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Cronache
friulane
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Diego Carpenedo, carnico doc di Paluzza, ha ricoperto
diversi e prestigiosi incarichi politici nella DC prima e nel PPI poi,
concludendo la sua carriera come senatore della Repubblica nei
formidabili anni ‘90.
Ora, come Cincinnato, è “domi et ruri”
e si dedica alle lettere. Se mi è consentito, ora che il gioco è concluso e le
bocce sono ferme, apprezzo molto di più il Carpenedo scrittore piuttosto che il
Carpenedo politico. E non me ne voglia l’illustre concittadino. Non intendo
qui esprimere un giudizio sul suo impegno e ruolo politico passato (non ne avrei
né il titolo né i mezzi per farlo e sarebbe oltretutto fuori luogo) ma ho la
netta personale percezione che il suo valore politico sia quasi inversamente
proporzionale al suo talento letterario. Ed io sinceramente preferisco di gran
lunga quest’ultimo.
A suo tempo, avevo letto il suo primo libro
“La compagnia fucilati” (romanzo storico imperniato sulla fucilazione
dei 4 alpini di Cercivento, uscito alcuni anni fa), ma non mi convinse né mi
entusiasmò, probabilmente a causa di una esagerata prudenza o ritrosia o
pudicizia dell’autore nel tratteggiare i contorni umani di quel racconto o le
verità nascoste di quella storia (ricordo a tal proposito che a Cercivento era
stato da poco inaugurato il cippo in onore dei 4 veri alpini fucilati con
l’accusa di rivolta). Peraltro, sul versante descrittivo e rievocativo
bellico-politico generale, quel romanzo mi parve assai pregevole e molto ben
documentato, specie sul ruolo e sulla figura di Gortani e dell’affaire Douet e
sulle descrizioni del teatro di guerra.
Mi sono ora invece soffermato su questa opera
che non solo incuriosisce ma che stimola anche confronti, sia con le proprie
conoscenze, sia (soprattutto) con le proprie convinzioni storiche o politiche.
In queste pagine l’autore ripercorre, con
precisa esposizione di fatti, tutto l’iter socio-politico friulano
avviatosi dopo la fine della seconda guerra mondiale per giungere fino a quel
fatidico 18 aprile 1948 che vide la vittoria della DC e la secca sconfitta
del Fronte Popolare delle sinistre, complici le Madonne pellegrine nazionali (il
prototipo delle quali fu la nostrana Madonna Missionaria di Tricesimo).
Si tratta spesso di fatti o eventi noti, ma
più spesso ci si imbatte in eventi (piccoli o grandi) ignoti o del tutto
inediti, che avvalorano la qualità di quest’opera.
Carpenedo usa un taglio quasi giornalistico
nella sua brillante esposizione, a tratti ci pare di leggere un quotidiano
locale e questo modo di procedere rende la lettura avvincente e stimolante.
Anche l’uso dell’indicativo presente contribuisce a dare al racconto un
timbro di attualità che coinvolge il lettore e lo trattiene fino alla fine.
I capitoli si succedono in maniera armonica
senza soluzione di continuità e la cronaca di quei mesi (ormai storia)
acquista il sapore quasi di un “dejà vu”, rivisto però con altro occhio ed
altro atteggiamento culturale: quello di chi è ormai maturo per dare una
interpretazione il più possibile equidistante e scevra da condizionamenti
ideologici.
Non solo i partiti e la
politica del dopoguerra sono i protagonisti di questo utile e splendido
libro, ma anche la stampa locale, il lavoro, lo sport, il sindacato, le
polemiche post belliche, le epurazioni, le vendette… per uno spaccato
dell’epoca davvero vivo e palpitante.
Mi piace segnalare in
particolare: la vicenda di Porzûs, il lunghissimo parto distocico della regione
Friuli VG (caldeggiata da Tessitori, concepita nel 1948 e partorita dopo 15
anni, nel 1963), la nascita del Messaggero Veneto (con caratteristiche
assolutamente diverse da quanto finora immaginato), il primo Giro d’Italia del
dopoguerra, le figure letterarie di Marchetti e Pasolini, la annosa questione di
Trieste (con le immancabili ripercussioni sul Friuli), i riferimenti alla Carnia.
Carpenedo ha consultato certamente un numero
elevato di fonti, ha scartabellato moltissimi documenti, ha girato
in tantissimi luoghi alla ricerca di carte originali e di riscontri.
Assai significativa la iconografia e la riproduzione di documenti originali
inediti.
Quel che ne è uscito rappresenta un felicissimo
tentativo di riproporre un tratto di storia contemporanea locale in maniera accattivante e
divulgativa, adattissima a coloro che spesso ne ignorano perfino i tratti
salienti.
Forse Carpenedo, nonostante abbia da tempo
appeso al classico chiodo la vituperata “poltrona”, tradisce ancora, qui e là,
quel suo essere (stato) democristiano, ma questo innocuo vezzo svanirà
certamente nel suo prossimo lavoro, che ci auguriamo, possa essere la
prosecuzione di questo, il cui racconto si ferma al 1948.
Fuarce alore, Diego, vir bonus scribendi
peritus!