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...ET
INCARNATUS EST
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L’ultimo
libro di Pre Antoni Beline “...et incarnatus est” (pare
ancora in circolazione) non si può considerare propriamente
un trattato di teologia, come il titolo potrebbe suggerire, ma una
raccolta di brevi riflessioni sulla fede e i suoi
principi fondamentali, sulla prassi ecclesiale, sulla gerarchia
e sullo stato del clero, compresi i suoi atti eroici, ma
anche i tradimenti che riempiono la bocca dei pettegoli di ogni ordine
e grado. E’ un libro critico, ma non spietato.
Scritto senza acredine e senza risentimenti. Dipende da chi lo legge
dargli una interpretazione costruttiva e positiva.
Con la sobrietà e semplicità che contraddistinguono
lo stile di pre Antoni Beline, che esprime concetti anche difficili in un friulano
comune, senza ricercatezze formali, vengono spiegati i due misteri principali
della fede, indicati nel catechismo di Pio X°:
1°-Unità e Trinità di Dio;
2°-Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo.
Questa spiegazione, o per dirla in termini tecnici “catechesi”,
viene fatta in un modo inconsueto. Non parte dall’alto della cultura
teologica, da libri profondi ed impegnativi che quasi riescono a spiegare i
misteri, nè dai 2865 articoli del catechismo della chiesa cattolica
secondo Giovanni Paolo II°, ma parte dal basso, dalla
vita di ogni giorno, dal quotidiano, dalle domande semplici che ognuno può porsi
indipendentemente dalla cultura o dall’istruzione.
Si chiede pre’ Antoni: che significato, che senso possono avere i principali
misteri della fede, la dottrina della chiesa che li interpreta, li spiega,
li impone? Che senso hanno le encicliche che li rispiegano, reinterpretano,
allargando il loro orizzonte di interessi, onnicomprendendo tutto lo scibile
fino ad includere argomenti che nulla hanno a che vedere con l’insegnamento
evangelico (dalla fecondazione eterologa allo smaltimento dei rifiuti di Napoli)?
Nella chiesa poi si predica la democrazia e si pratica la dittatura fondata
su carte e su stravaganti “befei”. La sua conclusione,
dura da digerire è:”...la glesie e jè sante
in te so dutrine e in tai siei sacraments, ma une barache e un disasro tai
siei rapresentants, a ducj i nivei”
Pre Antoni ci fa scoprire che c’è un modo più semplice
e più schietto di vivere la propria fede senza perdere tempo “a
spiegâ ce che no sai e nissun sa”. E’ importante capire
quali sono le fondamenta, i muri portanti, le tendine di una casa, cioè della
fede, cioè dei misteri di Dio.
In questo libro Pre Antoni sintetizza la sua vita di fede, le sue delusioni,
le sue scoperte.
Non è la prima volta che ci esprime le sue perplessità, ma è la
prima volta che ce le presenta con un ragionamento completo e meditato, didattico.
Di fronte alle contraddizioni di una chiesa che spesso tradisce gli insegnamenti
del suo fondatore, non si limita nelle critiche, infierisce contro chi ha voluto
dei seminari “deformanti”, contro chi ha imposto obbedienze assurde,
spesso contro natura, smaschera chi vuole che i fedeli entrino in chiesa senza
cappello e… senza testa. Già in altri scritti pre Antoni ha espresso
il suo punto di vista critico sulla chiesa, il suo giudizio negativo sulla
preparazione del prete, sulla invadente e sempre incombente burocrazia clericale,
ma mai in forma circostanziata e precisa come in questo suo ultimo libro. I
seminari sono stati inventati dal concilio di Trento (1560) e da allora non
solo migliorati, ma nemmeno cambiati: continuano a sfornare prototipi, pochissimi,
comunque inadatti alle attuali intemperie.
Pre Antoni è stato considerato molto scomodo dagli
apparati burocratici che, per quanto incartapecoriti e anacronistici, ancora
soprassiedono a questa chiesa friulana ridotta ai minimi termini, e si sono
dimenticati molto presto dell’opera immensa che ha impegnato questo prete
nella traduzione della Bibbia in lingua friulana (opera che
meriterebbe come minimo riconoscimento una laurea Honoris Causa).
Ora con queste riflessioni teologiche che si sviluppano secondo una linea di
sincero amore, per quanto difficile e provato, tutti dovranno interrogarsi,
prima di dire alcunchè, su un uomo che, “spesso messo in disparte,
sospettato, castigato, certo non valorizzato”, ancora resiste, tiene
duro, crede.
C’è una domanda assillante che mi ha accompagnato durante tutta
la lettura: si può ancora credere in un Dio onnipotente creatore
del cielo e della terra che comunica con te attraverso una chiesa così compromessa
e mescolata con la terra e i suoi modesti obiettivi?
Si può leggere questa specie di “summa teologica” di
pre Beline in due modi. La si può leggere con la voglia di
trovare qualche argomento che aiuti a dissacrare, deformare, indebolire quanti
godono del “privilegio di stato”, cioè quanti ricoprono
certe cariche e possono permettersi di dire le cose che la carica gli consente;
oppure affrontarla con umiltà, senza certezze precostituite, senza aiuto,
perfino senza il desiderio di infierire sulle note debolezze della chiesa ed
i suoi rappresentanti.
La chiesa è altrove.
La chiesa pensa a chiedere perdono a tutti: per le vittime dei crociati, per
quanti hanno condannato Galileo, per le vittime dell’olocausto. Mai
ha pensato di chiedere perdono a quelle vittime che lei, Chiesa, ha
fatto e sta facendo ancora OGGI: a quei suoi teologi che
hanno espresso parerei diversi su argomenti discutibili e per nulla rivelati,
a quei preti che non hanno sopportato un celibato imposto “ope
legis” e non dedotto da alcuna indicazione evangelica, a quanti
hanno creduto di rifarsi una vita senza pensare di vedersi negare la comunione.
Ma la Chiesa udinese chiederà mai perdono a pre Antoni
Beline per i dubbi che i suoi scritti hanno, con costanza indefessa, inutilmente
sollevato? Per le continue sollecitazioni ad un esame di coscienza espresse
sempre con amore filiale? Per questo suo profondo e forse mal riposto amore
per essa? Perché, dice pre Toni: “ad une mari si vul ben acje
se jè brute”.
E’ un prete filosofo che con pacatezza ironizza sulla sua madre
Chiesa.
Per lei è riuscito a sopprimere tutti gli istinti, come da richiesta,
ed è perfino arrivato a sottrarsi a quella forza centrifuga che da anni
coinvolge molti uomini dedicati alla causa. Fedele ad una scelta giovanile,
ha fatto di tutto per non “dineâ” il suo impegno
iniziale. Il suo diventar prete è stata una scelta esistenziale mai
messa in discussione. Sa di non far parte dei privilegiati dell’arca
di Noè. Si chiede perchè le chiese si svuotano: “vino
o no vino une buine gnove?” ed allora perchè i giovani
non vengono ad ascoltarci?
Può un prete consolarsi con le tre o quattro messe domenicali che rincorre
ogni domenica?
Che cosa potrà mai dire ai pochi fedeli che non lo lasciano (ancora)
solo?
Quale buona novella può essere trasmessa da un uomo che forse continua
a svolgere un ruolo che non gli lascia alternative? Sono stati fregati da una
vita imposta e strutturata come se la donna non esistesse.
Li hanno imbragati nel celibato che gli ha impedito di “umanarsi” in
questo mondo. Lo hanno subito in buona fede, il celibato, memori delle
cose tremende scritte da sant’Agostino sulle donne, poi lo hanno
sublimato e deviato: ora sono soli, in grandiose canoniche fredde e vuote
a cercare di inventare prediche tristissime e tragiche rasentando se non
la pazzia la disperazione.
Molte cose nella chiesa non funzionano. Anzi si potrebbe quasi pensare
che questa sia in “disarmo”. Non si sentono più messaggi
profetici. Ci sono domande che incalzano, riflessioni che si susseguono,
ma chi le pone
resta spesso senza alcuna risposta.
In questa sorta di stasi apatica della chiesa, dove tuttavia ci sono ancora
persone di buona volontà, sinceramente motivate, che provano a credere,
c’è ancora qualcuno che viene ordinato prete. Proprio ad uno di
questi pochi, pre Antoni indirizza le sue riflessioni che, ci auguriamo, gli
servano a qualche cosa se non altro ad essere realista nell’affrontare
la sua missione sacerdotale.
Pre Antoni Beline, dopo aver lanciato le sue pietre, alla fine si sente ancora
coinvolto in questa sua madre Chiesa. Riesce ad esprimere un amore incomprensibile
per noi uomini che viviamo di valori effimeri, nè siamo toccati da voti
impegnativi come la Povertà, l’Obbedienza e la Castità.
Sono comunque arrivato alla conclusione che dopo aver letto questo libro, senza
nullaosta e senza imprimatur, nessuno potrà mettere in dubbio
l’ amore di pre Bellina per questa sua chiesa madre e matrigna,
per questa donna casta et meretrix (per dirla con s. Agostino).
Marino Plazzotta
gosper1@tin.it
Gennaio
2006
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