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UN
CÎL CENCE STELIS
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E’ uno
dei tascabili più pregnanti di pre Toni Beline, ma con una
notevole quantità di
riflessioni contro la guerra, distribuite dal 2001
al 2004 su ‘Vita
Cattolica’, ‘Patrie dal Friûl' o ancora inediti.
Ci sono alcune “olmis-impronte” censurate, in
toto o in parte, dalla direzione del settimanale diocesano, ma l’insieme
non è polemico,
se non nei confronti della gerarchia ecclesiastica che nell’arco
degli anni ha assunto atteggiamenti contradditori nei confronti degli
eventi
bellici
in Afganistan ed in Irak, dimenticandosi che “il riuç di
Fedro al è insanganât".
La mancanza di punti di riferimento, di luce, di indicazioni precise è sottolineato
da Pre Toni Beline che vede la gente
come dei viaggiatori su un pullman dove l’autista è impazzito
e non sa dove andare, né da
dove è partito.
Questa paura del buio è quasi una costante
di Pre Toni, tant’è che in una preghiera nel “De
Profundis” chiede
di imparare a camminare al buio: “No sai ce che l’avignî mi
distinarà. O stoi spietant simpri il meracul di imparâ a
cjaminâ tal scûr (De Profundis p.113).
In realtà Pre Toni ha le sue idee chiare ed ha affrontato con
obiettività il problema della guerra. Non concepisce
una "guerra giusta", sostenuta dalle gerarchie che sottilizzano fra
pacifisti e pacificatori.
Anche se lui non ha mai partecipato ad alcuna manifestazione e non
ha esposto alcuna bandiera arcobaleno, ha sempre predicato
la pace e suggerito metodi pacifici di convivenza.
Si è schierato con il vescovo di Caserta, Raffaele Nogaro (friulano
di Sedegliano) che in occasione della strage di Nassiria e delle commemorazione
di
quei
morti, si era permesso
di dire che non era giusto strumentalizzare le vittime di una guerra
come giustificazione delle guerre stesse.
Sottolinea pre Toni che quasi
tutti i vescovi hanno tolto il saluto a mons. Nogaro che aveva cercato
di interpretare correttamente la beatitudine: “Fortunâz
chei ca lavorin pe pâs”.
Con l’occasione si è tolto anche qualche sassolino riguardo
all’atteggiamento farneticante dell'allora vescovo di Udine,
Anastasio Rossi, che, in occasione dell’invasione
dell’Etiopia da parte dell'Italia fascista,
proclamava: “…una
visione di storia ci sta dinanzi allo sguardo illuminato della cristiana
speranza. Ecco le schiere dei nostri eroi. E’ suonata l’ora
del trionfo immortale”.
Così stigmatizza il più recente
arcivescovo udinese Giuseppe Nogara che, dopo aver
allora pregato per il popolo abissino, massacrato dal gas nervino e
dalle bombe italiane,
auspicava che questi
tornasse all’unità cattolica ed invitava i fedeli a
partecipare ad una messa per "ottenere l’aiuto di Dio sulla
nostra Patria e particolarmente sul nostro esercito“.
Il libretto evidenzia la grande amarezza di Pre Toni per il modo in
cui la gerarchia si è comportata nei confronti della guerra: “Ce
sens àjal fâ batais acanidis e teorichis su la gjenetiche,
su la clonazion, sui preservatîfs, su l’omosessualitât,
se si siere un voli su la vuere, il marcjât des armis, l’incuinament,
la produzion disordenade e incontrolade? Si puedial difindi la vite
te panze de mari e lasâle cence difesis cuant che e à vude
la disgrazie di saltâ fûr?”
Critica pure i cristiani
che, non privandosi di alcunché, si rasserenano la coscienza
lasciando qualche briciola a chi non ha di che nutrirsi o vestirsi.
Quanto maggiore sarebbe poi stata l’amarezza di Pre Toni se avesse
solo immaginato che a sostituirlo nella sua parrocchia sarebbe stato
nominato un cappellano militare in servizio?
La gerarchia, si deve convenire, con il rispetto dovuto alla persona
designata, non ha proprio avuto buon gusto, né “grazia
di stato”.
Non sarebbe stato meglio se lo avessero mandato in prima linea in Carnia,
magari in una zona di confine, questo prete militare?
Marino
Plazzotta
(20.01.08)