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IL RITRATTO DI MARIA
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E' il grandioso affresco, sotto forma di romanzo storico, di una epoca particolare (la seconda metà del Settecento) che la Carnia ha vissuto in una molteplicità di eventi, per lo più ignoti o trascurati dalla letteratura e storiografia moderna.
Come dice il sottotitolo di copertina (saga di una famiglia carnica al tempo dei cramârs),
il libro racconta l'epopea romanzata di una famiglia di commercianti di Cercivento di Sotto, che abbraccia un lungo arco temporale (dal 1774 fino ai primi dell'Ottocento, anche se si spinge poi, con l'artificio letterario della lettera finale, sino al 1904).
Molte considerazioni suscita la appassionante lettura di queste pagine:
- la lunga e avventurosa storia dei cramârs è qui rivisitata sotto la attenta e invisibile guida
di Domenico Molfetta, di Sutrio, che per primo analizzò e studò il fenomeno, seguito poi da altri studiosi (Ferigo-Fornasin) per cui tutti i riferimenti storici che appaiono in questo splendido libro sono rigorosamente vagliati e riportati fedelmente, essendo stati desunti da lavori scientifici di assoluto valore e affidabilità e da documentazione locale.
- in questo peculiare ed affascinante ordito storico, l'autrice inserisce e racconta una storia, anzi molte storie tra loro intrecciate e concatenate, che prendono le mosse da Casa Mussinano in Cercivento e da qui si dipanano lungo le direttrici europee del Nord. E' un racconto sempre vivido, preciso, costellato da accadimenti e fatti storicamente certi, in cui i personaggi (alcuni inventati, altri riesumati, altri ancora rielaborati) si muovono con composta naturalezza e con sempre tenace verosimiglianza.
- l'indagine psicologica dei principali attori del racconto, viene elaborata sempre in maniera convincente ed approfondita, con sobri ma efficacissimi tratteggi, con cui l'autrice riesce costantemente a cogliere e a far emergere l'intimo, anche nascosto, dei personaggi. Non si dilunga nelle descrizioni, non indugia nelle ininfluenti minuzie, lascia volentieri al lettore immaginare risvolti e segreti, scene e conseguenze; colpisce la struggente delicatezza con cui offre le rare scene d'amore... E la galleria dei personaggi è molto affollata e varia, tuttavia mai, in ogni singola rievocazione o presentazione, si avverte un calo di tensione o un senso di stanchezza: ognuno di essi riesce ad esprimere il proprio carattere, il proprio profilio umano, le proprie debolezze in una variegata rappresentazione di gioiosa o dolente umanità...
- essendo l'autrice una critica e storica dell'arte, non può sfuggire questo importante dettaglio che si manifesta ampiamente e magnificamente nella descrizione dei quadri e dei ritratti che costituiscono in questo lavoro letterario dei precisi riferimenti temporali che cadenzano periodicamente, come dei segnalibro, il lento scorrere della storia che da questi ritratti, appesi alle pareti del tinello, trae sempre nuova linfa e nuovo vigore.
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molto significativo mi è parso l'inserimento di due personaggi storici che l'autrice riesce sapientemente a collocare nella trama del suo romanzo: uno è il sacerdote di Formeaso Niccolò Grassi, allora pievano di Cercivento, l'altro il dott. Agostino Spinotti, entrambi autori di due lavori letterari sommamente importanti per la Carnia.
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didatticamente istruttiva è senz'altro la descrizione sobria ma efficacissima delle azioni della soldataglia francese rivoluzionaria napoleonica a Sutrio e Cercivento e della controreazione dei locali, specie a Venezia dove gli schiavoni nel 1797 reagirono in maniera ferocissima (!) alle continue provocanti crudeltà giacobine.
- molto interessanti appaiono le numerose e
varie scene che si susseguono in questo mirabile e lungo racconto: gli incendi improvvisi delle case, il terremoto, le nevicate, i villaggi, le strade... Una delle più mirabili rievocazioni resta quella del marcjât di San Jacun in Paluzza (che resiste anche ai tempi nostri insieme alla Sagre di Place) dove l'autrice riesce splendidamente a realizzare e a farci "vedere" un vivacissmo e indimenticabile quadro in cui non manca nulla: l'orso danzante, la scimmia spelacchiata, le due meretrici vocianti, i numerosissimi e diversi animali con i loro puzzolenti escrementi, le variopinte bancarelle, i profumi e le preziose essenze esotiche, la soffocante ressa, il vuardean, il prete officiante e la indolente processione...
- al termine della lettura di queste indimenticabili pagine, a me è parso di individuare due grandi sentimenti che, come un sottile e invisibile filo, scorrono sottotraccia emergendo in superficie, impetuosamente o subliminalmente, solo di tanto in tanto: il primo è quello di un innato (carnico?) pessimismo che attanaglia e imprigiona, seppure con diverse gradazioni, ogni personaggio; il secondo è quelle della nostalgia (pete, in lingua carnica) che domina in maniera pervasiva perfino le donne che pure restano in Patria. Pessimismo e nostalgia che neppure la pagina finale, a mio avviso, riesce a far evaporare e a far dimenticare ma che anzi, rende, se possibile, più acuti e avvertiti.
Ci sarebbe ancora moltissimo da aggiungere ma ritengo che non si debba togliere al lettore il piacere ed il gusto di assaporare personalmente questo delizioso e impegnativo lavoro letterario, che, a mio sommesso avviso, nonostante le modeste e sparse incongruenze stilistico-lessicali o cronologiche (che potranno certamente essere eliminate in una prossima edizione), ha tutte le caratteristiche di un vero capolavoro sia per i molteplici elementi che in esso convergono, sia per la raffinata e precisa scrittura dell'autrice sia per la novità del tema trattato sia infine per la capacità evocativa sua propria. Un romanzo così ben costruito e strutturato può legittimamanete competere nei più importanti premi letterari italiani, avendo la sicura potenzialità per brillanti risultati.
Considerazione finale
Ho trovato ben strano che l'autrice, avendo voluto brillantemente utilizzare l'ancor poco esplorato argomento dei cramârs per costruire la cronice storica del suo primo avvincente romanzo, abbia totalmente ignorato un fatto assai importante e sommamente singificativo. Nell'abside della trecentesca chiesa di S. Maria di Paluzza, dietro l'altare ligneo del Tironi, sulle pareti affrescate, i cramârs che allora si dirigevano in Austria, passando per il paese ed entrando nella chiesa per una propiziatrice prece, hanno tracciato i graffiti dei loro personali marchi che ancora oggi sono perfettamente visibili. Si tratta di centinaia di segni che occupano tre delle cinque pareti dell'abside. Su questa importante realtà, Tiziana Termine di Ampezzo ha svolto la sua tesi di laurea nel 2003.
Ringrazio l'amico Luigi Carlevaris che ha fatto omaggio a me e soprattutto a Cjargne Online di questo stupendo libro.