L'ultima verità
da Mirko al dopoguerra

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Quest’opera, dal titolo impegnativo ed emblematico, rappresenta l’ultimo e recentissimo lavoro sulla Resistenza in Carnia (estate 2005). L’autore non è conosciuto in loco (anzi direi che è un illustre sconosciuto), l’editore lo è invece fin troppo: il tolmezzino Andrea Moro (fax 0433 40557, cui potrà essere richiesto il libro, citando magari questa fonte d’informazione).

Vediamo dapprima i limiti di questo libro:

è scritto senza intenti letterari (l’italiano non è sempre corretto e sciolto, con tratti stilisticamente diversi, come se fosse scritto da più mani), senza troppa cura tipografica (meritava una migliore impaginatura; vari refusi, allineamenti e spaziature a volte in libertà…), manca di una bibliografia chiara e sistematica, manca di una visione globale, è appesantito da frequenti ripetizioni.

Fatta questa doverosa premessa, occorre subito dire però che questo libro è: UNICO NEL SUO GENERE IN CARNIA.

Intanto non è la solita opera storica agiografica o mitizzante, ma un amplissimo affresco, con tutte le sue luci e le sue ombre, di quel tragico periodo che fu la Resistenza in Carnia.  

I vari capitoli o accadimenti, apparentemente slegati tra loro, si succedono in maniera naturale e, se pure manca un filo conduttore (ma è meglio così, si evitano tesi precostituite), le scene che si aprono davanti agli occhi sono di un realismo crudamente straordinario: ti pare davvero di assistere in diretta ai fatti che vengono descritti e sono FATTI per lo più ignoti e INEDITI, mentre quelli già noti assumono una diversa luce e configurazione, risultando quasi palpabili, non solo per la documentazione fotografica spesso direttamente  raccolta sui luoghi, ma anche per gli schizzi eseguiti a tal proposito dai testimoni o per i documenti esibiti.

Ed è proprio la testimonianza di queste persone ancora viventi (Carlo Bellina di Cleulis, Giacomo Del Negro di Sutrio, Colledani Giovanni di Villa Santina, Romano Marchetti di Tolmezzo…) che imprime a questo libro i pregi (ed anche i limiti) della “presa diretta”.

Non vi è alcuna reticenza (compaiono nome e cognome di tutti i protagonisti), non preoccupazioni politiche né sociali, non attenzioni stilistiche, non condizionamenti strumentali, non ansia di (ri)scrivere la storia della Resistenza.

Tutto il racconto pare scorrere come un torrente di Carnia, che presenta placidi ristagni e improvvise e fragorose ripide, che lambisce splendidi paesaggi e tocca discariche maleodoranti, che accoglie nelle sue acque trote d’argento e variopinte scovaces…

I capitoli che mi hanno maggiormente impressionato sono molti, su tutti quello relativo alla morte del medico Aulo Magrini, laddove l’autore riporta sì la vulgata normalmente accreditata (ucciso da una raffica tedesca durante uno scontro a fuoco) ma anche la tesi non politicamente corretta che è sempre stata sottotraccia nella Valle del But (ucciso da una precisa fucilata “amica”): in questo caso l’autore fa addirittura il nome e cognome del presunto partigiano omicida, di cui racconta poi tutto il triste epilogo fino alla esecuzione finale per opera di un altro partigiano (di cui vi è pure nome e cognome). Particolare commozione suscitano anche le morti del Comandante ASO, del Commissario Gracco, di Nembo, di Guerra (la cui dolorosissima vicenda si tinge di giallo e termina in via Spalato)…

La storia di Katia e Mirko, divenuta ormai leggenda in Carnia, viene presentata priva di quei toni lirici o romantici che sempre finora l’avevano caratterizzata: qui Mirko è il partigiano sloveno che fuggì dal suo Paese per dei motivi ben precisi (citati nel libro) e si insediò in Carnia nelle file dei garibaldini; la sua parabola viene descritta in maniera pacata, precisa ma senza mitizzazioni, fino alla tragedia finale, descritta fin nei minimi particolari, arricchita da testimonianze e considerazioni che restituiscono a questa storia i lineamenti propri e naturali di un’avventura finita male.

Che dire poi del prete partigiano Franzak (diceva messa con la pistola posata sull’altare) che, nei primissimi giorni della Liberazione, indirizzò una raffica di mitra contro il tricolore italiano e che si beccò poi 100 giorni di galera? Che dire dei tradimenti, delle spie, dei collaborazionisti e della loro morte, delle vendette a guerra finita? Come non commuoversi di fronte alla splendida sedicenne Teresina Santellani giustiziata dai partigiani perché ritenuta spia dei cosacchi? O come non stupirsi di fronte ad un intero paese disarmato che affronta i partigiani armati del comandante Max, perché avevano condannato a morte la giovane Zanier Carolina, rea di aver rifiutato di cedere il proprio letto a Max? Che effetto fa leggere di torture, di pestaggi a sangue, di esecuzioni sommarie…?

Questo libro, che certamente propone una lettura meno esaltata e meno esaltante ma più realistica della Resistenza in Carnia, va a collocarsi a fianco di tutti gli altri libri che trattano il medesimo argomento e che sono già da tempo ospitati nella nostra biblioteca.

Chi vuole avere una visione d’insieme di quella che fu la Resistenza in Carnia, non potrà certo prescindere anche da questa lettura che sgomenta e affascina, che incuriosisce e tormenta, che suscita ragionevoli dubbi e lascia inalterate altre certezze.

Non a caso questo libro rinfocola dubbi e polemiche ad ogni ristampa: come succede (si licet parva componere magnis) al giornalista-scrittore di Repubblica, Giampaolo Pansa (di cristallina onestà intellettuale), le cui ultime opere (“Il sangue dei vinti” e “Sconosciuto 1945”), collocandosi al di fuori dei limiti della storiografia ufficiale politicamente corretta, hanno suscitato e suscitano pareri contrastanti.

Ma queste opere sono determinanti non solo per il raggiungimento della verità storica (che ovviamente non può essere scritta solo dalla mano del vincitore), ma anche, io credo, per il conseguimento di quella pacificazione nazionale mai ancora realizzata.

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