al Patriarca Beltrando.
Arimannia che significhi.
Questo vocabolo di Arimannia è preso dalla lingua Alemanna, o da Herhmener, come piace all’Echardo, che lo interpreta per Signori minori, o come vuole il Du Cange, ed altri da Here, e Mann, che vuol dire uomo di armata, uomo militare, ed anche uomo del Signare; il che più conveniente ci sembra, ed a proposito de' nostri antichi Ermanni della Carnia. Erano questi uomini militari, obbligati ad un Castello, ed al Signor di quello, al quale doveano servire con le armi, o alla guardia, e custodia di quel Castello, quando erano chiamati: oppure ad assistere per onorevolezza, e autorità ai Tribunali in tempo, che i Giusdicenti, e Giudici sedevano per rendere giustizia. Per tale impiego era loro assegnata per abitare una casa con alquanta terra per loro utilità, e sostentamento. Nel Friuli vi rimane ancora in qualche luogo questo nome di Arimannie in certa corrisponsione di formento, vino, ed altro.
Castello di Siajo, e di Durone.
Il Castello che chiamano di Siajo, suppongo sia stato quello di Durone. Questi guardava, come scorgesi da' suoi vestigj, il Canale di S. Pietro, e quello d'Incaroj: il Castello poi di Siajo, che dicesi essere stato nel sito ora detto Chiastellat nella sommità di una rupe, sarà stato una semplice rocca dipendente dal Castello di Durone, non potendo altrimenti dirsi pel suo angusto sito.
Rocca Moscarda.
In questo Canale di S. Pietro si vede ancor una parte della rocca Moscarda, detta altresì rocca Beltranda. ll Patriarca Raimondo della Torre, allorché portossi in Tolmezzo l'anno 1292., dove anche confermò agli abitanti della Carnia il loro privilegio de' beni che godono in cotesta Provincia, già concesso ad essi dal Patriarca Sigeardo, e da lui ampliato l'anno 1280; dicesi che con tale incontro avesse con solenne funzione fatta piantare una croce di ferro nella imboccatura de' monti fra Paluzza, e Cercivento per fondarvi una Città da chiamarsi Milano di Raimondo. Il perché era sua idea di aver quivi una forte difesa contro le incursioni de' Barbari, che per il carreggiabile allora monte di Croce con facilità discendevano a devastare la Carnia, ed il Friuli. Ma poi cangiata avendo idea del sito, l'anno 1297. dissegnò di fabbricare questa Città su i colli di Gemona, dov'era l'antica strada, che conduceva alla Carintia, e dov'era il Castello di Grossemberg. Fu preoccupato dalla morte l'anno 1299; e né in uno, né nell'altro luogo la cosa ebbe l'effetto. Avrà però l'urgente proposto motivo, fin d'allora che si portò a quella imboccatura de' monti, fatta ergere la rocca Moscarda, se prima no v'era. Per tale oggetto pure il Patriarca Pagano l’anno 1329. fece convocare il Parlamento; ed in esso fu deliberato, che a spese del Terrritorio della Carnia si fortificasse detta rocca, e che in questa fosse posto un fedele presidio di soldati, levando al Gastaldo di Tolmezzo ogni facoltà d'ingerirsí in quella. E perché la fortificazione di essa rocca non era giammai stata munita a sufficienza, benché fosse necessaria, il Patriarca Beltrando finalmente volle, che la medesima fosse fortificata di tutto punto con due Torri, e con una grossa muraglia a levante, ed a ponente, ascendente alle aggiacenti montagne, come si veggono ancora i suoi vestigj al basso del rivo Moscardo.
L'anno 1616., durante la guerra del nostro Principe Veneto contro la Casa d'Austria, fu la suddetta rocca Moscarda di nuovo fortificata, e posta in ordine di valida difesa per ogni accidente di scorreria nemica, se mai tentato avessero gli Austriaci, sforzare il passo di monte di Croce, penetrare per questo Canale nella Carnia, e nel Friuli. Fra le due Torri fu scavata una trinciera in linea retta, ed un'altra a mezza luna. Guardano queste Torri una boscaglia verso Settentrione posta al piano di due opposte montagne, di lunghezza tre miglia, e di larghezza mezzo miglio circa: fu perciò d'ordine del Capitan Galasio spianata tutta quella boscaglia, e piantati in competente distanza due ridotti, dove di guernigione stavano scelte milizie del paese. Fra le alture poi di esse montagne furono erette varie batterie di Falconetti accommodati a cavalletto; furon rotte, o baricate le strade con tagliata di alberi al passo di monte di Croce, e così a quello del monte di Primosio, per dove discender poteano i Tedeschi a commettere ostilità a danno del Canale di S. Pietro. Per fine nulla si omise dalla vigilanza de' comandanti, onde impedire da cotesta parte ogn'innoltramento nemico, o per esser apparecchiati a resistergli da dovero.
Collegiata di S. Pietro, e sue prerogative.
Dal fin quì detto si vede quanto questo Canale di S. Pietro negli scorsi secoli sia stato ragguardevole nella costituzione civile: esso fu, e lo è altresì di presente nell'ordine Gerarchico, ed Ecclesiastico. Dopo la mancanza de' Vescovi nella Città di Giulio Carnico, noi abbiamo ancora un contrassegno della sua antica Nobiltà nell' antichiſſima Chiesa Collegiata dedicata al Principe degli Apostoli, che sopra la sommità d'un monte, così detto di S. Pietro, torreggiando forma di sé una vaga veduta. Al servigio di essa Chiesa v'è un Preposito con otto Canonici; il cui antichissimo Capitolo già godette entrate rimarchevolí; ma ora per la ingiuria de' tempi in gran parte distrutte: e non potendo perciò i Canonìci far la solita residenza presso di essa Collegiata, vengono ad officiare la medesima quattro volte all'anno; mantenendo però un Sacerdote, attualmente Canonico, il quale come officiante de' medesimi, insieme col suo Preposito celebri ed assista in quella tutte le Feste dell'anno. Assistevano da principio quei Canonicì col loro Preposito al servigio della Chiesa Vescovile di Giulio Carnico. Questa Chiesa magnifica era fatta di pietre quadre alla Mosaica: ma essendo poscia distrutta, e sepolta dalle acque, il Capitolo edificò la presente Chiesa Collegiata di S. Pietro nella cima piramidale dell'accennato monte sopra le rovine di un'antichissima rocca, la quale nella detta cima fu con Giulio Carnico fatta ergere, come è fama pubblica, da Giulio Cesare, o da' suoi coloni Romani, quasi specula di essa Città, e dell’aggiacente Canale, allor chiamato, via Giulia, e che perciò senza dubbio si disse Arx Julia.
Abbiamo probabile motivo di credere, che ſin dal tempo de' primi Vescovi Giuliesi sia stata fondata questa Prepositura, e Capitolo. Chi è versato nella sacra erudizione, sa che anche negli antichi secoli ogni Chiesa Matrice, cioè le Cattedrali, e le Parrochiali, teneva pel suo ministero varii Preti, e Cherici ch'erano ascritti ad essa, e con assiduità ivi servivano al bene del popolo. Pochi ne contavano le Parrocchiali, molti le Cattedrali; ed era così formato il Clero di questa, che rappresentavano un Collegio, ed una spezie di Senato, capo di cui era il Vescovo. Assistevano i Preti, e Diaconi al Sacro Pastore nel Sagrifizio, e nelle altre funzioni della Chiesa. Intervenivano ancor ai Concilj del Vescovo, e senza il loro consenso non si spedivano gli affari più importanti. Ma non si osserva nella Sacra Repubblica di allora sennon un lieve abbozzo de' Canonici, che furono poi instituiti. La origine di questi viene riferita dal più degli Scrittori dopo l'anno 700. della nostra Era, anzi anche più tardi presso i Franchi, dai quali poi passò in Italia questo lodevol istituto. Ma è stato provato, che l'origine sua è da attribuirsi a S. Eusebio Vescovo di Vercelli, il quale fiorì nel IV. secolo. Egli congregò il Clero della sua Città in una stessa casa, e lo sottomise a disciplina tale, che i Cherici suoi vivevano a una mensa medesima a guisa di Monaci. Quando il Clero di Giulio Carnico abbia cominciato a vivere in comunità; non si sa ben dire, benché tale fosse la disciplina della Chiesa. Ciò che si può dire, si è, che anche la Cattedrale di Giulio avea i suoi Preti, e Clerici, che la uſficiavano; e che privata del Sacro suo Pastore l'anno 727., continuò a sussistere come Chiesa Collegiata sotto di un Preposito. Antichissima dunque dee dirsi la fondazione della Prepositura, e Capitolo di S. Pietro, benché ci manchino documenti più certi; mentre circa il penultimo secolo incendiata quella Chiesa, arse ancor l'archivio, in cui si conservavano le scritture di quel Capitolo con molte altre di Giulio Carnico. Tra gli antichi, e varj codici manoscritti, che sonosi conservati presso quel Capitolo, si vede una Sacra Biblia manoscritta in Pergamena, e ornata di miniature; la quale formata di ben grossi e chiari caratteri, detti volgarmente Gottici, ma in realtà corsivi, comprende tutto l’antico Testamento in assai voluminosa mole. Questo raro, e preggevol codice, trascritto da quegli antichi Monici del secolo decimo, che in tali opere degnamente si occupavano, ha per coperta due mal dirozzate tavole, che sono prova della sua antichità.
Essendo esso Capitolo in possesso de' suoi antichi diritti e prerogative, ha la facoltà di eleggere, vacando un Canonicato, il nuovo Canonico, di confermarlo, e dargli la investitura spirituale; ed ora dalla munificenza dell'Eccellentissimo Senato Veneto gli è stato confermato l'antico diritto, che avea di eleggersi il Preposito, allorché vaca tal dignità. Questo Preposito ha luogo, e voto nel Parlamento generale della Patria: innoltre ha il diritto di giudicare in foro di prima istanza in materia Ecclesiastica, e spirituale i soggetti alla sua Collegiata.
Famiglie cospicue del Friuli state Canonici, e Prepositi di S. Pietro di Carnia.
Come poi comprovasi dagli antichi documenti, raccolti per opera e studio di un Canonico benemerito di quel Capitolo, trovò essere stati per antico Canonici, e Prepositi della Collegiata di S. Pietro in Carnia delle famiglie più cospicue del Friuli, cioè di Prampero, di Castello di Arcano, di Pers, Frangipani, Sbrojavacca, Frattina, Pozzi, Ottelj. Questa Prepositura, secondo il costume di quei tempi, come anche i Canonicati, erano goduti da chi non risiedeva, o non vedeva mai la sua Chiesa. Così Federigo Frangipane di Tarcento ebbe, mentre era in Corte del Cardinale Marco Sitico Conte di Altemps, in qualità di Segretario, dal Papa Pio IV. la detta Prepositura, senza mai risiedervi, o vederla. Nel 1583 abbandonò la Corte, e si rendé Religioso Eremitano col nome di F. Paraclatico. De' Prepositi poi di quella Collegiata sono stati Nobili Patrizj Veneti, Grimani, e Barbi. Un Marc'Antonio Barbo era Cameriere di Sua Santità Papa Allessandro VL e nello stesso tempo l'anno 1498. era Preposito della detta Collegiata. Così Antonio Grimani nipote di S. Eminenza Card. Marin Grimani l'anno 1539. Vi fu anche un Vescovo di Urbino: era questi Antonio di S. Vito, il qual fu Preposito di S. Pietro l'anno 1430. e l'anno poi 1436. fu fatto Vescovo d'Urbino, come appare da Lettere di S. Santità Papa Eugenio IV. di detto anno. Ma queste unioni di Benefizj eran comuni allora anche ad altre Chiese, né dovean piacere molto ai Preti paesani, che vedeansi toglier di mano i provedimenti. Ciò che forma il lustro di quel Capitolo, si è, che dopo il volger di tanti secoli, conserva non oscure prerogative della sua antichità, e tiene dopo gli altri Capitoli luogo nei Sinodi, e nei Parlamenti, e mantiene varie sue prerogative. Non è meraviglia pertanto, se ne’ nostri Sinodi Diocesani i Canonici di S. Pietro di Carnia vengono contradistinti coll' avere posto particolare egualmente che gli altri Capitoli di nostra Diocesi Arcivescovile di Udine. Monsignor Gian-Girolamo Gradenigo Arcivescovo con suo favorevole Decreto dell'anno 1778. si è compiaciuto di condecorare il prelodato Capitolo di S. Pietro con qualche prerogativa nell'ornamento esterno.
Cure Parrocchiali nel Quartier di S. Pietro.
Cinque Cure, o sieno Chiese Parrocchiali, che sono nel Quartier S. Pietro, vanno soggette alla predetta Chiesa Collegiata; e sono le seguenti.
La Prepositura di S. Pietro, che ha sotto la sua immediata direzione i Vilaggi di Formeaso, Sezza, Fielis, Arta, e Zuglio.
La Cura di Piano, che ha sotto di sé Piano, Avosaco, Gabia, Cedargis, e Cadunea.
La cura di Sutrio, che ha sotto di sé Sutrio, Priola, e Nojariis.
La cura di Paluzza, che ha sotto di sé Paluzza, Rivo, Treppo, Siajo, Zenodis, Ligusulo, Tausia, Naunina, Casteons, Cleulis, Timau.
La Cura di Rivalpo, che ha sotto di sé Rivalpo, Valle, e Lovea.
Oltre queste cinque Cure v'ha compresa nel Quartier di S. Pietro anche la Cura di Cercivento, dove in qualità di Parroco io risiedo, ed ha sotto di sé i due Villaggi di Cercivento di sopra, e di Cercivento di sotto. Chiamasi in latino Cerciventum, a mio credere dalla parola Circumventum, che significa il giro che fa la strada in capo di questo paese da questo Canale di S. Pietro a quello di Gorto. Nacque l'anno 1724. in Cercivento di sopra il P. Don Felice Maria Morassi Bernabita, che nella sua Congregazione fu Professore di sacra Teologia in Roma, e dopo altri impieghi fu Confessor delle Signore Dimesse di Udine, ed Esaminator Sinodale. Dotato di una gran memoria, ed ugual criterio era versato in ogni genere di erudizione. Il piacevole suo tratto lo rendeva a tutti amabile. Morì del 1776.
Formeaso Sobborgo della Città di Giulio.
Or quì soggiungo ciocché trovo più rimarchevole nelle suddette cure Parrocchiali, Sotto la Prepositura di S. Pietro è Formeaso, donde io son originario; ed è Villaggio prossimo a quello di Zuglio. E’ credibile perciò, che allorché Zuglio era Città chiamata Giulia, Formeaso fosse un sobborgo della medesima, detto Farmiae o ad Formias; poiché quivi a' miei giorni sono rinvenute Cornici, e grosse basi di colonnami di pietra, e quello ch'è più osservabile, medaglie antiche Romane d'oro e d'argento non poche. Io di queste n'ebbi una consolare, in cui vedesi da una parte un Carro trionfale, e dall’altra l’effigie della Giustizia colla iscrizione: CANAPI IN PROCOS. EX S. C. Ma sopra queste antiche monete, trovate sì in Formeaso, che in Zuglio, già presto s'attende pubblicata colle stampe una dotta Dissertazione, che accrescerà lustro, ed onore a questa nostra rinascente Colonia. Nacque in Formeaso Niccola Grassi Pittore assai rinomato in Venezia ai giorni nostri. Fu discepolo del celebre Niccolò Cassaria Genovese. Dipinse con bel maneggio di colore, con vaghezza, e lucidità. Vi è una sua tavola nella scuola di S. Gaetano a S. Fantino col Crocifisso tenuto dal Santo. Nella Chiesa di S. Francesco alla Vigna sonovi cinque suoi quadri con azioni del Santo.
Chiesa Canonicale di S. Pietro.
La Cura più prossima alla Prepositura di S. Pietro è quella di Piano: ed essendo essa Parrocchiale, è a distinzione delle altre Cure, altresì Canonicale. Allorché non lungi da esso Villaggio si avvallò la montagna di Cucco, le cui ruine formarono gli
Alzeri di Piano, sommersa anche rimase la campagna, e gran parte delle case sparse di esso luogo. A tale oppressione si aggiunse la strage, che quivi fece di abitatori la peste nel secolo decimo quinto. Essendo perciò mancate le congrue rendite di quel beneficiato, con Bolla Pontificia dell'anno 1480. si ottenne
che l'eletto in Curato di Piano nello stesso tempo fosse ancor elletto Canonico di S. Pietro con prebenda, restando così per sempre quel Beneficato Parroco Canonico.
S.Niccolò degli Alzeri stato Monistero de’ Templari.
Nel distretto di cotesta Cura di Piano vedesi un'antica Chiesa in vicinanza alla strada regia di questo Canale, chiamata S. Niccolò degli Alzeri. Appariscono ancora nel contorno di essa Chiesa le vestigia di un'antico Monistero di Frati, i quali giudico essere stati dell'Ordine de' Templari. Loro instituto era difendere i Pellegrini, che andavano a visitar Terra Santa, dalla violenza degl'Infedeli, e tener nette le strade da' masnadieri. Portavano abito bianco con la croce rossa sul mantello: ed eran così accresciuti di numero, e di stima, che contavano fin nove mila Conventi. Ma poi essendo quell'Ordine totalmente scaduto dalla osservanza, con Decreto del Concilio generale di Vienna fu estinto con totale disfacimento di tutt'i suoi Conventi l'anno 1312., e le amplissime possessioni furono applicate agli Spedalieri di S. Giovanni, che ora sono Cavalieri di Malta. Circa quel tempo è da credersi che restasse altresì disfatto il Convento di S. Nicolò degli Alzeri, rimanendo intatta la Chiesa col suo atrio, ma spogliati gl'Altari delle antiche sue piture. Ad essa Chiesa per antica consuetudine il popolo interviene a solennizzare la Festa di Santa Croce annualmente, e tutt'i Venerdì di Marzo per l'acquisto delle molte Indulgenze, di cui è dccorata. Tuttavia questa Chiesa paga a un Commendator di Malta un censo annuo di lire 36. per certi beni, che annessi erano alle rendite del sopraccennato Convento.
Paluzza.
Sopra la Cura di Piano è quella di Paluzza, Villaggio che per il sito, e bellezza delle case si può preferire a tutti gli altri Villaggi della Carnia. Sì è distinta quivi a giorni nostri la casa Silverio, avendo avuto ad uno stesso tempo un Preposito di S. Píetro, che fu Pier'Antonio di Agostin Silverio, ed un Medico Professore Aulico in Vienna, Matteo di Daniel Silverio.
Tausia.
Tausia è una delle Ville soggette a cotesta Cura. Nacque in Tausia Floriano Morocutti Pievano di Velekirken in Baviera, illustre Letterato di questo secolo. Fu consigliere Ecclesiastico, e Bibliotecario del Vescovo e Principe dì Passavia. La di lui troppo celere mancanza in Germania tolse a noi la speranza di vedere la sua gran raccolta di antiche notizie rimasta poi inedita nella Biblioteca Possaviense.
Fonte di Timavo.
Tímavo è altresì un Villaggio soggetto alla cura di Paluzza. Poco sopra a questo Villaggio, dove la via s'inoltra alle Alpi Giulie verso il monte di Croce, da ripidissimo poggio, chiamato la Creta che è di altezza passi 105, per una sola bocca scaturiscono vasto cum murmure montis acque sì copiose, e perenni, che ben tosto abbondantemente bastano all'uso di un molino, e di altri edifici. Chiamasi questa sorgente il fonte di Timavo, forse perché ha qualche somiglianza col fonte di Timavo di Virgilio, che è nelle vicinanze di Aquileia. Pochi passi poi discoste dalla sua sorgente si iscaricano quelle acque nel fiume Bute, che da vicino le scorre.
Marco Velsero nella vita di S. Afra Augustana alla pag. 194. scrive, che al tempo di Diocleziano Imperatore persecutor de' Cristiani S. Narciso Vescovo d'Augusta era entrato profugo col suo Diacono nella casa di Afra impudica femina: e perché egli si era dato a procurare la conversione di quella, e di due sue serve, il comune infernale nimico, presa la forma di un Etiope, apparve a rimproverarlo, e minacciarlo. Quand'ecco il S. Prelato per acquietarlo, ed insieme deluderlo venne seco lui ad un patto di dargli un'anima in corpo allorché fosse quietamente compito il Battesimo di Afra, e delle sue ancelle. Così battezate le tre persone, e Narciso sollecitato dallo Spirito maligno all'adempimento di sua promessa, Va, lui disse, vicino al fiume del fonte delle Alpi Giulie, laddove nessuno può bere acqua; non uomo, non bestiame, non alcuna fiera, perché ivi abita un Drago, e dal di lui fiato tutti coloro che al fonte s’accostano, restano morti: questo uccidi, ed in tuo potere riduci la sua anima. Al che obbedì il Demanio, ed avendo ucciso il Dragone, restò liberato il fonte fino al giorno d'oggi.
Qual altra corrente acqua a canto delle Alpi Giulie può con più verità chiamarsi fiume di fonte, quanto l'acqua del mentovato notissimo fonte di Timavo, che dalle Alpi medesime al monte di Croce unite sgorga in abbondanza tale, che appena nata, una sua terza parte serve agli edificj di un molino, e di di una sega? Vero è, che coteste Alpi si estendono da noi fino al mare presso Trieste; ma poi non saprei, dove fosse altro fiume di ſonte a canto di una battuta via, né riconoscere un'albergo a serpenti e Dragoni più accetto. Frattanto dal riferito documento di Velsero apparisce la continuazione della via Giulia circa gli anni di Cristo 302.
Memorie antiche della via Giulia.
Un monumento certo, che continuava essa Via Giulia l’anno del Signore 473, lo ricaviamo dalla seguente, benché guasta iscrizione. Vedesi questa in un Sasso che giace alla metà del mentovato monte di Croce, nel sito chiamato mercato vecchio, a lato destro dell’odierna strada in ascendenza.
MVNIFICENTIA DD. AVGG. QVE
IN HOC HOMINES . ET
ANIMALIA . CVM PERICVLO
IBANT
CVRAM HABENT
Q 2
MANO CVR. R. P. JVS ..
D.D.D. N.N.N. VALENTINIS ….
ET VALENT. AVGG. IIII COS.
Ci fa conoscere questa Iscrizione essere stata posta nel quarto Consolato di Valentiniano, e Valente, cioè del 473 dell’Era volgare; e con essa fecesi memoria, che Mazio Curatore delle pubbliche cose per camando di Valentiniano, e di Valente lmperatori, stati quattro volte Consoli, fece comparire la munificenza Cesarea nel riattare, e render praticabile cotesta via, per la quale prima transitavano con pericolo le genti, e gli animali. Quel Mazio poi, diverso da quel C. Mazio, che nell'anno 39. dell’Era volgare fu Console suffetto in Roma, uccidendosi di propria mano, sarà stato in quel tempo il curatore della via Giulia, siccom'erano in Roma i curatori della via Flaminia, della via Salaria ec. La via per altro su cui posta fu questa Iscrizione, non essendo la strada carreggiabile, ma la seconda più angusta via, c’indica, che la restaurazione di questa ſu fatta per vieppiù mantenere, e per render più comodo a’ Tedeschi l'adito a quel mercato.
Chiesa del Crocefisso di Timau.
Il Villaggio di Timau non è che un miglio distante dal monte di Croce, e tre miglia dai confini della Carintia. L'ordinario suo parlare è il Tedesco, più tosto Cimbrico, e fin dell'anno 1729. era situato al piano della sopramentovata Creta. Per una grand'escrescenza d'acqua, che inondò il detto anno quel Villaggio, ed insieme la picciola campagna d'intorno, costretti furono i Timavesi a fabbricar nuova Villa sul pendio delle falde di essa Creta. Veggonsi ancor del vecchio Villaggio pezzi di muraglie, reliquie sbandare dall'acqua del fiume Bute. La Chiesa però dedicata al culto del SS. Crocefisso sola miracolosamente rimase preservata, come tuttor al giorno d' oggi vedesi in aperta ghiaja. Quel torrente, che da vicino le scorre, altro argine non ha, per non sommergerla, che l'ossequioso rispetto alla immagine di quel Cristo, a cui obbedienti sempre furon gli elementi. Fabbricato che fu da' Timavesi il nuovo Villaggio, costrussero altresì in quello una nuova Chiesa sotto il titolo di S. Geltrude: onde avvenne, che per più anni inofficiata e deserta restò quella del Crocifisso, ed abbandonata alla discrezione delle acque; le quali più volte nella lor escrescenza si videro bensì coi suoi impetuosi gurgiti entrare in essa, ma crederci più per prestarle omaggio che per recarle danno; mentre anziché rovinarla, neppur una pietra da quella grossa ghiaja, benché vi fossero spalancate le porte, dentro vi portarono mai. Non volle Dio, che la immagine di quel miracoloso Crocifisso, che in mirarla spira divozione, più a lungo restasse in quella deserta Capella senza la venerazione dovutale. Succedette l’anno 1752., che i Bruchi in queste nostre Contrade devastassero con orrida strage le foglie degli alberi, e le piante degli orti e de' prati, quando certi pastori presero dell'acqua, che in pozzo, a guisa di picciola cisterna formato, conservasi in un'angolo di essa Chiesa; ed avendola con fede aspersa su li luoghi danneggiati dai Bruchi, mirabilmente si videro questi tantosto estinti. Quindi avendo per altre grazie fatto ricorso i divoti a questo Crocifisso, e quelle ottenute in varii bisogni, si accrebbe vieppiù la divozione, si rinnovò la interrotta frequenza del divin Sacrificio; e non capindo il picciol vaso di quella Chiesa il numero grande de' Fedeli, che vi concorrevano, si venne ad allargarla col tratto delle pie oblazioni, mercé le quali si poté altresì di sagre supellettili provedere, come vedesi al presente, e in migliore stato ridurre. Fu questo Santuario successivamente visitato l'anno 1764 da Monsig. Bortolommeo Gradenigo, e l'anno 1769 da Monsig. Gian-Girolamo di lui fratello, Arcivescovi ambedue di Udine.
Laghetto di Timau.
Poco sotto il predetto Villaggio di Timau eravi un Lago di purissime acque ivi zampilanti formato, che nel secolo passato somministrava a quegli abitanti Trote di esquisito sapore; ma essendo poi quel sito, ove esisteva, riempito delle ruine de' vicini monti caduti,.conserva ancora il nome di Laghetto, e le acque che d'apprcesso gli scorrono, non mancano mai di Trote.
Non molto lungi da questo Laghetto scorre il Moscardo, torrente di maravigliosa rapidità, che ha la sua sorgente nel monte Primosio. Nel suo alveo sassì di stupenda grandezza.con precepitoso gorgo a tempo piovoso rivolger si veggono, or in alto innalzandosi, or al profondo abbassandosi, a segno tale che durando tale impeto vorticoso, non vedesi punto l’acqua: dal che sovvente avviene che i passaggieri scorgendo asciuta, ed arida arena, entrati in essa coi cavalli fino al petto s'immergono, né di là puonno escire che coll’ajuto di persone, dalle quali con sottoporvi delle tavole, per non cadervi anch'esse ne' medemi vertici, con difficoltà alla fine vengono indi cavati fuori, e dal pericolo liberati. In tal guisa quel rivo Moscardo colle sue strane mozioni carico discendendo dalle ruine del monte Poularo, e torbido quasi sempre scorrendo, rende molte volte ai viaggiatori col suo vizioso terreno, or difficile, ora impossibile il varco; e questo per il tratto più di un miglio, cioè dalle radici di detto monte Poularo fino al fiume Bute, in cui entravi torbidando le sue acque pel corso di molte miglia, e sommergendo coi suoi tumidi gorghi il legname da negozio, che incontra questo precipitoso torrente nel metter foce in quel fiume.
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DEL CANALE DI GORTO.
Castelli antichi nel Canal di Gorto.
Confina il Canale di Gorto a levante col Quartier di S. Pietro, a mezzo dì col Quartier di Socchieve, a ponente col Cadore, ed a Settentrione ha la Carnia. Avea questo Canale, gia quattro secoli, cinque Castelli; ed erano Agrons, Luincis, Pradumbli, Frata, e Monajo.
Castello di Agrons.
Il Castello di Agrons stava piantato ove di presente è la Pieve Matrice di quel Canale. I nomi che si leggono de' proprietarj di esso Castello del 1204 ſino al 1329, sono Rubertus de Agrons… Pantaleon &c. Dal 1274 fino al 1300, trovo essere stati nobili Feudataij della Chiesa Aquilejese Pellegrino figlio del q. Sig. Domenico di Agrons, e suoi Consorti, Signori Warnerio, e Wecelo fratelli, e Figli del q. Sig. Giovanni di Agrons, e suoi nipoti: e questi possedevano in quel Canale, ed altrove, in feudo retto, e legale molte montagne, maansi, e decime.
Castello di Pradumbli, Monajo, e Frata.
Il Castello di Pradumbli, detto anche in latino Castrum Dominarum, e in lingua del paese des Dumblans, era situato nella Villa di Pradumbli. Quel di Monajo era posto nella Villa di Chiamploul nel luogo chiamato Valchianasis. Quello di Frata giaceva sulla cima dell'erto Colle di Zovello, al cui patrone dicesi, che appartenesse il piciol Castello di Gajo, che guardava il Villaggio di Cercivento superiore.
Castello di Luincis.
Il più famoso di tutti questi Castelli era quello di Luincis, che soprastava alla Villa di Luint nel sito che tuttora continuasi a nominare Castello. Di questo, che fu il primo ad essere smantellato, si numerano molte famiglie dall'anno 1261. fino al 1351. in cui Ermano Cavalliere e Castellano di Luincis ne fu fatto prigione dal Patriarca Niccolò, come dirasi.
Congiura seguita contro il Patriarca Beltrando.
La ribellione di cotesto Castellano concertata con varie Terre, e Castellani della Patria contro la obbedienza dovuta alla sede d'Aquileja, fu la cagione della rovina sua e della distruzione di tutti i Castelli della Carnia. Correva l'anno 1348. quando i Conti di Prata, e di Brugnera, Bianchino Conte di Porcia, Vallo, Pertoldo, ed Ermano di Luincis di Carnia, Gian Francesco di Porpeto, Ermacora, e Gian-Francesco Turriani, i Cividalesi, i Portogruesi, e molti altri che trassero al lor partito Enrico Conte di Gorizia, si ribellarono dal Patriarca Beltrando. Motivo o siasi pretesto di tale congiura allegasi, perché assai inclinato si mostrava Beltrando ad arrichire di onori, e di roba gli Udinesi, fazione ad essì contraria. Ma non già l'affetto di Beltrando verso gli Udinesi, ma il suo zelo per la giustizia, siccome di lui scrisse Monsig. Florio nella sua vita, gli mosse quella fiera tempesta, in cui finalmente restò sommerso. Udite il B. Beltrando le prime mosse de' suoi ribelli, si oppose intrepido alla difesa, dove maggior era il bisogno; e già eran successe diverse scaramucce, quando giunse inaspettato nel Friuli Guido Legato Pontificio, col cui mezzo si conchiuse una tregua, la quale però poco dopo fu violata contro ogni buon diritto.
Morte del Patriarca Beltrando.
Era in Padova Beitrando allorché il Conte di Gorizia, e i suoi aderenti radunati insieme in Cividale fecero congiura per la morte di esso Patriarca. Laonde postosi egli in viaggio per ritornare alla sua Sede, accompagnato venne da Federigo Savorgnano, da Gerardo, di Cucagna, da Antonio di Carnia, e da' Udinesi in numero di 200 Cavalli. Giunse in Sacile, dove dimorato avendo alquanti giorni, e presentito gli andamenti de' suoi nimicí, non sapea risolversi a proseguire il viaggio fino ad Udine. Ed in ciò seguì Beltrando i dettami della prudenza Cristiana, la qual non permette, che a capricio andiamo incontro ai pericoli ed alla morte. Ma si lasciò alfin vincere da' suoi che lo confortarono a non temere: e allora fu che cedendo al consiglio altrui il buon Pastore gridò ad alta voce, Io vado a sacrificarmi per voi. Giunto dunque il dì seguente a una pianura chiamata Richinvelda, quattro miglia lontana da Spilimbergo, ove di presente è una Chiesa campestre, gli si fece incontro una truppa della contraria fazione con alcuni soldati del Conte di Gorizia. La scorta, che avea seco di dugento Cavallieri, si, pose in disordine, e in fuga. Quindi restò abbandonato in mano de' nemici, che non rispetando né la venerabil canutezza di un'uomo nonagenario, né il sacro carattere, gli scagliarono barbaramente cinque colpi, da' quali poco dopo morì, essendo il dì 6. Giugno del 1350.
Vendicata del Patriarca Niccolò.
Non rimase però invendicata la morte di questo Patriarca; essendo che Niccolò figlio del Re di Boemia, e fratello di Carlo IV., come fu eletto a Patriarca, giudicò di non poter fare cosa più degna di lui, che di vendicare il parricidio del Predecessore: perciò assoldato un grand'esercito, espugnò Porpeto, e lo distrusse; atterrò gran parte di Caporiaco: ed avendo presi Gian-Francesco di Porpeto, Enrico di Spilimbergo, e Ricciardo di Varmo, li fece decapitare. Volendo poi continuare a distruggere tutti gli altri della nefanda congiura, condusse l'esercito nella Carnia, ed ivi si accinse a combattere Ermano di Luincis Cavalliere nobile, e personaggio di grande animo, e di grande autorità appresso i Carni.
Assedio del Castello di Luincis.
Possedeva Ermano per antico diritto il Castello di Luincis. Quivi dunque ei si rinserrò affidatosi nella forte situazione del luogo, e nelle truppe de' soldati, che seco avea, con animo risoluto di voler difendersi qualora il Patriarca volesse muovergli guerra. Comandò frattanto il Patriarca, che tutti coloro, che valevoli fossero a portar armi, dovessero tosto unirsi colle sue milizie, ed in specialità tutti i Castellani, tra i quali era Roberto di Socchieve. Tardò questi a intervenirvi: finalmente vedendo di non aver mezzo di esentarsi, malvolentieri lo ubbidì. Temeva costui non poco per sé, attesi i molti suoi commessi delitti, ed in particolare per aver violate due nobili donzelle, che senza saputa de' loro genitori avea seco tratte al suo Castello: e dall'altra parte s'era egli con strettissimo vincolo di amicizia collegato ad Ermanno. Avea perciò tenuti segreti consigli cogli altri Castellani: nei quali perorando per la comune libertà, era di sentimento di negare il richiesto soccorso al Patriarca, e di portare ogni ajuto all'assediato Ermanno. Talmente dunque si adoperò, ch'esso ed i Casellani quasi tutti stabilirono di spedire secrettamente lettera ad Ermanno, onde esortarlo a non perdersi di coraggio, ed a conservare l'antico suo valore, poich’essi in breve erano per venirgli in ajuto con tutte le loro truppe. Consegnata ch'ebbero ad un cert' uomo la lettera, acciocché di notte tempo portarla dovesse ad Ermanno, fu questa intercetta dalle sentinelle dell'esercito Patriarcale, e portata al Prelato. Letta che la ebbe il Patriarca, conobbe la perfidia de' Castellani; e senza comunicare a chicchesia il suo parere, comandò che fosse tenuto fra ceppi colui che avea la lettera recato, stabilindo fra sé di attendere l'esito di tal affare. Nel seguente giorno Roberto niente avendo saputo dell’essere stata intercetta la lettera, mentre temeva di venire scoperto da qualcheduno, dissimulando l'ideato partito portossi colle sue squadre all'accampamento del Patriarca; dove costretto a scusarsi della lunga tardanza, non perciò ricevé alcuna rigida risposta. Lieto dunque Roberto, perché immaginavasi, essergli riuscito in bene ciocché celava nell'animo, ansiosamente aspettava il tempo concertato, che tutti gli altri giungessero col patuito soccorso. Frattanto il Patriarca sempre sollecito, e vigilante, pose soldati di guardia ne' luoghi più esposti, e tolse a' nemici l'acqua.
Stava il Castello di Luincis situato sopra un'elevato, ma poco erto colle, le cui radici bagnate vengono dal fiume Decano. Di sopra era una pianura, che in lunghezza quasi due miglia, e in larghezza mezzo miglio di spazio stendevasi: il restante del luogo da rupi, e da' monti veniva rinchiuso. In questa pianura erasi accampato il Patriarca; ed acciocché dalle repentine inondazioni non gli fosse impedito il tragittar il fiume, e il trsportare oltre quello le vettovaglie, e foraggi, ordinò che fosse formato un ponte, il quale appunto è quello, che fin al dì d'oggi chiamasi ponte di S. Martino, e serve a quegli abitanti per conferirsi alla Chiesa Matrice. Non pertanto non tralasciava l’assedio; anzi tanto più cautamente portavasi, quanto più s’avvicinava il giorno, in cui saputo avea per la lettera de' Castellani esser per venire il soccorso ad Ermanno. Già quello di Socchieve lo avea tra le sue milizie, e desiderava che a notizia non gli venisse la presa risoluzione. Frattanto Ermanno istesso unitamente col figlio ciascun giorno con leggiere scaramuccie veniva alle mani coll' esercito Patriarcale, e poi in fretta ritiravasi dentro il Castello, volendo disturbare, quanto mai gli era possibile, le industrie del Patriarca, e distrarre le sue truppe affinché più commodamente i soldati di Ermanno potessero dal vicino fiume prender l'acqua di cui già erano in molta penuria. Ma avendo poi inteso il Patriarca dai prigioni da esso fatti, che i nemici più a lungo sopportar non potrebbero la penuria dell'acqua, mentre avea egli fatti occupare tutti i posti convicini alle fontane, a tal termine ridùsseli, che se estinguer voleano la sete, per necessità doveano venire al fiume. Quindi dispose in tal maniera varii staccamenti di soldati, che tutta la discesa del colle era diligentemente custodita, acciocché il nemico in veruna notte uscir non potesse a pigliar acqua.
Il Castello di Luincis è preso, e distrutto.
Vedeasi Ermanno già ridotto all'estremo, e già venivan meno, e uomini, e giumenti; laonde scorgendo altro partito per lui non essere, che o di arrendersi, o di fare una sortita generale, stabilì nonostante di sostenere l'assedio, e far prova alquanto di tempo, sperando che da qualche parte verrebbegli a tanti mali soccorso. Perlocché determinò di spedire verso la mezza notte dal Castello a proveder acqua alcuni de’ suoi più bravi soldati da quella parte, in cui dimostrammo, che il fiume più batte sotto al colle; e diede loro di scorta un forte staccamento di soldati veterani, condottiere de' quali era Enrico suo figlio. Le sentinelle avanzate del Patriarca diedero avviso ai soldati lor compagni, i quali assalindo da schiena i nemici, in un tempo li circondarono, e fra gli altri Enrico figlio di Ermanno condussero prigione al Patriarca. Comandò egli, ch’Enrico fosse con diligenza custodito: e desiderando di dar fine all'assedio, nel seguente dì ordinò di dare un assalto generale al Castello. Ermanno avendo ìndarno aspettato per molte ore il ritorno de' suoi, che spediti avea a provveder acqua, già sospettò un sinistro evento: pure proseguì a fare una coraggiosa resistenza. ll Patriarca vedendo, che Ermanno in niun conto rendersi non volea, fecegli vedere Enrico suo figlio in ceppi, e catene avvinto; e minacciavalo che se ostinato persisteva tosto lo priverebbe di vita. Avendolo Ermanno veduto, lasciossi commuovere dalla pietà paterna, e deposte ben tosto le armi diedesi in potere del Patriarca, chiedendo per sé e pel figlio grazia e perdono. Ma il Patriarca da sì grande sdegno contro i congiurati erasi acceso; poiché vedeva per essi sovrastare alla sua vita pericolo; che avea stabilito di dare loro il meritato castigo, e di non perdonare ad alcun reo, se complici avesse scoperti del paricidio Ermanno, ed il figlio, fattone loro il processo. Fecegli dunque ambidue incatenare, e nello stesso tempo comandò che fosse preso, e sotto custodia tenuto legato anche Roberto di Socchieve per poi fare la sentenza ad ognuno, scoperta che si fosse la congiura. E per non lasciarsi nimici alle spalle, ed affinché in avvenire non avesse verun altro iniquo uomo a ritrovarsi in quel Castello, ordinò che questo fosse fin dalle fondamenta spianato.
Vengono distrutti anche gli altri Castelli della Carnia.
Rivolgendo allor il passo con tutte le sue milizie verso il Castello di Socchieve, ritrovò colà essere tutto mal in ordine a riceverlo, non avendo Roberto pensato a tale improvviso arrivo del Patriarca. Così prese sua moglie insieme col figlio in età ancor pupillare, e senz'alcun contrasto s'impadronì del Castello, e lo diroccò. Fattogli poi il processo, ed avendo scoperto Roberto complice della congiura, e reo di molti delitti, il condannò insieme con Ermanno, ed Enrico figlio di Ermanno ad essere decapitato. L'esecuzione di tal sentenza seguì in Udine il dì 16. Settembre del 1351. Al figlio però di Roberto in grazia della sua tenera, ed innocente età perdonò la vita, e gli restituì i feudi paterni, contentandosi di levargli la sola giurisdizione. Partitosi il Patriarca da Socchieve portossi verso l'altro colle d'lnvilino; perché gli era già noto, essere tutt'i Castellani della Carnia complici della congiura, e sapeva che per la loro troppa insolenza, licenziosità e dissolutezza erano venuti in odio ad ognuno, fece del tutto diroccare i loro Castelli, pubblicando un'editto, che niuno in verun tempo mai più ardisse di rifarli. Atterrati perciò che furono i Castelli, fece pagare ai congiurati il meritato castigo, e gli assenti punì con un perpetuo bando.
Chiesa Matrice di Gorto, e Ville ad essa soggette.
Ora ritorniamo al Quartiere di Gorto. Le pietre rimastevi del Castello servirono per edificare la presente Chiesa Matrice, o sia Pieve di quel Canale, unitamente al suo campanile formato quasi tutto di pietre quadre. Ciocché di rara antichità ammirasi in essa Chiesa, si è un ampio alveo scavato in pietra viva, che ne' trascorsi secoli ripieno di acqua battesimale serviva per battezare i fanciuli per immersione; rito praticato fin nel secolo decimo terzo sì dalla Greca, che dalla Latina Chiesa. Viene officiata essa Pieve vicendevolmente per settimana da due Parrochi, che risiedono uno in Ovaro, l'altro in Luincis, separati l'un dall'altro per gli Villaggi, a lor soggetti, dal fiume Decano. Quel Paroco di Ovaro ha sotto di sé le Ville di Ovaro, Cludini, Chialina, Lenzone, Liariis, e Clevais. Quello di Luincis ha sotto di sé le Ville di Muina, Agrons, Cella, Mione, Luint, Ovasta, Luincis, ed Entrampo.
Del Villaggio di Muina.
Il Sig. Dottor Agostino Spinotti originario di Muina nella sua Raccolta de' Privilegj della Cargna annovera Emonia, ora detta corrotamente Muina, ſra gli antichi 23 Castelli della nostra Provincia. Ma per asserirlo non abbiamo sufficiente fondamento, se non l'autorità di sì accreditato soggetto, e dell'erudito Signor Giacomo Co: Valvasoni, che nella sua Descrizione della Cargna nomina Hemonia, ora chiamata Muina, qual nobil Terra del noflro paese dopo Giulio Carnico, stata illustrata da S. Pelagio per avere ivi sortito i suoi natali. La Chiesa di Muina ha veramente per suo Tutelare S. Pelagio; ed era opinione altresì del ch. Sig. Arciprete Bini, che questo S. fosse stato di cotesta nostra Provincia, fondandosi egli sulle parole delle gesta di S. Pelagio, che così hanno: Pelagius Martyr passus est in Civitate Emonia Provinciae Acarnaniae. Ma quì senza punto offendere la estesa erudizione di quel letterato, direi, che quella Provincia dell' Acarnania non è la nostra Carnia moderna, né l'antica, in cui contenevansi i popoli Carni nella Regione della Venezia separati dagli altri Veneti dal fiume Livenza; ma che contiensi nella Livadia Provincia capitale della Grecia, ove all'interno del distretto di Lepanto erano anticamente le Provincie di Etolia, Doni, ed Acarcania: ed Emonia sua Città così chiamavasi dal monte Emo ivi vicino, come vuole Plinio.
Non si vuol negare però, che l'unica nostra Emonia di Carnia, or'appellata Muina, non sia sempre stato luogo ragguardevole e per l’antichità di tal nome, e per gl'illustri soggetti, che avendo in essa sortito i natali la condecorarono colle loro virtù. Nel secolo decimo quinto Antonio Toluzzo, che ne' suoi tempi fu uno de' più celebri Dottori .di Udine, e fu tale che meritò di essere successore a Paolo di Castro nella Lettura di Padova, onorò il detto luogo di Muina coi ſuoi natali. Altresi a' giorni nostri segue a con decorare esso luogo la casa Spinotti, specialmente cogli illustri fregi della carica di Fiscale, che ha esercitato il prelodato D. Agostino Spinotti, e che ora con applauso esercita nella Dominante il Dottor Lionardo di lui figlio.
Di Cludini.
Dirimpetto al Vilaggio di Muina, e nell’opposto Colle vedesi la Villa di Cludini, chiamata in latino Claudiviumm, e Claudinum. Diremo perciò che queste sieno state un tempo due Città frta le altre del Norico registrate da Plinio: Rhaetis junguntur Norici. Oppida eorum Virunm…. AEMONIA, CLAVDIA, Flavium, Solvense? Ma questo passo di Plinio è letto diversamente dal Padre Arduino, e per applicarlo alla nostra Carnia non abbiamo né iscrizioni di Lapide, né altro bastante argomento. Alcune di quelle antiche Colonie Romane del Norico avran dato il nome all'Emonia, ed alla Claudia della nostra Carnia, ove portavansi ad abitare, in dolce rimembranza delle due Città, che astretti erano a lasciare.
Di Luint.
Della Villa di Luint trovai fra le Carte dell'archivio di Moggio, che l'anno 1401 il dì 16 Marzo Antonio Panciera Vescovo di Concordia, e Abate Commendatario di Moggio investì coll'annello, e colla prestazione del giuramentoNiccolò Ferrolesi di Luint di certi beni feudali nelle Ville di Mione, e di Ovasta, col debito di riparare la fabbrica della Chiesa di S. Maria della Pieve di Gorto, e la Capella de' Santi Giovanni, e Stefano della medesima Pieve.
Di Luincis.
Nella Villa di Luincis erano nobili Feudatarj della Chiesa Aquilejese Biaggio figlio del q. Odorico di Luincis, Altamano figlio del q. Enrico di Luincis, Enrico di Luincis figlio del q. Matteo. E questi possedevano in feudo retto e legale molti mansi, montagne, e decime in quel Canale, ed altrove, come appare da antiche investiture dell'anno 1300.
Altre Ville soggette al Quartiere di Gorto.
Al Quartiere di Gorto sono soggette parimenti la Cura di S. Canciano, che ha sotto di sé le Ville di Sostasio, Avausa, Prato, Pradumpli, Truja, ed Osajas.
Pesarijs, i cui abitanti sono valenti artefici in fabbricare Orologj di varia mole, e maestria.
La Cura di S. Giorgio, che ha sotto di sé Coneglians, Maranzanis, Povolaro, Mieli, Najareto; Tualiis, Rucchia, e Chialgereto. In un angolo di quella Parrocchial Chiesa di S. Giorgio leggesi intagliata in un Sasso la seguente Iscrizione.
I. VIRTIVS
LI. ALBINUS
ITRIG: ALPI
OMMONTI
VIVIR. CLAR.:
SIMUS ….
LI3. LI3 ….
H M H N S
La cura di Monajo, che ha sotto di sé la Valle di Monajo, e Zovello.
La cura di Rigolato, che ha sotto di sé Rigolato, Valpiceto, Magnanins, Ludaria, Givigliana, Uvezis, e Gracco; il di cui degno Parroco D. Gio: Battista Gusseti è attualmente anche Arcidiacono di Gorto.
La cura di Sopraponti, che ha sotto di sé Forno, Avoltri, Collina, Sigiletto, e Frasseneto.
La Cura di Sappada, i cui abitanti parlano la lingua Tedesca, o per meglio dire, la Cimbrica, ed ubbidiscono alla giurisdizione di Tolmezzo.
Gli uomini di questo Canale hanno particolare attenzione di nudrire gran copia di Buoj, che da essi poi si vendono o per li lavori, o per il macello. Tale avvertenza dovrebbero avere gli uomini degli altri Canali, essendo questo un capo di negozio considerabile per gli utili, che se ne traggono.
Canale di Gorto era soggetto in spirituale all’Abazia di Moggio.
Era soggetto il Canale di Gorto nello spirituale all’Abazia di Moggio. Dicesi, che questo soggettamento seguì in occasione di avere i Castellani di quel Canale colle loro milizie accompagnato a Roma nel 1191. Enrico VI., il qual entrato per il monte di Croce colla scorta di molti Principi, e soldati s'incamminava per essere coronato Imperatore da Celestino lII. Sommo Pontefice. Manteneva a que' tempi l'Abate di Moggio alquanti de' suoi Religiosi Benedettini nel Canale di Corto nel luogo a' nostri dì ancor chiamato Cella. Si appellavano allora Celle certi piccoli Monisteri, chiamati anche Monisteri minori, in cui abitavano più Monaci, ma non meno di sei conforme gli Statuti del Concilio di Aquisgrana dell’anno 818., e questi stavano sotto la disciplina di qualche principale Monistero, e loro particolare instituto era la direzione spirituale delle anime, che ad essi venivano commesse in quel dato distretto. Tale era la Cella nel Canale di Gorto, i cui Monaci Benedettini dipendenti dal Monistero di Moggio aveano la cura delle Chiese di quel Canale, ed officiavano nella piccola Chiesa di Santo Stefano vicina alla Villa di Cella, oppur quella di San Martino vicina al ponte; alla quale però concorrevano tutti i Villaggi circonvicini nei giorni festivi ai divini officj; né trovasi, che in quel Canale fossero allor altre Chiese che quella di Sant'Andrea di Zovello, quella di S. Niccolò di Uvezis, una nella Villa di Forno Avoltri, ed un’altra nel luogo di San Canciano; le quali Chiese venivano ciascheduna assisite da un Monaco del Monistero di Moggio, abitante nella Cella di Gorto.
S. Carlo Borromeo Abate di Moggio.
Tra gli Abati, che per la nobiltà del sangue, e santità della vita illustrassero la Chiesa Mosacense, annoveriamo San Carlo Borromeo, che lasciò molti pegni di sua pia munificenza alla medesima; e dopo di avere con Pastorale sollecitudine visitati i luoghi a quella sua Badia soggetti, fu anche quegli, che con sua lettera spedita da Roma al suo Vicario Abaziale ordinò, che vi fosse solennemente pubblicato il Concilio di Trento, per opera sua ridotto a fine. Conservasi ancor essa lettera nell'Archivio di Moggio.
Arcidiaconato di Gorto.
Nel distretto del Canale di Gorto fin da' tempi antichi risiede un'Arcidiacono, il quale, come primario Ministro, e Vicario foraneo del Vescovo, ha giurisdizione sopra del Clero di quel distretto. A questo presiede nelle sue congregazioni: e secondo il comun diritto ha foro di prima istanza in materia Ecclesiastica. La sua Chiesa Arcidiaconale è quella di Santo Stefano di Cella, e quivi riceve in certi giorni dell'anno dai capi delle Comunità i placiti di cristianità, supplendo con questi le visite Arcidiaconali, che ne' secoli trascorsi si soleano, o si potevano fare tra' i confini del suo distretto a nome del Vescovo. Però chi va insignito di tale dignità, dovrebbe avere, se possibil fosse, secondo gli Statuti Ecclesiastici, la laurea del Dottorato, o essere licenziato in Sacra Teologia, o nel jure Canonico.
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[pp. 154-176]
DEL CANALE DI SOCCHIEVE.
Si estende questo Canale nella nostra Provincia verso l'Occidente, ed ha per confine a levante il Quartier di Tolmezzo, a rnezzodi le montagne di Asio, a ponente il Cadore, ed a Settentrione il Quartiere di Gorto.
Fiume Tagliamento.
Ai confini di questo Canale nella montagna detta Maura, cinque miglia distante sopra la Villa di Forni di sopra, natce il nobil fiume Tagliamento, che precipitando giù per le Alpi pel corso di sedici miglia fino a Socchieve, ivi incomincia a farsi navigabile, e forma il Canale, dal nome di un tal Villaggio appellato di Socchieve. Va ricevendo questo fiume le acque del fiume Decano, che scorre pel Canal di Gorto, quelle del fiume Bute, che fa il canal S. Pietro; e quelle della Fella, che forma il Canal del Ferro. Ricco il Tagliamento delle acque proprie, e dell'altrui, porge ai nostri mercatantì una navigazione assai commoda per condurre le sue Zatte, allestite con tavole, o con lunghi, e ben grossi Larici, Abeti, od altri legni per anco non lavorati, ovunque è il suo destino.
Castelli antichi del Canal di Socchieve.
Gli antichi Castelli di questo Canale erano Invilino, Socchieve, Ampezzo, Forni, Nonta, Feltron, Ravejo, e Somcolle.
Castello d’Invilino, e suoi antichi possessori.
Il Castello d’Invilino stava piantato dove ora vedesi la Pieve d'Invilino, e di esso se ne mostrano tuttora diversi antichi avvanzi. L'anno 1219. era possessore di questo Castello Federico Signor di Caporiaco, che in feudo lo avea ottenuto dalla Chiesa d'Aquileja. Nel medesimo anno essendo eletto a quel Patriarcato Bertoldo figlio del Duca di Merania, ed Arcivescovo di Colocza in Ungheria, insorse contro questo novello Patriarca una fiera guerra. Molti Castellani feudatarj rifiutarono il suo dominio, e tra questi il predetto Federigo Signor di Caporiaco. Per poter adunque questi Signori ſeudatarj contro la fedeltà giurata al loro natural Principe far resistenza al Patriarca, si erano assoggettati con contrario giuramento di fedeltà alla Città di Trevigi, nemica allora della Chiesa Aquilejese; ed ascritti ad essa Città nel ruolo de' cittadini con patti strani, cedette ognuno di essi, e rassegnò ai Trivigiani tutti i Castelli nel Friuli, e nella Carnia soggetti al suo dominio: in particolare poi Federigo Signor di Caporiaco non ebbe riguardo di cedere non solo Tarcento, e Propedo, ma ancor il Castello d’Invilino. E lo stesso fece Artico figliuolo di Odorico Signor di Caporiaco, rassegnando ai Trivigiani il Castello di S. Lorenzo, che nella Carnia avea. Erano seguite molte ostilità a danni della Chiesa d'Aquileja, e vieppiù a darne de' maggiori seguivano i Trivigiani colle loro soldatesche, e con quelle degli alleati Friulani, quando finalmente il Papa Onorio III, commosso dalle preghiere di quel Patriarca mandò l'interdetto ai Trivigiani, ed a' loro confederati; e di più ottenne dal Principe Veneto, dai Padovani, dai Vicentini, e dai Veronesi, che fin a tanto che i Trevigiani, e suoi confederati persistessero contumaci, lor si dovesse negare ogni adito, e commercio. Procurò tuttavia il Santo Padre di sedare qualunque dissensione tra essi, e il Patriarca d'Aquileia, dopo d'avere quelli prima restituiti in grazia, e che alle loro Terre fecero ritorno. Da' Giudici delegati fu tra le altre cose sentenziato, che i Trevigiani non ardissero più in verun tempo ingerirsi nei Castelli, e nelle Terre, che s'estendono dalla Livenza, e dalle montagne fino al mare; e che riconoscer dovessero tutta la Carnia, e il Friuli per il dominio del Patriarca d'Aquileja; e con cio fu restituita la pace. Il Patriarca richiamò i ribellati Castellani; ed avendo resa loro ogni cosa, altresì restituiti furono i Castelli d'Invilino, e di San Lorenzo ad Artico, ed a Federigo di Caporiaco. Questi, ed altri Castellani confederati prestarono al Patriarca il giuramento di fedeltà, essendo presente fra gli altri in gran numero portatisi a tale atto solenne, Popone Preposito di S. Pietro di Carnia.
In tempo poi del Patriarca Raimondo della Torre possessori erano del Castello d'lnvilino Dittalmo di Caporiaco, e Federigo suo figlio. In pietra di marmo posta nella facciata di quell’antichissima Chiesa Matrice d'lnvilino vedesi ancor lo Stemma gentilizio de' Caporiaci. Ma dopo questi essendo devoluto quell'antico Feudo alla Sede Patriarcaie, Artico Signor di Castelliero, prestato prima il solito giuramento di fedeltà, quello impetrò dal detto Patriarca l'anno di Cristo 1281, avendo nello stesso tempo dato e ceduto al medesimo Signor Patriarca la montagna tutta d'Invilino dalla sommità sino alle radici di essa. Nel seguente secolo ebbero in feudo detto Castello Asiberto, Ermanno di Carnia, Fraduzone, Cumano, Voldarico, Giacopo, Milano, ed altri. Il detto Signor Ermanno di Carnia ebbe in feudo d'abitanza quel Castello d' Invilino dal Sig. Pagano della Torre, ed in simile feudo d'abitanza lo ebbe altresì dal Signor Patriarca Beltrando, promettendo al medesimo di aprirlo in ciascun tempo di pace, e di guerra: e di ciò fece instrumento Gabriella Notajo di Gemona. Erano molti a que' tempi i feudatarj d'abitanza; etali si chiamarono come osserva il Sig. Liruti, qualor davasi loro a custodite, ed abitare qualche Castello con Terra d'intorno; a differenza de' ſeudatarj Ministeriali, a cui davansi in feudo i Castelli, e Terre coll'obbligo di servire al lor Principe in quello, o in quell’altro ministero. Così Gonetto Sig. di Osoppo, Ministeriale del Patriarca Gregorio di Montelongo l'anno 1258 fu investito a feudo retto e legale di tutto ciò, che Dittalino Sig. di Caporiaco, e la di lui Masnada aveano nel territorio della Villa d'lnvilino, eccettuati però il monte, e il Castello d'Invilino. Tale investitura sarà stata di 25 campi, porzione destinata a ciascheduna Masnada, che volgarmente Massaría or appelliamo.
Del Castello di Socchieve.
Segue il Castello di Socchieve, che stava situato dove al presente è la Pieve di tal nome, detto Monte di Castoja, facilmente dalla voce corrotta di Castello. Si numeran molti de' suoi Castellani, cioè Rocio dell'anno 1240, Lamberto del 1262, Armoldo del 1264, e Riccardo, che nel 1281. avendo spontaniamente e liberamente rassegnato ai Patriarca Raimondo la sua parte di detto Castello, e del Villaggio aggiacente, di essa fu investito Stefano parente di detto Riccardo . Di poi furono Bertoldo, Savaristo, Norado del 1287, Otusio del 1294, Enrico di Zegliaco del 1300, Corrado, Anzelotto del 1311; Diermano del 1323, Pellegrino de Tuscis del 1324, e quel Roberto, che come complice della congiura tramata contro il Patriarca Niccolò nell'assedio del Castello di Luincis, venne decapitato l'anno 1351.
Di Ampezzo.
Il Castello di Ampezzo giaceva nella sommità di un Colle, chiamato oggidì il Chiastellat, circa un miglio distante dal Villaggio di Ampezzo verso Forni Savorgnano: dove veggonsi ancor i suoi vestigj.
Di Forni.
Signori del Castello di Forni furono del 1277. Diopoldo, Francesco, Raimondo; del 1330 Bortolommeo, e Zuffone; del 1331 Sturido; e nel 1337 fu quel Castello acquistato da Ermano Signore di Nonta per Ettore Savorgnano.
Di Nonta.
Il Castello di Nonta giaceva sulla sommità di un Colle a mezzodì della Villa di Nonta; ed i suoi Feudatarj, o abitanti Castellani furono Enrico, detto Lovato di Nonta del 1297, Candido che morì in Gemona l'anno 1305, Volrico, Uricio, Valterucio del 1313, Valentino di Nonta, che l'anno 1330 abitò in Gemona, Niccolò, che l'anno 1340 mori in Tarcento, ed Ermanno, che in detto anno cogli altri Consorti del Castello di Nonta vende al Patriarca Beltrando la parte dei Feudi, o sia Armanie, che avea nei Villaggi di Cercivento, e di Paluzza. Nell'anno 1380 furono Valterio, e Valteruccio: questi con altri Consorti di Nonta contribuirono molto colle loro limosine ad accrescere una parte di fabbrica nel Chiostro contiguo alla Chiesa di Sant’ Antonio di que' Padri allor Conventuali di S. Francesco di Gemona. Cìò appare dalla Iscrizione che leggesi scolpita in quel Chiostro in Lapida a caratteri di quel secolo.
MCCCLXXX. Hoc. Opus. Dormitorii.
Factum. est. de bonis. infra. Scriptorum.
Dominorum…. Scilicet. Domínum. Gulielmum. q. Jacomini… Dominos. Valterium & Valterucium. cum omnibus de Nonta.
Di Feltrone.
Del Cadtello di Feltrone si numerano altresì diverse famiglie, che furono nel 1277 fino al 1354, nel qual anno arrivò in Gemona Carlo IV. Re de' Romani colla sua moglie, e da Gemona si portò in Udine, mentre andava a Roma per ricever la Corona Imperiale. Fu accompagnato da suo fratello Patriarca Niccolò, e da molti Nobili, tra' quali era Gerardo Sig. di Feltron di Carnia, che in quel tempo abitava in Gemona.
Di Ravejo.
Il Castello di Ravejo esisteva vicino al Villaggio di Ravejo, dove già un secolo furon rinvenute medaglie non poche d'Imperatori Romani, di rame, e d'argento.
Di Somcolle.
Per fine il Castello di Somcolle, che vogliono, fosse dove ora è il grosso Villaggio di Lauco, dicesi essere stato da molte famiglie nobili abitato dall'anno presso 1260 fino al 1337.
Pievi soggette al Quartier di Socchieve.
Vanno soggette al Quartier di Socchieve le Pievi d’Invelino, di Enemonzo, di Socchieve, e di Ampezzo.
La Pieve d'Invilino ha sotto di sé Invilino, Villa, Esemon di sopra, Trava ove con frequenza di divoti si venera un'antica immagine della B. Vergine; indi le Cure di Avaglio, Lauco, e Vinaj; dai quali abitanti di Vinaj si spaccia grande quantità di Bovoli per la stagione della Quaresima.
La Pieve di Enemonzo ha sotto di sé Enemonzo, donde sono originarj i nobili Signori Conti Garzolini; Quiniis, Esemon di sotto, Majaso, Colza, Freisis, e Ravejo, ove nacque Silvestro Noselli, il quale molto si distinse in pittura ai giorni nostri.
Ospizio di Ravejo.
Sopra il Villagio di Ravejo verso i monti in sito di bellissima veduta, ameno ed allegro, è stato eretto in questo secolo presso una Cappella della Madona un Ospizio di Eremiti, stato fondato da un Benefattore di quel Villaggio con un pio Legato, a cui unindosi certe limosine disposte a quell'Ospizio da altri Benefattori, con qualche questua annua, hanno i medesimi il lor congruo sostentamento per vivere in conformità del loro instituto. Vestono questi Eremiti l'abito de' Padri Conventuali di S. Francesco.
Ville in Carnia distrutte dalla peste.
Nelle pertinenze della Pieve di Enemonzo numeravasi anche la Villa di Pani, che più non v'è: ora in quel luogo di vasta estenzione sono varie case di coloni. E’ da credersi, che la mortifera pestilenza, che verso l'anno 1400 miseramente si ampliò fino a questa contrada della Carnia, e che di viventi privò le Ville intiere, vuote di abitatori abbia rese la Villa di Pani nel Canal di Socchieve, le Ville di Ambuluzza, e di Confinella nel Canal di Gorto, e la Villa di Costa nel Canale di S. Pietro. L'anno 1300. Enrico Signor di Zegliaco, oltre una porzione del Castello di Socchieve, avea in feudo due mansi nella Villa di Pani.
La Pieve di Socchieve ha sotto di sé Socchieve, Priuso, Lungis Vias, Nonta, Midiis, Feltron, e Dillignidis. Eravi soggetto a questa Pieve anche il Vilaggio di Preone situato di là del fiume Tagliamento: avendo però quegli abitanti il più delle volte intransitabile esso fiume, onde intervenire alla Pieve di Socchieve, già anni sono, con Sovrano Decreto hanno ottenuto di far Parrocchia separata, e di emanciparsi da quella di Socchieve.
Villa di Buarta subbissata.
Numerava cotesta Pieve tra suoi Villagi anche la Villa di Buarta, che più non esiste. L'anno 1692 li dì 15 e 16 Agosto fu una inondazione sì terribile nella Carnia, che ne mise la maggior parte sossopra. Due giorni e due notti continue fu tanta, e sì furiosa pioggia, che parea, fossero aperte le cattarratte del Cielo, e gli abissi della terra. Scaturirono fonti, dove pria non erano, e col tuonare tremò la terra: perloché entrò spavento tale negli uomini, che molti credettero essere già arrivata la fine del mondo. Frà i molti danni apportati al paese, deplorabile si fu quello della Villa di Buarta; poiché a mezza notte rovesciatosi una intiera montagna sopra quel Villaggio, lo seppelì con le case tutte, persone ed animali, e ad un tempo chiuse il corso al fiume Tagliamento, che sotto gli scorre; a segno tale che non potendo l'acqua aver libero il corso, formò un Lago che comprese lungo tratto di quella valle con gran terrore de' popoli convicini, i quali dubitando, che la furia dell'acqua non rompesse l'opposto argine, ed inondasse tutto l’aggiacente Canale di Socchieve, già si disponevano a rifugiarsi sopra i monti; ma coll'ajuto di Dio cessò il terrore, avendo il fiume fatta una picciola rottura nella sommità dell’argine, per cui poi ripigliò il solito corso.
Ampezzo Veneto, e sua antichità.
Segue la pieve di Ampezzo, che ha sotto di sé Ampezzo, grosso Villaggio, Voltois, ed Oltris. Il nostro Ampezzo Veneto, diverso da Ampezzo Imperiale, anticamente si diceva Ampox, che in lingua Cimbrica significa Incudine. E da ciò si potrebbe forse raccogliere che Cimbri di origine sieno quei Villaggi, che giaciono nelle Saurie lungo le Alpi Giulie. Certo è, che in questa nostra età medesima avendo i curiosi mandato in Danimarca, e nella Svezia a confrontare buon numero de' nostri vocaboli, e di quei delle Saurie, sono stati ivi approvati per Cimbrici. Il sudetto nostro Ampezzo è rinomato nelle carte più antiche che si abbiano negl'Archivj del Friuli. In una carta di Fondazione della Badia di Sesto troviamo, ch'Ersone, Antone, e Marco, tre Fratelli, e figliuoli, come credesi, di Pietro Duca del Friuli, fondarono due Monisteri, uno in Sesto per li Monaci di San Benedetto, e l'altro in Salto in riva al fiume Torre per le Monache di quell’Istituto; e fra le molte rendite, che a detti due Monisterj assegnarono in patrimonio, lor donarouo. Casas in Carnia in vico Ampitío. E tal donazione fu fatta l'anno 762. Regnando in Italia Desiderio, e Adelgiso, e reggendo la Sede d'Aquileja il Patriarca Sigualdo. L'anno 1260 il Patriarca Gregorio di Montelongo investì Giovita figlio del q. Domenico d'Ampezzo di un Manso situato nella Villa di Oltris ad affitto Aquilejese coll'obbligo di pagare annualmente alla Chiesa di Aquileja quattro dinari di quella moneta nella Festa della Natività del Signore.
Nacque in Ampezzo il Sig. Ab. Giovan Pietro della Stua, Socio dell'Accademia di Udine. L'anno 1769. pubblicò colle stampe di Udine la Víta di S. Oswaldo Re di Nortumberland, e Martire, colla Storia del suo culto. La Vita della B. Elena di Udine. Venezia 1770. per il Bettinelli Memorie del Rev. Padre F. Basilio da Gemona. Udine 1775. per li Mureri. L'an. 1775. Memorie per servire alla storia di S. Anselmo Duca di Cividale del Friuli. L'an. 1781. Notízie Storiche e Critiche intorno l'antico Monistero, detto anche la Cella, di Gemona nella N. Raccolta Mandelliana To. XXXIV. XXXVI. XXXVII. Disertazione intorno Fortunaziano Vescovo di Aquileja ivi To. XXXVII. Disertazione intorno il Concilio, di Altino, ivi To. XXXVIII. E la Vita di S. Paulino Patriarca di Aquileja Venezia 1782 per il Baseggio. Tiene presentemente il posto di Segretario di Monsignor Gian-Girolamo Gradenigo Arcivescovo di Udine.
Santuario di Sauris.
Discosta sette miglia da Ampezzo in sito montuoso è la Pieve di Sauris, che contiene Savris Superiore, dov'è la Chiesa Parrocchiale, e Sauris inferiore, ove vedesi il celebre Santuario di Sant'Oswaldo Martire Re di Nortumbria. Quivi si conserva la preziosa Reliquia dell'Osso del dito pollice di esso Santo; e si ha per antica tradizione, che detta Reliquia sia stata portata nella Villa di Sauris da un Soldato Carno. S. Paolino Patriarca d'Aquileia nell'anno 796 fece un prezioso dono di Reliquie a S. Angilberto Abate di Centula, tra le quali vi era ancor quella di Sant'Oswaldo Re di Nortumberland. Ciò accadé in occasione che il S. Abate andava Ambasciatore di Carlo Magno a Leone lII. Partendo egli da Aquisgrano, dove risiedeva l'Imperatore colla sua corte, e venendo in Italia, torse il cammino, e passò a visitare il suo grande amico S. Paolino. Compiuta la sua Ambasceria, e fatto poi Abate, depositò la detta Reliquia con le altre nel suo Monistero Centulese di S. Ricario in Picardia nelle vicinanze di Abavilla. E da quì si può raccogliere quanto antico sia, e celebre il Santuario di Sant’Oswaldo. Per mezzo di questa Sacra Reliquia ha operato Dio e opera continuamente molti miracoli a favore di quelli che nei loro urgenti bisogni invocano Sant'Oswaldo. Chiare prove sono le tabelle votive appese d'intorno alle Sacre pareti di quella Chiesa, indicanti le molte grazie ottenute. Quivi ogni anno in gran numero, e massime in tempo d'estate, anche più di cento miglia lontani, da Venezia, da Padova, Vicenza, Treviso, e da molte altre parti si portano i divoti a visitar quella Chiesa, e prosciogliere i lor voti, benché per arrivarvi debbano fare più miglia di strada erta, montuosa, e di difficile cavalcatura. I Patriarchi secondando la divozion de' Fedeli, ne accrebbero anch'essi la celebrità. Troviamo registrata memoria nel 1515. che Daniele de Rubejs Vescovo di Caorle, mentr'era Vicario Generale di Domenico Grirnani Patriarca d'Aquileia nella Visita Pastorale che fece per la Curia, concede alla Chiesa di Sant'Oswaldo in Suaris per varii giorni dell'anno la indulgenza di cento quaranta giorni, saggiungendo nella Bolla, che in detta Chiesa Sant. Oswaldo Opera cotidianamente ineffabili miracoli a prò di tutti quelli che per le loro infermità a lui ricorreranno divotamente. Monsignor Carlo Co: Camucio, mentr'era ancor Arcidiacono di Tolmezzo, volendo accrescere di nuovi tesori celesti quel Santuario, procurò poscia, ed ottenne dal Sommo Pontefice Benedetto XIV. l'anno 1750 l'Indulgenza plenaria perpetua da acquistarsi da qualunque Fedele, che anderà in qualunque giorno dell'anno a visitare il detto Santuario, e che confessati Sacramentalmente, e comunicati avranno ivi pregato secondo l'intenzione della S. Madre Chiesa.
Gli abitanti di Sauris, benché discosti d'ogni intorno da' confini della Germania, parlano la lingua Tedesca o più tosto Cimbrica ed il lor curato dee per necessità essere pratico di tal linguaggio. Si vuole da alcuni, che questi popoli sieno reliquie degli antichi Cimbri, che rotti da Quinto Catullo si rifugiarono in queste rimote parti delle Alpi, che Saurie si appellano, e vi furono dai vittoriosi Romani lasciati tranquilli, come di sopra si è accennato. I cavalli che nudriscono, riescono assai forti per uso del paese; ed il miglior prodotto di quell’alpestre campagna si è la fava.
Forni Savorgnano, e sua antichità.
Ai confini del Canal di Socchieve è Forni Savorgnano, ch'è bensì nel continente della Carnia, ma non è territorio giurisdizionale di Tolmezzo, essendo esso soggetto alla Giurisdizione della nobile Casa Savorgnana. Ne fu investito di tale Feudo Pagan Savorgnano nel 1370 dal Patriarca Marquardo. E’ diviso in due Villaggi, e due Pievi, cioè di Forni di sopra, e di Forni di sotto, ove nella Parrochial Chiesa si venera il Corpo di S. Celestino Martire. Uno di questi Villagj, già dieci secoli sono, cioè l'anno dell'Era Cristiana 778, fu dato in dono alla Chiesa della Badia di Sesto da Masselione Duca del Friuli; e lo ricaviamo da Carta di Donazione, che trascritta dal Sig. Liruti non sarà discaro, che quì io la riporti.
In Nomine &c. Regnante Domino Excellentíssimo Domino nostro regi Carolo, ex quo Austria praeoccupavit anno secundo de mense Januario per Indíctione prima feliciter. Domina nostra, & ad me cum timore, adque tremore nominanda beata Sancta Maria genitrice Domini nostri Jesu Christi. Ego Masselio prestante Domini misericordia Dux, si mereor donator & offertor vester do, dono, atque offero predicta Sancta Ecclesia sita in loco Sexto, seu vobis Beato Abbati &c. Monachis &c. Villam unam, que sita est in montanis quae dícitur Forno &c.
Ego Orsus Notaría jussus a domno Masselione Dei adjutorio Duce hanc paginam &c. scripsi, & subscripsi &c.
L'anno 1254. il Patriarca Gregorio di Montelongo investì a feudo retto e legale, Ruggeri di Milano, stato suo Portinajo, di sette Mansi e mezzo, posti nel Territorio di Forni. Un Manso da nostri antichi era limitato a venticinque Campi: laonde l'investitura di cotesto Ruggieri estendevasi a 187 campi e mezzo di terra, che egli possedea in Forni. L’anno poi 1255 Arrigo Signore di Mels era possessore del monte, sopra cui giaceva quel Castello di Forni; e del medesimo fece dono all’antidetto Patriarca Gregorio.
Stoffe di Socchieve.
Si distingue questo Canal di Socchieve specialmente nella manifattura delle Stoffe di stoppa insieme e lana, di cui se ne fa grande uso nella Carnia, nel Friuli, ed altrove, dal basso popolo: abbonda di tessitori opportuni al lavoro di tele, e di esse stoffe.
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[pp. 176-218]
DEL QUARTIERE DI TOLMEZZO.
Quartiere di Tolmezzo, e suoi antichi Castelli.
Il Quartiere di Tolmezzo ha per confini a levante il Canale d'Incarojo, che va compreso nel suo Distretto, a ponente quel di Socchieve, a settentrione quel di S. Pietro, ed a mezzodì guarda il Friuli. I suoi antichi Castelli erano Tolmezzo, Cavazzo, Verzegnis, S. Lorenzo, ed Ilegio.
Sopra colle elevato che soprasta a quella Terra, come di presente vedesi dalle sue diroccate mura, ergeasi il Castello di Tolmezzo.Oltre l'essere esso stato di bella, e forte situazione, era di grandiose mura con un'altra Torre fortificato; e serviva di stanza ed abitazione al Patriarca d'Aquileja, qualor portavasi in cotesta Provincia; e veniva percio custodito da' suoi Gastaldi.
Di Cavazzo.
Il Castello di Cavazzo stava situato ove ora è la Pieve dí quel luogo, alquanto sopra al lago di Cavazzo: prova ne fanno e le lapide, e le medaglie antiche Romane ritrovate da' pastori, che il lor bestiame guardavano all'intorno dello stesso lago, tra le quali rare medaglie una era d'Oro colla effigie di Giustiniano Imperatore, ed un'altra di Bronzo, in cui da un lato l’effigie di C. Ponzio Catone, dall'altro quella di Calfurnia figlia di Lucio Pisone vedeansi espresse.
Di Verzegnis.
Dal Castello di Verzegnis altra notizia non ho, sennonché fosse nel luogo ora chiamato del Castello, e che nel 1323 erano suoi possessori un Sig. Zuito di Verzegnis ed un Zanino.
Di S. Lorenzo.
Il Castello di S. Lorenzo era piantato ove giace la Pieve dedicata allo stesso Santo; ed ivi vedonsi ancora molti avvanzi, di quell'antico Castello. Dittalmo di Caporiaco, e Federigo suo figliuolo possessori erano di questo Castello; ma, come antico Feudo, essendo esso devoluto alla Sede Patriarcale, Artico di Castello, prestato prima il solito giuramento di fedeltà, quello impetrò dal Patriarca Raimondo della Torre l'anno di Cristo nato l 281.
D’Ilegio.
Per fine quel d'Ilegio, detto Legium nel Canale d' Incarojo esisteva in vicinanza alla Pieve di San Floriano. In tempo del Patriarca Ottobono verso l’anno 1306. il Castello d'Ilegio restò del tutto incenerito dal fuoco casualmente appicatovi, o a bello studio, come molti sospettarono: e pochi anni dopo, avendo Ludovico d’Ilegio ceduti molti de' suoi Beni al Capitolo di S. Pietro in Carnia, esso Ludovico insieme con Federigo figlio di Ermanno d'Ilegio, ed Everando figlio di Enrico di Luins si portarono ad abitare in Cividale del Friuli, dove furon ascritti fra que' nobili Cittadini.
Accrescimento della Terra di Tolmezzo.
Dalle rovine di Giulio Carnico, e dei distrutti Castelli della Carnia è fama che si fosse accresciuto di fabbriche, e quindi di abitatori, Tolmezzo, così chiamato da alcuni per essere vicino al fiume Tagliamento, in latino detto da moderni Tulmentum, ma da altri Tilaventum, e Tíliaventum. Se di Tolmezzo vi fossero antiche memorie nei Geografi, o negl'Itinerarij, si potrebbe gìuocare ad indovinare. Piuttosto crederei col Sig. Valvasoni, che Tullo Mezio, il qual venne, come leggesi, colla seconda Colonia Romana nel Friuli, gli avesse dato il nome, sicome quegli che stato mandato fosse alla custodia di quei passi: oppure che nel dividere il paese, a lui fosse stato consegnato quel territorio, ed indi da esso, o da altri in onor suo fosse fabbricato Castello, o Terra col nome di Tolmezzo; accresciuto poscia di mano in mano per occasione specialmente de' sopradetti Castelli della Carnia, che l'anno 1351. atterrati furono d'ordine del Patriarca Niccolò per punire i Castellani a lui ribelli.
Giurisdizione de’ Tolmezzini sopra la Provincia della Carnia.
Desiderando dopo tale strage questo Patriarca di provedere alla salvezza della Carnia, che per la desolazione de’ Castelli, i quali aveano la giurisdizione sopra molte ville di questa Provincia, ben conosceva aver bisogno di molte regolazioni, si portò in Tolmezzo dove essendosi trattenuto alquanti giorni, esperimentò la fedeltà di que' Cittadini verso di lui, e della Chiesa Aquilejese (di che egli stesso lasciò attestato con sue pubbliche lettere) perciò per farne ad essi provare il premio del singolare lor ossequio, ed affinché quella Terra a comune vantaggio fosse accresciuta, e fortificata contro le incursioni nemiche donò per anni venti alla Comunità di Tolmezzo tutte le gabelle e censi tanto in detta Terra, che nella Provincia dovuti alla Chiesa d'Aquileja; con questo patto però che servir dovessero per istabilire le mura, di cui è circondata la Terra di Tolmezzo, e già incominciate sotto il Patriarca Raimondo della Torre, onde fortificare essa Terra. Né ciò bastò. Riflettendo egli alle disperse Giurisdizioni di tutta la Provincia determinò di unirle tutte in una, e così concedé alla predetta Comunità il governo di essa Provincia. Decretò in oltre, che veruna lite, la qual eccedesse la soma di dinari otto Aquilejesi, cioè sette lire e quattro soldi di moneta Veneta, decider non si potesse da alcun altro in Carnia, che da' suoi Gastaldo, e Giudici, la elezione de' quali lasciò in arbitrio; istessamente decretò in materia di processi civili, e criminali, come diffusamente il tutto costa dal suo Diploma. Con sì eccellente liberalità guadagnati gli animi de’ Tolmezzini, videro questi essere stato loro addossato dal munificentissimo Prelato un'incarico onorevole bensì, ma gravoso, a dover cioè presiedere a tante migliaja di uomini, di cui è numerosa la Carnia: per ciò si prefissero di porre leggi prima a sé stessi, indi di capitolare e decretare tutti i punti aspettanti all'ordine del ben vivere. Furono dunque creati da principio sei Consiglieri, ed a questi ne fu commessa la potestà di rivedere e di correggere, qualunque volta fosse d'uopo, gli statuti confacenti al modo di ben governare: i quali statuti poi furon ridotti a quel metodo che di presente vedesi, e furono ancor approvati dal Consiglio, e dallo stesso Prelato. In seguito furono eletti venti Consiglieri del numero de' Cittadini, a quali fu commesss l'amministrazione della Terra, e di tutta la Giurisdizione; e se uno mancasse di vita, fu stabilito, che nel seguente giorno di conferenza, ch'è il dì 31 di Dicembre, un altro si costituisse in luogo del morto colla pluralità de' voti da quei del Consiglio. Ma affinché il vincolo di consanguinità in sì picciol numero non pervertisse alle volte il retto ordine di governare, fu decretato, che due fratelli di una medesima famiglia, vivente l'uno e l'altro, non si potessero eleggere in Consiglieri. Poscia ch'ebbero fatti tali Statuti, diedero mano a stabilire le mura ed a fare attorno di esse la sua circonvallazione. Inoltre eressero una Torre nel monte che soprasta ad essa Terra, la quale le serviva di specola, ed a nostri giorni veggonsi i rimasugli di essa Rocca.
Ma privilegi più ampli furono concessi a quella Comunità dal Patriarca Giovanni, allorché l'anno 1392. questi portossi in Tolmezzo. Era Giovanni figliuolo di un Duca di Moravia, e fu sostituito a Filippo d'Alanzon nella dignità Patriarcale, perilché come seppero i Tolmezzini essere lui creato Patriarca, spedirono per Ambasciatori due loro Concittadini, Giovanni Bertoldo, e Cristoforo Marco fino in Moravia a congratularsi seco lui della nuova Dignità. Furon essi con molta cortesia, e magnificenza, dal Patriarca accolti, riportando di colà promesse grandi di voler il Patriarca ingrandire e nobilitare la Terra di Tolmezzo: le quali promesse adempì interamente tosto che entrato nel Friuli andò al suo Patriarcato; poiché volendo condecorare la Terra e Comunità di Tolmezzo, la instituì Capo e Metropoli di tutta la Carnia, ed oltre le altre Insegne di essa Comunità le concedé una Croce bianca in campo azzuro con l'orlo vermiglio. La elesse in oltre conciliatrice di tutto quel popolo, qualunque volta avvenissero dissensioni: le attribuì il privilegio del voto ne' Parlamenti tra le altre Comunità: le diede il mero e misto imperio colla piena potestà del gladio, come vedesi in pubblico Diploma; ed ordinò, che il Gastaldo, e ‘l Consiglio di Tolmezzo contro qualunque persona, nessuna eccettuata, anche nei casi enormi, avesse piena podestà di sentenziare a vita, ed a morte, e che liberamente, e senz'appello assolver potesse gl'innocenti, e col giusto castigo punire i rei. Aggiunse di più, che niuno ardisse di chiamare in giudizio alcuna persona soggetta alla Comunità avanti ad altro magistrato, fuorché ai Giudici di Tolmezzo; salva però l'appellazione alla sede Patriarcale, e al di Lei Vicario Generale. Concedé parimenti facoltà alla Comunità medesima di ricettare nella Terra, e di difendere da ogni molestia i banditi colpevoli di qualunque delitto, eccettuati però gli omicidj commessi nella Città d'Aquileja, ed i delitti di eresia, di tradimento, d'incendio, di Sacrilegio, di parricidio, di veneficio e di manifesto assassinio o ladrocinio: rinnovò altresì i mercati stati ommessi, e che secondo l'antica consuetudine si faceano per settimana, col levare la pensione de' Dazj; e per fine accordò alla Comunita molti altri distinti favori, che per brevità si tralasciano.
A Giovanni succede nel Patriarcato Antonio da Gaeta nato d'illustre stirpe. Questi avendo osservati i Privilegj stati concessi alla Comunità Tolmezzina, non solo approvolli in tutto, ma inoltre perché per Legge municipale in materia di confini, e di diritti di donne davasi elezione all'attore di presentarsi o al Giudice primario, o al Vicario Generale, con particolar privilegio ordinò, che nessun di Tolmezzo, o della Carnia, neppur ne' casi sopradetti, potesse agire per Giustizia avanti altro Tribunale che avanti i Giudici di Tolmezzo. Sì grande inolrre fu la sua benevolenza, verso de' Tolmezzini, ch’essendosi egli portato in Napoli per trattare sopra certi affari di quel Regno, e per servirsi nello stesso tempo del rimedio de' bagni per guarire dalla podagra, vollé con tutta gentilezza renderli consapevoli dello stato e salute sua, e raccomandare loro la custodia della Patria, come ampiamente vedesi da sua lettera spedita ai Tolmezzini dalla sua Terra di Piemonte li 2 Maggio 1401.
ln tal guisa disposti erano i nostri Patriarchi a condecorare con illustri prerogative e privilegj la Comunità di Tolmezzo. ll Patriarca Raimondo della Torre fu egli primo ch'esercitò verso di essa nell'anno 1291 la sua liberalità, concedendole il Dazio di tutte le cose vendibili in detta Terra, che per l’innanzi non ebbe tal sorta di diritti. Perlocché nella sommità dell'antica porta inferiore e superiore di essa Terra veggonsi scolpiti una Torre, e scettri, Stemma antichissimo della famiglia Turriana: il che i Tolmezzini fecero per gratitudine del benefizio ricevuto, ed in monimento della lor osservanza verso la casa della Torre. Come però ebbero i Tolrnezzini questa prerogativa de' dazj e gabelle a loro, arbitrio e disposizione, così della rendita di queste servironsi allora per circondate la sua Terra di mura, e fortificarle con Torri, Fosse, e Palanche all'uso di que' tempi; indi per mantenere un corpo di numerosa milizia al suo stipendio nelle occorrenze, oltre quella del paese e de' suoi Cittadini, per difesa propria, e de' suoi Collegati; inviare Ambasciatori ovunque richiedeva il bisogno; e per fare forti ripari lungo il fiume Bute, oltre altre spese ordinarie di quella Comunità.
Il suo Governo politico in que' secoli, e fino al tempo del soave Dominio, sotto il quale per grazia del Cielo vive, fu intralciatissimo per le molte brighe e contrasti bellici ch'ebbe ad incontrare per la difesa sua, e de' suoi Collegati, dovendo la Comunità pensare e provedere al modo di tenersi forte col difendersi in caso di guerra e colla buona condotta acquistarsi la pace e in essa mantenersi.
Alcuni fatti considerabili in guerra de Tolmezzini.
Circa l’anno 1353, vivente ancora il Patriarca Niccolò, fu recata lettera ai Tolmezzini di Guidone Abate di Moggio, che ad essi dava parte, essere venuta la Fanteria de' Venzonaschi per saccheggiare la sua Giurisdizione, e che già aveano assediata la Rocca, e la Badia istessa. Erano sudditi allora i Venzonaschi de' Duchi d'Austria; perciò giudicarono i Tolmezzini, amici dell'Abate, non doversi ommettere tale pugna, massimamente sapendo, che l'Abate era intimo famigliare del Patriarca. Raccolto dunque un non disprezzabile numero di soldati, senza ritardo si portano in soccorso dell'Abate; ma avuta ch'ebbero i Venzonaschi notizia del loro arrivo, ritirano di notte tempo gli accampamenti, e senza poter altro fare, in Venzone se ne ritornano.
Allorché il Cardinale Filippo d'Alenzon pervenne nel Friuli, congregò in Gemona un Parlamento; dove fece legger un Breve Pontificio per essere riconosciuto legitimo Patriarca di Aquileja. Furono molti di quel Congresso, che aderendo alla opinione degli Udinesi protestarono di non riconoscerlo per Patriarca, quando egli non avesse stabilito di deporre la Cardinalizia dignità, per essere questa in que' tempi, a lor detta, incompatibile colla dignità Patriarcale d'Aquileja. Il rimanente però de' Parlamentarj aderì alla istanza di Filippo, e fra questi furono i Nunzi della Carnia. Gli Udinesi coi loro Collegati vollero difendere le ragioni loro colle armi alla mano; perciò assoldato avendo buon numero di milizia, di cui diedesi il comando a Federigo Savorgnano, e venuti a battaglia colla fazione Patriarcale comandata dal Cavallier Niccolò di Spilimbergo; ebbero gli Udinesi la prima vittoria. Per tal buona sorte si avvanzò il Savorgnano all’assedio di Gemona, che dopo lunga resistenza si arrese; indi si portò verso Tolmezzo, dove risiedeva Cambio nativo di detta Terra, molto interessato per la parte del Patriarca. Al primo avviso dell'arrivo del Savorgnano Cambio si rinserrò col presidio di buon numero di soldati della Provincia, e si preparò alla difesa. Resisté con molto coraggio a varij assalti, e già avea fatto credere impossibile l'acquisto; ma gli voltarono le spalle i proprj Concittadini, dai quali fu a tradimento per essere condotto al Savorgnano. Entrato questi nella Terra corse colla spada alla mano per cogliere il Gastaldo, che ritiratosi a salvamento nella Rocca sopra Tolmezzo, non poté essere sforzato alla resa sennon colla capitolazione, che fosse permessa la uscita alla sua milizia col suo bagaglio, mentre passava a fermarsi nella vicina Carintia, donde poi ritornò in Tolmezzo, seguita che fu la pace.
L'anno 1401, essendo i Fiorentini con molesta guerra oppressi da Galleazzo Visconti Duca di Milano, chiamarono in lor soccorso Roberto Duca di Baviera, stato poco fa innalzato all'Imperio, cassato Venceslao di Boemia; e patteggiarono di esborsargli grossa somma di dinaro, tostoché arrivato fosse al Lago di Garda: il qual patto Roberto di buon grado accettò. Mentre dunque il Re era in viaggio, e deliberato avea di condurre parte delle sue truppe per le Alpi Carniche, sentì essere i Tolmezzini in timore, che a lor danno da colà venisse l'esercito, ed aver essi perciò di forte presidio di soldati munito il Monte di Croce, e gli altri passi di dette Alpi, ond'è la strada di arrivare nella loro Provincia. Pertanto avendo spedito con lettera un Corriere, caldamente fece istanza ai Tolmezzini, che libero fosse lasciato il passo al suo esercito, mentre era per transitare per la Provincia della Carnia, senza recarle alcun danno. A far fede di ciò, inserire quì ho voluto detta lettera.
Roberto per la Grazia di Dio Re de' Romani sempre Augusto.
Onorandi Diletti.
Poiché parte delle genti nostre, che ancor indietro si trova, desiderando di seguirci ha stabilito d'intraprendere la sua marcia per la 'Terra e Dominio vostro, perciò vi preghiamo, ed attentamente desideriamo, che voi permettiate cavalcare le prefate nostre genti per la Terra e Dominio vostro, ordinando per le medesime, qualora saranno presso di voi le vettovaglie e spese pel soldo contante: il che facendo, ci dimostrarete una singolar compiacenza, significandovi che noi pure con le predette nosttre milizie ordinatamente passeremo per la predetta Terra e Dominio vostro senza darvi alcun notabile danno.
Datta in Raicheldorf nel giorno di San Martino Vescovo l'anno del Signore 1401, del nostro Regno II.
I Tolmezzini, ricevuta ch'ebbero questa lettera, giudicando esser cosa stolta il rivolgere contro di sé l'impeto e le forze di sì grand’esercito, data e ricevuta similmente la fede, ammisero per la loro Provincia, e fuori delle mura della Terra le Reggie truppe, le quali accolte da per tutto con cortesia e liberalità, senza offender alcuno tennero la intrapresa strada dietro a Roberto. Ma nel ritorno che fecero al lor paese pigliarono altra via; poiche avendo Roberto attaccata la battaglia colle milizie di Galeazzo al Lago di Garda, il suo esercito restò vinto, e disfatto: da colà ritirossi prima in Trento, indi in Germania.
Coreva l'anno 1402, quando dal Sommo Pontefice Bonifacio IX il Patriarcato d'Aquileja fu conferito al suo diletto Vescovo di Concordia Antonio Pancera Prelato di cospicue qualità, dalla cui nobile stirpe derivano i Conti di Zoppola. Fu questi eletto prima da' canonici Aquilejesi, e desiderato dalla maggior parte della Provincia; ma l'ambizione forse di molti Castellani del Friuli, che con invidia scorgevanlo levato a quel posto, e che poi trassero al loro partito molte Comunità, fra le quali ancor quella di Tolmezzo, fece sì, che varie pretensioni si rinnovassero, per le quali poscia vennesi alle armi. In tale incontro i Conti di Prata, ed i Terrazzani di S. Vito ricevettero da' Tolmezzini loro alleati, in vigore del giuramento prestato, milizie di soccorso per poter con esse non solo respignere le forze de' nimici, ma ancor assicurarsi che lor non venisse recato danno. Passò poi poco tempo, che Tolmezzo fu preso da' Tedeschi dopo il Castello di Botisgnano nel Cadore, usando essi da per tutto ogni sorte d'inumanità sin contro Donne, e fanciulli. Niccolò Bolani, che avea la Cura del Castello di Tolmezzo, intimorito dalle loro minaccie, lo rese a patti, ed il simile fecero quelle della Terra, ma per poco tempo; poiché uditi avendo i Tedeschi i preparamenti del Patriarca, e delle altre Comunità della Patria per cacciarneli dalla Carnia, levaronsi improvisamente, e ripigliarono il cammino per il monte di Croce.
Mantenevano i Tolmezzini a que' tempi buon numero di soldatesca; imperocché nelle guerre civili che furono nella Patria dal principio del secolo decimo quinto fino alla felice deliberazione che fecero, di gittarsi nella protezione del Principe Veneto, mandarono in uno stesso tempo a diverse Comunità loro confederare fino 620. soldati di soccorso. I soldati della Carnia molto si distinguevano in que’ tempi nel tirar di balestra, sorte di strumento da guerra per uso di saettare, fatto da un fusto di legno chiamato Teniere con arco di ferro in cima; venivano perciò con istanza richiesti in varii incontri di urgenza dagli alleati. Ma non è mia intenzione di riferire i fatti militari de' Tolmezzini: parlano le Storie Friulane della parte, ch’essi ebbero uniti ai Gemonesi, ai Cividalesi, e ad altri della Patria nelle lunghe, ed ostinare guerre civili, in cui s'impegnarono talora in favore, e talor anche contro il loro Patrarca. Buon però per essi, allorché finalmente si diedero a chi lor insegnò a vivere in pace; felicità, per vero dire, che pria non seppero desiderarsi.
Si danno con tutta la Provincia al Dominio Veneto.
Ciò seguì l'anno 1420. il dì 16. Luglio, avendo quella Comunita di Tolmezzo spediti a Venezia per Ambasciatori suoi, e per la Carnia, Simon Notaio q. Candido, ed Alessio q. Abramo, suoi Concittadini. Non altro dimandarono al Serenissimo Senato Veneto, che la confermazione de' loro privilegj, Statuti, usi, e consuetudini, come appare dalla seguente Ducale. Così finalmente la nostra Provincia dopo avere obbedito ai Romani il corso di sei secoli, ai Goti un secolo, ai Longobardi anni 206, agl'Imperatori Alemanni anni 90. fino alla elezione del primo Patriarca, ch'ebbe il Dominio, e governo del Ducato del Friuli, e sotto i Patriarchi lo spazio di anni 546, giunse a riposo sotto la sempre felice protezione, ed ottimo governo dell'lnclita Veneta Repubblica, essendo allora Doge di perpetua memoria il seguente, che nomina la Ducale quì inserita.
Thomas Mocenico Dei Gratia Dux Venetiarum &c.
A tutti, e cadauno tanto Amici, quanto Fedeli, e tanto presenti, quanto futuri, che vedranno il presente privilegio, facciamo manifesto, che comparsi alla presenza Nostra li prudenti uomini Simon Notajo q. Candido, ed Alessio q. Abramo Ambasciatori della Comunità di Telmezzo, umilmente e divotamente supplicarono, che si degnassimo accettare sotto il governo, e protezione del Domínio Nostro detta Comunità di Tolmezzo, e contrada della Valle della Carnia, e ad essi confermare gli Statuti, Jus, e consuetudini sue, e che si regolino, e governino sotto il Dominio Nostro, come facevano per il passato. Perciò volendo Noi dimostrare verso detta Comunità, e contrada prefata la benignità, e grazia Nostra, finalmente abbiamo accettato, e accettiamo la Comunità di Tolmezzo, e contrada della Valle della Carnia sotto la protezione, e governo del Dominio Nostro, confermando alla Comunità predetta gli Statuti, Jus, e consuetudini sue, volendo che si governino, e si reggano sotto il Nostro Dominio con li modi, e condizioni, con cui fecero per i] passato &c.
Dat. in Nostro Ducali Palatio die 16. Mensis Julii, Indict. XIII. 1420.
In tal guisa continuò Tolmezzo ad essere, siccome lo è al presente, Metropoli di tutta la Carnia: i Cittadini di quel luogo sono padroni di quei Dazj, e rendono ragione nel civile, e nel criminale sì nella Terra come nelle Ville della Provincia: gli ordini vengono rilasciati a nome del Gastaldo, come rappresentante il suo Principe, e de' tre Giudici; e le sentenze emanate da questi vengono sottoposte alla Censura del Luogotenente Generale della Patria, il quale per nome di questi Cittadini di Tolmezzo vende quella Gastaldia due mille, e più Ducati all'anno, traendoli dalle condanne, e dall'entrate ordinarie de' Beni Fiscali, e della gabella delle merci.
Del suo primo essere riguardevole di Tolmezzo.
Tali privilegj ottenne Tolmezzo fin dall'antecedente secolo per la ríguardevole munificenza del Patriarca Niccolo dopo la distruzione de' Castelli di cotesta Provincia. Per altro ebbe Tolmezzo il suo primo essere riguardevole fin dall'anno 1258., in cui il Patriarca Gregorio di Montelongo, dopo aver visitato il suo stato, e dimostratosi liberale con tutti i suoi sudditi, pervenne ancor nella nostra Carnia, e si trattenne alquanti giorni nel Castello di Tolmezzo per gli affari della Provincia. Piacquegli il sito di quella pianura, a ponente bagnata dal fiume Bute, a mezzodì dal Tagliamento, e circondata d'ogn'intorno da'monti; perciò si mise a renderlo ragguardevole col fare che ivi fosse fabbricata in forma di Cittadella la presente Terra, dove per innanzi non erano che poche case. Pubblicò un'avviso, col quale invitava, e permetteva ad ognuno anche straniero il poter colà ergere fabbriche d'ogni qualità, e grandezza, coltivar terra, ed accomodarsi col privilegio dell'anzianità a suo modo in tutto quel piano, che fra il monte Marianna, e il fiume Bute si vede. Ed acciocché i popoli Carni, e i forastieri, che fin allora soleano concorrere ai due mercati, che fra l'anno si faceano sopra la pendice del monte di Croce nel luogo oggidì detto Mercavecchio, fossero dalla necessità costretti, o dal proprio interesse indotti a frequentare Tolmezzo, proibì sotto alcune stabilite pene, che in verun luogo della Carnia, né paesano, né straniero, fuorché ivi, potesse mercantare. Dal che n'ebbe poi quella Terra il suo primo riguardevol essere, portando il nome medesimo del Castello, cioè di Tolmezzo, che da' Tedeschi chiamasi Schenfeld, che vuol dire bella campagna. In seguito il Patriarca Raimondo della Torre, che con sue pubbliche lettere avea comandato, che confermati fossero i privilegi, ed immunità concedute ai Tolmezzini da Gregorio suo predecessore, l'anno 1280. fece circondate di mura essa Terra di Tolmezzo, innalzando una porta verso Carnia, ed un'altra verso Friuli. In tal guisa riedificato Tolmezzo, non andò guari che talmente si accrebbe la popolazione, che non capindo nel recinto delle mura, si dovette allargare la Terra con due Borghi fuori di esse verso il fiume Bute, il qual luogo poi si chiamò Capriis. Né v'è meraviglia di tale accrescimento; poiché oltre gli originarii era venuto a ricoverarsi in Tolmezzo non poco numero di forestieri di conto, chi per fuggire le imperversanti fazioni, che tanto a que' tempi afflissero le Città d'Italia, chi a motivo di commercio, chi per migliorare le cose loro.
E' questa Terra di Tolmezzo ben fabbricata, e massime ne' tempi estivi molto allegra. Verso ponente sopra il fiume Bute v’ha un bel ponte di passi Veneti 120., appoggiato da ambo i lati ai due opposti argini, e sostenuto da quattordici cavallette, statovi costrutto, anni sono, per ordine pubblico da due valenti Proti di Zuglio. Gli abitanti di questa Terra sono per la maggior parte persone civili, e di accuto ingegno, conforme a quell'aria sottile; ed in ogni tempo ha essa dati illustri soggetti, che si sono distinti nelle Classi di Ecclesiastici, Politici, e Letterati.
Uomini illustri stati di Tolmezzo.
Nella Classe de' primi s'è distinta nel passato, e presente secolo la nobil famiglia Camuccio, irnparentata a giorni nostri colla nobile Famiglia degli antichi Castellani Conti di Zoppola, or'aggregati alla Veneta Nobiltà.
Giuseppe di Carlo Conte Camuccio, che nacque in Tolmezzo li 12 Gennajo 1655, fu Vescovo d'Orvieto, e morì gli 8 Gennajo 1695, come dicesi, Cardinale in petto di sua Santità Innocenzo XII.
Allorché l'anno 1753. Benedetto XIV. Sommo Pontef., essendo ultimo Patriarca di Aquileja Daniel Delfino Cardinale, fece Cattedrale la Chiesa di Sant'Odorico di Udine, che ora chiamasi Santa Maria Maggiore, ed unì il Capitolo d'Aquileja con quello di Udine, fece tre Dignità: Preposito, Decano, e Primicerio: alla prima di queste fu assunto il Conte Gio. Battista Camuccio di Tolmezzo, che prima era Decano del Capitolo d'Aquileia; ed essendo vacante la Sede Udinese per la morte del suddetto Cardinal Delfino, ed indi del fu Arcivescovo Bortolommeo Gradenigo, ebbe l'onorevole Officio di Vicario Capitolare.
Vivente ancor questo Monsignor Preposito, il di lui fratello Conte Carlo dalla Santità di Benedetto XIV. fu creato Vescovo di Capo d'lstria, e con raro privilegio dalle proprie mani dello stesso Papa anche venne consecrato. Rassegnò poi spontaneamente quella Sede Giustinopolitana: quindi fu da Clemente XIV. fatto Arcivescovo di Tarso in Partibus, e Vescovo assistente al Soglio Ponteficío; e in quest'anno poi 1781 la Santità di Pio Vl. lo dichiarò Patriarca di Antiochia. Risiede in Roma impiegando i suoi dotti, ed eruditi talenti in utile servigio della Santa Sede.
Fra i Cittadini di Tolmezzo è la nobil famiglia Palazzini. Di questa famiglia fu il B. Niccolò Palazzini, intorno cui vi è una lettera inedita di Monsignor Fontanini presso i Monaci Camaldolesi di Murano.
In un'opera MS. di Jacopo Valvasone di Maniaco si conserva onorevole memoria di Francesco Janis di Tolmezzo, Dottore di Leggi ecccllentissimo, che meritò l'anno 1529 la nobiltà, e tutti gli onori della Città di Udine. Fu questi mandato dalla Repubblica con importanti commissioni in Spagna appresso l'Imperatore Carlo V: nelle quali felicemente riuscì. Egli fu, che ci portò dalla Spagna l'esquisito Pero, detto del Janis, di cui pochissime piante si ritrovano fuori della Carnia e del Friuli: onde con ragione dobbiamo conservare grata memoria di esso, come fecero i Romani degli Appj , de' Lentuli, de' Fabj, e di Cicerone, per aver portati i primì in Italia i pomi detti Appj, le Lenti, le Fave, e le Ceci.
Fabio Quintiliano Ermagora, uomo nelle Lettere illustre, fu altresì Cittadino di Tolmezzo. Di lui abbiamo un'Opera elegantemente scritta in latino sopra le antichità della Carnia, e che molto ha contribuito alla presente mia Storia. Tra i Friulani può dirsi uno dei ristoratori della lingua lattina. Visse verso verso il fine del secolo XV. Giacomo Linussio, e sue manifatture di tele in Tolmezzo.
Ma se poi è vero, com'è incontrestabile, che le Arti sono quelle che rendono le Nazioni ricche, e colte, e che dilatano la lor potenza; chi mai rese più cospicua detta Terra di Tolmezzo, quanto Giacomo Linussio nell'introdur che fece le manifatture di tele nella Carnia? Egli fu che in pochi anni stabilì la più grande manifattura di tele, che sia in Europa, tanto in riguardo all'ampiezza e magnificenza delle fabbriche, quanto alla quantità dello smercio; poiché usciran ciascun anno quaranta mille e più pezze di varii e vaghi colori, ricercate da tutta l'Italia, dalla Spagna, e perfino dall’America. Non poco contribuì per una parte a questa sua sì grande impresa l'arte del tessere, che da tempo immemorabile è in cotesta Provincia; e per l'altra il numero grande di filatrici che ha il Friuli e la Carnia, le quali per opera di lui si moltiplicarono, e perfezionarono. Egli ebbe l'abilità di provedere da molte e lontane Regioni i lini necessarii alle sue manifatture; anzi ora che scarsegggìano, e sono cresciuti di prezzo i lini Bresciani, di Carintia, e di Slesia, egli è in necessità di procurarseli da paesi più Settentrionali della Europa, attendendoli dalla Livonia, dalla Pomerania, dalla Moscovia, e per fin dall'Egitto. E se la morte non avesse prevenuta l'esecuzione de' suoi disegni, una non men grande manifattura in sete avremmo veduta da esso stabilita in Friuli vicino ad Udine; mettendo in opera con pubblico e privato vantaggio gran parte di quelle sete, che lavorate in Orsoj e Trame vengono, come ben disse il Sig. Zanon, avventurare dai Mercanti Udinesi alla discrezione degli Stranieri in Francia, Inghilterra, e Olanda.
Una considerabile manifattura di tele ha introdotte in Tolmezzo anche il Signor Tommaso del Fabro, facendo ogni anno molte migliaja di pezze di diversi belli lavori, ed esitandole a Mercanti d'Italia, e perfino a Cadice.
PIEVI SOGGETTE AL QUARTlERE DI TOLMEZZO.
Al Quartier di Tolmezzo sono soggette le Pievi di S. Lorenzo, d'Ilegio, di Cavazzo, e di Verzegnis; le Cure d’Incarojo, e di Amaro.
Pieve di S. Lorenzo.
La Pieve di S. Lorenzo, ch'è eretta ove per antico esisteva il Castello di tal nome, è dedicata alla B. Vergine, ed al Santo Martire Lorenzo. ll suo Rettore, che chiamasi anche Pievano di S. María oltra Bute, è l'Arcidiacono di Tolmezzo. Tiene un suo Vicario alla direzione spirituale delle Ville ad essa Pieve soggette; ma egli risiede in Tolmezzo.
Duomo di Tolmezzo. La Chiesa maggiore, o sia il Duomo di cotesta Terra, è la tua Chiesa Arcidiaconale; Tempio di nuova pianta riedificato, pochi anni sono, per opera e munificenza di pii liberali Benefattori di essa Terra sotto la direzione del rinomato Protomastro Domenico Schiavi terrazzano di Tolmezzo, che ne diede il modello. E' grandiosa e magnifica sopra le altre Chiese della Provincia: ha sette Altari ornati di marmi, e di pitture de' più celebri pittori della Dominante di Venezia; e le Officiature, che fannosi da quel Clero, sono molto decorose ed edificanti. Si venerano in essa Chiesa le sacre spoglie di Sant'Ilario Martire, il cui patrocinio provano molto favorevole presso l'Altissimo i Tolmezzini, ed altri popoli della Carnia. Presiede ora a questa nobil Chiesa il Signor D. Giacomo Sabbadini, soggetto di ragguardevole merito, e dottrina, essendo stato prima Professore attuale di Filosofia nel Seminario di Udine, ed Esaminator Sinodale.
La predetta Pieve di S. Lorenzo ha sotto di sé le Ville di Caneva, Casanuova, Lorenzaso, Terzo, Fusea, e Chiazzaso.
Uomini illustri della Pieve di S. Lorenzo.
Nacque nella Villa di Terzo l'anno 1660. Gian-Pietro di Jacopo Viriti dell'Ordine de' Servi di Maria. Fu Maestro e Provinciale del suo Ordine; e circa gli anni 1735 appresso il Patriarca Dionisio Delfino godea l'onore di Esaminator Sinodale. Di lui fratello fu Floriano Viriti Proposito della Collegiata di S. Pietro.
Nacque in Fusea l'anno 1727 Pietro di Gregorio Busolini. Fu Professore di Sacra Teologia nel Seminario di Udine, ed ora è Canonico Penitenziere di quella Cattedrale, Esaminator Sinodale, e Pro-Vicario Generale di Monsignor Arcivescovo.
Pieve di Verzegnis.
Della Pieve di Verzegnis, a cui vanno soggette le Ville di Chiaulis, Dintisaos, Chiaseo, Villa, e Santo Stefano, nulla trovo di notevole.
Di Cavazzo.
La Pieve di Cavazzo ha sotto di sé Cavazzo, Somlaco, Mena, Ciasclans, e Aleflìo, Villa annessa. In essa Pieve, ch'è eretta dove anticamente era il Castello di Cavazzo, si venera il sacro Corpo del Martire San Fortunato; e poche sono le Chiese della Patria, che arricchite sieno di sì rare e preziose pitture, onde ornati si veggono gli Altari di quella Parrocchiale: ci basti il sapere, che sono Palle dipinte da Paolo Veronese, e dal Pordenone. Di presente onora quella Pieve colla sua scienza, e costumi Don Giacomo Job Pievano della medesima.
D’Ilegio.
La Pieve d'llegio ha sotto di sé i due Villagj d'Ilegio, e d'Imponzo. Vedesi cotesta Pieve piantata sopra di un erto e scosceso monte; e la sua Chiesa è del secolo XI o poco dopo, dedicata a Dio sotto l’invocazione del Martire San Floriano, il qual essendo Tribuno della milizia con una scelta banda di 40 soldati, da vero campione soffrì un glorioso martirio per la fede di Cristo, mentre per comando del Presidente Aquilino l'an. 397 in Laureaco, or Anesburgo, Citta della Stiria, fu precipitato giù da un ponte nel fiume Anisia il dì 4 Maggio, come indicano i Fasti Romani. Si venerano altresì in essa Pieve le Sagre Ossa di San Florido Martire, ottenute dalla Santa Sede col favorevole mezzo di Monsignor Patriarca Carlo Camuccio.
Cura d’Incarojo, e suoi uomini illustri.
La Cura d'Incarojo, che va compresa nel Canal di tal nome, abbraccia le Ville di Chiaulis, Treli, Lambrugn, Castoja, Salino, Tavella, Dierico,Ciasias, Villa di mezzo, Villa di fuori, e Paularo, dov'è la nobil famiglia de' Calici, liberi Baroni del Sacro Romano Impero, e Cittadini di Tolmezzo. Uno di questa famiglia Calice ottenne con Cesareo Diploma per le sue benemerenze militari presso l'Imperator Leopoldo fin dall'anno 1674. lo spezioso titolo di libero Barone del Sacro Romano Impero, e in tal guisa graduato morì in un fatto d'armi contro i nemici dello stesso Imperatore. Nel fine del passato secolo, e nel principio di questo, trovo che non ha mancato il Canale d'lncarojo di dare uomini illustri nelle armi. Bortolo Tarussio, e Gio: Battista Zozolo pel loro valore militare combattendo per la Casa d'Austria ascesero al grado di Capitanj. Simon Giordano fu Colonello; ed un Pietro Solero pel suo distinto merito fu fatto Governatore di una Citta di Transilvania.
Fin sopra Incarojo, dove è il passo di Cason di lancia, scorse Scanderib Bassà con 6000 Turchi l'anno 1478, entrato per li Canali di Roncina, e di Plezzo, per cui passa il fiume Lisonzo: quindi penetrò nella Zeglia, paese de' Tedeschi, per luoghi molto aspri e difficili da transitare. Dalla Zeglia scorsero i Turchi nel Contado d'Ortemburgo: e poiché ebbero con barbaro furore saccheggiata anche la Carniola, finalmente carichi di prede e con moltissimi prigioni passarono nella Croazia.
Confina co’ Popoli Schiavi la Zeglia.
Confina questo Canale d'Incarojo a levante co' popoli Schiavi della Zeglia. Uno de' passi per entrare dalla Germania nella Carnia è quello del Luccio, che dalla Zeglia conduce pel monte di Bombaso nel Canale d'lncarojo, e solo è atto al passaggio de' pedoni. Nello stesso monte di Bombaso eravi un’altra strada che portava alla Ponteba con pedoni e cavalli assai commoda. Questi popoli di Ponteba sono chiamati da Plinio Leopontíi, Taurisci, al presente della Trevisa,Terra della Carintia, posta dodeci miglia sopra la Ponteba. E’ la Ponteba vicina a Campo rosso, detto, come alcuni vogliono, dagli antichi Arae flaviae; sito nella Geografia veramente notabile; e ciò per rispetto alle acque, che quindi si partano altre per levante nel fiume Dravo, ed indi nel Danubio; altre verso mezzodi nella Fella, ed indi nel Tagliamento: e questo partiniento d’acque è quello che i Latini chiamano divortium aquarum.
In Campo rosso si leggevano le tre seguenti non intiere lapidarie Iscrizioni.
D. M.
IVL. VENVSTAE ANNO
XXII. DEDICATVS VTILIO
- - - - - - - - - - - -
SECVNDINVS
SECUNDI
ET BRVTITIA
RALANDINA
CON. I SIBI. VE - - - -
- - - - - - - -
- - - - - - - -
M. D.
AQVILINI
CAESN
An. XXXXVI.
JVLIA STRATONICE
CONIVGI PIENTISSIMO.
Nella Tarvisa di sotto su la Piazza leggesi la seguente.
D. M.
G. MVTILIVS
CHRESTVS VLIVS
FEC. SIBI ET
FLORENTINAE
SECVNDINAE
CONIVGI KARISS.
ANN. XXV. ET
MVTILIAE FORTVNATAE
MATRI ANN. LXX
ET MVTILIAE CRISPINAE
NEPTI ANN. IIII.
In S. Vito di Carintia vedesi quest'altra.
D. D. O.
SACR.
M. VLPIVS SERVATVS
ET PECCIA PRIMITIVA
EX VISV.
PRO SE ET SVIS OMNIB.
POSVERVNT.
Per fine va soggetta al Quartier di Tolmezzo la Cura di Amaro, ultimo Vilaggio della Curia verso il Friuli settentrionale, da cui ci divide la Fella, che passando pel Canale del Ferro, sempre tumida delle sue acque mette foce nel grosso fiume Tagliamento.
Cura d'Amaro.
Nacque in Amaro il P. Teresio di Paolo Monaj dell’Ordine de' Carmelitani Scalzi, celebre Oratore a' giorni nostri, il quale calca i primi Pergami dello stato Veneto non solo, ma dell'Italia, annunziando dappertuto la Divina parola con frutto, ed applauso universale.
Ed ecco quanto ho potuto raccoglier di osservabile intorno al sito, alla natura, e condizione de’ nostri popoli Carni.
IL FINE.
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[pp. 219-224]
INDICE
Delle cose notabili nelle presenti Notizie Storiche:
DELLA PROVINCIA DELLA CARNIA IN GENERALE.
Origine, e stato antico de’ Carni.
Sono presi di mira dai Romani.
Oppressione della Nazione Carnica intrapresa dai Romani, e perché?
Battaglia de’ Romani contro i Cimbri nella Carnia.
Passagg. di Giulio Cesare per la nostra Carnia.
Quando, e da chi fu resa praticabile la via del monte di Croce.
Varie Iscrizioni Romane sopra il monte di Croce.
Memorie de’ Carni dopo la lor depressione.
Entrano nella sollevazione contro i Romani, e loro esito infelice.
Sono costretti ad abitare il piano.
Antica Provincia de’ Carni qual ne fosse al tempo d’Augusto.
Descrizione della Carnia.
Sorgente del fiume Piave.
Lago di Cavazzo.
Villaggi della Carnia.
Boschi della Carnia.
Miniere in Carnia.
Acque pudie, e loro proprietà.
Prodotti della Carnia.
Abbonda in selvaggiume.
Castelli antichi nella Carnia.
Gesmanie della Carnia, e loro privilegi.
Governo di questa Provincia.
Costumi, e carattere de' popoli della Carnia.
Fede Cristiana quando fosse predicata ai nostri Carni.
DELLA PROVINCIA DELLA CARNIA IN PARTICOLARE.
DEL CANALE DI S. PIETRO.
Chiamavasi Valle Giulia.
Città di Giulio Carnico.
Lapide Romana trovata in Zuglio.
Altre antiche memorie che si trovano in Zuglio.
Prerogative di Giulio Carnico.
Giulio Carnico stato Colonia Romana.
Giulio Carnico stato Sede di Vescovi.
Giulio Carnico più volte è stato distrutto, e riedificato.
Giulio Carnico è assediato, e preso da’ Barbari; e fine tragico della Duchessa Romilda.
Le figlie di Romilda come sanno conservare la lor onestà, e scampo de’ lor fratelli.
Strage fatta di Giulio Carnico dai Schiavi della Carintia.
Giulio Carnico è distrutta ancora per le inondazioni. Del lago di Soandri.
Castelli antichi nel Canal di S. Pietro.
Castello di Sezza.
Di Sutrio.
Antichi feudatari nel Canale di S. Pietro.
Arimannia che significhi.
Castello di Siajo, e di Durone.
Rocca Moscarda.
Collegiata di S. Pietro, e sue prerogative.
Famiglie cospicue del Friuli state Canonici, e Prepositi di S. Pietro di Carnia.
Cure Parrocchiali nel Quartier di S. Pietro.
Formeaso Sobborgo della Città di Giulio.
Chiesa Canonicale di S. Pietro.
S.Niccolò degli Alzeri stato Monistero de’ Templari.
Paluzza. Tausia.
Fonte di Timavo.
Memorie antiche della via Giulia.
Chiesa del Crocefisso di Timau.
Laghetto di Timau.
DEL CANALE DI GORTO.
Castelli antichi nel Canal di Gorto.
Castello di Agrons.
Castello di Pradumbli, Monajo, e Frata.
Castello di Luincis.
Congiura seguita contro il Patriarca Beltrando.
Morte del Patriarca Beltrando.
Vendicata del Patriarca Niccolò.
Assedio del Castello di Luincis.
Il Castello di Luincis è preso, e distrutto.
Vengono distrutti anche gli altri Castelli della Carnia.
Chiesa Matrice di Gorto, e Ville ad essa soggette.
Del Villaggio di Muina.
Di Cludini.
Di Luint.
Di Luincis.
Altre Ville soggette al Quartiere di Gorto.
Canale di Gorto era soggetto in spirituale all’Abazia di Moggio.
S. Carlo Borromeo Abate di Moggio.
Arcidiaconato di Gorto.
DEL CANALE DI SOCCHIEVE.
Fiume Tagliamento.
Castelli antichi del Canal di Socchieve.
Castello d’Invilino, e suoi antichi possessori.
Del Castello di Socchieve.
Di Ampezzo.
Di Forni.
Di Nonta.
Di Feltrone.
Di Ravejo.
Di Somcolle.
Pievi soggette al Quartier di Socchieve.
Ospizio di Ravejo.
Ville in Carnia distrutte dalla peste.
Villa di Buarta subbissata.
Ampezzo Veneto, e sua antichità.
Santuario di Sauris.
Forni Savorgnano, e sua antichità.
Stoffe di Socchieve.
DEL QUARTIERE DI TOLMEZZO.
Quartiere di Tolmezzo, e suoi antichi Castelli. Castello di Tolmezzo.
Di Cavazzo.
Di Verzegnis.
Di S. Lorenzo.
D’Ilegio.
Accrescimento della Terra di Tolmezzo.
Giurisdizione de’ Tolmezzini sopra la Provincia della Carnia.
Alcuni fatti considerabili in guerra de’ Tolmezzini.
Si danno con tutta la Provincia al Dominio Veneto.
Del suo primo essere riguardevole di Tolmezzo.
Uomini illustri stati di Tolmezzo.
Giacomo Linussio, e sue manifatture di tele in Tolmezzo.
PIEVI SOGGETTE AL QUARTlERE DI TOLMEZZO.
Pieve di S. Lorenzo.
Duomo di Tolmezzo.
Uomini illustri della Pieve di S. Lorenzo.
Pieve di Verzegnis.
Di Cavazzo.
D’Ilegio.
Cura d’Incarojo, e suoi uomini illustri.
Confina co’ Popoli Schiavi la Zeglia.
Cura d'Amaro.
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Quintil. Hermac. lib. 2. de antiquit. Carn.
Mittarelli Bîblioth. Manuscrip. Codicum verbo Fontanini col. 396.
Plin. Hist. Nat. apud Zanon T. 5. lit 5.
Vedi l’Ab. Pezzo Dissert. intorno i Cimbri pag. 14. 81. Verona 1763.
Acta SS. Ord. S. Bened. sec. 4. pag. 109 ediz. Ven.
Vedi la mantova Vita di S. Osvaldo pag. 64. 65. 82.
Monsignor Florio nella vita del Beato.
V. Chiusole nella Mappa della Grecia.
Plin. lib. 3. cap. 24. presso Sig. Fistul.
Paolo Diacono lib. 6. cap. 24. V. Liruti not. del Friul. T. I.
Monum. Aquil. Eccl. col. 779.
Maffei Storia diplomatica pag. 113.
Il Cig. Can. Treleani di Sezza.
Palavic. Stor. lib. 19 cap. 15. n. 5.
Della Pittura Veneta lib. V. pag. 450. Venezia 1771.
D. Angelo Cortenovis Bernabita in sua Dissertaz. di Giulio Carnico.
Ughel: Ital. Sacr. T. X. p. 117: Reschius ann. Eccl. Sabione., nunc Brixinen. saec. IV. 194.
Presso Lirut. Not. del Fr. Tom. 2.
Noris de Synodo Quinta cap. 9.
Muratori Annal. d’Ital. all’an. 727.
Monum. Eccl. Aqui]. col. 190. Farlati Illyr. Sac. T. I. p. 38., & 261.
P. D. Angelo Cortenovis Bernabita in una dissert. Manos., che un giorno pubblicherà.
Anedotor. Sacror. Johan. Bap. Caspar. Tom. 2. pag. 246. Venetijs 1781.
(a) Farlati Illyrici sacri I. pag. 261 Bolland. de S. Ermagora & Fortuno ad diem XII. Julii .